GUERRIERI E SAGGI ALL’ISOLA DEI FAMOSI: ARCHETIPI IN MOVIMENTO NEI REALITY

GUERRIERI E SAGGI ALL’ISOLA DEI FAMOSI: ARCHETIPI IN MOVIMENTO NEI REALITY

Che siano scelti dal pubblico oppure con televoto pilotati non fa molta differenza: i finalisti impersonano in qualche modo archetipi sempre in voga nell’opinione pubblica.

E’ appena giunto al termine l’Isola dei Famosi, ennesimo reality televisivo condito dalle consuete polemiche, dai “rumors” di televoto pilotati, dalle solite diatribe dei protagonisti e, ciliegina sulla torta quest’anno, anche il famigerato “canna-gate”; c’erano un pò tutti gli ingredienti per creare quel polverone mediatico che tanto influisce nel determinare il successo di un programma.

D’altronde per un programma televisivo non c’è peggior condanna che l’indifferenza, per cui tutto ciò che gli ruota intorno, incluse le polemiche e le critiche più spietate, contribuiscono a creare interesse e traffico (inevitabilmente ormai ci si riferisce ai social media) che gli assicurano la popolarità presso l’opinione pubblica.

Preciso che per opinione pubblica non deve intendersi solo il pubblico degli spettatori ma un sistema complesso che include media, opinionisti, pubblico e i reciproci processi di influenzamento, ma rinvio a pubblicazioni specifiche per una trattazione più esaustiva del concetto.

In merito alla possibilità che alcuni esiti del televoto siano “pilotati”, non credo cambi molto il significato sociale di questo tipo di programmi, perché in ogni caso i “beneficiari” del favore saranno comunque personaggi che si ritiene siano graditi ad una fascia più o meno ampia di pubblico.

D’altronde un programma piace se piacciono i suoi protagonisti perché è necessario che si generino dei processi di immedesimazione nel pubblico, pertanto non ha molta importanza sapere cosa accade dietro le quinte; queste saranno sempre funzionali a cercare di creare qualcosa che si ritiene gradito al pubblico ed in questo stanno i significati di uno spettacolo.

Significati che implicano il porsi delle domande per capire quali sono i modelli, gli archetipi che i protagonisti impersonano, quali quelli che giungono alle fasi finali e che tipo di processi di identificazione sociale possono rappresentare; le percentuali delle votazioni sotto questo punto di vista non significano un granché, sono altri gli spunti interessanti.

Di fatto ciò che determina il favore di una parte del pubblico è il nascere di processi di immedesimazione e di proiezione con i personaggi di scena e con ciò che essi rappresentano in termini iconici.

Quanto alle reiterate affermazioni dei protagonisti di essere personaggi veri, tacciando ovviamente gli altri di ipocrisia, mi pare opportuno recuperare le tesi espresse da E. Goffman (La vita quotidiana come rappresentazione) secondo il quale ognuno di noi (nessuno escluso) elabora delle strategie di comportamento funzionali al contesto e al tipo di interazioni umane da sostenere.

Ognuno interpreta dei ruoli, delle “maschere”, una rappresentazione quotidiana del proprio io idealizzato.
Esiste quindi più o meno consapevolmente per ognuno un dietro le quinte, momento nel quale si orientano le proprie strategie comportamentali e la propria “rappresentazione” scenica funzionalmente al ruolo prescelto o al contesto da affrontare.

Ora se consideriamo che il fatto di parlare di fronte ad un qualsiasi strumento di ripresa falsa la spontaneità del più comune dei mortali, va da sé che un personaggio pubblico proprio per questo fatto sarà probabilmente assai più smaliziato di fronte ad una telecamera.

Prevedibile quindi che abbia sviluppato una certa capacità di separare e gestire i momenti della propria vita tra un “dietro le quinte” e un “palcoscenico” meglio di una persona comune.

Pertanto ritengo più interessante puntare l’attenzione sull’oggetto della rappresentazione piuttosto che sul soggetto che la interpreta.

Quindi quali sono i personaggi che arrivano alle fasi finali, i preferiti dall’opinione pubblica, e come possono essere generalizzati interpretandoli come simulacro di determinati archetipi1?

