ELEZIONI 2018 : CHI STA VINCENDO LA CAMPAGNA ELETTORALE SUI SOCIAL MEDIA?

ELEZIONI 2018 : CHI STA VINCENDO LA CAMPAGNA ELETTORALE SUI SOCIAL MEDIA?

4 leader in campo che si combattono anche e soprattutto sui social media, questa la sicura novità della campagna elettorale delle elezioni 2018.  I contendenti che inondano il pubblico di post, il quale interagisce frequentemente e con veemenza sulle loro pagine.  Qualità dei commenti? Meglio una pagina di ultras. Contentiamoci dei numeri.

Siamo ormai alle soglie delle elezioni 2018, contrassegnate da una campagna elettorale strisciante che si protrae dalla fine del referendum del dicembre 2016, anche se a mio giudizio, per ragioni che sarebbe troppo lungo elencare, siamo stati immersi in una campagna elettorale semi-permanente che si protrae dal termine delle elezioni del 2013.

La novità di questa campagna è che, contrariamente alle precedenti sei elezioni politiche, questa volta i leader in campo, candidati più o meno direttamente al ruolo di premier sono quattro, anche se due di questi sono formalmente alleati pur con una serie di distinguo e di sfumature diverse.

L’altra novità, parzialmente inedita, è l’uso esteso dei social media quale strumento integrato della campagna elettorale, strumento che nelle precedenti elezioni soltanto il Movimento 5 Stelle aveva usato in modo strutturato partendo molto in anticipo rispetto all’inizio ufficiale della campagna elettorale.

L’uso dei social in politica ha vissuto una forte espansione specialmente durante il periodo che ha contrassegnato l’opposizione al governo Renzi, diventando strumento di “propaganda di massa” ormai imprescindibile per ogni leader.

É da notare infatti che le pagine ed i profili dei leader contano un numero di fan di gran lunga superiore a quello annoverato dai rispettivi partiti.

I candidati in lizza, come tutti sanno, sono il “vecchio” leader Berlusconi, anche se la sua posizione non è quella di candidato Premier ma di leader dello schieramento di Centrodestra che dovrà successivamente definire il suo candidato Premier, l’ormai ex “giovane” Renzi, e i due giovani candidati rampanti come Salvini e Di Maio.

Ci sarebbe da considerare anche una quinta persona, Giorgia Meloni, che sta ottenendo una crescita di fan importante, ma che solo in considerazione dei dati provenienti dai sondaggisti non includerò nel confronto.

A circa 10 giorni dal voto riporto una serie di tabelle e statistiche di cui presto potremo valutare il livello di affidabilità per poter prevedere chi sarà il vincitore della tornata elettorale, o quantomeno chi ne uscirà vincente e rinforzato oppure no.

I dati sono stati tratti dalla piattaforma di monitoraggio Social Bakers per ciò che concerne i dati di Facebook e i followers dei profili Twitter, mentre i dati su tweet e hashtags sono stati tratti dalla piattaforma Twitonomy.

Iniziamo intanto a riportare la “top-ten” dei politici che avevano il maggior numero di fan al 20 dicembre:

Nessuna particolare sorpresa trovando i nostri quattro leader nelle prime cinque posizioni, eccezion fatta per Di Battista, personaggio di forte appeal mediatico che a poca distanza dal voto ha deciso di sfilarsi dai giochi: fair play per l’altro candidato di partito o attendismo strategico? Vedremo in futuro.

Osservando i trend dei sei mesi precedenti si nota un’impennata nella crescita del numero di fan comune a tutti i contendenti a partire dal mese di ottobre, segno evidente che nell’imminente scioglimento della legislatura e del conseguente inizio della campagna elettorale ufficiale, le aspettative del popolo della rete sono diventate più forti.

E’ probabile tuttavia che gli utenti  seguano le pagine dei vari leader non solo per motivazioni fideistiche, ma anche per sapere cosa raccontano i contendenti e sfogare le proprie critiche come appare frequentemente nei commenti.

Nella tabella che segue sono mostrate una serie di rilevazioni effettuate sulla stessa piattaforma dopo il 20 dicembre con cadenza quasi settimanale, che mostrano la continua progressione del numero di fan.

A giudicare dai numeri si nota che Salvini ha il seguito più numeroso di fan e che la crescita di questi continua con buone percentuali, ma chi registra la crescita più forte è Di Maio; notevoli i risultati di Berlusconi se consideriamo che è stato l’ultimo a puntare sui social in modo intensivo e strutturato. Il barometro di Renzi invece, vecchia star politica di Facebook nel 2013, non segna buon tempo confermando una tendenza in atto ormai da qualche anno.

Da tempo comunque Facebook non sembra essere il terreno più congeniale ne per  Renzi, ne per il PD, mentre viceversa a giudicare dai contenuti, sembrerebbe il territorio più frequentato dai sostenitori del Movimento 5 Stelle e da quelli del Centrodestra o, per riportare una definizione in voga sui media tradizionali, sembra essere il territorio preferito per le “istanze populiste”.

Su Twitter invece, se si considera soltanto il numero di followers, le cose per Renzi e il Centrosinistra sembrano andare un pò meglio come raccontano le tabelle, anche se a giudicare dalle conversazioni che nascono sui tweet la questione prende un’altra piega.

Esaminando in dettaglio la “produzione” comunicativa dei nostri “paladini” nella tabella che segue, possiamo trarre delle indicazioni più dettagliate in merito alla frequenza di pubblicazione dei post su Facebook e di quale sia la capacità di “engagement” dei rispettivi contenuti espressa dal coefficiente che esprime il totale delle interazioni per 1000 fan realizzati nel mese antecedente, e il post (di cui si riporta sinteticamente il titolo) che ha ricevuto il maggior numero di interazioni.

Parliamo sempre di quantità perché in termini di qualità… spenderò due righe più avanti.

Da notare l’iperattività di Salvini e Di Maio che pubblicano post con una frequenza che richiederebbe loro di stare tutto il giorno seduti davanti alla tastiera per preparare tutto quel materiale!

Alla successiva rilevazione del 19 febbraio, le pagine con la migliore performance sono quelle mostrate nelle immagini di seguito:

Prendendo in esame le modalità di pubblicazione di contenuti, si nota una generale intensificazione della “produzione” da parte di tutti e quattro i candidati, ma sono ancora Di Maio e Salvini a registrare le performance più elevate, pertanto valgono le stesse considerazioni fatte poco fa: come faranno a scrivere tutte queste cose e allo stesso tempo partecipare a comizi, andare in televisione, viaggiare da una città all’altra etc. etc.

Infine nelle immagini successive delle infografiche che sintetizzano cosa avviene su Twitter. Gli indicatori sembrano segnalare una situazione più favorevole per Renzi, almeno stando agli indicatori, mentre Berlusconi ultimo arrivato sulla piattaforma, non sembra puntare molto su di questa; un profilo aperto in ottobre con meno di 25.000 followers non “regge” il confronto per cui non è stato riportato.

L’iperattività di Salvini sembra ottenere un altissima percentuale di retweets (99,4%), ma al tempo stesso la sua diffusione rimane minore a quella realizzata da Renzi, mentre i risultati ottenuti da di Di Maio sono complessivamente “modesti”. Negli indicatori la sintesi della performance.


Da notare come il recente cambiamento introdotto da Twitter con il passaggio da 140 a 280 caratteri, permettendo una migliore discorsività, ha fortemente ridotto l’uso degli hashtags, limitandone di fatto l’importanza che ad essi attribuivano gli utilizzatori.

Difficile affermare che questa sia una buona scelta ed in tal senso i dati di insight sulle visualizzazioni, prima e dopo il cambiamento, potrebbero svelare molto di più ma purtroppo non sono disponibili.

Per dovere di cronaca, di seguito quelli più utilizzati dai contendenti:

  • Per Renzi: #avanti, #lavoltabuona, #matteorisponde, #italiariparte;
  • Per Salvini: #salvini, #ottoemezzo, #primagliitaliani, #andiamoagovernare;
  • Per Di Maio: #iodicono, #m5s, #trefotoalgiorno, #renzi.

 Conclusioni 

Una quantità di numeri importante che fornisce indicazioni anche interessanti, ma che si fermano ad aspetti meramente quantitativi per diverse ragioni.

Quello che ci dicono i numeri è lo sforzo profuso dai leader in competizione nel tentativo di saturare lo spazio delle tematizzazioni possibili.

Si comunica tutto ciò che si ritiene positivo del proprio programma, non dimenticando di dedicare ampio spazio a denigrare e delegittimare i propri avversari politici, specialmente quelli nel cui bacino elettorale si spera di poter pescare voti.

L’unica cosa che viene dimenticata è il tempo disponibile dei propri lettori e la loro capacità ricettiva di “processare” correttamente tutti gli input in arrivo.

In tal senso a parte Renzi e Berlusconi, che sul piano della quantità di contenuti cercano di mantenersi su livelli più moderati, la frequenza di pubblicazione di Salvini e Di Maio  raggiunge livelli veramente intensi.

Con medie di quasi 80 post alla settimana, oltre 10 al giorno, creano una quantità di informazioni che diventa difficilmente digeribile anche per i propri fan, figuriamoci per gli incerti.

Poiché una delle strategie della comunicazione sui social è anche quella di generare un effetto di “advocacy” che può scaturire dalla lettura dei vari commenti e dall’interazione nelle conversazioni prioritariamente verso coloro che non sono ancora “fan”, con tali  quantità di contenuti il rischio è proprio quello di creare difficoltà e confusione nel seguire tutto quanto.

Bisognerebbe poter disporre dei benefici di amministratore delle pagine/profili per avere i dati sulla copertura e comparare se tale ridondanza di contenuti sia effettivamente premiante o meno; non è detto che l’algoritmo di Facebook la premi.

Indubbiamente la crescita generalizzata per tutti del numero dei propri fan/followers testimonia il grande interesse di larga parte della cittadinanza ai fatti politici e ai racconti prodotti su questi canali. Parimenti importanti e rilevanti sono i dati che riguardano la partecipazione ed in particolare l’attitudine a commentare i vari post.

La nota dolente purtroppo inizia quando si analizza la qualità delle argomentazioni espresse nei commenti, sia per i toni usati, sia per il lessico utilizzato, sia per la logica argomentativa ricorrente.

Ho abbandonato il tentativo di trarne delle indicazioni visto che la maggior parte dei commenti regge perfettamente il confronto con i contenuti di una pagina di ultras calcistici quando parlano dei loro avversari più detestati.

C’è una rilevante quantità e una marcata tendenza a postare commenti aspramente critici nelle pagine di ognuno dei contendenti, commenti che poi ovviamente ricevono altrettanto veementi risposte, un proliferare di “litigi” più che di conversazioni.

Sembra quasi che il popolo di Facebook preferisca navigare nelle pagine dei personaggi sgraditi per commentare criticamente.

In tal senso non si ha più alcuna certezza se e fino a che punto tali commenti siano originati da elettori delusi oppure dai cosiddetti “troll” che in tal modo cercano di “avvelenare i pozzi” delle pagine avverse per intorbidire i contenuti e stemperarne in tal modo la possibilità di ottenere effetti di advocacy.

Per questo cercare di trarne indicazioni appare uno sforzo inutile perché le certezze della genuinità dei commenti sono veramente limitate.

