GUERRIERI E SAGGI ALL’ISOLA DEI FAMOSI: ARCHETIPI IN MOVIMENTO NEI REALITY

GUERRIERI E SAGGI ALL’ISOLA DEI FAMOSI: ARCHETIPI IN MOVIMENTO NEI REALITY

Che siano scelti dal pubblico oppure con televoto pilotati non fa molta differenza: i finalisti impersonano in qualche modo archetipi sempre in voga nell’opinione pubblica.

E’ appena giunto al termine l’Isola dei Famosi, ennesimo reality televisivo condito dalle consuete polemiche, dai “rumors” di televoto pilotati, dalle solite diatribe dei protagonisti e, ciliegina sulla torta quest’anno, anche il famigerato “canna-gate”; c’erano un pò tutti gli ingredienti per creare quel polverone mediatico che tanto influisce nel determinare il successo di un programma.

D’altronde per un programma televisivo non c’è peggior condanna che l’indifferenza, per cui tutto ciò che gli ruota intorno, incluse le polemiche e le critiche più spietate, contribuiscono a creare interesse e traffico (inevitabilmente ormai ci si riferisce ai social media) che gli assicurano la popolarità presso l’opinione pubblica.

Preciso che per opinione pubblica non deve intendersi solo il pubblico degli spettatori ma un sistema complesso che include media, opinionisti, pubblico e i reciproci processi di influenzamento, ma rinvio a pubblicazioni specifiche per una trattazione più esaustiva del concetto.

In merito alla possibilità che alcuni esiti del televoto siano “pilotati”, non credo cambi molto il significato sociale di questo tipo di programmi, perché in ogni caso i “beneficiari” del favore saranno comunque personaggi che si ritiene siano graditi ad una fascia più o meno ampia di pubblico.

D’altronde un programma piace se piacciono i suoi protagonisti perché è necessario che si generino dei processi di immedesimazione nel pubblico, pertanto non ha molta importanza sapere cosa accade dietro le quinte; queste saranno sempre funzionali a cercare di creare qualcosa che si ritiene gradito al pubblico ed in questo stanno i significati di uno spettacolo.

Significati che implicano il porsi delle domande per capire quali sono i modelli, gli archetipi che i protagonisti impersonano, quali quelli che giungono alle fasi finali e che tipo di processi di identificazione sociale possono rappresentare; le percentuali delle votazioni sotto questo punto di vista non significano un granché, sono altri gli spunti interessanti.

Di fatto ciò che determina il favore di una parte del pubblico è il nascere di processi di immedesimazione e di proiezione con i personaggi di scena e con ciò che essi rappresentano in termini iconici.

Quanto alle reiterate affermazioni dei protagonisti di essere personaggi veri, tacciando ovviamente gli altri di ipocrisia, mi pare opportuno recuperare le tesi espresse da E. Goffman (La vita quotidiana come rappresentazione) secondo il quale ognuno di noi (nessuno escluso) elabora delle strategie di comportamento funzionali al contesto e al tipo di interazioni umane da sostenere.

Ognuno interpreta dei ruoli, delle “maschere”, una rappresentazione quotidiana del proprio io idealizzato.
Esiste quindi più o meno consapevolmente per ognuno un dietro le quinte, momento nel quale si orientano le proprie strategie comportamentali e la propria “rappresentazione” scenica funzionalmente al ruolo prescelto o al contesto da affrontare.

Ora se consideriamo che il fatto di parlare di fronte ad un qualsiasi strumento di ripresa falsa la spontaneità del più comune dei mortali, va da sé che un personaggio pubblico proprio per questo fatto sarà probabilmente assai più smaliziato di fronte ad una telecamera.

Prevedibile quindi che abbia sviluppato una certa capacità di separare e gestire i momenti della propria vita tra un “dietro le quinte” e un “palcoscenico” meglio di una persona comune.

Pertanto ritengo più interessante puntare l’attenzione sull’oggetto della rappresentazione piuttosto che sul soggetto che la interpreta.

Quindi quali sono i personaggi che arrivano alle fasi finali, i preferiti dall’opinione pubblica, e come possono essere generalizzati interpretandoli come simulacro di determinati archetipi1?

In merito al concetto di archetipo Carl Gustav Jung ci dice:
“Nessun archetipo è riducibile a semplici formule. L’archetipo è come un vaso che non si può svuotare né riempire mai completamente. In sé, esiste solo in potenza, e quando prende forma in una determinata materia, non è più lo stesso di prima. Esso persiste attraverso i millenni ed esige tuttavia sempre nuove interpretazioni. Gli archetipi sono elementi incrollabili dell’inconscio, ma cambiano forma continuamente”.

Gli archetipi si manifestano dunque nell’inconscio collettivo attraverso risposte automatiche ed ancestrali che l’uomo continua a riproporre, espressione dell’istinto e del corpo, “modelli funzionali innati costituenti nel loro insieme la natura umana” sempre secondo Jung, simboli di concetti, istinti primordiali, modelli profondi, radicati nella psiche umana.

Tornando ai nostri finalisti, vediamo che tipo di archetipi hanno impersonato in modi e manifestazioni più o meno grottesche o congruenti.

Il saggio Nino Formicola
Nino, pur con la sua carica ironica, ha impersonato, anche in virtù della sua età, l’archetipo del saggio ed il suo è il viaggio alla scoperta della verità: su se stessi, sul mondo e sull’universo.

La sfida del Saggio è quella di interpretare i segni e risolvere l’enigma di fondo dell’esistenza. La sua domanda essenziale è: “qual’è il senso?”. Tutti i saggi sono investigatori alla ricerca della verità che è dietro le apparenze, alla ricerca del senso profondo degli eventi, della vera causa dei problemi.

Il Saggio parla per enigmi, parabole, simboli, immagini, perché la vita è per definizione nascosta, il Saggio non ha più paura di morire, né di perdere il proprio Regno, perché non ha più l’Ego e non ha più paura che gli venga sottratto qualcosa: ha imparato a morire e a non essere attaccato a niente.

La sua qualità si concretizza nella conoscenza, consapevolezza, verità, saggezza, pace, serenità, imperturbabilità, distacco, osservazione imparziale, meditazione, visione, intuizione, discriminazione, tolleranza, esperienza, ascetismo, mentre la sua ombra si manifesta nell’atteggiamento critico, censorio, durezza, rigidità, severità, cinismo, preconcetti, pregiudizi, assolutismo, distorsione della verità, indottrinamento, perfezionismo, fondamentalismo, fanatismo, intolleranza, dogmatismo, pedanteria.

Il suo scopo nella vita si esprime nell’approfondimento e nella comprensione della verità, mentre le sue paure si annidano nell’illusione, inganno, distorsione, errore, dubbio, incertezza, cecità, confusione, finzione; nella sua relazione con il drago lo comprende, lo integra, lo trascende, capisce che è solo un’illusione e va oltre.

Il Guerriero Amaurys Perez 
Amaurys ha impersonato l’archetipo del Guerriero, quello che impone di essere coraggiosi, integri e forti, capaci di fissare delle mete e di raggiungerle, di partire alla conquista del mondo.

L’archetipo del Guerriero esige un forte impegno all’ integrità, autodisciplina, fermezza e senso dell’onore, impone di combattere per le proprie idee o i propri valori, anche quando questo costa comporta costi elevati. Impersona il guardiano della Porta del Cuore e vigila su ogni minima minaccia all’integrità del suo mondo affettivo.

Le sue qualità sono forza di volontà, autoaffermazione, coraggio, abnegazione, abilità, affidabilità, autodisciplina, fermezza, tecnologia, strategia, capacità di scelta, capacità di dire no, senso dell’onore, rispetto, dignità, ma la sua ombra si esprime nella durezza, rigidità, giudizio, insensibilità, crudeltà, intolleranza, uso del potere sui più deboli, prepotenza, prevaricazione, competizione.

Guidato dai suoi scopi di affermarsi e vincere, combattere e conquistare, stabilire obiettivi e operare per raggiungerli, le sue paure più forti sono quelle di essere debole, di essere impotente, di essere umiliato, di essere ucciso; affronta il “drago” simbolo degli ostacoli e dei problemi, ingaggia il combattimento accettando il rischio di morte, perché può finire in due modi: uccidere o essere ucciso.

La dea Persefone Bianca Atzei
Bianca sembra invece aver impersonato l’archetipo di Persefone, figura mitica della Grecia antica dotata di due nomi, a simboleggiare i due aspetti contrastanti che la distinguevano: Kore ossia giovane fanciulla che ignorava chi fosse, e Persefone regina degli inferi data la sua capacità di gestire piani profondi della propria psiche.

La donna che incarna questo archetipo non è predisposta ad agire, ma ad “essere agita” dagli altri, vale a dire ad avere un comportamento condiscendente ed un atteggiamento passivo.
L’aspetto di fanciulla archetipica rappresenta una giovane che ignora chi sia, ancora inconsapevole dei propri desideri e delle proprie forze; tende anche a compiacere la madre e ad essere “la brava bimba” obbediente ed attenta, spesso vive al riparo o protetta da esperienze che presentino dei rischi.

La bambina Persefone, iperprotetta, svilupperà un atteggiamento fragile e bisognoso di protezione e guida, e resterà dipendente a qualcuno.
Sessualmente è inconsapevole della propria sessualità, aspetta il principe azzurro che giunga a svegliarla. Con gli uomini è una donna-bambina, dall’atteggiamento remissivo e giovane.

La sua ombra è una tendenza al narcisismo, una trappola per questo tipo di donna che può fissarsi su di sè con tanta ansia da perdere la capacità di rapportarsi agli altri.
Soggetta alla depressione, chiude ermeticamente dentro di sé rabbia o dissenso.

La donna Persefone può superare la sua dimensione se è costretta ad affrontare la vita con le sue sole forze e prendersi cura di sé; solo quando non ha qualcuno che decida per lei può crescere.

L’innocente Jonathan Kashanian
Jonathan di fatto tende ad impersonare l’archetipo dell’innocente, di colui che crede nella vita e negli altri, che esprime l’entusiasmo con cui si comincia una relazione, un viaggio, un lavoro.

È l’individuo “prima della caduta”, che ricorda il mondo protetto dell’utero della madre e la felicità dei primi anni di vita, che vuole riconquistare e vivere nel Paradiso Terrestre, ovunque esso si trovi.

L’Innocente è la parte di noi che continua a credere, a qualunque costo, perché ha una incrollabile fede che il mondo è un luogo sicuro e gli esseri umani sono buoni. L’Innocente però tende a negare i problemi e a rifuggire dai conflitti, spesso isolandosi in un mondo di fantasia. L’Innocente è anche assolutista e dualista, non può ammettere la propria imperfezione senza inorridire di sé, senza cadere preda della vergogna o del senso di colpa.

L’Innocente percepisce anche la propria fragilità e vulnerabilità e, come è evidente, cerca in tutti i modi di difendersi da ciò che considera una minaccia alla propria integrità.

La sua qualità è speranza, entusiasmo, giovialità, gioco, ottimismo, apertura, leggerezza, lealtà, purezza, essere senza filtri lasciando entrare tutto, mentre la sua ombra si esprime nel vittimismo, pessimismo, attaccamento, dipendenza, pretesa, richiesta, onnipotenza, egocentrismo, fuga dalla realtà, rifiuto dei conflitti, illusione, ingenuità, inesperienza.