In merito al concetto di archetipo Carl Gustav Jung ci dice:
“Nessun archetipo è riducibile a semplici formule. L’archetipo è come un vaso che non si può svuotare né riempire mai completamente. In sé, esiste solo in potenza, e quando prende forma in una determinata materia, non è più lo stesso di prima. Esso persiste attraverso i millenni ed esige tuttavia sempre nuove interpretazioni. Gli archetipi sono elementi incrollabili dell’inconscio, ma cambiano forma continuamente”.

Gli archetipi si manifestano dunque nell’inconscio collettivo attraverso risposte automatiche ed ancestrali che l’uomo continua a riproporre, espressione dell’istinto e del corpo, “modelli funzionali innati costituenti nel loro insieme la natura umana” sempre secondo Jung, simboli di concetti, istinti primordiali, modelli profondi, radicati nella psiche umana.

Tornando ai nostri finalisti, vediamo che tipo di archetipi hanno impersonato in modi e manifestazioni più o meno grottesche o congruenti.

Il saggio Nino Formicola
Nino, pur con la sua carica ironica, ha impersonato, anche in virtù della sua età, l’archetipo del saggio ed il suo è il viaggio alla scoperta della verità: su se stessi, sul mondo e sull’universo.

La sfida del Saggio è quella di interpretare i segni e risolvere l’enigma di fondo dell’esistenza. La sua domanda essenziale è: “qual’è il senso?”. Tutti i saggi sono investigatori alla ricerca della verità che è dietro le apparenze, alla ricerca del senso profondo degli eventi, della vera causa dei problemi.

Il Saggio parla per enigmi, parabole, simboli, immagini, perché la vita è per definizione nascosta, il Saggio non ha più paura di morire, né di perdere il proprio Regno, perché non ha più l’Ego e non ha più paura che gli venga sottratto qualcosa: ha imparato a morire e a non essere attaccato a niente.

La sua qualità si concretizza nella conoscenza, consapevolezza, verità, saggezza, pace, serenità, imperturbabilità, distacco, osservazione imparziale, meditazione, visione, intuizione, discriminazione, tolleranza, esperienza, ascetismo, mentre la sua ombra si manifesta nell’atteggiamento critico, censorio, durezza, rigidità, severità, cinismo, preconcetti, pregiudizi, assolutismo, distorsione della verità, indottrinamento, perfezionismo, fondamentalismo, fanatismo, intolleranza, dogmatismo, pedanteria.

Il suo scopo nella vita si esprime nell’approfondimento e nella comprensione della verità, mentre le sue paure si annidano nell’illusione, inganno, distorsione, errore, dubbio, incertezza, cecità, confusione, finzione; nella sua relazione con il drago lo comprende, lo integra, lo trascende, capisce che è solo un’illusione e va oltre.

Il Guerriero Amaurys Perez 
Amaurys ha impersonato l’archetipo del Guerriero, quello che impone di essere coraggiosi, integri e forti, capaci di fissare delle mete e di raggiungerle, di partire alla conquista del mondo.

L’archetipo del Guerriero esige un forte impegno all’ integrità, autodisciplina, fermezza e senso dell’onore, impone di combattere per le proprie idee o i propri valori, anche quando questo costa comporta costi elevati. Impersona il guardiano della Porta del Cuore e vigila su ogni minima minaccia all’integrità del suo mondo affettivo.

Le sue qualità sono forza di volontà, autoaffermazione, coraggio, abnegazione, abilità, affidabilità, autodisciplina, fermezza, tecnologia, strategia, capacità di scelta, capacità di dire no, senso dell’onore, rispetto, dignità, ma la sua ombra si esprime nella durezza, rigidità, giudizio, insensibilità, crudeltà, intolleranza, uso del potere sui più deboli, prepotenza, prevaricazione, competizione.

Guidato dai suoi scopi di affermarsi e vincere, combattere e conquistare, stabilire obiettivi e operare per raggiungerli, le sue paure più forti sono quelle di essere debole, di essere impotente, di essere umiliato, di essere ucciso; affronta il “drago” simbolo degli ostacoli e dei problemi, ingaggia il combattimento accettando il rischio di morte, perché può finire in due modi: uccidere o essere ucciso.