La verifica effettuata su Twitter ha evidenziato la presenza dello stesso fenomeno anche se i toni sono in parte meno grevi.

Non rimane pertanto che accontentarsi dei dati di tendenza sull’aumento dei fan (anche questi pare siano taroccati, ma aggrappiamoci almeno alla legge dei grandi numeri!) e aspettare ancora un pò di giorni per avere una ulteriore riprova della capacità più o meno fondata dei social media di riflettere la società reale.

COME FANNO DIGITAL STORYTELLING LE AZIENDE DI SERVIZI? QUALE POSIZIONAMENTO E QUALI REAZIONI DAI LORO FOLLOWERS?

COME FANNO DIGITAL STORYTELLING LE AZIENDE DI SERVIZI? QUALE POSIZIONAMENTO E QUALI REAZIONI DAI LORO FOLLOWERS?

Nell’ era dei social media dove la comunicazione e le politiche di branding passano inevitabilmente su queste piattaforme, dove tutto viene definito più o meno appropriatamente storytelling, che tipo di narrazioni creano le aziende dei servizi di energia per i loro followers?

Questa volta la mia attenzione sarà rivolta alle aziende del settore energetico che commercializzano luce e gas per le utenze domestiche, un settore che non pochi problemi ha riservato (e riserva!) ai cittadini per trasparenza nel servizio, nei costi e nella stipula di nuovi contratti con la clientela.

Utilizzerò le pagine Facebook di queste aziende per analizzare che tipo di comunicazione realizzano e quali sono le reazioni e la qualità delle interazioni dei propri “followers”.
La modalità di analisi adottata va a individuare il posizionamento di un brand che si determina attraverso i messaggi postati su Facebook, ne va a valutare gli indici di “engagement rate” e ne considera qualità e grado di coinvolgimento delle interazioni.

In questa analisi sono stati considerati sei operatori, due su scala regionale, due di livello interregionale e due di livello nazionale.
Sono stati presi in considerazione soltanto i post delle rispettive pagine Facebook in un arco temporale che va dal 16 aprile al 15 maggio, un tempo relativamente breve ma sufficiente per capire quali sono le scelte comunicative e gli atteggiamenti del pubblico a cui sono indirizzate.

Quello che viene valutato è esclusivamente ciò che appare ad un qualunque utente di Facebook e pertanto per certi versi ne descrive la possibile percezione, non potendo disporre né dei dati di insight né di orientamenti e obiettivi delle singole aziende.

Il procedimento di categorizzazione dei vari post attraverso un sistema di mapping, esprime il posizionamento dello “storytelling” di un’azienda, rappresentato graficamente così da metterne in luce le caratteristiche e le differenze in confronto alle altre.

Il metodo di mapping utilizzato

Il metodo di mapping1, di cui ho altre volte parlato in questo blog, si basa su quattro polarizzazioni tali da poter comprendere e racchiudere l’intera area semantico-discorsiva sviluppabile nella comunicazione.

La mappa scaturisce dalla collocazione su due assi cartesiani di quattro tipologie di narrazioni:

  • Narrazioni utopiche;
  • Narrazioni ludiche;
  • Narrazioni pratiche;
  • Narrazioni performative;

Poiché un posizionamento concepito a cavallo di uno dei quattro assi diverrebbe di per sé troppo rigido, il principio del mapping prevede di definire i quattro quadranti che scaturiscono dall’intersezione degli assi e che consentono di trovare una varietà di posizionamenti dei contenuti a seconda le loro proprietà semantiche.
Pertanto i quattro quadranti che ne risultano descritti sono:

  • Discorsi ideali (o contemplativi): quadrante definito dall’intersezione dell’asse delle narrazioni utopiche e delle narrazioni ludiche che comprende i discorsi sull’essere, sugli ideali, sull’identità, sui valori e sugli aspetti socialmente condivisi;
  • Discorsi pratici: quadrante definito dall’intersezione dell’asse delle narrazioni ludiche e delle narrazioni pratiche che contempla i discorsi sui vantaggi, sulle comodità, sulla soddisfazione del possesso e sulla sua valorizzazione;
  • Discorsi performativi: quadrante definito dall’intersezione tra l’asse delle narrazioni pratiche e quello delle narrazioni performative, caratterizzato dai discorsi del fare e del saper fare, dei risultati, della capacità e della tecnica;
  • Discorsi emancipativi: quadrante definito dall’intersezione delle narrazioni performative e delle narrazioni utopiche e che include i discorsi sulla dimensione del sé, sul divenire, sul futuro, sulla crescita e sullo sviluppo.

Tuttavia anche l’area discorsiva coperta da un quadrante risultava uno spazio un po’ troppo vasto per collocare con precisione i numerosi argomenti che questa può comprendere, per cui per dare maggior accuratezza al posizionamento dei vari post, questi sono stati ulteriormente categorizzati in una serie di tematizzazioni generali nella quale potevano venire inclusi.

schema-mapping

Le varie tematizzazioni definite, sono state collocate nei quadranti determinando una serie di posizioni intermedie a seconda la vicinanza semantica con gli assi principali di riferimento.
Le rispettive frequenze con cui questi temi sono stati toccati, sono state trasformate in spazi di grandezza proporzionale che sono stati uniti in modo da offrire una rappresentazione visiva della discorsività sviluppata senza elementi di discontinuità.
Le forme grafiche riportate nelle tabelle costituiscono dunque la rappresentazione del posizionamento realizzato dalle varie aziende nella loro comunicazione sulla pagina Facebook.

Qualità delle interazioni e feedback dei followers

L’ esame delle interazioni e del tipo di feedback espresso dai followers, completa l’analisi del posizionamento perché indica il gradimento e le reazioni dei destinatari della comunicazione.
In questo caso però il coefficiente di engagement rate è stato calcolato ponderando il totale di like, condivisioni e commenti ottenuti mediante l’attribuzione di un indice basato sul diverso grado di coinvolgimento richiesto per esprimerli, applicando poi delle decurtazioni nei casi di “reaction” o commenti negativi e/o critici.
Ai like è stato quindi attribuito un coefficiente di 0.1 punti, alle condivisioni di 0.3 e ai commenti di 1; le reaction negative sono state successivamente decurtate applicando un coefficiente di 0.2 mentre per i commenti negativi decurtati il coefficiente è stato di 2 punti. I valori sono poi stati espressi in percentuale per favorire il confronto tra i vari operatori.

La formula applicata pertanto è stata:

formula-engagement

Per ogni azienda un istogramma riporta anche i valori di engagement rate ottenuti per ogni tipologia di discorso con il fine di ottenere una indicazione, sia pure suscettibile di essere riverificata nel corso del tempo, del gradimento espresso dal pubblico, mentre in una tabella riassuntiva è possibile anche confrontare i dati relativi al post che ha ottenuto il miglior risultato nel periodo considerato.
Di seguito i risultati e un breve commento relativo alle varie aziende monitorate.

Prometeo

La comunicazione social di Prometeo predilige chiaramente il discorso ideale, in special modo usando tematizzazioni che esprimono il “radicamento territoriale”, senza trascurare tuttavia il discorso pratico realizzato con una certa frequenza sui temi “educativo-pedagogico”.
La ripartizione dei like tra i vari discorsi non deve comunque trarre in inganno in merito alle preferenze dei followers; si noti infatti negli istogrammi che il discorso pratico e il discorso performativo conseguono un indice di engagement rate superiore a quello globale nonostante tali aree siano state calcate con minore frequenza.
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Gruppo Iren

La comunicazione social del Gruppo IREN si orienta decisamente verso il discorso performativo con tematizzazioni legate al “contributo alla sostenibilità ambientale” con il chiaro intento di accreditarsi come azienda con un’alta cognizione della responsabilità sociale. In tal senso infatti anche la marcata presenza sul discorso pratico con i temi “educativo-pedagogico”, tutto sommato persegue lo stesso fine.
In questo caso non soltanto il totale dei like, ma anche l’indice di engagement rate del discorso performativo sembrano confermare le scelte dell’azienda in termini di gradimento del pubblico, perché quest’ultimo è superiore all’indice globale.
Non dello stesso tenore invece i dati relativi al discorso pratico, mentre il discorso emancipativo con il tema del “mecenatismo”, ancorché poco sfruttato, mostra indici di engagement rate tutto sommato interessanti.
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Sorgenia

La comunicazione social di Sorgenia punta decisamente sul discorso ideale con tematizzazioni legate all’ “attualità-intrattenimento” anche con il chiaro e preciso intento di sfruttare sinergicamente la positiva immagine del testimonial prescelto nella figura di Beatrice Vio.
Il testimonial è il referente della metafora «più energia», in qualche caso anche chiaramente citata nei post, e riscuote il favore e la simpatia del pubblico in virtù dei successi sportivi ottenuti a dispetto del suo handicap.
Infatti sia like che engagement rate hanno indici di assoluta preminenza che si riscontrano particolarmente in coincidenza dei post che usano argomenti ed immagini legati al testimonial. Rilevanti sono infatti i risultati, in particolare del post che ritrae la ragazza con i tacchi, simbolo della femminilità, con indici ampiamente superiori rispetto a tutte le altre aziende del settore.
Tuttavia non si può non rilevare che quando per forza di cose il discorso deve spaziare su altri temi, i risultati, come si vede nei grafici, sono di tutt’altro tenore, il che deve fornire più di un motivo di riflessione.
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Eni Gas&Luce

La comunicazione social di Eni Gas&Luce è quella che più delle altre ha cercato di spaziare in più aree discorsive con diverse tematizzazioni.
Si è riscontrata una leggera prevalenza nel discorso pratico con i temi “educativo-pedagogico” e di “servizio al consumatore”; anche i temi legati ai “consigli virtuosi” nel discorso performativo hanno avuto un certo peso, così come i temi dell’”attualità-intrattenimento” nel discorso ideale.
In termini di gradimento, il totale dei like e l’engagement rate registrano valori più alti nel discorso pratico, indicandolo come preferito per i followers. Da rilevare comunque dati contrastanti nei singoli post: mentre alcuni ottengono interazioni ed indici molto interessanti specie nel discorso pratico, da contro oltre il 25% dei commenti è stato negativo, riferito soprattutto al servizio amministrativo dell’azienda.
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Acea

La comunicazione social di Acea presenta due aree di polarizzazione marcate: a cavallo dell’asse delle narrazioni pratiche si collocano i temi dei “consigli virtuosi” e del “servizio al consumatore”, mentre altra polarità rilevante è nell’area del discorso ideale con i temi legati ad “attualità e intrattenimento”.
In termini di gradimento, l’area del discorso ideale ottiene i risultati migliori in termini di like e di engagement rate, ma anche il discorso pratico da buoni risultati.
Da rilevare comunque che quasi la metà dei commenti sono stati di carattere negativo, legati a varie disfunzioni nei servizi amministrativi, un indicatore negativo molto importante che nei toni ha mostrato come il pubblico non sia affatto incline a sorvolare né a farsi addomesticare da una comunicazione che è sembrata, in questi casi, abbastanza evasiva.
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Enel Energia

Situazione particolare per Enel,  ex monopolista dell’energia elettrica, e mattatore nei social con oltre 400.000 followers, è stato osservato e poi non considerato nel confronto perché durante la fase di osservazione era in corso di svolgimento il Giro d’Italia; poiché Enel è stata azienda sponsor del Giro ed ha dedicato uno spazio molto ampio a questo evento nella propria pagina Facebook, qualsiasi lettura di posizionamento ed analisi delle interazioni operata in questo frangente avrebbe completamente falsato i risultati ottenuti e i termini del confronto. Tuttavia verificando il contenuto e le interazioni ricevute in alcuni post di routine, sia il genere di contenuti, sia le tematizzazioni prescelte, sia l’engagement rate non sembravano mostrare significative differenze rispetto alle altre aziende; tutto sommato anche i post dedicati al giro d’Italia, pur generando un maggior numero di interazioni, non è che abbiano raggiunto risultati entusiasmanti sotto questo punto di vista.