Nella sua relazione con il drago lo nega, non si accorge neppure che c’è, lo idealizza, ci gioca senza però capire che è un Drago, si sacrifica.

La dea Afrodite Francesca Cipriani
Francesca, personaggio controverso per la sua frivolezza è contrassegnata da una certa dualità; Persefone nell’inconscio, ricerca sicurezze nell’impersonare l’archetipo di Afrodite e come tale vuole esprimere il piacere per l’amore, la bellezza, la sensualità e la sessualità.

L’archetipo Afrodite rappresenta la spinta a garantire la continuazione della specie, perché questa dea rappresentava unione e nascita di una nuova vita. La donna Afrodite si sente attraente e sensuale, e non di rado si trova in opposizione con i modelli correnti di moralità, spesso è estroversa e la sua personalità esprime una brama di vita e un che di selvaggio.

Tende a vivere nel presente immediato, prendendo la vita come se non fosse niente di più di un’esperienza dei sensi.
Il lavoro che non la coinvolge da un punto di vista emotivo non la interessa, a lei piacciono varietà ed intensità, compiti ripetitivi come le faccende di casa, o un impiego monotono l’annoiano.

Molto spesso questo tipo di donna non è bene accettata dalle altre, in quanto gelose del suo fascino ed eleganza. In genere si trova bene con donne che hanno il suo stesso archetipo.

La sua ombra si materializza nell’accanirsi in un amore infelice, arrivando ad un coinvolgimento ossessivo, accontentandosi e creandosi uno stato di sofferenza e insicurezza.

 

La dea Atena Alessia Mancini
Alessia, pur esclusa all’ultimo dalla fase finale, va considerata per il tipo di archetipo femminile che ha rappresentato. Alessia ha impersonato l’archetipo di Atena, dea greca della saggezza e dei mestieri, dai romani detta Minerva, nota per le strategie vincenti e per le soluzioni pratiche.

Come archetipo, rappresenta il modello seguito dalle donne razionali, governate dalla testa più che dal cuore, ha la capacità di mantenere il controllo in situazioni difficili o d’emergenza, mettendo a punto strategie adeguate che portano la donna ad agire con la determinazione di un uomo.

La donna Atena appare obbiettiva, impersonale e capace, l’organizzazione le viene naturale ed è una lavoratrice instancabile. Colei che incarna questa dea vive nella mente e spesso non è in contatto con il proprio corpo.

La sua negatività si manifesta nell’intimidire gli altri, nel potere di rendere sterili le esperienze altrui se non le ritiene importanti, può trasformare una conversazione in uno scarno resoconto di particolari; può mostrare mancanza di sensibilità e nasconde la sua vulnerabilità con autorità e critica. Rischia di dedicarsi sempre al lavoro, e di non staccare mai la mente.

Conclusioni

Le considerazioni finora fatte sull’Isola dei famosi, in merito ai suoi finalisti e sugli archetipi che da questi sono stati più o meno coerentemente e/o inconsapevolmente impersonati, vuole andare oltre il programma in se e cercare una generalizzazione che fornisca letture e riflessioni particolari.

Prima di tutto anche in un programma per molti aspetti criticabile e criticato dai suoi detrattori, si manifestano dei modelli che inevitabilmente richiamano dei processi di immedesimazione nel pubblico, qualunque sia la sua numerosità o il suo livello culturale.

Per grottesco che sia genera comunque una narrazione che ha delle strutture, ne più e ne meno come un film con una grande trama, questo è il punto più interessante; in fondo sono le forme che cambiano non le strutture che le sostengono.

É interessante notare anche la tendenza al ripetersi di certi archetipi: Il Guerriero, Afrodite, Persefone, il Saggio, sono figure che in linea di massima sono sempre in lizza per la vittoria finale.

Non vince sempre la rappresentazione dello stesso archetipo, questo è ovvio, perché spesso dipende anche dallo stacco con cui un protagonista sa impersonare quel modello e quanto possa a volte diventare grottesco o incoerente in questa sua involontaria rappresentazione.

Nell’Isola di quest’anno, il guerriero Amaurys perde inaspettatamente l’ultima prova del fuoco e inevitabilmente va al televoto precludendosi con ciò la vittoria finale.

Non si può tuttavia non notare come l’archetipo del guerriero sia risultato vincitore nel 2017 impersonato da Raz Degan, e nel 2016 da Giacobbe Fragomeni, e che comunque la sua personificazione risulti avere sempre un robusto consenso almeno fino alle battute finali.

Singolare invece, se la memoria non mi inganna, come certi archetipi femminili abbastanza forti e di rottura con gli stereotipi sociali come l’archetipo di Afrodite, giunto comunque alla fase finale con Malena nel 2017 e con Paola Caruso nel 2016, o come quello di Atena, impersonato da Alessia Mancini quest’anno e da Eva Grimaldi l’anno scorso, siano abbandonati proprio alle soglie del traguardo finale dal pubblico del televoto.

Sembra quasi che il pubblico subisca il fascino di certi archetipi quasi fino alla fine salvo poi dirottare verso modelli più comuni e rassicuranti.
Misteri dell’immedesimazione del pubblico!

1 per un sintetico ma efficace compendio sugli archetipi segnalo:
http://www.archetipi.org/
http://www.visionealchemica.com/le-sette-dee-dentro-la-donna/
le immagini sono state tratte da:
http://www.affaritaliani.it/sport/milan-news/isola-dei-famosi-2018-nino-ho-partecipato-per-far-vedere-che-gaspare-e-vivo-anche-senza-zuzzurro-535605.html
https://www.panorama.it/televisione/isola-dei-famosi-2018-nino-formicola/
https://www.comingsoon.it/tv/gossip/isola-dei-famosi-2018-nino-formicola-e-il-vincitore-della-tredicesima/n77446/
http://www.liberoquotidiano.it/news/spettacoli/13306296/isola-dei-famosi-bianca-atzei-strazio-max-biaggi-lacrime-diretta.html
http://www.oggi.it/gossip/gallery/francesca-cipriani-e-rosa-perrotta-e-sfida-sexy-sullisola-dei-famosi-guarda-le-foto/
https://it.blastingnews.com/tv-gossip/2018/04/anticipazioni-lisola-dei-famosi-squalificata-alessia-mancini-ecco-la-verita-002490279.html
https://popcorntv.it/curiosita/isola-dei-famosi-2018-chili-persi-dai-naufraghi/49885

 

ELEZIONI 2018 : CHI STA VINCENDO LA CAMPAGNA ELETTORALE SUI SOCIAL MEDIA?

ELEZIONI 2018 : CHI STA VINCENDO LA CAMPAGNA ELETTORALE SUI SOCIAL MEDIA?

4 leader in campo che si combattono anche e soprattutto sui social media, questa la sicura novità della campagna elettorale delle elezioni 2018.  I contendenti che inondano il pubblico di post, il quale interagisce frequentemente e con veemenza sulle loro pagine.  Qualità dei commenti? Meglio una pagina di ultras. Contentiamoci dei numeri.

Siamo ormai alle soglie delle elezioni 2018, contrassegnate da una campagna elettorale strisciante che si protrae dalla fine del referendum del dicembre 2016, anche se a mio giudizio, per ragioni che sarebbe troppo lungo elencare, siamo stati immersi in una campagna elettorale semi-permanente che si protrae dal termine delle elezioni del 2013.

La novità di questa campagna è che, contrariamente alle precedenti sei elezioni politiche, questa volta i leader in campo, candidati più o meno direttamente al ruolo di premier sono quattro, anche se due di questi sono formalmente alleati pur con una serie di distinguo e di sfumature diverse.

L’altra novità, parzialmente inedita, è l’uso esteso dei social media quale strumento integrato della campagna elettorale, strumento che nelle precedenti elezioni soltanto il Movimento 5 Stelle aveva usato in modo strutturato partendo molto in anticipo rispetto all’inizio ufficiale della campagna elettorale.

L’uso dei social in politica ha vissuto una forte espansione specialmente durante il periodo che ha contrassegnato l’opposizione al governo Renzi, diventando strumento di “propaganda di massa” ormai imprescindibile per ogni leader.

É da notare infatti che le pagine ed i profili dei leader contano un numero di fan di gran lunga superiore a quello annoverato dai rispettivi partiti.

I candidati in lizza, come tutti sanno, sono il “vecchio” leader Berlusconi, anche se la sua posizione non è quella di candidato Premier ma di leader dello schieramento di Centrodestra che dovrà successivamente definire il suo candidato Premier, l’ormai ex “giovane” Renzi, e i due giovani candidati rampanti come Salvini e Di Maio.

Ci sarebbe da considerare anche una quinta persona, Giorgia Meloni, che sta ottenendo una crescita di fan importante, ma che solo in considerazione dei dati provenienti dai sondaggisti non includerò nel confronto.

A circa 10 giorni dal voto riporto una serie di tabelle e statistiche di cui presto potremo valutare il livello di affidabilità per poter prevedere chi sarà il vincitore della tornata elettorale, o quantomeno chi ne uscirà vincente e rinforzato oppure no.

I dati sono stati tratti dalla piattaforma di monitoraggio Social Bakers per ciò che concerne i dati di Facebook e i followers dei profili Twitter, mentre i dati su tweet e hashtags sono stati tratti dalla piattaforma Twitonomy.

Iniziamo intanto a riportare la “top-ten” dei politici che avevano il maggior numero di fan al 20 dicembre:

Nessuna particolare sorpresa trovando i nostri quattro leader nelle prime cinque posizioni, eccezion fatta per Di Battista, personaggio di forte appeal mediatico che a poca distanza dal voto ha deciso di sfilarsi dai giochi: fair play per l’altro candidato di partito o attendismo strategico? Vedremo in futuro.

Osservando i trend dei sei mesi precedenti si nota un’impennata nella crescita del numero di fan comune a tutti i contendenti a partire dal mese di ottobre, segno evidente che nell’imminente scioglimento della legislatura e del conseguente inizio della campagna elettorale ufficiale, le aspettative del popolo della rete sono diventate più forti.

E’ probabile tuttavia che gli utenti  seguano le pagine dei vari leader non solo per motivazioni fideistiche, ma anche per sapere cosa raccontano i contendenti e sfogare le proprie critiche come appare frequentemente nei commenti.

Nella tabella che segue sono mostrate una serie di rilevazioni effettuate sulla stessa piattaforma dopo il 20 dicembre con cadenza quasi settimanale, che mostrano la continua progressione del numero di fan.

A giudicare dai numeri si nota che Salvini ha il seguito più numeroso di fan e che la crescita di questi continua con buone percentuali, ma chi registra la crescita più forte è Di Maio; notevoli i risultati di Berlusconi se consideriamo che è stato l’ultimo a puntare sui social in modo intensivo e strutturato. Il barometro di Renzi invece, vecchia star politica di Facebook nel 2013, non segna buon tempo confermando una tendenza in atto ormai da qualche anno.

Da tempo comunque Facebook non sembra essere il terreno più congeniale ne per  Renzi, ne per il PD, mentre viceversa a giudicare dai contenuti, sembrerebbe il territorio più frequentato dai sostenitori del Movimento 5 Stelle e da quelli del Centrodestra o, per riportare una definizione in voga sui media tradizionali, sembra essere il territorio preferito per le “istanze populiste”.