La dea Persefone Bianca Atzei
Bianca sembra invece aver impersonato l’archetipo di Persefone, figura mitica della Grecia antica dotata di due nomi, a simboleggiare i due aspetti contrastanti che la distinguevano: Kore ossia giovane fanciulla che ignorava chi fosse, e Persefone regina degli inferi data la sua capacità di gestire piani profondi della propria psiche.

La donna che incarna questo archetipo non è predisposta ad agire, ma ad “essere agita” dagli altri, vale a dire ad avere un comportamento condiscendente ed un atteggiamento passivo.
L’aspetto di fanciulla archetipica rappresenta una giovane che ignora chi sia, ancora inconsapevole dei propri desideri e delle proprie forze; tende anche a compiacere la madre e ad essere “la brava bimba” obbediente ed attenta, spesso vive al riparo o protetta da esperienze che presentino dei rischi.

La bambina Persefone, iperprotetta, svilupperà un atteggiamento fragile e bisognoso di protezione e guida, e resterà dipendente a qualcuno.
Sessualmente è inconsapevole della propria sessualità, aspetta il principe azzurro che giunga a svegliarla. Con gli uomini è una donna-bambina, dall’atteggiamento remissivo e giovane.

La sua ombra è una tendenza al narcisismo, una trappola per questo tipo di donna che può fissarsi su di sè con tanta ansia da perdere la capacità di rapportarsi agli altri.
Soggetta alla depressione, chiude ermeticamente dentro di sé rabbia o dissenso.

La donna Persefone può superare la sua dimensione se è costretta ad affrontare la vita con le sue sole forze e prendersi cura di sé; solo quando non ha qualcuno che decida per lei può crescere.

L’innocente Jonathan Kashanian
Jonathan di fatto tende ad impersonare l’archetipo dell’innocente, di colui che crede nella vita e negli altri, che esprime l’entusiasmo con cui si comincia una relazione, un viaggio, un lavoro.

È l’individuo “prima della caduta”, che ricorda il mondo protetto dell’utero della madre e la felicità dei primi anni di vita, che vuole riconquistare e vivere nel Paradiso Terrestre, ovunque esso si trovi.

L’Innocente è la parte di noi che continua a credere, a qualunque costo, perché ha una incrollabile fede che il mondo è un luogo sicuro e gli esseri umani sono buoni. L’Innocente però tende a negare i problemi e a rifuggire dai conflitti, spesso isolandosi in un mondo di fantasia. L’Innocente è anche assolutista e dualista, non può ammettere la propria imperfezione senza inorridire di sé, senza cadere preda della vergogna o del senso di colpa.

L’Innocente percepisce anche la propria fragilità e vulnerabilità e, come è evidente, cerca in tutti i modi di difendersi da ciò che considera una minaccia alla propria integrità.

La sua qualità è speranza, entusiasmo, giovialità, gioco, ottimismo, apertura, leggerezza, lealtà, purezza, essere senza filtri lasciando entrare tutto, mentre la sua ombra si esprime nel vittimismo, pessimismo, attaccamento, dipendenza, pretesa, richiesta, onnipotenza, egocentrismo, fuga dalla realtà, rifiuto dei conflitti, illusione, ingenuità, inesperienza.

Nella sua relazione con il drago lo nega, non si accorge neppure che c’è, lo idealizza, ci gioca senza però capire che è un Drago, si sacrifica.

La dea Afrodite Francesca Cipriani
Francesca, personaggio controverso per la sua frivolezza è contrassegnata da una certa dualità; Persefone nell’inconscio, ricerca sicurezze nell’impersonare l’archetipo di Afrodite e come tale vuole esprimere il piacere per l’amore, la bellezza, la sensualità e la sessualità.

L’archetipo Afrodite rappresenta la spinta a garantire la continuazione della specie, perché questa dea rappresentava unione e nascita di una nuova vita. La donna Afrodite si sente attraente e sensuale, e non di rado si trova in opposizione con i modelli correnti di moralità, spesso è estroversa e la sua personalità esprime una brama di vita e un che di selvaggio.