Conclusioni

Questa analisi sul posizionamento della comunicazione nei social media delle aziende di servizi ci offre senza dubbio elementi di riflessione, alcuni di carattere generale, altri riferibili allo specifico settore.

Sugli aspetti di carattere generale va sicuramente annoverato l’utilità e l’opportunità di mettere a punto un metodo che consente di “visualizzare” la posizione della propria comunicazione, il poterla confrontare con quella dei concorrenti, e poter scoprire gli “spazi” lasciati liberi.
La seconda considerazione, analizzando il feedback dei propri follower, offre la possibilità di comprendere se le scelte fatte sono gradite e se vanno nella giusta direzione, oppure se è il caso di trovare nuove strade.

Nello specifico settore invece è stato possibile notare come tutte le aziende del settore abbiano optato per orientare buona parte della propria comunicazione nei quadranti del discorso ideale e del discorso pratico, solo in parte verso il discorso performativo, mentre assai sporadicamente hanno utilizzato il discorso emancipativo.
Anche nelle tematizzazioni adottate si sono riscontrate diverse analogie, similarità emerse anche nella stilistica dei messaggi, il cosiddetto “tone of voice”.

I temi “ludici” e comunque legati all’intrattenimento sono frequenti, anche troppo, ma non è assolutamente certo che l’apparente atteggiamento favorevole del proprio pubblico sia estendibile per antonomasia anche all’emittente.

È il caso di Sorgenia che con il suo testimonial, Beatrice Vio, riesce ad ottenere lusinghieri risultati di engagement, ma non è sicuro che tali risultati possano essere riferibili anche al brand.
D’altronde l’accostamento con la tenacia e l’energia del testimonial appare metaforicamente debole, come si nota infatti leggendo i commenti, che sono perlopiù indirizzati al testimonial.

Le aziende considerate in generale tendono a tenersi lontano da discorsi e temi riferibili alle proprie performance, forse sperando di evitare eventuali commenti e reazioni negative dovute alla propria condotta di mercato, più o meno discutibile a seconda i casi.

Parimenti trascurati i temi che affrontano la loro identità, la loro storia, la loro filosofia di impresa o la loro mission, ed il dubbio sul motivo di tali scelte rimane.
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In realtà, dalla lettura dei commenti, gli utenti dimostrano di non lasciarsi distrarre tanto facilmente dalle argomentazioni delle pagine e non perdono occasione di rimarcare carenze e mancanze commesse nel servizio.
È questo il caso di Eni e soprattutto di Acea che vengono abbastanza frequentemente bacchettate per le loro mancanze verso i propri clienti.

In definitiva, si può asserire che non è certo la comunicazione social che può “imbonire” un cliente arrabbiato e che la customer satisfaction si può mitigare ma non si può costruire solo con la comunicazione.

Forse, specialmente nel caso degli operatori di minori dimensioni, sarebbe opportuno avere più coraggio nell’adottare una comunicazione più diretta, che parli del brand, che ne definisca l’identità e ne illustri la performance se si vuole in prospettiva fare un “branding” più forte connotando l’azienda in modo più preciso e concreto.

Questo anche al costo di subire commenti negativi che tuttavia rappresentano la cartina al tornasole della propria attività e suggeriscono poi dove intervenire, e che in fondo è uno dei maggiori vantaggi della comunicazione social.

Infine anche le irregolarità più o meno marcate delle forme grafiche di posizionamento per certi aspetti denotano qualche disomogeneità e discontinuità nella strategia di comunicazione (fattore suscettibile di analisi proiettate in tempi più lunghi), mentre forme più omogenee in linea di massima offrirebbero al consumatore una percezione del brand più solida e strutturata su un range ben preciso di concetti.

1 Questo metodo di mapping è il risultato su cui convergono numerosi autori ai quali rinvio per approfondimenti che in ordine cronologico sono J.M. Floch, A. Semprini, G. Marrone, A. Fontana. In particolare sul testo Storyselling di Fontana si trova specifico riferimento al modello illustrato.

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COME NASCE LA DISINFORMAZIONE: MEMORIA SOCIALE E DERIVA NARRATIVA DELLA NOTIZIA

COME NASCE LA DISINFORMAZIONE: MEMORIA SOCIALE E DERIVA NARRATIVA DELLA NOTIZIA

“La fede comincia là dove la ragione finisce” (Soren Kierkegaard)
“Un fatto perde la sua oggettività nel momento stesso in cui manifestandosi viene osservato da un testimone, entra a far parte della sua esperienza e diventa racconto”

La frequenza con cui ultimamente si sente parlare di “fake news” e disinformazione è l’indice della presa di coscienza di un fenomeno le cui possibili influenze sulla scena sociale sembrano assumere una rilevanza tale al punto da alterare il consenso politico e persino i risultati delle scelte elettorali in alcuni casi eclatanti.

Ipotesi che creano un grande fermento sia nella parte politica che nei principali player dell’informazione online come Google, Facebook e Twitter in merito al tipo di provvedimenti da adottare che spaziano dalle soluzioni tecniche, legislative e sanzionatorie; bisognerà poi valutarne l’efficacia nel tempo.

Intanto è opportuno fare una distinzione tra le parole di “fake news”, disinformazione e propaganda che spesso vengono impropriamente usate come sinonimi:

      • Le “fake news” sono notizie che in genere usano toni di sensazionalismo, esagerando o in alcuni casi falsando il fatto cui si riferiscono; all’origine sono nate per generare “clickbaiting”1 e quindi profitti pubblicitari, e in linea di massima sono facilmente smascherabili a meno di essere abbastanza “sprovveduti” (famoso il post condiviso su Facebook dove in una votazione al senato si contavano più di 400 voti complessivi!!);
      • la propaganda è il tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti del propagandista” (Victoria O’Donnell – 1986);
      • la disinformazione è una comunicazione costruita consapevolmente su informazioni false o fuorvianti che alterano la realtà e influenzano l’opinione dei lettori su un argomento (tratta da http://www.andreaminini.com/comunicazione/disinformazione/).

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Le sottili sfumature che sottolineano le differenze tra i termini ne mutano sostanzialmente significati e obiettivi sociali, ma in estrema sintesi mentre le fake news puntano a effetti strumentali di breve tempo e di limitata portata, la disinformazione “alterando” consapevolmente la realtà mira ad un cambiamento di opinione, cambiamento che la sistematicità della propaganda tenta di rendere più o meno esteso e duraturo per asservire fini di un sistema di potere o di controllo.

Focalizzandosi sulla disinformazione, questa consiste di norma in una costruzione molto più raffinata, complessa ed al tempo stesso più subdola delle fake news, assai difficile da smascherare perché spesso richiede competenze approfondite e/o la disponibilità di dati originari che il lettore non ha.
Di norma la disinformazione si annida proprio nella capacità di falsare il nesso di causalità di un fatto, che spesso si concretizza nelle modalità di trattazione e selezione di dati o situazioni originarie, aspetto che nella notizia non viene quasi mai sufficientemente esplicitato.

Per questo l’efficacia della disinformazione si fonda sulla credibilità acquisita dalla fonte specialmente verso il suo lettore modello, il cui bias è incline ad accettare le tesi esposte verso le quali adotta un “atto di fede” che trasforma dati parziali in verità assolute, sospetti in prove inconfutabili.

 Argomentare per disinformare 

Sono estremamente numerose le tecniche di argomentazione o dispositivi retorici utili a costruire disinformazione che B. Ballardini descrive nel testo “manuale di disinformazione”, sulle quali si può operare una sintesi classificandole in base all’oggetto cui le argomentazioni si indirizzano:

  • argomentazioni mirate a screditare o erodere la credibilità di un soggetto al fine di indebolirne le tesi;
  • argomentazioni centrate sul contesto che affermano relazioni tra eventi sulla scorta di generalizzazioni e correlazioni di fatti basate su analogie ma senza una reale prova;
  • argomentazioni basate sull’approvazione sociale e mirate ad enfatizzare stereotipi, convinzioni diffuse, abitudini per affermare la verità di alcune tesi;
  • argomentazioni che tendono a validare una tesi sul riferimento a principi di autorità o a miti fondativi come la virtù della povertà, la ragione del potere, l’efficacia di una tesi perché basata sul nuovo o sul vecchio a seconda le circostanze;
  • argomentazioni mirate ad alterare la costruzione della tesi attraverso la manipolazione e inversione di premesse e conclusioni, nell’introdurre o togliere elementi rilevanti a validare la tesi, etc.

Ribadisco che si tratta di una semplificazione tendente soltanto a dare elementi orientativi ma che non ha pretesa di esaustività perché la complessità e varietà di questi aspetti non può essere esposta in questa sede.

Anziché soffermarmi sulle tecniche, sulle quali molti autori hanno scritto e di cui sono reperibili molti contributi, vorrei invece aprire uno spiraglio su una prospettiva alternativa che riguarda aspetti che si verificano all’origine della disinformazione e sul modo in cui questa agisce sulla mente.
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 La relazione tra fatto, notizia e narrazione 

Un passo indietro per riflettere sul concetto stesso di notizia che può essere definita come la descrizione di un avvenimento in corso o concluso, data da un giornalista attraverso un medium.

Un fatto per diventare notizia deve possedere il requisito fondamentale della “notiziabilità”, deve cioè essere interessante per il pubblico destinatario, deve “far notizia”.
In merito al concetto di notiziabilità, U. Volli (Manuale di Semiotica) afferma che esistono due grandi fattori origine di notizie: il difetto di razionale connessione logica (l’uomo che morde il cane), oppure l’esistenza di una causalità degradata (il cane randagio che morde l’uomo ove il fatto sta nella causa del randagismo).

In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad un’anomalia rispetto all’ordine comune delle cose, alterazioni rispetto ad un concetto di normalità che è in sostanza un costrutto culturale (normalità/anormalità) basato su una larga condivisione di conoscenze soggettive che fanno parte delle rappresentazioni sociali.

Ma quest’ultimo aspetto non può essere separato da una delle prospettive più ricche della psicologia sociale che si ricollega all’approccio scientifico di A. Smorti (Narrazioni, 2007) secondo il quale l’uomo ha la tendenza innata a memorizzare la propria esperienza del mondo in forma narrativa, attività cognitiva che riguarda il modo di categorizzare le informazioni e i ricordi della nostra mente.

Sulla scorta di tale presupposto è improbabile che il lettore percepisca la notizia di un fatto esclusivamente per come viene enunciata, ma che viceversa la elabori dandole la struttura di una storia, completandola laddove manchino degli elementi avvalendosi delle esperienze del passato, in modo che questa possa essere memorizzata nella sua mente.