Su Twitter invece, se si considera soltanto il numero di followers, le cose per Renzi e il Centrosinistra sembrano andare un pò meglio come raccontano le tabelle, anche se a giudicare dalle conversazioni che nascono sui tweet la questione prende un’altra piega.

Esaminando in dettaglio la “produzione” comunicativa dei nostri “paladini” nella tabella che segue, possiamo trarre delle indicazioni più dettagliate in merito alla frequenza di pubblicazione dei post su Facebook e di quale sia la capacità di “engagement” dei rispettivi contenuti espressa dal coefficiente che esprime il totale delle interazioni per 1000 fan realizzati nel mese antecedente, e il post (di cui si riporta sinteticamente il titolo) che ha ricevuto il maggior numero di interazioni.

Parliamo sempre di quantità perché in termini di qualità… spenderò due righe più avanti.

Da notare l’iperattività di Salvini e Di Maio che pubblicano post con una frequenza che richiederebbe loro di stare tutto il giorno seduti davanti alla tastiera per preparare tutto quel materiale!

Alla successiva rilevazione del 19 febbraio, le pagine con la migliore performance sono quelle mostrate nelle immagini di seguito:

Prendendo in esame le modalità di pubblicazione di contenuti, si nota una generale intensificazione della “produzione” da parte di tutti e quattro i candidati, ma sono ancora Di Maio e Salvini a registrare le performance più elevate, pertanto valgono le stesse considerazioni fatte poco fa: come faranno a scrivere tutte queste cose e allo stesso tempo partecipare a comizi, andare in televisione, viaggiare da una città all’altra etc. etc.

Infine nelle immagini successive delle infografiche che sintetizzano cosa avviene su Twitter. Gli indicatori sembrano segnalare una situazione più favorevole per Renzi, almeno stando agli indicatori, mentre Berlusconi ultimo arrivato sulla piattaforma, non sembra puntare molto su di questa; un profilo aperto in ottobre con meno di 25.000 followers non “regge” il confronto per cui non è stato riportato.

L’iperattività di Salvini sembra ottenere un altissima percentuale di retweets (99,4%), ma al tempo stesso la sua diffusione rimane minore a quella realizzata da Renzi, mentre i risultati ottenuti da di Di Maio sono complessivamente “modesti”. Negli indicatori la sintesi della performance.


Da notare come il recente cambiamento introdotto da Twitter con il passaggio da 140 a 280 caratteri, permettendo una migliore discorsività, ha fortemente ridotto l’uso degli hashtags, limitandone di fatto l’importanza che ad essi attribuivano gli utilizzatori.

Difficile affermare che questa sia una buona scelta ed in tal senso i dati di insight sulle visualizzazioni, prima e dopo il cambiamento, potrebbero svelare molto di più ma purtroppo non sono disponibili.

Per dovere di cronaca, di seguito quelli più utilizzati dai contendenti:

  • Per Renzi: #avanti, #lavoltabuona, #matteorisponde, #italiariparte;
  • Per Salvini: #salvini, #ottoemezzo, #primagliitaliani, #andiamoagovernare;
  • Per Di Maio: #iodicono, #m5s, #trefotoalgiorno, #renzi.

 Conclusioni 

Una quantità di numeri importante che fornisce indicazioni anche interessanti, ma che si fermano ad aspetti meramente quantitativi per diverse ragioni.

Quello che ci dicono i numeri è lo sforzo profuso dai leader in competizione nel tentativo di saturare lo spazio delle tematizzazioni possibili.

Si comunica tutto ciò che si ritiene positivo del proprio programma, non dimenticando di dedicare ampio spazio a denigrare e delegittimare i propri avversari politici, specialmente quelli nel cui bacino elettorale si spera di poter pescare voti.

L’unica cosa che viene dimenticata è il tempo disponibile dei propri lettori e la loro capacità ricettiva di “processare” correttamente tutti gli input in arrivo.

In tal senso a parte Renzi e Berlusconi, che sul piano della quantità di contenuti cercano di mantenersi su livelli più moderati, la frequenza di pubblicazione di Salvini e Di Maio  raggiunge livelli veramente intensi.

Con medie di quasi 80 post alla settimana, oltre 10 al giorno, creano una quantità di informazioni che diventa difficilmente digeribile anche per i propri fan, figuriamoci per gli incerti.

Poiché una delle strategie della comunicazione sui social è anche quella di generare un effetto di “advocacy” che può scaturire dalla lettura dei vari commenti e dall’interazione nelle conversazioni prioritariamente verso coloro che non sono ancora “fan”, con tali  quantità di contenuti il rischio è proprio quello di creare difficoltà e confusione nel seguire tutto quanto.

Bisognerebbe poter disporre dei benefici di amministratore delle pagine/profili per avere i dati sulla copertura e comparare se tale ridondanza di contenuti sia effettivamente premiante o meno; non è detto che l’algoritmo di Facebook la premi.

Indubbiamente la crescita generalizzata per tutti del numero dei propri fan/followers testimonia il grande interesse di larga parte della cittadinanza ai fatti politici e ai racconti prodotti su questi canali. Parimenti importanti e rilevanti sono i dati che riguardano la partecipazione ed in particolare l’attitudine a commentare i vari post.

La nota dolente purtroppo inizia quando si analizza la qualità delle argomentazioni espresse nei commenti, sia per i toni usati, sia per il lessico utilizzato, sia per la logica argomentativa ricorrente.

Ho abbandonato il tentativo di trarne delle indicazioni visto che la maggior parte dei commenti regge perfettamente il confronto con i contenuti di una pagina di ultras calcistici quando parlano dei loro avversari più detestati.

C’è una rilevante quantità e una marcata tendenza a postare commenti aspramente critici nelle pagine di ognuno dei contendenti, commenti che poi ovviamente ricevono altrettanto veementi risposte, un proliferare di “litigi” più che di conversazioni.

Sembra quasi che il popolo di Facebook preferisca navigare nelle pagine dei personaggi sgraditi per commentare criticamente.

In tal senso non si ha più alcuna certezza se e fino a che punto tali commenti siano originati da elettori delusi oppure dai cosiddetti “troll” che in tal modo cercano di “avvelenare i pozzi” delle pagine avverse per intorbidire i contenuti e stemperarne in tal modo la possibilità di ottenere effetti di advocacy.

Per questo cercare di trarne indicazioni appare uno sforzo inutile perché le certezze della genuinità dei commenti sono veramente limitate.

La verifica effettuata su Twitter ha evidenziato la presenza dello stesso fenomeno anche se i toni sono in parte meno grevi.

Non rimane pertanto che accontentarsi dei dati di tendenza sull’aumento dei fan (anche questi pare siano taroccati, ma aggrappiamoci almeno alla legge dei grandi numeri!) e aspettare ancora un pò di giorni per avere una ulteriore riprova della capacità più o meno fondata dei social media di riflettere la società reale.

ALDE O EFDD? I TRAVAGLI INTERIORI TRA I SOSTENITORI DEL MOVIMENTO 5 STELLE

ALDE O EFDD? I TRAVAGLI INTERIORI TRA I SOSTENITORI DEL MOVIMENTO 5 STELLE

Un’esplorazione tra ideali e pragmatismo, malumori e dedizione tra i sostenitori del Movimento all’indomani della controversa questione sulla possibile adesione al gruppo europeo ALDE, attraverso i commenti espressi sul blog di Beppe Grillo. Quasi 1.000 commenti tra argomentazioni, opinioni, delusioni e dichiarazioni di fede che offrono una istantanea sugli atteggiamenti dei sostenitori

Credo che Renzi sbagli profondamente nel definire il Movimento 5 Stelle un algoritmo, evidentemente considerandolo solo per la sua struttura organizzativa, perché leggendo i commenti dei sostenitori del movimento, si percepiscono convinzioni ed atteggiamenti che hanno significati di assoluto interesse per una lettura del sociale.
In questi contenuti infatti si comprende abbastanza bene quali siano i fattori che motivano ed influenzano scelte ed azioni dei sostenitori nel medio e lungo termine più di quanto possa fare una struttura organizzativa di partito.

Chiarisco subito che questo scritto non è e non vuole essere un’analisi politica del fatto in questione e delle sue conseguenze future, ma soltanto una ricerca sociale che si pone l’obiettivo di saperne qualcosa in più sul sistema di credenze raccolto in una piazza virtuale, che è sicuramente parte delle narrazioni quotidiane del momento.

In questi commenti infatti, ancorché originati su uno specifico momento, si possono intravedere tracce significative del sistema di rappresentazioni sociali, di quali siano gli ancoraggi con il quale i nuovi fatti vengono metabolizzati, quali siano i sistemi di valori di riferimento di simpatizzanti ed attivisti del movimento.
In tal modo si possono intuire quali siano le convinzioni, i sogni e gli immaginari collettivi di un’aggregazione di consenso che si è formata nel giro di pochi anni e la cui identità è ancora da sedimentare, ma che tuttavia esprime atteggiamenti e scelte politiche in modi a volte anche veementi.

Nell’esame di questi commenti, pur mantenendomi alla larga da qualunque valutazione politica, emerge abbastanza chiaramente che la motivazione basilare degli aderenti al movimento sia rappresentata dalle profonde delusioni provate negli schieramenti in cui si erano fino ad ora riconosciuti e che la loro provenienza sia assai disparata, in alcuni casi palesemente opposta, così come appaiono sostanziali differenze nel modo di intendere l’azione politica, improntata al pragmatismo per alcuni, animata dagli ideali in altri.

Mi viene in mente il libro di Serge Moscovici “La fabbrica degli dei”, nel quale lo psicologo francese in un discorso molto articolato asseriva in sostanza come l’agire sociale spesso non sia il frutto del pensiero razionale ma il risultato di scelte fideistiche che poi vengono in qualche modo razionalizzate dagli individui.
Un ragionamento la cui complessità non si può certo spiegare in tre righe, ma il cui fondamento si presenta quando in alcuni commenti, pur partendo da tesi diametralmente opposte, si va a convergere su questioni e punti di vista che sono argomentati e razionalizzati giungendo alla fine alle stesse conclusioni.

D’altronde, avendo memoria della storia politica degli ultimi decenni, non sarebbero facilmente spiegabili fenomeni opposti come gruppi molto stabili dell’elettorato di alcuni partiti, il cosiddetto “zoccolo duro”, che fa il paio con spostamenti molto forti, sorta di fenomeni “migratori” concentrati in tempi ristretti, verso neonati movimenti.
Al di fuori da interpretazioni politologiche, su cui ribadisco di non voler entrare, sono fenomeni che trovano spiegazioni nei principi di identità, formazione e appartenenza ai gruppi, propri delle scienze sociali, che possono venir potenziati da strategie comunicative adeguatamente contestualizzate ed in tal senso rinvio ad un testo molto interessante in merito (Marketing Moving – G. Ceriani – Angeli 2004).

Fatta questa lunga premessa, vediamo ora che cosa è emerso dai commenti inclusi al post pubblicato sul blog del Movimento 5 Stelle dove si invitavano i “commentatori certificati” ad esprimersi in merito alla possibile uscita dal gruppo di deputati europei dell’ EFDD e la conseguente adesione al gruppo ALDE.