Tende a vivere nel presente immediato, prendendo la vita come se non fosse niente di più di un’esperienza dei sensi.
Il lavoro che non la coinvolge da un punto di vista emotivo non la interessa, a lei piacciono varietà ed intensità, compiti ripetitivi come le faccende di casa, o un impiego monotono l’annoiano.

Molto spesso questo tipo di donna non è bene accettata dalle altre, in quanto gelose del suo fascino ed eleganza. In genere si trova bene con donne che hanno il suo stesso archetipo.

La sua ombra si materializza nell’accanirsi in un amore infelice, arrivando ad un coinvolgimento ossessivo, accontentandosi e creandosi uno stato di sofferenza e insicurezza.

 

La dea Atena Alessia Mancini
Alessia, pur esclusa all’ultimo dalla fase finale, va considerata per il tipo di archetipo femminile che ha rappresentato. Alessia ha impersonato l’archetipo di Atena, dea greca della saggezza e dei mestieri, dai romani detta Minerva, nota per le strategie vincenti e per le soluzioni pratiche.

Come archetipo, rappresenta il modello seguito dalle donne razionali, governate dalla testa più che dal cuore, ha la capacità di mantenere il controllo in situazioni difficili o d’emergenza, mettendo a punto strategie adeguate che portano la donna ad agire con la determinazione di un uomo.

La donna Atena appare obbiettiva, impersonale e capace, l’organizzazione le viene naturale ed è una lavoratrice instancabile. Colei che incarna questa dea vive nella mente e spesso non è in contatto con il proprio corpo.

La sua negatività si manifesta nell’intimidire gli altri, nel potere di rendere sterili le esperienze altrui se non le ritiene importanti, può trasformare una conversazione in uno scarno resoconto di particolari; può mostrare mancanza di sensibilità e nasconde la sua vulnerabilità con autorità e critica. Rischia di dedicarsi sempre al lavoro, e di non staccare mai la mente.

Conclusioni

Le considerazioni finora fatte sull’Isola dei famosi, in merito ai suoi finalisti e sugli archetipi che da questi sono stati più o meno coerentemente e/o inconsapevolmente impersonati, vuole andare oltre il programma in se e cercare una generalizzazione che fornisca letture e riflessioni particolari.

Prima di tutto anche in un programma per molti aspetti criticabile e criticato dai suoi detrattori, si manifestano dei modelli che inevitabilmente richiamano dei processi di immedesimazione nel pubblico, qualunque sia la sua numerosità o il suo livello culturale.

Per grottesco che sia genera comunque una narrazione che ha delle strutture, ne più e ne meno come un film con una grande trama, questo è il punto più interessante; in fondo sono le forme che cambiano non le strutture che le sostengono.

É interessante notare anche la tendenza al ripetersi di certi archetipi: Il Guerriero, Afrodite, Persefone, il Saggio, sono figure che in linea di massima sono sempre in lizza per la vittoria finale.

Non vince sempre la rappresentazione dello stesso archetipo, questo è ovvio, perché spesso dipende anche dallo stacco con cui un protagonista sa impersonare quel modello e quanto possa a volte diventare grottesco o incoerente in questa sua involontaria rappresentazione.

Nell’Isola di quest’anno, il guerriero Amaurys perde inaspettatamente l’ultima prova del fuoco e inevitabilmente va al televoto precludendosi con ciò la vittoria finale.

Non si può tuttavia non notare come l’archetipo del guerriero sia risultato vincitore nel 2017 impersonato da Raz Degan, e nel 2016 da Giacobbe Fragomeni, e che comunque la sua personificazione risulti avere sempre un robusto consenso almeno fino alle battute finali.

Singolare invece, se la memoria non mi inganna, come certi archetipi femminili abbastanza forti e di rottura con gli stereotipi sociali come l’archetipo di Afrodite, giunto comunque alla fase finale con Malena nel 2017 e con Paola Caruso nel 2016, o come quello di Atena, impersonato da Alessia Mancini quest’anno e da Eva Grimaldi l’anno scorso, siano abbandonati proprio alle soglie del traguardo finale dal pubblico del televoto.