In questo modo una notizia strutturata in forma narrativa, di fatto implica una proprietà diacronica che anche se non esplicitata, prevede l’esistenza di un contesto o panorama circostanziale (passato) che prelude al verificarsi di un fatto (presente) con il quale intrattiene un nesso causale, dal quale consegue la logica capacità di produrre conseguenze nel futuro (una tesi sulla particolare struttura narrativa di una notizia è esposta nell’articolo “La tragedia dei treni di Andria…”).

Riepilogando, la notizia diventa il racconto di una storia che implica aspetti passati, presenti e futuri, a volte chiaramente esplicitati, in altre sottintesi se ritenuti già noti al lettore modello, messi in relazione attraverso delle argomentazioni.

Conseguentemente anche a quanto riportato nel paragrafo precedente, è proprio nelle argomentazioni utilizzate per mettere in relazione queste tre fasi che si può originare disinformazione, alterando il rapporto tra la causa, l’effetto e le possibili conseguenze.
schema-disinformazione

Nella figura che schematizza l’arco temporale all’interno del quale si concretizza un fatto, i due momenti che permettono una maggiore “soggettività” sono quelli che si fondano sulle argomentazioni utilizzate per affermare il nesso causale e il ragionamento logico-deduttivo che consente di fare una previsione sulle conseguenze.

Ad esempio nel raccontare un’alluvione dovuta a piogge molto intense, il panorama circostanziale implicherà probabilmente nessi causali quali l’eccesso di cementificazione, oppure la mancata manutenzione dei corsi d’acqua o ancora il malcostume e la corruzione nelle concessioni edilizie o i cambiamenti climatici.
Gli effetti del fatto potranno consistere nei danni, nelle difficoltà create alla popolazione o peggio ancora nelle vittime occorse.
Le conseguenze potranno essere ipotizzate nella stima dei danni provocati, o nei danni all’economia o magari nella perdita di posti di lavoro e via dicendo.

Normalmente per gli eventi importanti nessuna testata giornalistica liquida la questione con un solo pezzo, pertanto il racconto diventa in realtà la somma di tutti gli articoli fatti sull’argomento in una unità di tempo relativamente breve, tuttavia non necessariamente il livello di dettaglio sul panorama circostanziale o sulle conseguenze future sarà esaustivo.

In tal caso il lettore modello provvederà in proprio a completare la storia facendo ricorso agli antecedenti2 per quanto riguarda il panorama circostanziale, agli script3 relativamente alla determinazione delle possibili conseguenze.
Il punto è che molto spesso script e antecedenti non sono il frutto delle esperienze dirette e soggettive del lettore, ma la risultante di queste e delle costruzioni giornalistiche del passato, con tutte le incognite di oggettività del caso.

Considerando l’esempio fatto dell’alluvione, ognuno dei nessi causali citati può essersi verificato nel passato, per cui l’autore dell’articolo farà la sua ricostruzione affermando o ipotizzando delle cause.
A questo punto i processi cognitivi del lettore si attiveranno per verificare se nella sua memoria esistono storie simili e se quindi il contenuto della notizia sia “verosimile”.
Se troverà degli antecedenti simili alla situazione raccontata ne costruirà una regola con oggettivazione, ritenendo valido il nesso causale senza bisogno di particolari prove da parte del giornalista/narratore, creandosi i presupposti per classificare nello stesso modo gli eventi simili che dovessero verificarsi successivamente.

Al tempo stesso il giornalista nell’ipotizzare conseguenze future, frutto di deduzioni logiche fondate su una relazione di probabilità, tenderà a fare affidamento agli script, ovvero schemi di comportamento/azione già verificatisi in casi precedenti e ritenuti altamente probabili e funzionali, schemi già in possesso delle esperienze del lettore.
In teoria bisognerebbe avere la capacità di tenere ben distinti il fatto o evento (che è oggettivo solo nel tempo e nello spazio in cui si manifesta e che perde immediatamente questa proprietà nel momento in cui entra a far parte del racconto di qualsivoglia testimone oculare o articolo giornalistico), dagli elementi aggiunti per dare una forma espressiva al suo racconto.

Infatti la sua forma espressiva sarà il frutto del processo interpretativo del narratore che se operatore professionale dell’informazione la trasforma in notizia secondo i “criteri produttivi”4 della testata giornalistica così da renderla fruibile per il proprio lettore modello, il quale la decodificherà e memorizzerà attribuendole significato in armonia alla propria enciclopedia di conoscenze.
disinformazione-4

Per questo motivo tacciare una notizia di disinformazione spesso diventa difficilmente oggettivabile e profondamente opinabile, perché questa si forma al di fuori della manifestazione di un fatto/evento ed è inevitabilmente il frutto di processi interpretativi assolutamente soggettivi che si fondano nel mettere in relazione un fatto con rapporti di probabilità con ciò che lo ha preceduto e con ciò che lo seguirà.

Va da sé quindi che la disinformazione per attecchire ha bisogno di collegarsi ad un “mainstream” di stereotipi e convinzioni sociali diffuse che è giusto definire con il loro vero nome di rappresentazioni sociali.

Per la nostra alluvione ad esempio sarà facile ipotizzare un nesso causale derivante dagli eccessi di cementificazione dovuti alla corruzione politica, così come non sarà difficile diffondere l’indiscrezione di aumenti delle tasse per far fronte ai danni; sarebbe invece molto più difficile affermare un nesso causale dovuto a fenomeni ciclici geologici eccezionali, così come far credere che l’Amministrazione locale avesse accumulato risorse in precedenza per far fronte al problema e che i lavori di ripristino potrebbero generare un aumento dei posti di lavoro.

Pertanto è un po’ superficiale pensare che la disinformazione si riconduca ad un certo tipo di notizie più o meno sapientemente manipolate, perché dove queste non trovino una rappresentazione sociale condivisa non sarebbero in grado di produrre alcun effetto.
La sua potenza e pericolosità invece si annida nella costruzione progressiva e paziente, come in un gigantesco puzzle da realizzare in tempi più o meno lunghi, di rappresentazioni sociali dove i singoli individui hanno sviluppato una serie di copioni preconfezionati che li guidano a ragionamenti deduttivi indirizzati.

La diffusione di certi stereotipi e schemi di ragionamento attraverso i mass media, effetto dilatato a dismisura dalla presenza dei social media, provoca la formazione di una psicologia collettiva che ha molte similarità con la psicologia della folla, dove si instaurano processi di regressione e rifiuto della conoscenza a favore di semplificazioni specie se condivise dai più, nella convinzione che quelle rappresentino la verità.

Per tali motivi un’analisi approfondita dell’argomento è possibile solo considerandolo sotto un’ottica interdisciplinare che prenda in considerazione non solo le comunicazioni di massa ma anche i principi della psicologia e il funzionamento della memoria narrativa, le tecniche dell’argomentazione retorica e le socio-semiotiche circolanti in un contesto in uno specifico momento.

A titolo di esempio mi soffermerò su un caso sociale anziché politico, in modo da evitare fraintendimenti e strumentalizzazioni, anche se forse l’argomento avrebbe solleticato ben altri temi da analizzare come casi di studio.

 Un esempio per riflettere 
ritagli-giornali

I tre ritagli che vediamo nelle immagini si riferiscono ad un tema che si ripropone sui media con una certa periodicità: il confronto degli stipendi tra donne e uomini.
Nei primi due si afferma che le donne guadagnano meno degli uomini, fatto in linea di massima accettato come vero; nel terzo un politico intervistato rompe il mainstream ricorrente affermando che in realtà questa differenza viene originata dal fatto che le donne facciano meno straordinari degli uomini perché vogliono stare più vicine alla famiglia.

Sono due informazioni che specialmente leggendo i titoli appaiono opposte tra di loro, e il giudizio di valore che il giornalista aggiunge nel terzo riquadro, bollando come scioccante l’informazione, pesa non poco.
In questo caso la critica diffusa ha bollato l’affermazione del leghista come folle e sessista sulla falsa riga della “svalorizzazione” del concetto creata dal giornalista nel titolo.

In realtà in nessuna delle notizie riportate, anche per evidenti ragioni di spazio, apparivano le tabelle dati con il totale di occupati, le categorie, le ore globali lavorate, le retribuzioni in valori assoluti e medie, gli aspetti modali rilevati, le correlazioni e via dicendo, dati statistici che avrebbero permesso ad un qualunque lettore volenteroso di approfondire l’informazione e farsi la propria opinione con i dati origine.

In tutti e tre gli articoli, assai brevi, qualche dato insufficiente a spiegare il fenomeno ed al limite della contraddittorietà in alcuni passaggi.

Quindi come hanno operato i nostri informatori?

In sostanza le due informazioni possono essere non solo entrambe “vere” ma addirittura complementari, nel senso che potrebbero provenire anche dalla stessa base dati, che l’una potrebbe integrare l’altra nella descrizione di un fenomeno, ma che nel lavoro di sintesi delle informazioni i nostri informatori si sono serviti di dati parziali, non sapremo mai se per errore o volontariamente.

Certo, potendo disporre dei dati origine, avendo la volontà e la capacità di leggerli e di correlarli, poter conoscere il criterio utilizzato nel costruire l’informazione data sarebbe la soluzione migliore, ma c’è da chiedersi quanti sarebbero in grado di farlo? Avremmo il tempo sufficiente per farlo? Ci sarebbe sufficiente spazio nei media per ospitare la completezza dell’informazione?

Le risposte possiamo darcele autonomamente e d’altronde a pensarci bene spesso non si può pubblicare una tabella, semplicemente perché nella tabella non c’è notizia, o per meglio dire, non c’è narrazione.

Appare chiaro quindi che la fruizione di una notizia richiede un credito di fiducia verso il giornalista/narratore e verso la testata giornalistica che la riporta, così come appare logicamente spiegato il meccanismo circolare che costruisce questo rapporto di fiducia con l’informatore e il proprio bias strutturato sulle conoscenze apprese, gran parte delle quali attraverso i media.

Tornando al nostro caso/esempio poiché legislazione e contratti collettivi non consentono la discriminazione di genere, il problema che determina l’effetto, la differenza di stipendi, potrebbe forse annidarsi in altri aspetti che potrebbero persino essere più importanti.
Non avendo dati originari non mi schiero certamente né dall’una, né dall’altra parte, mi è sufficiente rilevare due aspetti contraddittori in attesa magari di dati veri e non di “racconti”.

Quello che vorrei sottolineare è che i due nessi causali hanno un diverso potenziale di influenza sull’opinione pubblica: nella versione più gettonata dal mainstream corrente, si reitera più o meno frequentemente il concetto utilizzando dati parziali che comunque aumentano salienza e risonanza del tema sull’opinione pubblica.
Il secondo nesso invece viene rigettato e screditato aprioristicamente, delegittimando la fonte prima ancora di averne verificata l’eventuale infondatezza.

Cosa comporta dunque la rimozione di un nesso causale e l’adozione “tout court” di un altro?

Il caso della discriminazione di genere in questo contesto si unisce facilmente ad altri temi contigui come le violenze sulle donne e via dicendo, creando di fatto una pressione dell’opinione pubblica sul legislatore (l’effetto “priming” sulla politica) che in conseguenza di spinte emotive magari legifererà aggiungendo norme in linea di massima già esistenti che, la storia ci insegna, di fatto non cambieranno nulla.