Leggendo i commenti emerge immediatamente che una categorizzazione basata su un generico “favorevoli” o “contrari” e/o “delusi” sarebbe un po’ superficiale e che una descrizione più approfondita degli stati d’animo emersi richiede un maggior dettaglio.
Senza voler esagerare nelle distinzioni, le parole lasciano intravedere una diversità di atteggiamenti che possono essere categorizzati in sette diverse classi di seguito descritte:

  1. I fedelissimi: il gruppo di coloro che manifestano fiducia cieca nei principi del movimento e soprattutto si fidano senza riserve del capo “spirituale” individuato nella figura di Beppe Grillo, ne approvano l’operato razionalizzando qualunque sua scelta anche se la stessa dovesse apparire contraddittoria; rifiutano, anche con una certa veemenza, qualunque critica e chiunque si esprima in modo diverso, spesso bollandolo con spregio nei termini ormai codificati del dileggio grillino (troll, Piddioti etc.). Nel riquadro alcune espressioni o parti di esse che, ancorché decontestualizzate, esprimono il sentimento di appartenenza al gruppo.fedelissimi
  2. I favorevoli realisti: sono coloro che pur argomentando qualche riserva sulle scelte o sulle modalità di votazione adottate, si adeguano per accondiscendenza e spirito di adesione alle dinamiche proprie della maggioranza del gruppo; prevale in fondo il credito di fiducia verso il capo, e riescono in qualche modo a razionalizzare scelte all’apparenza contraddittorie, facendo del pragmatismo il loro criterio ispiratore. Nel riquadro alcune espressioni che ne descrivono l’approccio.favorevoli-pragmatici
  3. I dubbiosi analitici: esprimono il dubbio sulle scelte del movimento o meglio del suo capo ed elaborano le loro riflessioni critiche ma di fatto non giungono ad una conclusione, in alcuni casi confessano di non sentirsi all’altezza di capire o di giudicare e rimangono in attesa di spiegazioni e soprattutto di rassicurazioni dal vertice del movimento; l’accondiscendenza al gruppo come dinamica di riferimento non appare in discussione.dubbiosi
  4. I critici moderati: esprimono disagio e disaccordo sulla linea a volte con toni pacati, altre volte con toni più duri, ma è un disaccordo che rimane comunque all’interno del sentimento di appartenenza al gruppo, di cui si possono criticare anche le azioni e le scelte dei vertici, pur non venendo meno i fini e la statura morale superiore; in questa categoria tuttavia i principi morali del gruppo precedono e sono superiori al peso del capo ideologico che può essere fallace e messo in discussione.critici
  5. Gli “incazzati” duri: sono molto infuriati per le scelte del movimento e per il modus operandi dei vertici e lo argomentano con toni duri e senza mezzi termini; non sembrano tuttavia in discussione i principi ispiratori del movimento, che rimangono sacri come si percepisce dalle parole, così come lo spirito di adesione al gruppo che si avverte ancora saldo nonostante la delusione, mentre la leadership, che può cadere vittima delle tentazioni di potere, può essere messa in discussione perché tutto sommato non gode di una fiducia di tipo trascendente, anzi.incazzati
  6. I delusi: son quelli che sono fortemente amareggiati dal movimento e dal modo di agire del gruppo dirigente, sul quale esprimono una chiara e netta sfiducia, e la frase “cialtroni e ladri di sogni” sintetizza molto bene i sentimenti provati. Comunque i principi che avevano portato all’ adesione al movimento sono ancora vivi e nonostante le parole ed il disagio non sembrano poi così tanti quelli che dichiarano di non voler più votare il movimento o che lo faranno realmente, perché in parte, nonostante la delusione provata, sarebbero ben felici di captare qualunque segno di redenzione che non li obblighi ad affrontare un ulteriore e profondo conflitto interiore per scegliere una nuova appartenenza politica.delusi
  7. Gli Esterni: dai loro commenti e dal tipo di parole usate in alcuni casi in modo palese, in altri vagamente dissimulate (voi), si comprende come questi non appartengano (spiritualmente!) al Movimento e che tuttalpiù ne siano vagamente simpatizzanti, mantenendo comunque una certa distanza; in tal caso la loro critica, scontata, è da ritenere estranea agli stati d’animo propri dei sostenitori.

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Le frasi prescelte, sulle quali per ragioni di spazio è stato necessario operare una forte sintesi, cercano di far intravedere alcuni concetti basilari che animano le rappresentazioni sociali e l’immaginario collettivo dei sostenitori grillini.

Giova ricordare che la modalità di aggregazione prevalente al Movimento 5S è stata, almeno fino a poco tempo fa, basata sulla rete, e che attraverso questa è stato possibile esercitare un forte potere di attrazione in quella massa di delusi (giustamente!) in fuga dalle rispettive identità politiche di appartenenza.
La loro provenienza politica infatti, sia di “destra” che di “sinistra”, viene dissimulata dalle retoriche e dal lessico utilizzato e, a seguito delle delusioni patite, ha trovato una “casa” comune nella “terra promessa” dell’onestà, della trasparenza, nel comune sentimento definito di “antipolitica”, nella speranza di poter contare di più (“uno vale uno”).

Quindi pur con una identità ancora in fase di sedimentazione, la motivazione originaria di appartenere a questo gruppo è stata senza dubbio molto consistente ed interiormente sentita ed il credito di fiducia attribuito molto forte.
Poiché evito di entrare più in profondità su aspetti di natura politica, il lettore curioso potrà trovare soddisfazione ai suoi interrogativi trovando direttamente sul blog di Beppe Grillo i commenti espressi.

 Il lessico
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Probabilmente a causa del tema originatore, nei commenti non sono stati rintracciati elementi di forte interesse sul piano semantico-lessicale che si manifestassero con frequenze di rilievo.
Risparmierò al lettore noiose dissertazioni e tavole statistiche, riassumendo solo alcuni punti significativi.

Dalla sommaria analisi del contenuto eseguita sui testi, i predicati verbali “essere”, “avere, “fare” si sono manifestati con una certa frequenza nelle varie forme flesse, risultato abbastanza scontato visto il tema.

Da rilevare un uso marcato della terza persona “è” e “sono” rispettivamente utilizzati in media una volta ogni commento e una ogni due.
Frequente, ma per altro prevedibile visto l’argomento, il lessema “votare” e le sue varie forme flesse che compaiono in circa il 70% dei commenti, mentre i sostantivi non strettamente connessi all’argomento e ai soggetti in discussione, contraddistinti da frequenze relative assai limitate non rappresentano particolarità degne di nota.
Una curiosità per il lessema “tradire” (comprese le sue forme flesse) che è stato utilizzato meno di una volta ogni 20 commenti.

Emerge invece un uso marcato di elementi del discorso come l’avverbio di negazione “non” utilizzato in media 1,5 volte per ogni commento, la congiunzione avversativa “ma” e la congiunzione condizionale (o dubitativa) “se” utilizzate in media una volta ogni 2 commenti, l’avverbio “perché” utilizzato quasi una volta ogni 4 commenti, indicatori di un discorso sofferto caratterizzato da negazioni, dubbi e tentativi di elaborare nessi di causalità.

 I risultati ottenuti 
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I circa 1.000 commenti (suddivisi in 4 pagine a margine dell’articolo) sono stati postati nel blog di Beppe Grillo dal giorno 8, quando è stato pubblicato l’articolo sul blog, al giorno 11, successivamente al rifiuto del gruppo ALDE di accogliere i deputati europei del Movimento; scontano quindi una certa variazione del contesto e con il passare del tempo hanno visto crescere lievemente la quota degli “incazzati duri” ed in modo più marcato quella dei “delusi”, ma le categorie di stati d’animo rilevate sono rimaste le stesse.

Ne sono stati campionati casualmente 535 fra le varie pagine, numero più che sufficiente ad evidenziare la ricorsività dei concetti e delle categorizzazioni adottate.
Non si può escludere che qualcuno abbia commentato più volte, tuttavia il depurare i dati raccolti da queste inesattezze avrebbe richiesto un tempo di lavorazione di gran lunga superiore al vantaggio conseguibile in termini di precisione di qualche decimale, che in fondo non è l’obiettivo vero di questo lavoro.

Peraltro anche la categorizzazione di uno stato d’animo o un atteggiamento attraverso un commento scritto, è ovviamente un lavoro che necessita del lavoro interpretativo dell’analista, per questo motivo chiarisco che le percentuali espresse non hanno pretesa di precisione ma servono a dare l’idea di quali siano gli ordini di grandezza dei vari stati d’animo rilevati, anche se è verosimile che le oscillazioni non sarebbero tali da dimezzare o raddoppiare i dati riportati; ripeto era più importante capire il tipo di atteggiamenti e di credenze espresse.

La lettura dei risultati ci dice che esiste una schiera assai compatta e numerosa di “fedelissimi”, la cui appartenenza al movimento, come già detto, rasenta dimensioni fideistiche e riguarda circa un terzo dei commentatori.

“Favorevoli realisti” e “Dubbiosi analitici”, sia pure con qualche riserva, sono in linea di massima accondiscendenti alle scelte del gruppo dirigente, e sono due gruppi che sommati rappresentano poco più di un quarto dei commentatori.

I due gruppi “Critici moderati” e “Incazzati duri” che pesano per circa il 30% dei commenti, si differenziano più che altro per i toni usati, nella sostanza criticano o prendono le distanze dal gruppo dirigente, e di fatto operano un sostanziale distinguo tra gli ideali che animano il Movimento e i leaders che possono anche essere messi in discussione.

Appare assai contenuto il numero dei “Delusi”, che globalmente vale circa l’11% ma che ha registrato una dinamica incrementale durante i quattro giorni in cui sono stati caricati i commenti; va detto tuttavia che i toni di delusione espressi ed i propositi manifestati più o meno apertamente di non votare più il movimento, non debbano a mio giudizio essere annoverati “ipso-facto” in voti persi, perché la percentuale di coloro che effettivamente non voterà più il gruppo probabilmente è molto più ridotta di quanto emerso in questo frangente.

Esiguo il gruppo degli “Esterni” che si riconoscono soprattutto per una semiotica discorsiva che dissimula l’opposizione io-voi e dai loro commenti si deduce che non attendessero altro che l’emergere di contraddizioni in seno al Movimento per poter commentare con soddisfazione una sorta di “lo sapevo che sarebbe finita così”, ma la loro quota è inferiore al 5%.

 Conclusioni 

Ho l’impressione che il fatto controverso di questo cambio di gruppo, poi rientrato, sia stato accolto con uno spirito diverso dai vari settori di opinione pubblica.
Mentre i media e le persone che non si riconoscono nel Movimento hanno, anche con una certa sorpresa, stigmatizzato la serie di decisioni contraddittorie del leader del movimento, per i sostenitori dei 5 stelle la risonanza e l’importanza stessa da attribuire al fatto sembrano complessivamente minori.

I sostenitori del Movimento hanno criticato la scelta anche duramente, ma i legami di appartenenza a questo che oltre ad essere un movimento rappresenta una promessa di valori da lungo tempo assenti nella scena politica, sembrano molto più solidi di una semplice preferenza politica optata sulla scorta di promesse elettorali.

Si tratta di legami basati su valori idealizzati che vanno anche oltre le valutazioni di tipo razionale e pragmatico e che continuano ad esercitare la propria forza fino a che, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, non risulti evidente l’inesistenza o il tradimento di questi ideali.