Sembra quasi che il pubblico subisca il fascino di certi archetipi quasi fino alla fine salvo poi dirottare verso modelli più comuni e rassicuranti.
Misteri dell’immedesimazione del pubblico!

1 per un sintetico ma efficace compendio sugli archetipi segnalo:
http://www.archetipi.org/
http://www.visionealchemica.com/le-sette-dee-dentro-la-donna/
le immagini sono state tratte da:
http://www.affaritaliani.it/sport/milan-news/isola-dei-famosi-2018-nino-ho-partecipato-per-far-vedere-che-gaspare-e-vivo-anche-senza-zuzzurro-535605.html
https://www.panorama.it/televisione/isola-dei-famosi-2018-nino-formicola/
https://www.comingsoon.it/tv/gossip/isola-dei-famosi-2018-nino-formicola-e-il-vincitore-della-tredicesima/n77446/
http://www.liberoquotidiano.it/news/spettacoli/13306296/isola-dei-famosi-bianca-atzei-strazio-max-biaggi-lacrime-diretta.html
http://www.oggi.it/gossip/gallery/francesca-cipriani-e-rosa-perrotta-e-sfida-sexy-sullisola-dei-famosi-guarda-le-foto/
https://it.blastingnews.com/tv-gossip/2018/04/anticipazioni-lisola-dei-famosi-squalificata-alessia-mancini-ecco-la-verita-002490279.html
https://popcorntv.it/curiosita/isola-dei-famosi-2018-chili-persi-dai-naufraghi/49885

 

CHE COSA SI COMMENTA SU FACEBOOK? IL DISCORSO VIRTUALE COME CATEGORIA EMERGENTE

CHE COSA SI COMMENTA SU FACEBOOK? IL DISCORSO VIRTUALE COME CATEGORIA EMERGENTE

Dalla fotografia di una giornata tutto sommato “tranquilla” qualche indicazione interessante: non è la politica il tema più utilizzato dalle pagine Facebook delle testate giornalistiche più seguite, ma tipologia di interazioni e tenore dei commenti quali effetti possono generare nell’ agenda dei media?

Navigando su Facebook tra il mio feed ed altre pagine, soffermandomi qua e là a leggere i commenti di gente che spesso non conosco nemmeno, mi è capitato più di una volta di interrogarmi sulla reale portata sociale di questo genere di conversazioni.

Mi domando quanto siano radicate certe convinzioni espresse ed in che misura siano ispirate dalle pagine dei giornali e modellate dal tono dei commenti dei partecipanti alla conversazione.
Nel libro Corpi sociali (G. Marrone – Einaudi, 2001) l’autore analizzando i discorsi sociali, contemplava alcune categorie discorsive quali il discorso pubblicitario, il discorso giornalistico ed il discorso politico come fonti prevalenti nell’ alimentare il più generale concetto di opinione pubblica di una società.

Ritornando ai commenti su Facebook in particolare, ho avuto l’impressione che queste categorie siano divenute insufficienti perché l’avvento dei social media e di Facebook in particolare, rendono necessario definire i contorni di una nuova categoria, quella del “discorso virtuale”.
Probabilmente qualcuno prima e meglio di me avrà già elaborato il concetto di discorso virtuale, sul quale tuttavia mi sento di aggiungere le mie considerazioni.

Ritengo di una certa importanza comprendere più in profondità gli effetti emergenti di questa tipologia di conversazioni che, fino a 5 o 6 anni fa sembrava spazio ludico e semiserio dei pionieri delle piattaforme social, mentre oggi invece sembra contagiare e coinvolgere una fascia sempre più ampia di popolazione di tutte le età.

L’attitudine a commentare soprattutto sui temi sociali più dibattuti non sembra più prerogativa di una sparuta minoranza di avanguardisti, ma coinvolge un numero sempre più grande di persone che prova a diffondere la propria opinione, che è disposto a scendere sul terreno degli insulti per difenderla, che tenta di esercitare più o meno consapevolmente una qualche influenza sulla propria cerchia di contatti.