Invece il rigetto del nesso causale “alternativo”, qualora ne fosse stata verificata la fondatezza, azzera una riflessione più che mai necessaria sull’organizzazione e sull’efficacia del “welfare”, tema senz’altro di non secondaria importanza e dove gli spazi di intervento potrebbero essere assai più ampi.

Questo esempio ed il ragionamento ipotetico fatto sono serviti soltanto a mettere in evidenza un possibile modo con cui può concretizzarsi disinformazione e quali distorsioni possa produrre nell’ambiente, anche in presenza di buona fede da parte dei giornalisti/narratori. Basta proiettare questo su aspetti più complessi e delicati per rendersi conto della potenza dello strumento.

 Conclusioni 

Sicuramente non bastano poco più di 3.000 parole per spiegare esaustivamente un aspetto così complesso, tuttavia penso di aver introdotto aspetti importanti su cui riflettere seguendo percorsi alternativi.

In conclusione la disinformazione è sempre esistita e sempre esisterà perché potenzialmente endemica alla soggettività dell’informazione e del racconto in essa contenuto, e due sono i macro fattori su cui si poggia, uno di carattere cognitivo, l’altro di tipo contestuale.

Nei fattori cognitivi troviamo:

  • i meccanismi di funzionamento della memoria che tende ad organizzare fatti e conoscenze in forma narrativa anziché in forma di dati;
  • l’esigenza di semplificare un flusso di informazioni enorme diventato ormai inverificabile anche da parte degli operatori professionali dell’informazione porta a preferire la sintesi, i titoli, piuttosto che l’analisi seguendo quindi stereotipi ed idee comuni molto più semplici da organizzare;
  • l’impossibilità di discernere tra ciò che è vero o verosimile, manipolato o inventato, comporta fenomeni regressivi dove è più semplice seguire il proprio gruppo, credere a ciò che conferma i nostri giudizi, valori e simpatie, radicalizzando le posizioni all’interno delle proprie “cerchie” virtuali;
  • la convinzione diffusa di vivere in un contesto globalizzato dove la situazione sociale ha sviluppato diffidenza e sfiducia nelle fonti informative ufficiali, genera una reazione che porta a farsi affascinare dall’indiscrezione come possibile segno di verità nascoste dagli organi ufficiali.

Nondimeno il contesto offre un sostanzioso nutrimento al fenomeno della disinformazione attraverso:

  • le nuove tecnologie e i nuovi canali di comunicazione come i social media che hanno aumentato a dismisura velocità e capacità di diffusione dell’informazione;
  • il cambiamento di alcuni principi basilari del sistema delle comunicazioni di massa dove l’informazione non si propaga più solo dall’alto in basso ma con sistemi cosiddetti a rete;
  • il sistema di “gate keeper” è stato di fatto superato perché ormai i grandi network non detengono più il monopolio dell’informazione, visto che uno smartphone è sufficiente per documentare un fatto e creare informazione; non essendo più in grado di arginare la notizia di un fatto il loro ruolo si trasforma in “distributori all’ingrosso” di informazione che organizzano in forma e sequenza narrativa;
  • i social media sono diventati sede di sterminate ed incontrollabili piazze virtuali dove ogni “cerchia” discute, costruisce e metabolizza i propri significati sociali, un effetto “box chamber” che diffonde le interpretazioni più che i fatti.

C’è un bel po’ di carne al fuoco per rendersi conto della delicatezza del fenomeno e di come sia pressoché impossibile pensare di arginarlo; tanto vale cercare almeno di essere consapevoli del suo funzionamento e del perché ci si trova, più o meno volontariamente, all’interno di correnti di pensiero che in alcuni casi sono, ed è un eufemismo, “scarsamente razionali”.

 

“ogni particolare narrazione di una violazione dalla norma fonda una tradizione e diventa il nucleo di un genere narrativo su come il mondo è (Amsterdam – Bruner – 2000)

1 Generalmente il clickbait si avvale di titoli accattivanti e sensazionalisti che incitano a cliccare link di carattere falso o truffaldino, facendo leva sull’aspetto emozionale di chi vi accede. Il suo obiettivo è quello di attirare chi apre questi link per incoraggiarli a condividerne il contenuto sui social network, aumentandone quindi in maniera esponenziale i proventi pubblicitari (f.te Wikipedia)
2 Gli antecedenti sono definibili in sintesi come esperienze e conoscenze precedenti, presenti nella memoria, a cui si fa ricorso per interpretare e decodificare fatti e comportamenti che ci appaiono incongruenti e non chiaramente esplicitati; il concetto è ampiamente trattato nel testo Psicologia Culturale – A. Smorti – 2003 – Carocci ed.
3 Gli script sono definibili in sintesi come generi narrativi in cui siano stato interiorizzati schemi sequenziali di fatto-problema-soluzione che possono essere applicati a narrazioni di cui non si conoscono ancora le conseguenze finali; il concetto è ampiamente trattato nel testo Psicologia Culturale – A. Smorti – 2003 – Carocci ed.
4 Per criteri produttivi vds M. Wolf – Teorie delle comunicazioni di massa – Bompiani
le immagini sono state tratte da:

Il bluff della ripresa e la disinformazione

Facile dire fake news. Guida alla disinformazione


http://mondos-porco.blogspot.it/2015/04/i-mass-media-armi-di-disinformazione-di.html

DIGITAL STORYTELLING DELLE BANCHE SUI  SOCIAL MEDIA: QUALE POSIZIONAMENTO E QUALI REAZIONI DAI PROPRI FAN?

DIGITAL STORYTELLING DELLE BANCHE SUI SOCIAL MEDIA: QUALE POSIZIONAMENTO E QUALI REAZIONI DAI PROPRI FAN?

Quale storytelling stanno proponendo le banche sulle loro pagine Facebook considerato il buon numero di fan ottenuti, e che tipo di interazioni e risposte ricevono da questi ultimi? Analisi e considerazioni in merito

Negli ultimi anni le banche sono state spesso oggetto di aspre critiche per la loro condotta e ritenute in buona parte responsabili della crisi economica del sistema e dei suoi squilibri, un pensiero condiviso abbastanza diffuso che incide fortemente sulla percezione dei loro brand.
Non a caso riporto nel riquadro uno stralcio di una ricerca fatta da IPSOS in aprile.
immagine-banche

Sempre in questi anni si è verificata la straordinaria diffusione dei social media, diventati di fatto un imprescindibile canale di comunicazione sociale che le aziende, specialmente i brand più affermati, non possono più evitare di includere nei loro canali di comunicazione a prescindere dal settore di attività.
Le piattaforme social non rappresentano solo un canale di comunicazione ma sono uno strumento molto efficace per ascoltare opinioni e punti di vista del proprio pubblico, per raccogliere il feed-back sui propri prodotti/servizi, per monitorare la percezione del proprio brand.

Ho voluto pertanto basare su Facebook, la piattaforma social più nota e diffusa, l’analisi dei contenuti comunicativi pubblicati da alcune banche per capire quale tipo di narrazione stiano realizzando e quali reazioni stanno suscitando nell’audience.

Nello scorso mese su alcuni blog tra cui Blogmeter, sono apparsi degli articoli che hanno preso in esame il settore stilando una classifica delle 10 migliori banche nel mese di settembre, esaminate principalmente dal punto di vista del numero di fan e dalla loro capacità di fare “engagement” di nuovi followers.
Questo lavoro invece si basa su criteri un po’ diversi e più che sulla quantità dei dati cerca di interpretarne alcuni aspetti qualitativi.

Sono stati scelte quattro tra le più note banche del sistema italiano selezionate non soltanto per numero di fan, e Poste Italiane che negli ultimi anni sta compiendo un grosso sforzo di riposizionamento sia per la sua offerta di servizi, sia per la sua immagine complessiva, collocandosi di fatto come uno dei “player” del sistema creditizio.

Di questi brand ho preso in considerazione gli ultimi 30 post pubblicati sulle rispettive pagine Facebook classificandone i temi proposti, rilevandone numero di condivisioni, like e commenti ottenuti in questi post rapportandoli al numero di fan rilevati da Soldiweb in data 11 ottobre, ed infine ho esaminato come hanno usato i link, se indirizzati alla/e proprie landing page ovvero verso siti esterni.

Premesso che senza i privilegi di amministrazione delle pagine non si dispone dei dati di “insight”, né di strumenti per calcolare la “reach” potenziale sviluppata dalle condivisioni, pertanto ogni risultato dipende dal materiale osservabile.
Stesso discorso anche per i commenti poiché non ho la certezza che non ci siano state rimozioni, magari di quelli meno ortodossi, per cui nella valutazione di questi ho usato molta cautela.

Non mi sono basato sulle tradizionali formule di “engagement rate” che ho ritenuto troppo sbilanciate su meri dati numerici e poco indicative invece del tipo di narrazione emergente, del posizionamento che ne deriva e della valutazione delle risposte del target audience in merito.

Quindi ancorché si tratti di dati ottenuti da un campione numericamente limitato, se ne possono trarre indicazioni descrittive abbastanza fondate in merito alla strategia narrativa adottata e rappresentano comunque un metodo di approccio al problema della valutazione dei contenuti pubblicati che difficilmente può provenire da procedure automatiche.

Il risultato è una rappresentazione grafica del posizionamento che cerca di definire delle aree discorsive formate dai contenuti pubblicati, piuttosto che delimitarli troppo rigidamente con dei valori collocati su assi cartesiani.
I tempi in cui questi contenuti sono stati rilevati variano in base alla frequenza di pubblicazione dei post adottata da ogni banca e spaziano tra i 25 e i 70 giorni.

Posizionare lo Storytelling 

Per un’impresa la comunicazione sui social media, specificamente su Facebook, è sostanzialmente diversa dalla comunicazione pubblicitaria tradizionale perché non può restringersi ad una mera proposta d’acquisto ma deve saper spaziare su più temi, deve rappresentare un discorso quotidiano che sappia cogliere interessi e gusti del suo lettore.
In tal senso la comunicazione sui social diventa per sua natura una narrazione in cui l’intreccio narrativo è formato dai differenti temi che sono di volta in volta trattati nei vari post.