L’aspetto interessante raccolto nella lettura dei commenti è stato proprio questo, ovvero il comprendere attraverso questi che il Movimento per molti non rappresenta semplicemente una preferenza politica, ma una speranza, un sogno ideale e questo produce uno spirito di appartenenza e una capacità di accondiscendenza alle dinamiche del gruppo molto forti, al punto che ogni singolo riesce poi a razionalizzare anche gli elementi in contraddizione che non entrino in aperto contrasto con gli ideali fondanti.

LA TRAGEDIA DEI TRENI DI ANDRIA – LE STRUTTURE NARRATIVE DEL RACCONTO GIORNALISTICO

LA TRAGEDIA DEI TRENI DI ANDRIA – LE STRUTTURE NARRATIVE DEL RACCONTO GIORNALISTICO

Social media come Twitter e Facebook sono diventati i protagonisti delle notizie in anteprima e dei loro tempestivi approfondimenti, cosicché telegiornali e carta stampata devono conformarsi alla trattazione fatta su queste piattaforme. Questo ne segna di fatto la supremazia nello spazio informativo, condizionando stili e strategie del discorso giornalistico

Prendo lo spunto dall’ incidente ferroviario di Andria per compiere un’analisi del discorso giornalistico che si sviluppa in casi come questo, un genere che diventa sempre meno discorsivo e sempre più narrativo1, uno stile giornalistico-comunicativo favorito dall’ evoluzione tecnologica del sistema dei media e che rientra nel più vasto campo della comunicazione di eventi di crisi.

Anche in questo caso, come in altri, è stato possibile individuare tracce di struttura che ogni volta tendono a caratterizzare il racconto e a stimolare le emozioni dei destinatari.
In questo caso sono stati presi in esame gli articoli pubblicati on-line dal Corriere della sera, la Repubblica, La Stampa, il Fatto Quotidiano, il Giornale entro i quattro giorni seguenti la tragedia, alcune prime pagine dei giornali cartacei nei tre giorni successivi, e i post pubblicati su Facebook dal Corriere della sera e dalla Repubblica nei due giorni successivi.

Scontato ma opportuno ricordare che ormai la costruzione del discorso giornalistico deve seguire i ritmi imposti dalle testate on-line e dai social media che esigono notizie concise corredate da immagini da diffondere a brevi intervalli temporali piuttosto che le più corpose inchieste che si costruivano nel passato sui media tradizionali, e ciò comporta un cambiamento nel racconto della storia.

Anche se i dati raccolti a supporto delle tesi illustrate riguardano soltanto il caso di cui si parla, stante la difficoltà a distanza di tempo di rinvenire materiali e tempistiche di pubblicazione di altri fatti simili, ciò nonostante la memoria di questi e l’esame dei documenti selezionati rappresentano un elemento abbastanza probante in merito all’ esistenza di strutture di questo genere giornalistico.

Tra l’altro la strage provocata dall’ atto terroristico di Nizza avvenuta la sera del 14 luglio, nemmeno quattro giorni dopo, ha riproposto le medesime tracce di struttura osservate in questo caso.
L’analisi sarà basata esclusivamente sul materiale giornalistico tralasciando completamente i commenti e focalizzandosi sulla sequenza dei contenuti pubblicati.

I dati 

Nella tabella seguente sono riportati il numero di articoli pubblicati on-line dalle testate campionate che per certi aspetti costituiscono un indice di risonanza attribuito all’ evento durante i primi giorni seguenti l’accaduto.
Da notare il ridotto numero di articoli pubblicati dal Giornale, indice forse di una redazione più contenuta.

tabella articoli x data2

I numeri tradotti in grafici danno un’idea immediata di quello che possiamo, magari un po’ aridamente, definire il ciclo di vita della notizia e possiamo notare come la similarità della forma delle varie curve indichi il ricorso o quantomeno l’utilizzo delle medesime tracce strutturali nella costruzione del discorso giornalistico da parte delle varie testate.

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Molto sinteticamente anche un breve esame effettuato su alcune prime pagine dei giornali stampati mostra una presenza del fatto in prima pagina  complessivamente più contenuta, palesando tuttavia come titoli ed immagini tendano molto presto a topicalizzare aspetti e temi che si allineano alle loro posizioni pseudo politiche. Nelle immagini si può osservare la differenza nei modi di tematizzare2 l’evento stesso.

prime pagine 2
prime pagine 1

Su Facebook sono state prese a campione le pagine con il maggior seguito come la Repubblica e il Corriere della sera; sulle stesse sono stati pubblicati rispettivamente 43 e 38 post a partire da un’ora dopo la tragedia (ore 11.15 circa) fino alle 52 ore successive al fatto.
La sequenza cronologica dei post in termini di frequenza si può osservare nella tabella:

post facebook

La struttura narrativa del racconto giornalistico 

Nella messa in discorso di questo fatto, così come di eventi dello stesso tipo, sezionando il testo sarà possibile isolare strutture che hanno carattere di ricorsività pur presentandosi in forme diverse.
Queste strutture, di natura virtuale, sono in grado di sostenere uno schema narrativo di questo genere giornalistico e preludono alla sua messa in discorso come sinteticamente descritto di seguito:

  • Elaborare la tematizzazione: procedimento attraverso il quale l’informazione di un fatto viene organizzata e valorizzata ponendo l’enfasi su particolari aspetti che possano conferirgli una risonanza e una posizione dominante nell’agenda del ricevente. La sua articolazione formale dovrà quindi essere adeguatamente predisposta affinché sia in grado di mantenere viva l’attenzione ed il senso di attesa del lettore (es. “Scontro tra treni in Puglia, la maledizione del binario unico”– Corriere della sera -12/07/16).
    Per questo motivo, gli elementi costituenti questa struttura di norma vengono frazionati e divulgati cronologicamente in diversi momenti, concorrendo a costituire una sorta di intreccio come in una scenografia.
  • Predisporre l’isotopizzazione: consistente nel collegare mediante rapporti di causalità, il racconto dell’evento con altri discorsi sociali presenti sulla scena, creando una intertestualità e una serie di rimandi con altre narrazioni (es. “Lo scontro tra i treni in Puglia e le responsabilità della cattiva politica” – Corriere della sera -12/07/16) in modo da farle sembrare simili o accomunate dagli stessi fattori presenti sulla scena sociale. Tipici esempi possono essere: ritardi nell’esecuzione dei lavori generati dalla corruzione, carenze tecniche provocate da una governance carente, errori umani o negligenze causate da orari di lavoro stressanti o rinnovi contrattuali scaduti da tempo etc.
  • Creare l’attorializzazione, procedimento di virtualizzazione dei soggetti necessari alla messa in discorso del fatto, protagonisti o comparse che siano, mediante la scelta dei ruoli sociali e la loro caratterizzazione al fine di dare corpo e sostanza alla storia (es. “Scontro treni: vigili del fuoco e ruspe al lavoro per tutta la notte” – la Repubblica – 12/07/16). In questa struttura si collocano le vittime, i parenti delle vittime, i soccorritori, i testimoni, i presunti responsabili, gli uomini delle istituzioni, i politici, i personaggi famosi etc.
  • Metaforizzare i miti negativi: le strutture di isotopizzazione e attorializzazione utilizzate nel racconto dei fatti, mediante retoriche allusive richiamano più o meno esplicitamente certe visioni del mondo, figure mitiche dotate di una carica negativa come l’ingiustizia, il cinismo del potere, l’errore umano, l’accanimento del destino sui deboli (es. “Scontro treni Puglia, abituati a essere figli di un Dio minore” – il Fatto Quotidiano – 13/07/16). La compresenza di certe figure orienta in qualche modo il giudizio morale, ovvero la trasformazione del fatto in esperienza ed antecedente, codice di interpretazione che la gente userà in futuro per dare spiegazioni ad altri fatti che dovessero presentarsi inspiegabili e senza certezze.

Queste strutture profonde, tipiche di questo genere di narrazioni, sostengono lo schema narrativo del racconto e tramite la loro attualizzazione mediante strutture di superficie conducono alla modellazione di elementi riconoscibili, cose, persone e figure del mondo che consentono la raccontabilità della storia rendendola percepibile al destinatario.

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Le strutture discorsive o di superficie al momento identificate e che possiamo definire come funzioni o sfere d’azione principali3, così come appare nello schema sottostante, di norma si caratterizzano come segue:

  • Rottura dell’equilibrio: è la notizia del fatto cosi come appare nella sua veste iniziale, è la parte più breve che consiste nell’enunciazione della notizia con informazioni frammentarie, affidando perlopiù alla drammaticità delle immagini che precedono la descrizione circostanziata degli eventi, il compito di creare nello spettatore il pathos emotivo e le aspettative in merito alle ulteriori e più dettagliate informazioni.

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  • Panorama circostanziale: è la funzione che prende il via sin dalle fasi iniziali proseguendo poi fin quasi alle fasi finali della storia e prevede la diffusione di approfondimenti in merito alla situazione ambientale, alle inefficienze, ai problemi, ai precedenti, agli eventi passati nello stesso posto o dello stesso genere in altro posto, alle prime ipotesi deduttive in merito ai nessi di causalità o in merito alle responsabilità, gli aggiornamenti sul numero delle vittime e sull’ andamento dei soccorsi.
    È un tipo di informazione apparentemente scarna, ma che invece è strutturata in larga parte sulle strategie di quel processo di isotopizzazione del caso che sarà determinante nell’ orientare il giudizio morale dell’opinione pubblica, funzione che di fatto chiude il ciclo di vita della narrazione del fatto.

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  • Figurativizzazione: è l’opera di messa in discorso di dettagli, di immagini e di microstorie che riguardano il lavoro instancabile dei soccorritori, le loro gesta, le parole dei sopravvissuti, le identità delle vittime, le testimonianze di involontari spettatori, le opinioni di persone famose, le parole dei politici e del potere, le opinioni delle persone comuni.
    È la funzione che permette di calare la storia tra la gente, di renderla viva, attuale, vicina oltre i confini dello spazio attraverso il dettaglio di fatti, oggetti, parole che fanno parte della quotidianità dell’opinione pubblica.

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  • Climax emotivo: è la funzione che crea il pathos della storia e ne prolunga il ciclo di vita; in questa funzione si mostrano e si commentano foto e oggetti delle vittime, particolari delle loro biografie come piccoli successi, prossime nozze, sacrifici o traguardi raggiunti, si enfatizza il dramma delle persone care che le attendevano, si dà spazio a dettagli e immagini che servono a dare la dimensione della perdita, a mostrare sofferenza, dolore e disperazione.

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  • Nessi di causalità: è la funzione che deve raccontare le cause dell’ accaduto, che possa in qualche modo dare un senso al perché accadono certi fatti, ed è un passaggio necessario ad ogni storia di questo tipo, quindi occorre trovare o al limite ipotizzare le responsabilità, presunte, ipotetiche o accertate.
    Da questo la sequenza di una serie più o meno vasta di informazioni circostanziate, alcune confermate altre no, indiscrezioni, supposizioni e deduzioni logiche che insistono sugli errori umani, sulle carenze tecniche o infrastrutturali, sulla superficialità di chi dovrebbe prendere decisioni, sulle carenze della governance e della politica, la messa in relazione con altri fatti o eventi interpretabili secondo visioni stereotipate come mancanze del governo, corruzione che ha distratto fondi, scontri tra le parti politiche in un rimpallo di responsabilità.