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Intanto è importante distinguere tra lo spazio privato di ciascuno di noi, costituito da aspetti ludici o grotteschi che interessano solo una ristretta cerchia di amici, dal discorso virtuale di cui fanno parte contenuti riferiti ad aspetti e temi di natura sociale di più ampia portata, ove si delineano tendenze, si commentano fatti di rilevanza pubblica, si esprimono opinioni o giudizi avvalorati da tesi e conoscenze (spesso tutte da verificare!) e che implicano forti rapporti di intertestualità tra diversi temi.

A volte il confine tra queste due categorie è abbastanza labile: basti pensare ad esempio agli episodi di cyber-bullismo che si sviluppano nelle cerchie ristrette di amici e che travalicano questi confini quando provocano conseguenze anche tragiche, perché se entrano nel racconto dei media entrano a far parte dei discorsi virtuali dell’opinione pubblica della rete.

I media, o per stare al lessico sociologico, il discorso giornalistico proietta sulle piattaforme social le “esche” per lo sviluppo dei discorsi virtuali che si sviluppano in due modi:
– i commenti fatti direttamente a margine del post nella pagina dai vari “followers” che ospitano conversazioni estese tra persone che non si conoscono;
– la condivisione del post-notizia nel proprio profilo commentandolo, pratica che fa nascere spesso accese conversazioni nei gruppi (relativamente ristretti) di amici.

Tali conversazioni sono caratterizzate da una rilevante intertestualità che rivela le idee comuni e la risonanza che viene attribuita a certe tematizzazioni in un dato momento.
La rilevanza del fenomeno sta nel fatto che le dimensioni di queste conversazioni (a volte di diverse migliaia di commenti!) producono modificazioni nel discorso giornalistico, nel discorso politico ed anche nella formazione dell’opinione pubblica in generale.

Le modificazioni del discorso giornalistico si originano perché il feed-back diretto e tangibile del pubblico ad una certo articolo, rinforza il fenomeno della circolarità dei media, inducendo questi ultimi a pubblicare e dare rilevanza alle notizie più dibattute nonché ad adottare toni e linguaggi consoni al tipo di interazioni.

Di fatto quindi numerosità e portata delle interazioni non proietta la sua influenza soltanto sull’ agenda setting (la scelta degli argomenti proposta dai media) ma anche sul framing (la messa in forma degli argomenti stessi), facendo sì che ogni testata tenderà sempre più a modellare la “forma” della sua informazione a seconda il tipo di lettore-commentatore che frequenta le sue pagine.
Altro effetto indotto da questi fattori è che mentre nel passato l’informazione veniva “mediata” dagli organi di informazione su una linea che ponderava le opposte visioni dei lettori (anche da questo la denominazione di media), ora è verosimile che si diffonda una maggiore inclinazione a radicalizzarsi sulle posizioni e gli umori del proprio pubblico-commentatore.

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Ovviamente sono in ballo fattori di natura economica molto importanti legati agli introiti pubblicitari in rete che si saldano con quanto detto sopra e che rinforzano certe tendenze, ma questo rientra in altro discorso.

Conseguentemente queste evidenze sono facilmente accessibili anche al mondo politico il quale ovviamente tenderà a modificare la sua agenda politica o quantomeno ad adeguare la “messa in discorso” dei vari temi nel modo ritenuto più efficace per stimolare le reazioni del proprio pubblico.

L’ effetto prevedibile nell’opinione pubblica e che in parte è già stato possibile osservare in diverse situazioni, è la tendenza a frammentarsi in gruppi più o meno ampi di persone che attraverso la condivisione e le conversazioni in rete, trovano conferme e rinforzo ai loro punti di vista, finendo per radicalizzare le proprie posizioni e convinzioni.

Diffidenza nelle fonti ufficiali, complottismo e anti-politica sono soltanto alcuni tra i trend sociali più diffusi che si intrecciano con il fenomeno diffuso delle fake-news e del clickbaiting in un magma in cui diventa sempre più difficile distinguere tra informazione e disinformazione.