Parlare di posizionamento significa definire che tipo di storytelling il soggetto sta portando avanti.
In questo caso per definire una categorizzazione degli argomenti di volta in volta pubblicati, ho adottato un sistema di mapping1 che si basa su quattro polarizzazioni tali da poter comprendere e racchiudere le varie tematizzazioni di volta in volta proposte dalle banche.
mapping-discorsivo
Le quattro tipologie adottate sono:

  • Discorso esistenziale: è un tipo di tematizzazione che si indirizza alla cosiddetta “cultura alta” come mostre d’arte e di pittura, di musei e di musica lirica, che tende ad enfatizzare la valorizzazione del patrimonio culturale, la sua identità, i valori estetici, ed al tempo stesso valorizza coloro che sono sensibili al suo fascino. È un tipo di argomenti che sembra rivolgersi ad un target maturo di alto profilo culturale e con uno status sociale di prestigio che si riconosce in questi valori.
  • Discorso ludico: è il genere di temi che parla della società, delle sue espressioni contemporanee e dei trend in atto in quel momento; parla di sport e di concerti, di mostre o eventi ma anche di solidarietà civile, proponendo in tal modo un discorso basato non solo su aspetti ludici ma anche sui vincoli della responsabilità sociale. Sembra un discorso rivolto ad un target giovane ma culturalmente impegnato e molto coinvolto nella società in cui vive.
  • Discorso pratico: è un tipo di discorso che tratta temi affini al campo di attività della banca, quindi aspetti economici e del fare impresa, storie di successo o di opportunità di business. È comunque un discorso orientato al pragmatismo, che indirettamente vuole affermare la competenza della banca nell’ambito delle attività economiche e ne legittima il suo ruolo di partnership nell’attività di impresa. In questo caso il target di riferimento è relativamente giovane, attento alla sostanza delle cose e al pragmatismo che ci si attende da chi deve operare in certi settori senza troppi fronzoli.
  • Discorso performativo: è il genere di temi finalizzato a promuovere direttamente i servizi della banca, i suoi risultati, le sue promozioni, o anche le abilità e le competenze del suo personale, a volte sconfinando anche in un’autoreferenzialità più o meno marcata. È comunque un discorso che lancia una proposta diretta al suo pubblico, il quale potrebbe identificarsi in un target maturo di status medio-alto, incline a considerare prima di tutto gli aspetti pratici che derivano da un suo rapporto con la banca.

Ovviamente nessuna banca nel periodo considerato ha utilizzato un solo tipo di “discorso”, per cui si è cercato di rilevarne le tendenze più marcate e di costruirne un’area che in qualche modo rappresenti la totalità delle argomentazioni coperte da ogni brand.
Invito ad osservare le differenze discorsive evidenziate in modo assai speditivo dalle rappresentazioni grafiche sottostanti.

Appare subito evidente la forte differenza esistente tra il posizionamento di banca Intesa e quello di Mediolanum, che nel periodo considerato hanno adottato narrazioni articolate tra due polarizzazioni opposte; la prima assegna prevalenza alla cultura, al discorso esistenziale, la seconda contraddistinta da un discorso spiccatamente pratico-performativo.
intesa-01mediolanum-01
Il posizionamento di Unicredit assegna una prevalenza al discorso “ludico”, consegue una consistente presenza nel discorso pratico senza tuttavia tralasciare neanche le altre varianti, quasi a voler realizzare un discorso in equilibrio tra le varie aree che forse appare poco caratterizzato e non esalta il suo pubblico stando alle interazioni ricevute.
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Quasi completamente appiattito sull’asse performativo-ludico il discorso di Che Banca, dove prevale nettamente il parlare di sé, e vedremo come per certi versi questo sembri premiare la banca.
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Si nota altresì con chiarezza lo sforzo di riposizionamento in atto in Poste Italiane, con un’area discorsiva quasi completamente inclusa tra il discorso ludico ed il discorso esistenziale, evidente quindi la ricerca di un target giovane.
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Questi risultati sono stati poi confrontati con il totale delle varie interazioni quali condivisioni, like e commenti, ricevute nei vari post (tot.interaz. x 1.000 / n. fan page), ricavandone degli indici riferiti sia al totale dell’interazione, sia al parziale suddiviso tra i vari discorsi categorizzati, come si può vedere nelle tabelle riepilogative di ogni banca. Questi indici in un certo senso rappresentano il feed-back che i fan danno in merito al gradimento dei temi proposti nella pagina.
indici-interazione-1
Sarebbe stato molto interessante poter confrontare i risultati ottenuti con gli obiettivi prefissati dalle varie banche, ma purtroppo senza le loro pianificazioni strategiche questo non è possibile.

Il profilo emergente delle varie banche 

 Banca Intesa (dal 13 agosto al 21 ottobre) 
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La comunicazione di Banca Intesa si orienta prevalentemente ad un discorso esistenziale che tocca i temi della cultura alta, anche se sia il discorso ludico che quello performativo vengono utilizzati con una certa frequenza.
Si tiene altresì alla lontana dal discorso pratico del “fare impresa”, ma i motivi possono solo essere supposti.

È una comunicazione che sembra indirizzarsi ad un target di livello medio-alto e che non dimentica di richiamare un certo radicamento territoriale con la città di Torino.
Dimostra, nel confronto con le altre banche, una buona capacità di generare interazioni e soprattutto sembra riscuotere il gradimento del suo pubblico verso i contenuti pubblicati stando agli indici calcolati (vedi tabella), anche in virtù della qualità dei materiali visivi postati che riscuotono un buon numero di visualizzazioni.

I commenti non sembrano offrire materiale pregiato di analisi ed anche quelli negativi, perlopiù originati da disfunzioni nei servizi, sono quantitativamente abbastanza limitati se confrontati con il numero di fan della pagina, mentre commenti negativi sulle connotazioni del brand o sull’immagine del soggetto banca in generale sono assai rari.

 Unicredit (dal 3 al 25 ottobre) 
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La comunicazione di Unicredit tenta di coprire tutte le polarità del discorso anche se il suo orientamento maggiore è rivolto verso il discorso ludico e a seguire con una certa frequenza anche il discorso pratico.
È una discorsività che parla spesso dello sport come espressione sociale e del fare impresa con successo, perciò sembra mirare ad un target giovane e dinamico.

È un tipo di comunicazione che sembra essere in linea con le preferenze del suo pubblico stando agli indici rilevati, tuttavia non sembra coinvolgere più di tanto la sua audience visto che gli stessi indici sono i più bassi tra i soggetti presi a confronto.

Sia reaction che commenti negativi sono comunque limitati, per cui un’interpretazione possibile è che la banca realizzi uno stile “low profile” che non fa emergere forti coinvolgimenti né in positivo né in negativo, o anche che nonostante l’elevato numero di fan, un riposizionamento del brand sia in qualche modo in corso o in prospettiva.

 Poste Italiane (dal 3 al 26 ottobre) 
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La comunicazione di Poste Italiane predilige marcatamente il discorso ludico a cui fa seguire una buona presenza anche sul discorso esistenziale che curiosamente verte molto spesso sugli aspetti storico-culturali delle strutture architettoniche di alcune sue sedi, realizzando in tal modo una sorta di “in-bound marketing”.

È noto che Poste Italiane stia perseguendo negli ultimi anni un sostanzioso riposizionamento da ente pubblico del servizio postale a soggetto attivo ed efficace nell’esercizio del credito.
Le scelte editoriali vanno pertanto in questa direzione e sembrano dirette a raggiungere un pubblico giovane e dinamico.

Il discorso di poste Italiane genera un volume di interazioni tutto sommato modesto e i suoi lettori sembrano preferire contenuti di tipo performativo, a dimostrazione che la strada da percorrere nel riposizionarsi è ancora abbastanza lunga.
Prova ne sia che i commenti negativi rilevati, peraltro in quantità modesta, sono in prevalenza originati da disservizi nella consegna di pacchi o raccomandate e non riguardano i servizi di tipo bancario, segnale da interpretare positivamente.

 Che Banca! (dall’8 settembre al 25 ottobre) 
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Che Banca produce uno Storytelling spiccatamente orientato al discorso performativo, a cui fa da contraltare un apprezzabile inclinazione verso il discorso ludico, quantomeno per intervallare un parlare di sé che rischia di peccare di autoreferenzialità.
È tuttavia un discorso realizzato con una tecnica molto “cool”, moderno e dinamico, che sembra puntare decisamente ad una clientela fatta di giovani orientati alla concretezza che si aspettano che una banca parli di ciò che attiene la sua effettiva sfera di attività.

La sua capacità di generare interazione è abbastanza alta nel confronto con gli altri soggetti e il pubblico sembra apprezzare la sostanza del suo discorso, soprattutto quella del versante ludico.

Per quanto riguarda i commenti invece, anche se quantitativamente si rimane su valori abbastanza contenuti, il fatto di aver ricevuto il maggior numero di commenti negativi e di ottenere l’indice più alto deve accendere qualche campanello di allarme perché le critiche vertono proprio nello specifico dei servizi offerti e soprattutto dei prezzi praticati dalla banca, includendo propositi più o meno espliciti di voler “cambiare aria”.

 Banca Mediolanum (dal 7 al 26 ottobre) 
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La comunicazione di Banca Mediolanum è marcatamente concreta, il suo storytelling vede prevalere il discorso performativo oltre ad una certa frequenza del discorso pratico.
Abbastanza singolare peraltro il fatto di promuovere eventi (presentazione di libri, convegni etc.) che vedono protagonisti i suoi dirigenti, un modo per affermare le proprie competenze attraverso quelle dei suoi uomini di punta.

La frequenza di temi relativi alla consulenza finanziaria ed agli investimenti chiarisce presto a quale clientela la banca stia mirando, un cliente che dà molta attenzione alla competenza di chi gestisce le sue risorse di risparmio o di business.

La capacità di generare interazioni è tutto sommato assai modesta, eccezion fatta per la tendenza alla condivisione che risulta essere la più marcata, mentre il pubblico dimostra di essere in sintonia con il tipo di discorso proposto dalla banca stessa.

Conclusioni 

Il risultato dell’indagine dell’IPSOS di aprile 2016, ci racconta che la reputazione complessiva del settore banche è molto bassa, influenzata anche dai recenti e gravi casi che hanno coinvolto i risparmiatori in pesanti perdite.

Quindi in tal senso, i risultati osservati in queste pagine sono persino al di sopra delle aspettative, anche se certamente le banche non rappresentano dei “lovemarks”.
Ovvio che non si possa confondere la reputazione settoriale con quella di un singolo brand, però è normale che una certa influenza si verifichi comunque quando l’umore collettivo è negativo.

Chiaramente per qualunque impresa di un certo livello, nascondersi sulla rete non significa evitare che se ne parli, implica soltanto non sapere e non controllare cosa si dice, per cui la scelta di essere presenti sui social media era pressoché ineludibile.

Tuttavia gli effetti di questo gap di reputazione permangono sullo sfondo perché il discorso complessivo che le banche realizzano sembra mascherare una certa “insicurezza”, un girare al largo dagli argomenti a loro più consoni ma allo stesso tempo anche più scottanti.

Penso che non debbano trarre in inganno i dati più che lusinghieri sull’incremento del numero di fan e forse sono da prendere con le molle anche le modalità di interazione osservate.
Infatti, fino a che il discorso si mantiene su argomenti di carattere generale le reazioni sono globalmente positive, ma quando questo si sposta sul “fare banca”, sembrano riaffiorare elementi di criticità.

Ovvio quindi che proporre un discorso “soft” basato su valori etici e sociali miri a riconquistare simpatie e ristabilire un clima di fiducia, ma la strada è ancora lunga ed in tal senso il livello abbastanza ridotto di interazioni, specialmente condivisioni e commenti, ci dirà molto in merito.

In conclusione è una presenza sui social che ha bisogno di rinsaldarsi con una proposta argomentativa anche più coraggiosa, al costo di incassare un maggior numero di commenti negativi.
Non sembra infatti che i fan disdegnino di interessarsi e di interagire quando la banca parla della sua attività, anzi in fondo e ciò che vogliono per poi magari giudicare anche negativamente.
Al momento infatti, analizzando i commenti leggibili nelle loro pagine, si farebbe una certa fatica a trarre indicazioni probanti sul livello di percezione del loro brand e sul gradimento dei loro servizi.