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  • Giudizio morale: è la fase finale della storia, ciò che rimane scritto nella memoria sociale di questa; le responsabilità sono state almeno in parte identificate ed ora si cede la scena ai protagonisti negativi, trovano spazio anche le loro storie, le loro assunzioni di responsabilità spesso parziale.
    L’ allusione alle vere responsabilità che spesso si indirizzano in modo più o meno velato verso il sistema che detiene il potere, crea i presupposti per la formazione del giudizio morale dell’opinione pubblica che rimane sullo sfondo e che sarà l’antecedente che guiderà la decodifica di altri fatti nelle future narrazioni di tale genere.

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Queste funzioni non si susseguono in un ordine cronologico rigido ma tendono spesso a sovrapporsi o a presentarsi più volte vista la particolare natura dei mezzi informativi on line al quale oggi è lecito assegnare la prevalenza nel racconto di questo genere di fatti.
In questa tragedia vediamo nella tabella seguente la sequenza di funzioni che sono state individuate nei vari post durante la sua narrazione nei giorni considerati:

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Quale substrato teorico a sostegno della tesi 

L’esposizione giornalistica di questo caso è a tutti gli effetti una narrazione anche se rientra in una casistica un po’ particolare che riguarda il giornalismo di eventi critici, tipologia di cui in questo blog si è più volte parlato, e che possiede caratteristiche ben precise del discorso giornalistico.
Vanno considerate le particolarità imposte dal dominio dei social media nel panorama dell’informazione, specificità che implicano la compressione del ciclo di vita delle notizie, ma al tempo stesso la sua trattazione sviluppata in piccoli segmenti e pubblicata con continuità a cadenze di tempo assai ridotte, a volte anche inferiori ad un’ora.

Ovviamente ho ritenuto necessario compiere una verifica epistemologica in merito alla fondatezza di ipotesi come quella fin qui illustrata, per cui espongo sia pure sinteticamente, alcuni dei riferimenti teorici di natura interdisciplinare a cui mi sono ispirato in questa analisi.
I più importanti spunti presi a riferimento sono stati:

a) I principi delle rappresentazioni sociali teorizzate da S. Moscovici;
b) Il concetto di storia e di narrazioni che ci proviene dalla psicologia culturale di A. Smorti;
c) I principi della semiotica generativa di A.J. Greimas;
d) La sociosemiotica dei media di G. Marrone e la semiotica del testo giornalistico di Lorusso- Violi.

a) S. Moscovici4 definisce il sistema delle rappresentazioni sociali come una sorta di cornice di classificazione degli eventi, un processo che l’individuo adotta per controllare la sua naturale paura dell’ignoto utilizzando due fattori: ancoraggio e oggettivazione.
Il primo consiste nell’associare qualcosa che è percepito come non conosciuto a qualcosa di già noto: nel caso di cui parliamo si cerca di trovare nella memoria ricordi di episodi simili che aiutino a dare una spiegazione laddove le informazioni siano carenti.
Il secondo invece consiste nel rendere concreto ciò che è virtuale, nello specifico di trovare nella memoria conferme alla verosimiglianza delle ipotesi e ai nessi causali che vengono di volta in volta prodotti durante il racconto. In base a questi fattori si spiegherebbe il motivo ed anche l’efficacia di quei procedimenti di tematizzazione ed isotopizzazione del fatto spiegati in precedenza.

b) I principi formulati da A. Smorti5 in merito alle caratteristiche che le storie devono avere per essere efficaci sui destinatari, dicono che le storie hanno bisogno del requisito della raccontabilità, che in questo genere di casi ci deriva dall’inusualità del fatto, dalle incertezze sulle cause e dalle potenziali mancanze o violazioni di qualche norma.
Questi aspetti nonché la descrizione dei fatti devono essere articolati in strutture narrative affinché i destinatari possano scomporre il testo e ordinare e catalogare le informazioni nella propria memoria.
Inoltre sempre Smorti6 sostiene che l’uomo ha la tendenza innata a memorizzare la propria esperienza del mondo in forma narrativa, cosicché i fatti ci appaiono più comprensibili e riferibili alle figure del mondo che conosciamo e ci consentono di ricorrere ad esperienze precedenti per poter comprendere aspetti altrimenti poco codificabili.
Perciò il processo di scomposizione di una storia consisterà nell’articolare una sequenza di elementi ordinati nel tempo e nello spazio, che normalmente si articolerà in uno stato iniziale, l’avvento di un problema, i tentativi di soluzione, stato iniziale ricostruito o un nuovo stato, stato sanzionatorio (finale).
Inoltre, nella classificazione di storie adottata dall’autore (vedi link Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?) questo genere di fatti appare come una storia senza soluzione e che pertanto il destinatario per trovarne una si affiderà in parte al racconto dei media, in parte frugherà nella sua memoria alla ricerca di ricordi di fatti precedenti che costituiscono il prezioso patrimonio di antecedenti.

c) Dalla semiotica generativa di Greimas7 sono di utile ausilio nella riflessione alcuni principi relativi alle strutture profonde, allo schema narrativo canonico e agli attanti narrativi, che per sintesi non sono stati illustrati, per parlare direttamente (all’ apparenza) degli schemi specifici di questo genere e delle procedure di attorializzazione e figurativizzazione che regolano le strutture di superficie delle narrazioni, ovvero la loro messa in discorso.
Esistono comunque sia nelle correnti della psicologia culturale che nella semiotica generativa, diversi punti in comune sulle narrazioni quali ad esempio la rottura dell’equilibrio iniziale e l’esigenza della sua ricostituzione, la fase della sanzione finale con ricompense e punizioni, anche se nella semiotica si tende a porre di più l’accento sulle strutture e sulla figuratività dei personaggi in virtù dell’essenza specifica di queste due scienze umane.

d) Il punto di vista di G. Marrone8 quando parlando della sociosemiotica dei media, asserisce che un singolo fatto o articolo di per sé spesso non è più sufficiente ad assumere senso come unità separata.
Questo deve potersi inquadrare all’ interno di un panorama circostanziale che comprenda non soltanto il fatto di cui si parla ma che includa diversi rimandi e nessi causali con altri fatti della vita politica e sociale, per cui ogni evento finisce per contribuire ad un più esteso senso complessivo che si traduce in un ampio discorso sociale prodotto dal sistema dei media.
Lo stesso autore pone anche l’accento sul fenomeno della spettacolarizzazione dell’informazione che provoca il sempre più frequente ricorso ad immagini che assumono la centralità del discorso dove alle parole spesso non rimane che una funzione didascalica, invertendo in un certo qual modo le funzioni che testo e immagini avevano un tempo.
Opportuno il riferimento anche al concetto di topicalizzazione di cui parlano A.M. Lorusso e P. Violi9 che illustrano come più fatti possano in qualche modo essere messi in relazione trovando un filo comune che li unisce, conferendo legami e nessi di relazione altrimenti non scontati e pertanto contribuendo a costruire quel senso complessivo di cui si parla.

Conclusioni 

L’informazione giornalistica all’interno del più vasto ambito delle comunicazioni di massa ha subito una profonda trasformazione negli ultimi anni, così come appare profonda la revisione del concetto stesso di notiziabilità.

Prima le routine produttive imponevano tempi, modi e spazi per la diffusione delle notizie in grandi contenitori come telegiornali e giornali stampati; ciò imponeva criteri di notiziabilità, capacità di fare giornalismo d’inchiesta e di far stare il tutto con ben precise esigenze di sintesi imponendo l’adozione di regimi più discorsivi da parte del giornalista.

In un paio di decenni, prima la supremazia conquistata dalle immagini, poi l’avvento delle testate on-line, infine la rivoluzione introdotta dai social media ha stravolto il modo di fare giornalismo.

L’opportunità ed al tempo stesso l’esigenza di pubblicare aggiornamenti costanti sulle testate on-line, l’esigenza di dover pubblicare sui social media, piazze virtuali dove il proprio prodotto è soggetto all’interazione diretta ed immediata del lettore, richiede l’adozione di strategie e stili fortemente narrativizzati.
Non basta informare, bisogna conformare il fabbisogno di informazioni ai formati richiesti dai nuovi strumenti, bisogna intercettare gli stati emotivi dell’opinione pubblica, bisogna soddisfarne curiosità ed una sorta di “voyeurismo” che vuole saziarsi di immagini, di dettagli, di indiscrezioni, di opinioni a volte anche non strettamente attinenti alla notiziabilità intrinseca del fatto stesso.

Nelle piazze virtuali delle proprie pagine social nasce l’esigenza di mettersi in relazione ed in linguaggio con i frequentatori di questa piazza e con il loro spazio valoriale, dando vita così a delle narrazioni in cui il fatto in sé è solo un elemento, ancorché importante, del panorama circostanziale che viene tirato in ballo.
Oramai i social, Twitter in testa e poi Facebook, costituiscono l’anteprima delle notizie e il primo spazio di approfondimento, cosicché telegiornali e carta stampata devono di fatto conformarsi alla trattazione fatta su queste piattaforme, segnandone di fatto l’avvenuta supremazia nello spazio informativo, con tutto ciò che questo comporta in termini di stili e strategie giornalistiche.

I nuovi media favoriscono il racconto delle crisi con lo scandire del tempo e delle emozioni del pubblico, come se si raccontasse una fiction cadenzata da puntate, in cui alla fine di ognuna occorre creare le aspettative per la successiva.
Troppo spesso l’esigenza di riempire celermente certi spazi, impone l’adozione di rapporti di intertestualità con altri fatti e problemi sociali aperti ai limiti della forzatura, creando quella sorta di continuum narrativo capace di mantenere il contatto con i propri lettori il più a lungo possibile. Ora il successo e la bontà di una notizia si misura con i like, con le condivisioni e con i commenti suscitati; da qui ovviamente una certa deriva del concetto di newsmaking.

Ovviamente il genere giornalistico che appartiene alla comunicazione di crisi è contrassegnato da particolarità, prima fra tutte il coinvolgimento emotivo dei lettori, anche se le considerazioni fatte in queste brevi note conclusive non escludono il resto del discorso giornalistico, anzi lo includono pienamente.

1 Sinteticamente, per discorsivo intendiamo la descrizione di un contenuto non focalizzato sui personaggi, per narrativo un contenuto organizzato cronologicamente e centrato su protagonisti. Per una trattazione più ampia vds. anche U. Volli – Il nuovo libro della comunicazione – 2007
2 Dei titoli giornalistici e di alcuni meccanismi inerenti la loro costruzione ne parlo al link http://sb.aidazerouno.it//i-titoli-dei-giornali-narrazione-o-plagio/ e http://sb.aidazerouno.it//i-titoli-dei-giornali-narrazione-o-plagio2/
3 Il riferimento è esplicito ed evidente al concetto di funzioni o sfere d’azione teorizzato da V.J. Propp nei suoi studi sulla morfologia della fiaba.
4 Le rappresentazioni sociali – S. Moscovici – Il Mulino 2005
5 La psicologia culturale – Andrea Smorti – Carocci 2003
6 Narrazioni. Cultura, memorie, formazione del sé – Andrea Smorti – Giunti 2007
7 Del senso 2: narrativa, modalità, passioni (ed. or. 1983), tr. Patrizia Magli e Maria Pia Pozzato, Bompiani, Milano 1985
8 Corpi sociali – processi comunicativi e semiotica del testo – Gianfranco Marrone – Einaudi 2001
9 Semiotica del testo giornalistico – A.M. Lorusso P. Violi – Laterza 2004
STORYTELLING DELL’OGGETTO – PARODIA DELLA TECNOLOGIA O MITOGRAFIA SOCIALE

STORYTELLING DELL’OGGETTO – PARODIA DELLA TECNOLOGIA O MITOGRAFIA SOCIALE

“Il quasi – oggetto ha contribuito a creare dei rapporti in una data società, in certi casi ha favorito addirittura la creazione di una società” (M. Serres)

“C’è sempre un senso che va oltre l’uso dell’oggetto.”(R. Barthes)

Nell’era dell’immagine in cui siamo immersi, pensare ad un oggetto come materia inanimata o come semplice artefatto tecnologico è da ritenere abbastanza approssimativo anche da parte di chi non voglia addentrarsi in complesse analisi sociologiche e semiotiche.

Tuttavia, introducendo il concetto di storytelling di un oggetto, non ci si deve lasciar prendere la mano pensando che tale aspetto sia interamente progettabile “a tavolino” se non prima di aver valutato e compreso quale sia il contesto in cui tale oggetto “vive” e quali siano le condizioni per cui il suo racconto può avere un potere di attrazione, quali le pratiche sociali, per rendersi conto che la sua narrazione potrà diffondersi solo quando questi si dimostri essere un costruttore di relazioni.

Per introdurre il senso del discorso mi sembra estremamente interessante citare il principio del quasi-oggetto di Serres il quale prende ad esempio la palla che circolando tra i giocatori diventa di fatto costruttrice del collettivo, riducendo di fatto un soggetto ad essere sottomesso alla sua capacità (della palla) di regolatore dell’intersoggettività.

Come dice lo stesso autore il quasi-oggetto è qualcosa di più di un oggetto, quasi un soggetto, “quasi intelligenti” perché oggetti di relazione (vedi anche intervista su http://lettura.corriere.it/un-tocqueville-per-il-xxi-secolo/). Quindi se ne può dedurre che è nella capacità di condizionare le relazioni intersoggettive che dovrà essere cercato il senso profondo di un oggetto ed al tempo stesso la sua capacità di dare vita a delle vere e proprie narrazioni.

Chissà sé i calciofili più accaniti avranno mai pensato che le numerose storie del mondo del calcio in fondo nascono grazie ad un oggetto, un pallone, costruttore ed ispiratore di relazioni non solo tra oggetto e soggetto, ma anche e soprattutto tra i vari soggetti in qualche modo coinvolti.
In fondo basta osservare da una prospettiva diversa una partita ed i commenti che la seguono per rendersi conto dei differenti “ruoli sociali” dei membri della squadra e di come dietro a questi si sviluppino poi delle vere e proprie narrazioni.

Per esplicitare ancora meglio questo discorso è pressoché impossibile non chiamare in causa uno degli oggetti mitici del nostro tempo, lo smartphone, evoluzione del cellulare, che costituisce un vero e proprio centro di aggregazione di relazioni non soltanto con e tra le persone, ma anche con numerosi altri oggetti di cui in qualche modo è in grado di modificarne pratiche d’uso e lo stesso ciclo di vita.

Esiste una corposa letteratura sociologica in merito alle straordinarie proprietà di questi oggetti sui quali non penso di poter aggiungere nulla più di quanto è stato detto, se non tentare di farne una breve sintesi con lo scopo di completare un ragionamento concettualmente estensibile anche ad altre categorie di oggetti.

Se ripercorriamo velocemente le tappe di questo artefatto constateremo che in poco più di venti anni ha rivoluzionato i modi di comunicare della società, prima di tutto sostituendo la staticità e la promiscuità dei telefoni fissi e della reperibilità “ore pasti” con la connessione personalizzata sempre e ovunque, rivoluzionando le modalità di conduzione dei rapporti interpersonali che sono diventati spesso più assidui, privati ed a volte invadenti, che ha relegato agli antiquari altri oggetti come le segreterie telefoniche o le cabine telefoniche pubbliche.

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Potremmo ricordare la funzione che consente di inviare SMS o anche gli MMS che hanno di fatto soppiantato una intera categoria di comunicazioni postali come biglietti di auguri e cartoline, introducendo in tal modo nuove pratiche sociali e sostituendone altre. Addirittura non possiamo dimenticare come tale modalità di comunicazione abbia modificato le pratiche di relazione tra persone, principalmente giovani, dove legami affettivi vengono interrotti affidandosi a questo strumento piuttosto che sostenere difficili e problematici confronti faccia a faccia!

Che dire poi del sistema degli squilli, delle forme scritte attraverso icone ed immagini o delle abbreviazioni improbabili, per affermare come tale strumento abbia prodotto nuove categorie di codici comunicativi e un linguaggio terzo, la lingua “scritlata” (forma a metà strada tra la lingua parlata e la lingua scritta), modificando ancora le pratiche di comunicazione e introducendo nuove forme espressive e lessicali.

Ancora importantissima per le conseguenze generate, la tecnologia che consente di fare fotografie e brevi video che ha non solo modificato le pratiche del tempo libero degli appassionati, praticamente sostituendo videocamere e macchine fotografiche digitali compatte rese in pratica ridondanti, ma ha trasformato nei fatti un grande numero di persone in potenziali produttori di informazione sempre e ovunque, arrivando a modificare ed incidere persino sulle pratiche giornalistiche e sulle strategie di gatekeeping (M. Wolf – Teorie delle comunicazioni di massa).

Infine in ordine cronologico, i nuovi sempre più potenti protocolli di trasmissione dei dati che hanno segnato la trasformazione del cellulare in smartphone e la nascita dei tablet, cugini più grandi del primo, che introducono ancora nuove forme di relazione e di comunicazione. Le potenzialità offerte da questi strumenti relativamente piccoli ma comunque portatili, hanno modificato ancora una volta alcune pratiche del tempo libero come la fruizione di musica, di film o video, i ritmi e i tempi dell’informazione e della sua condivisione con la proliferazione di soggetti informatori on-line e delle piattaforme social media.

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Il risultato di questo è nella nostra quotidianità: il precoce tramonto di intere classi di oggetti, alcuni vere e proprie star nel loro settore come il mitico iPod e i lettori mp3 in genere, lettori di CD e video lettori portatili tanto per citarne alcuni, la modifica dei ritmi e dei modi di fruizione delle comunicazioni di massa tradizionali con l’avvento di nuovi soggetti informatori, il cambiamento delle logiche del newsmaking e delle strategie di gatekeeping, l’avvento di nuove pratiche relazionali ed espressive come la moda dei selfie, la condivisione pubblica di aspetti del proprio privato, la tendenza a voler commentare i fatti di cronaca, politici e sociali, di voler essere artefici e produttori di opinione, il narcisismo individuale proiettato sui propri contenuti prodotti.

Dopo queste considerazioni ci si può ancora illudere che i tanti oggetti che ci circondano assolvano semplicemente funzioni strumentali oppure è lecito interrogarsi in quali pratiche quotidiane si inseriscono per cercare di comprendere ed intercettare il loro “storytelling”?

Come detto viviamo la società dell’immagine e questo ci induce a pensare che nonostante di norma si cerchi di giustificare la scelta di oggetti per i loro contenuti qualitativi, invece nella realtà spesso il vero valore sta in ciò che questi sembrano suggerire del suo possessore, della sua identità e personalità, ed è proprio per questo che alcuni di questi artefatti sembrano godere di una vita propria come se fossero entità viventi; pensiamo alla mitografia di alcuni veri e propri feticci come i prodotti Apple, dall’ipod, all’iphone per finire con l’ipad.

Lo stesso Baudrillard riferendosi agli oggetti li definisce come “simulacro funzionale”, ove la loro presunta capacità di soddisfare un bisogno umano, funzionerebbe come alibi per nascondere la sua autentica natura, ossia quella di essere un segno di distinzione (cit. in R. Bartoletti – La Narrazione delle cose).
Comprendere o progettare lo storytelling degli oggetti implica dunque la capacità di inquadrarli come interpreti di un ciclo di vita “sociale” che spesso prescinde dalle loro stesse prestazioni funzionali, “attanti di una rete collettiva di soggetti e oggetti” (E. Pintori – Design delle interfacce – forme di ibridazione semiotica – www.ocula.it), facilitatori di relazioni, protagonisti della scena quotidiana prima ancora che concentrati di tecnologia.

Emerge quindi che l’introduzione di innovazioni o nuove tecnologie che possano condizionare o alterare le pratiche sociali, può comportare la ridefinizione dei rapporti in gioco tra tutti i soggetti sulla scena, dare consistenza al fenomeno degli oggetti cannibali, ovvero quegli oggetti in grado di cancellare completamente dal mercato altri prodotti, così come brevemente accennato nei paragrafi precedenti parlando dei cellulari, ma che comunque non è nelle tecnologie che bisogna indagarne le ragioni ma nelle modificazioni delle relazioni che l’uso di tali oggetti implica.

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Oggetti protagonisti dunque, titolari più o meno acclamati di una vera e propria “carriera oggettuale” (Kopitoff – 1986 – The cultural biography of things), fintanto che nel tempo riescono a mantenere intatto il proprio ruolo, perché come asserisce Semprini (L’oggetto come processo e come azione – 1996), “un oggetto è un correlato abituale e corrente delle pratiche di vita ordinarie dei membri di un gruppo, di una comunità o di una società.

Garfinkel nei suoi studi etnometodologici in merito alla dimensione intersoggettiva degli oggetti, considerava l’esistenza di relazioni non solo tra oggetto e oggetto e tra soggetto e oggetto, ma anche di relazioni indotte tra soggetto e soggetto (cit. A. Semprini – L’oggetto come processo e come azione), una interpretazione quindi a 360° che evidenzia la centralità della fenomenologia legata ad un artefatto.

Un altro prezioso contributo che non trascurerei nel mettere in luce la poliedrica natura di alcune categorie di oggetti, è quello proposto da Eco il quale definisce gli oggetti come una sorta di protesi per il loro possessore, perché gran parte delle azioni umane è compiuta con l’ausilio più o meno marcato di artefatti che svolgono la funzione di potenziare le capacità intrinseche dell’uomo, protesi per le quali ne propone una classificazione in sostitutive, perfezionative, estensive e magnificative.

È proprio su quest’ultima categoria e sulla metafora che implica che suggerirei di focalizzare l’attenzione perché implicitamente ci dice che un artefatto non “magnifica” il suo possessore soltanto per le prestazioni che gli offre, ma che spesso agisce in modo estensionale facilitandone o esaltandone le relazioni sociali, in virtù appunto di ciò che un oggetto può suggerire in merito alla personalità e allo status del suo possessore.