1 Pur dovendo adottare degli aggiustamenti il concetto deriva da quanto pubblicato da A. Fontana in Storyselling (2010) e da G. Marrone in Corpi Sociali (2001)
LA TRAGEDIA DEI TRENI DI ANDRIA – LE STRUTTURE NARRATIVE DEL RACCONTO GIORNALISTICO

LA TRAGEDIA DEI TRENI DI ANDRIA – LE STRUTTURE NARRATIVE DEL RACCONTO GIORNALISTICO

Social media come Twitter e Facebook sono diventati i protagonisti delle notizie in anteprima e dei loro tempestivi approfondimenti, cosicché telegiornali e carta stampata devono conformarsi alla trattazione fatta su queste piattaforme. Questo ne segna di fatto la supremazia nello spazio informativo, condizionando stili e strategie del discorso giornalistico

Prendo lo spunto dall’ incidente ferroviario di Andria per compiere un’analisi del discorso giornalistico che si sviluppa in casi come questo, un genere che diventa sempre meno discorsivo e sempre più narrativo1, uno stile giornalistico-comunicativo favorito dall’ evoluzione tecnologica del sistema dei media e che rientra nel più vasto campo della comunicazione di eventi di crisi.

Anche in questo caso, come in altri, è stato possibile individuare tracce di struttura che ogni volta tendono a caratterizzare il racconto e a stimolare le emozioni dei destinatari.
In questo caso sono stati presi in esame gli articoli pubblicati on-line dal Corriere della sera, la Repubblica, La Stampa, il Fatto Quotidiano, il Giornale entro i quattro giorni seguenti la tragedia, alcune prime pagine dei giornali cartacei nei tre giorni successivi, e i post pubblicati su Facebook dal Corriere della sera e dalla Repubblica nei due giorni successivi.

Scontato ma opportuno ricordare che ormai la costruzione del discorso giornalistico deve seguire i ritmi imposti dalle testate on-line e dai social media che esigono notizie concise corredate da immagini da diffondere a brevi intervalli temporali piuttosto che le più corpose inchieste che si costruivano nel passato sui media tradizionali, e ciò comporta un cambiamento nel racconto della storia.

Anche se i dati raccolti a supporto delle tesi illustrate riguardano soltanto il caso di cui si parla, stante la difficoltà a distanza di tempo di rinvenire materiali e tempistiche di pubblicazione di altri fatti simili, ciò nonostante la memoria di questi e l’esame dei documenti selezionati rappresentano un elemento abbastanza probante in merito all’ esistenza di strutture di questo genere giornalistico.

Tra l’altro la strage provocata dall’ atto terroristico di Nizza avvenuta la sera del 14 luglio, nemmeno quattro giorni dopo, ha riproposto le medesime tracce di struttura osservate in questo caso.
L’analisi sarà basata esclusivamente sul materiale giornalistico tralasciando completamente i commenti e focalizzandosi sulla sequenza dei contenuti pubblicati.

I dati 

Nella tabella seguente sono riportati il numero di articoli pubblicati on-line dalle testate campionate che per certi aspetti costituiscono un indice di risonanza attribuito all’ evento durante i primi giorni seguenti l’accaduto.
Da notare il ridotto numero di articoli pubblicati dal Giornale, indice forse di una redazione più contenuta.

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I numeri tradotti in grafici danno un’idea immediata di quello che possiamo, magari un po’ aridamente, definire il ciclo di vita della notizia e possiamo notare come la similarità della forma delle varie curve indichi il ricorso o quantomeno l’utilizzo delle medesime tracce strutturali nella costruzione del discorso giornalistico da parte delle varie testate.

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Molto sinteticamente anche un breve esame effettuato su alcune prime pagine dei giornali stampati mostra una presenza del fatto in prima pagina  complessivamente più contenuta, palesando tuttavia come titoli ed immagini tendano molto presto a topicalizzare aspetti e temi che si allineano alle loro posizioni pseudo politiche. Nelle immagini si può osservare la differenza nei modi di tematizzare2 l’evento stesso.

prime pagine 2
prime pagine 1

Su Facebook sono state prese a campione le pagine con il maggior seguito come la Repubblica e il Corriere della sera; sulle stesse sono stati pubblicati rispettivamente 43 e 38 post a partire da un’ora dopo la tragedia (ore 11.15 circa) fino alle 52 ore successive al fatto.
La sequenza cronologica dei post in termini di frequenza si può osservare nella tabella:

post facebook

La struttura narrativa del racconto giornalistico 

Nella messa in discorso di questo fatto, così come di eventi dello stesso tipo, sezionando il testo sarà possibile isolare strutture che hanno carattere di ricorsività pur presentandosi in forme diverse.
Queste strutture, di natura virtuale, sono in grado di sostenere uno schema narrativo di questo genere giornalistico e preludono alla sua messa in discorso come sinteticamente descritto di seguito:

  • Elaborare la tematizzazione: procedimento attraverso il quale l’informazione di un fatto viene organizzata e valorizzata ponendo l’enfasi su particolari aspetti che possano conferirgli una risonanza e una posizione dominante nell’agenda del ricevente. La sua articolazione formale dovrà quindi essere adeguatamente predisposta affinché sia in grado di mantenere viva l’attenzione ed il senso di attesa del lettore (es. “Scontro tra treni in Puglia, la maledizione del binario unico”– Corriere della sera -12/07/16).
    Per questo motivo, gli elementi costituenti questa struttura di norma vengono frazionati e divulgati cronologicamente in diversi momenti, concorrendo a costituire una sorta di intreccio come in una scenografia.
  • Predisporre l’isotopizzazione: consistente nel collegare mediante rapporti di causalità, il racconto dell’evento con altri discorsi sociali presenti sulla scena, creando una intertestualità e una serie di rimandi con altre narrazioni (es. “Lo scontro tra i treni in Puglia e le responsabilità della cattiva politica” – Corriere della sera -12/07/16) in modo da farle sembrare simili o accomunate dagli stessi fattori presenti sulla scena sociale. Tipici esempi possono essere: ritardi nell’esecuzione dei lavori generati dalla corruzione, carenze tecniche provocate da una governance carente, errori umani o negligenze causate da orari di lavoro stressanti o rinnovi contrattuali scaduti da tempo etc.
  • Creare l’attorializzazione, procedimento di virtualizzazione dei soggetti necessari alla messa in discorso del fatto, protagonisti o comparse che siano, mediante la scelta dei ruoli sociali e la loro caratterizzazione al fine di dare corpo e sostanza alla storia (es. “Scontro treni: vigili del fuoco e ruspe al lavoro per tutta la notte” – la Repubblica – 12/07/16). In questa struttura si collocano le vittime, i parenti delle vittime, i soccorritori, i testimoni, i presunti responsabili, gli uomini delle istituzioni, i politici, i personaggi famosi etc.
  • Metaforizzare i miti negativi: le strutture di isotopizzazione e attorializzazione utilizzate nel racconto dei fatti, mediante retoriche allusive richiamano più o meno esplicitamente certe visioni del mondo, figure mitiche dotate di una carica negativa come l’ingiustizia, il cinismo del potere, l’errore umano, l’accanimento del destino sui deboli (es. “Scontro treni Puglia, abituati a essere figli di un Dio minore” – il Fatto Quotidiano – 13/07/16). La compresenza di certe figure orienta in qualche modo il giudizio morale, ovvero la trasformazione del fatto in esperienza ed antecedente, codice di interpretazione che la gente userà in futuro per dare spiegazioni ad altri fatti che dovessero presentarsi inspiegabili e senza certezze.

Queste strutture profonde, tipiche di questo genere di narrazioni, sostengono lo schema narrativo del racconto e tramite la loro attualizzazione mediante strutture di superficie conducono alla modellazione di elementi riconoscibili, cose, persone e figure del mondo che consentono la raccontabilità della storia rendendola percepibile al destinatario.

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Le strutture discorsive o di superficie al momento identificate e che possiamo definire come funzioni o sfere d’azione principali3, così come appare nello schema sottostante, di norma si caratterizzano come segue:

  • Rottura dell’equilibrio: è la notizia del fatto cosi come appare nella sua veste iniziale, è la parte più breve che consiste nell’enunciazione della notizia con informazioni frammentarie, affidando perlopiù alla drammaticità delle immagini che precedono la descrizione circostanziata degli eventi, il compito di creare nello spettatore il pathos emotivo e le aspettative in merito alle ulteriori e più dettagliate informazioni.

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  • Panorama circostanziale: è la funzione che prende il via sin dalle fasi iniziali proseguendo poi fin quasi alle fasi finali della storia e prevede la diffusione di approfondimenti in merito alla situazione ambientale, alle inefficienze, ai problemi, ai precedenti, agli eventi passati nello stesso posto o dello stesso genere in altro posto, alle prime ipotesi deduttive in merito ai nessi di causalità o in merito alle responsabilità, gli aggiornamenti sul numero delle vittime e sull’ andamento dei soccorsi.
    È un tipo di informazione apparentemente scarna, ma che invece è strutturata in larga parte sulle strategie di quel processo di isotopizzazione del caso che sarà determinante nell’ orientare il giudizio morale dell’opinione pubblica, funzione che di fatto chiude il ciclo di vita della narrazione del fatto.

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  • Figurativizzazione: è l’opera di messa in discorso di dettagli, di immagini e di microstorie che riguardano il lavoro instancabile dei soccorritori, le loro gesta, le parole dei sopravvissuti, le identità delle vittime, le testimonianze di involontari spettatori, le opinioni di persone famose, le parole dei politici e del potere, le opinioni delle persone comuni.
    È la funzione che permette di calare la storia tra la gente, di renderla viva, attuale, vicina oltre i confini dello spazio attraverso il dettaglio di fatti, oggetti, parole che fanno parte della quotidianità dell’opinione pubblica.

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  • Climax emotivo: è la funzione che crea il pathos della storia e ne prolunga il ciclo di vita; in questa funzione si mostrano e si commentano foto e oggetti delle vittime, particolari delle loro biografie come piccoli successi, prossime nozze, sacrifici o traguardi raggiunti, si enfatizza il dramma delle persone care che le attendevano, si dà spazio a dettagli e immagini che servono a dare la dimensione della perdita, a mostrare sofferenza, dolore e disperazione.

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  • Nessi di causalità: è la funzione che deve raccontare le cause dell’ accaduto, che possa in qualche modo dare un senso al perché accadono certi fatti, ed è un passaggio necessario ad ogni storia di questo tipo, quindi occorre trovare o al limite ipotizzare le responsabilità, presunte, ipotetiche o accertate.
    Da questo la sequenza di una serie più o meno vasta di informazioni circostanziate, alcune confermate altre no, indiscrezioni, supposizioni e deduzioni logiche che insistono sugli errori umani, sulle carenze tecniche o infrastrutturali, sulla superficialità di chi dovrebbe prendere decisioni, sulle carenze della governance e della politica, la messa in relazione con altri fatti o eventi interpretabili secondo visioni stereotipate come mancanze del governo, corruzione che ha distratto fondi, scontri tra le parti politiche in un rimpallo di responsabilità.