Al termine di questo discorso appare evidente come uno dei principi originari del marketing in merito al ciclo di vita di un oggetto, definito come “il tentativo di riconoscere fasi distinte nella storia di vendita del prodotto” (P. Kotler – Marketing Management), mostri i suoi limiti nell’interpretare il “momento biografico” di questo ciclo di vita specie di alcuni prodotti nella variegata ed iperconnessa società attuale, se non tentarne una ricostruzione a posteriori, in quanto troppo spesso tali fasi sono influenzate da anomalie e fattori esterni al prodotto assolutamente incontrollabili.

Per trovare una modalità di lettura adeguata, si dovrebbe cercare di leggere, di intuire le capacità degli oggetti di creare o di saper mantenere nel tempo i propri patrimoni di relazioni intersoggettive, di capire se nuovi artefatti si affacciano sulla scena e quale ruolo possano assumere nello specifico storytelling legato ad essi.

Infine non va sottovalutato che per accostare strutture narrative alla comunicazione di un prodotto, bisogna comunque assoggettarsi alle proprietà di queste strutture e che pertanto, per creare una storia interessante bisogna avere qualcosa di avvincente da raccontare come può esserlo solo una “vita” intensa e ricca di relazioni sociali.

 

Immagini realizzate da Manuel G. Bernardini
manuelg.bernardini@gmail.com
La caduta del muro: un simbolo per tante narrazioni e visioni del mondo

La caduta del muro: un simbolo per tante narrazioni e visioni del mondo

Dopo 25 anni la caduta del muro costituisce ancora un evento simbolo, fondamento di una rappresentazione sociale che genera l’antecedente attraverso il quale molti fatti successivi sono stati interpretati, dando vita a tante storie, diverse visioni del mondo in grado di orientare gli atteggiamenti della gente comune.

Oltre 1300 condivisioni in un giorno dimostrano la “viralità” dell’argomento ricordato da Repubblica.it attraverso un post sulla propria pagina Facebook, ma è sui commenti, quasi 300, che ne fanno uno di quei temi che non si possono tralasciare perché probabili rivelatori di interessanti risvolti del pensiero sociale della gente.

In sintesi la caduta del muro di per sé non è solo un evento storico, ma rappresenta un oggetto sociale al quale l’opinione pubblica ha collegato la caduta del comunismo come nucleo centrale di una rappresentazione sociale1. A questo tema la gente ha collegato fatti ed esperienze diverse creando l’ancoraggio per la costruzione di una serie di stereotipi e di atteggiamenti che hanno costituito una base per catalogare e mettere in relazione avvenimenti successivi.

muro_porta brandeburgo

Pertanto, a distanza di 25 anni la capacità di questo evento di influenzare la decodifica dei fatti più recenti è indubbia, per cui è stimolante saperne di più circa la sua forte carica simbolica e quali siano oggi gli stati d’animo tra chi c’era e chi ne ha soltanto sentito parlare.

Anche questa volta ho letto con pazienza e curiosità tutti i commenti e le opinioni espresse tra coloro che si sono coinvolti in questo dibattito virtuale, e il risultato è la scoperta di uno spaccato che svela vecchi stereotipi e idee comuni, storie passate e nuove credenze.

Tra i vari commenti e le risposte sono emersi diversi modi di vedere il mondo e di leggere ed interpretare i fatti della quotidianità, e pur considerando le diverse forme di espressione individuale, ne sono scaturite dieci categorie aventi ognuna un proprio nucleo di senso strutturale.
Vediamo in sintesi chi sono e cosa sentono i vari gruppi individuati.

I disillusi sono il gruppo più numeroso (28%), buona parte dei quali avevano riposto probabilmente tante speranze sul futuro dopo la caduta del muro, speranze che la storia degli anni successivi ha frustrato, sono rimasti delusi, annichiliti dalle promesse a loro dire non mantenute dal capitalismo, ed i loro sentimenti si potrebbero sintetizzare in due frasi emblema: “il sogno di un mondo giusto che sembrava a portata di mano è stato infranto dal cinismo del capitalismo”-“ la caduta del muro ha segnato il sopravvento della finanza internazionale che ci sta riducendo in miseria”; tra le varie tematizzazioni espresse a giustificare la delusione sono da citare il venir meno del ruolo di “contrappeso” che il comunismo aveva nei confronti del capitalismo, l’invasione di immigrati, l’aumento della corruzione, un certo timore verso la rinascita di una Germania egemonica, globalizzazione e falsa democrazia, un ruolo non proprio trasparente giocato dal papa dell’epoca.

infografica

 

Gli idealisti sono il secondo gruppo (24%), coloro che intravedevano e continuano a vedere le grandi opportunità che quell’evento ha rappresentato soprattutto in termini simbolici, la caduta di un ostacolo alla libertà e all’unità dei popoli; sono gli ottimisti, coloro che non creano alcuna relazione con la crisi odierna, sono quelli che pensano “via tutti i muri e le divisioni che ostacolano la libertà dei popoli”,” un evento che rimane vivo nella memoria e che ha cambiato la storia dell’Europa”.
In parte ostentano ancora la nostalgia di quelle emozioni, rilanciano le stesse speranze di superare le divisioni, di abbattere i muri ancora in piedi, di costruire ponti, non legano i problemi attuali a quel fatto storico e pensano che sia comunque meglio ora di prima.

Gli anti-Germania, una corrente nutrita (8%) che ricorda l’esistenza del muro come inevitabile punizione agli errori tedeschi del passato;“ben gli stava ai tedeschi per il male che hanno fatto agli altri popoli”, chi dalla sua caduta paventa il revanscismo della Germania e dei suoi istinti egemonici,  “vi è già un altro muro molto più lungo, quello costruito dalla Merkel…”, chi si lancia in analisi economico monetarie a dir poco originali e che dimostra, aggiungo, come alcuni titoli di giornale di “epoca recente” siano stati interiorizzati dai lettori.

I mea culpa sono un buon gruppo di persone (6%) che osservando i fatti del mondo, riescono sempre a risemantizzarli come occasioni mancate per l’Italia o come effetti della decadenza politica e morale che pervade la classe dirigente del nostro paese e che trova spesso sponda nella complicità dell’italiano medio; un pensare che in sintesi si traduce “non è colpa dell’Euro o Europa che anzi ci protegge dai furbastri italici con le sue norme ma dei nostri politici”, oppure “se l’ Italia é messa così deve solo ringraziare il popolo italiano che ha permesso ai politici di fare i comodi loro”.

Gli anti-USA, poco rappresentati in questo dibattito (1%) ma che non potevano assolutamente mancare perché sappiamo far parte degli schemi di pensiero nazionali. Dal “..dilagare dell’imperialismo americano, origine di ogni nostro male…” al “la stessa storia dell’ 11 settembre…” lo spazio è breve anche in un limitato numero di commenti, ricostruzioni più o meno azzardate che vengono comunque ricondotte alla cinica influenza esercitata dagli Stati Uniti.

Gli affascinati dalla Germania sono un gruppo poco numeroso (2%) che esprime apprezzamento per quello che “la Germania ha saputo fare anche dopo fino ad oggi”, che constata con ammirazione come la Germania sia riuscita a gestire il processo di riunificazione successiva, giudizi sui quali, ancorché non espressi, non è azzardato pensare che trovino riferimento negativo la nostrana e irrisolta questione meridionale.

Gli io c’ero, un consistente gruppetto (5%) che nel ricordare il fatto enfatizza l’esserne stato testimone diretto, ed è l’aspetto della memoria quello che sembra prevalere sui significati che il fatto ha prodotto, l’emozione rinnovata del dire “io c’ero … me lo ricordo!”;. Un ricordo di questo evento che sembra riportare indietro il profumo di una età verde per coloro che, ormai cinquantenni, si esprimono in tal modo.

muro_porta brandeburgo

I pessimisti, un gruppo consistente (8%) che dalla celebrazione della caduta non trova motivo di gioia continuando a constatare i mali del mondo, le divisioni attuali, i nuovi muri, le nazioni egemoniche, e via dicendo. Abbastanza “gettonati” il muro israelo-palestinese e l’occasione mancata dall’umanità.

Abbastanza numerosi sono gli opinionisti (8%) a cui piace argomentare, quelli pronti a sfruttare qualsiasi spunto per esporre le loro analisi operando collegamenti con altri fatti legati da un qualche nesso consequenziale o di similarità; la caduta del muro nella sua ricchezza di significati da lo spunto per argomentare ovviamente sulla questione israelo-palestinese, sulle oppressioni create dal neo liberismo, sulle miserie del genere umano. Sono abbastanza vicini al gruppo dei pessimisti dal quale però si differenziano per la verve con la quale si esprimono.

I chiassosi sono un’insieme abbastanza consistente di persone (9%) che entra nelle conversazioni social a costo di essere fuori tema, vogliono esserci, esprimersi e soprattutto dissentire, divagano, entrano in contrasto e spesso cedono all’irrefrenabile impulso di insultarsi con qualcuno che la pensa diversamente da loro; sono coloro che si esprimono con giudizi sferzanti ed a volte offensivi come “i Rom c’erano anche prima, torna a guardare la tv che fai solo ridere”, “Commento da ignorante leggi la storia !!!”, Ma che ca..o ne sai te idiota ? Ma sai di che cosa parli ?”; come toni non c’è male direi.

muro_berlino_trabant

 

[tagline]Conclusioni[/tagline]

Sembrerà ripetitivo questo mio riproporre analisi delle conversazioni di Facebook, ma reputo di importanza notevole l’opportunità di scoprire attraverso i commenti, elementi fondamentali che descrivono le rappresentazioni sociali della gente, ovvero i fondamenti delle strutture cognitive attraverso il quale la successione dei fatti in divenire viene poi semantizzata e strutturata in narrazioni.

Ritengo inoltre che sarebbe superficiale etichettare queste forme di espressione per la loro presumibile appartenenza politica essendo apparse sulla pagina di Repubblica.it, mentre è viceversa molto più pagante comprendere che cosa questi commenti raccontano in termini di discorsi sociali.

Anche le percentuali di per sè hanno mero valore orientativo perché possono variare in base al contesto, mentre viceversa il confronto tra schemi di pensiero così diversi ci indica come differenti esperienze di vita abbiano comportato così difformi processi di costruzione della realtà.

In sostanza il creare delle categorie tra i vari commenti espressi da varie persone consiste in realtà in una possibile ricostruzione di altrettante strutture narrative profonde che originano dalla stessa rappresentazione sociale, sulle quali ogni individuo ha poi applicato il proprio processo di figurativizzazione2,  descritto più o meno chiaramente dalle loro convinzioni, dalle loro parole ed anche dal modo di entrare in conflitto con altri individui.

 

 

Le immagini sono state tratte nell’ordine da:
http://cdn1.stbm.it/studenti/gallery/foto/superiori/le-50-date-piu-importanti-della-storia/crollo-muro-di-berlino.jpeg?-3600
http://cultura.biografieonline.it/wp-content/uploads/2012/05/muro-di-berlino-caduta-picconate.jpg
http://blog.zingarate.com/berlino/wp-content/uploads/2012/11/the-Berlin-Wall-761447.jpg
http://www.viaggiovero.com/img/muro_berlino_trabant.jpg


1 Per il concetto di rappresentazioni sociali vedi S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali, il Mulino 2005 e Psicologia sociale – A. Polmonari, N. Cavazza, M. Rubini, il Mulino 2002.
2 Per il concetto di figurativizzazione vedi U. Volli – Manuale di semiotica, Laterza 2006.