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  • Giudizio morale: è la fase finale della storia, ciò che rimane scritto nella memoria sociale di questa; le responsabilità sono state almeno in parte identificate ed ora si cede la scena ai protagonisti negativi, trovano spazio anche le loro storie, le loro assunzioni di responsabilità spesso parziale.
    L’ allusione alle vere responsabilità che spesso si indirizzano in modo più o meno velato verso il sistema che detiene il potere, crea i presupposti per la formazione del giudizio morale dell’opinione pubblica che rimane sullo sfondo e che sarà l’antecedente che guiderà la decodifica di altri fatti nelle future narrazioni di tale genere.

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Queste funzioni non si susseguono in un ordine cronologico rigido ma tendono spesso a sovrapporsi o a presentarsi più volte vista la particolare natura dei mezzi informativi on line al quale oggi è lecito assegnare la prevalenza nel racconto di questo genere di fatti.
In questa tragedia vediamo nella tabella seguente la sequenza di funzioni che sono state individuate nei vari post durante la sua narrazione nei giorni considerati:

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Quale substrato teorico a sostegno della tesi 

L’esposizione giornalistica di questo caso è a tutti gli effetti una narrazione anche se rientra in una casistica un po’ particolare che riguarda il giornalismo di eventi critici, tipologia di cui in questo blog si è più volte parlato, e che possiede caratteristiche ben precise del discorso giornalistico.
Vanno considerate le particolarità imposte dal dominio dei social media nel panorama dell’informazione, specificità che implicano la compressione del ciclo di vita delle notizie, ma al tempo stesso la sua trattazione sviluppata in piccoli segmenti e pubblicata con continuità a cadenze di tempo assai ridotte, a volte anche inferiori ad un’ora.

Ovviamente ho ritenuto necessario compiere una verifica epistemologica in merito alla fondatezza di ipotesi come quella fin qui illustrata, per cui espongo sia pure sinteticamente, alcuni dei riferimenti teorici di natura interdisciplinare a cui mi sono ispirato in questa analisi.
I più importanti spunti presi a riferimento sono stati:

a) I principi delle rappresentazioni sociali teorizzate da S. Moscovici;
b) Il concetto di storia e di narrazioni che ci proviene dalla psicologia culturale di A. Smorti;
c) I principi della semiotica generativa di A.J. Greimas;
d) La sociosemiotica dei media di G. Marrone e la semiotica del testo giornalistico di Lorusso- Violi.

a) S. Moscovici4 definisce il sistema delle rappresentazioni sociali come una sorta di cornice di classificazione degli eventi, un processo che l’individuo adotta per controllare la sua naturale paura dell’ignoto utilizzando due fattori: ancoraggio e oggettivazione.
Il primo consiste nell’associare qualcosa che è percepito come non conosciuto a qualcosa di già noto: nel caso di cui parliamo si cerca di trovare nella memoria ricordi di episodi simili che aiutino a dare una spiegazione laddove le informazioni siano carenti.
Il secondo invece consiste nel rendere concreto ciò che è virtuale, nello specifico di trovare nella memoria conferme alla verosimiglianza delle ipotesi e ai nessi causali che vengono di volta in volta prodotti durante il racconto. In base a questi fattori si spiegherebbe il motivo ed anche l’efficacia di quei procedimenti di tematizzazione ed isotopizzazione del fatto spiegati in precedenza.

b) I principi formulati da A. Smorti5 in merito alle caratteristiche che le storie devono avere per essere efficaci sui destinatari, dicono che le storie hanno bisogno del requisito della raccontabilità, che in questo genere di casi ci deriva dall’inusualità del fatto, dalle incertezze sulle cause e dalle potenziali mancanze o violazioni di qualche norma.
Questi aspetti nonché la descrizione dei fatti devono essere articolati in strutture narrative affinché i destinatari possano scomporre il testo e ordinare e catalogare le informazioni nella propria memoria.
Inoltre sempre Smorti6 sostiene che l’uomo ha la tendenza innata a memorizzare la propria esperienza del mondo in forma narrativa, cosicché i fatti ci appaiono più comprensibili e riferibili alle figure del mondo che conosciamo e ci consentono di ricorrere ad esperienze precedenti per poter comprendere aspetti altrimenti poco codificabili.
Perciò il processo di scomposizione di una storia consisterà nell’articolare una sequenza di elementi ordinati nel tempo e nello spazio, che normalmente si articolerà in uno stato iniziale, l’avvento di un problema, i tentativi di soluzione, stato iniziale ricostruito o un nuovo stato, stato sanzionatorio (finale).
Inoltre, nella classificazione di storie adottata dall’autore (vedi link Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?) questo genere di fatti appare come una storia senza soluzione e che pertanto il destinatario per trovarne una si affiderà in parte al racconto dei media, in parte frugherà nella sua memoria alla ricerca di ricordi di fatti precedenti che costituiscono il prezioso patrimonio di antecedenti.

c) Dalla semiotica generativa di Greimas7 sono di utile ausilio nella riflessione alcuni principi relativi alle strutture profonde, allo schema narrativo canonico e agli attanti narrativi, che per sintesi non sono stati illustrati, per parlare direttamente (all’ apparenza) degli schemi specifici di questo genere e delle procedure di attorializzazione e figurativizzazione che regolano le strutture di superficie delle narrazioni, ovvero la loro messa in discorso.
Esistono comunque sia nelle correnti della psicologia culturale che nella semiotica generativa, diversi punti in comune sulle narrazioni quali ad esempio la rottura dell’equilibrio iniziale e l’esigenza della sua ricostituzione, la fase della sanzione finale con ricompense e punizioni, anche se nella semiotica si tende a porre di più l’accento sulle strutture e sulla figuratività dei personaggi in virtù dell’essenza specifica di queste due scienze umane.

d) Il punto di vista di G. Marrone8 quando parlando della sociosemiotica dei media, asserisce che un singolo fatto o articolo di per sé spesso non è più sufficiente ad assumere senso come unità separata.
Questo deve potersi inquadrare all’ interno di un panorama circostanziale che comprenda non soltanto il fatto di cui si parla ma che includa diversi rimandi e nessi causali con altri fatti della vita politica e sociale, per cui ogni evento finisce per contribuire ad un più esteso senso complessivo che si traduce in un ampio discorso sociale prodotto dal sistema dei media.
Lo stesso autore pone anche l’accento sul fenomeno della spettacolarizzazione dell’informazione che provoca il sempre più frequente ricorso ad immagini che assumono la centralità del discorso dove alle parole spesso non rimane che una funzione didascalica, invertendo in un certo qual modo le funzioni che testo e immagini avevano un tempo.
Opportuno il riferimento anche al concetto di topicalizzazione di cui parlano A.M. Lorusso e P. Violi9 che illustrano come più fatti possano in qualche modo essere messi in relazione trovando un filo comune che li unisce, conferendo legami e nessi di relazione altrimenti non scontati e pertanto contribuendo a costruire quel senso complessivo di cui si parla.

Conclusioni 

L’informazione giornalistica all’interno del più vasto ambito delle comunicazioni di massa ha subito una profonda trasformazione negli ultimi anni, così come appare profonda la revisione del concetto stesso di notiziabilità.

Prima le routine produttive imponevano tempi, modi e spazi per la diffusione delle notizie in grandi contenitori come telegiornali e giornali stampati; ciò imponeva criteri di notiziabilità, capacità di fare giornalismo d’inchiesta e di far stare il tutto con ben precise esigenze di sintesi imponendo l’adozione di regimi più discorsivi da parte del giornalista.

In un paio di decenni, prima la supremazia conquistata dalle immagini, poi l’avvento delle testate on-line, infine la rivoluzione introdotta dai social media ha stravolto il modo di fare giornalismo.

L’opportunità ed al tempo stesso l’esigenza di pubblicare aggiornamenti costanti sulle testate on-line, l’esigenza di dover pubblicare sui social media, piazze virtuali dove il proprio prodotto è soggetto all’interazione diretta ed immediata del lettore, richiede l’adozione di strategie e stili fortemente narrativizzati.
Non basta informare, bisogna conformare il fabbisogno di informazioni ai formati richiesti dai nuovi strumenti, bisogna intercettare gli stati emotivi dell’opinione pubblica, bisogna soddisfarne curiosità ed una sorta di “voyeurismo” che vuole saziarsi di immagini, di dettagli, di indiscrezioni, di opinioni a volte anche non strettamente attinenti alla notiziabilità intrinseca del fatto stesso.

Nelle piazze virtuali delle proprie pagine social nasce l’esigenza di mettersi in relazione ed in linguaggio con i frequentatori di questa piazza e con il loro spazio valoriale, dando vita così a delle narrazioni in cui il fatto in sé è solo un elemento, ancorché importante, del panorama circostanziale che viene tirato in ballo.
Oramai i social, Twitter in testa e poi Facebook, costituiscono l’anteprima delle notizie e il primo spazio di approfondimento, cosicché telegiornali e carta stampata devono di fatto conformarsi alla trattazione fatta su queste piattaforme, segnandone di fatto l’avvenuta supremazia nello spazio informativo, con tutto ciò che questo comporta in termini di stili e strategie giornalistiche.

I nuovi media favoriscono il racconto delle crisi con lo scandire del tempo e delle emozioni del pubblico, come se si raccontasse una fiction cadenzata da puntate, in cui alla fine di ognuna occorre creare le aspettative per la successiva.
Troppo spesso l’esigenza di riempire celermente certi spazi, impone l’adozione di rapporti di intertestualità con altri fatti e problemi sociali aperti ai limiti della forzatura, creando quella sorta di continuum narrativo capace di mantenere il contatto con i propri lettori il più a lungo possibile. Ora il successo e la bontà di una notizia si misura con i like, con le condivisioni e con i commenti suscitati; da qui ovviamente una certa deriva del concetto di newsmaking.

Ovviamente il genere giornalistico che appartiene alla comunicazione di crisi è contrassegnato da particolarità, prima fra tutte il coinvolgimento emotivo dei lettori, anche se le considerazioni fatte in queste brevi note conclusive non escludono il resto del discorso giornalistico, anzi lo includono pienamente.

1 Sinteticamente, per discorsivo intendiamo la descrizione di un contenuto non focalizzato sui personaggi, per narrativo un contenuto organizzato cronologicamente e centrato su protagonisti. Per una trattazione più ampia vds. anche U. Volli – Il nuovo libro della comunicazione – 2007
2 Dei titoli giornalistici e di alcuni meccanismi inerenti la loro costruzione ne parlo al link http://sb.aidazerouno.it//i-titoli-dei-giornali-narrazione-o-plagio/ e http://sb.aidazerouno.it//i-titoli-dei-giornali-narrazione-o-plagio2/
3 Il riferimento è esplicito ed evidente al concetto di funzioni o sfere d’azione teorizzato da V.J. Propp nei suoi studi sulla morfologia della fiaba.
4 Le rappresentazioni sociali – S. Moscovici – Il Mulino 2005
5 La psicologia culturale – Andrea Smorti – Carocci 2003
6 Narrazioni. Cultura, memorie, formazione del sé – Andrea Smorti – Giunti 2007
7 Del senso 2: narrativa, modalità, passioni (ed. or. 1983), tr. Patrizia Magli e Maria Pia Pozzato, Bompiani, Milano 1985
8 Corpi sociali – processi comunicativi e semiotica del testo – Gianfranco Marrone – Einaudi 2001
9 Semiotica del testo giornalistico – A.M. Lorusso P. Violi – Laterza 2004