 Gli “informati” della rete – qualche statistica 

L’abitudine ad informarsi in rete per mezzo delle testate on-line ed i social media è pratica sempre più diffusa che non riguarda più una percentuale ridotta di persone, anzi le statistiche parlano di un fenomeno in crescente aumento in tutte le fasce della popolazione.

Le statistiche dicono che nel 2016 il numero di persone che si sono connesse a internet è cresciuto del 4% rispetto all’anno precedente (39.21 milioni di persone), mentre l’aumento di quelle che usano i social media è dell’11%; aumentano del 17% invece le persone che accedono a piattaforme social da dispositivi mobile per un totale di 28 milioni, che corrisponde a una penetrazione del 47% (fonte: wearesocial.com/digital-in-2017-in-italia-e-nel-mondo).

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Misurati in aumento anche gli utenti mensili di «current events & global news», che al lordo delle duplicazioni sono stati misurati in 20.55 milioni (dato maggio 2017), oltre 1,3 milioni in più rispetto ad Aprile che significa un +6.9%, la variazione maggiore fra tutte le categorie (fonte: www.datamediahub.it/report-su-quotidiani-italiani-social/).

Secondo il 14° rapporto Censis (fonte: www.primaonline.it/in-italia-il-60-delle-persone-segue-i-tg-per-informarsi-ma-tra-i-piu-giovani-cresce-il-peso-di-facebook/) invece i telegiornali sono usati abitualmente per informarsi dal 60,6% degli italiani, ma solo dal 53,9% dei giovani.
La seconda fonte d’informazione è Facebook con il 35%, ma nel caso degli under 30 il social network sale al 48,8%; stando ai dati, tra i mezzi utilizzati dai giovani per informarsi seguono i motori di ricerca su internet come Google (25,7%) e YouTube (20,7%).

Le persone più istruite, diplomate o laureate, restano affezionate ai tg generalisti (62,1%), ai giornali radio (25,3%) e alle tv all news (23,7%), anche se tuttavia danno comunque molta importanza a Facebook (41,1%).
I quotidiani vengono al sesto posto nella classifica generale: li usa regolarmente per informarsi solo il 14,2% della popolazione, il 15,1% delle persone più istruite, ma solo il 5,6% dei giovani.

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Sempre secondo tale analisi a più della metà degli utenti di internet è capitato di dare credito a fake news circolate in rete: è successo spesso al 7,4%, qualche volta al 45,3%.
La percentuale scende di poco tra le persone più istruite (51,9%), ma sale fino al 58,8% tra i giovani under 30, che dichiarano di aver creduto spesso alle bufale in rete nel 12,3% dei casi.

Fa pensare comunque che mentre i tre quarti degli italiani (77,8%) soprattutto tra diplomati e laureati (80,8%) ritengono le fake news un fenomeno pericoloso e pensano che le bufale sul web vengono create ad arte per inquinare il dibattito pubblico (74,1%) e per favorire il populismo (69,4%), sembra invece che i giovani diano meno peso a queste valutazioni: il 44,6% ritiene che l’allarme sulle fake news sia sollevato dalle vecchie élite, come i giornalisti, che a causa del web hanno perso potere.

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Infine per quanto riguarda i social media, la piattaforma che nello specifico ha un ruolo predominante per la possibilità di sviluppare conversazioni è Facebook, la quale a dicembre 2016 ha raggiunto 29 milioni di utenti attivi al mese, con un’audience di 24,6 milioni/giorno (fonte:http://vincos.it/social-media-in-italia-analisi-dei-flussi-di-utilizzo-del-2016/).

Quindi Facebook non è solo il luogo più affollato della rete, ma anche quello dove si trascorre più tempo con una media di 14 ore e 9 minuti/mese per persona; il 74% degli italiani che usa Facebook lo fa ogni giorno (contro una media globale del 55%).

Chiudo questa breve rassegna di dati riportando che, secondo Data Media Hub, la testata di Libero orientandosi su “gossip” e click baiting intercetta il 23,5% del proprio traffico on-line proprio da Facebook.

Sono dati in costante aumento e che nel momento in cui scrivo saranno già superati da nuovi record, numeri che danno la dimensione di un fenomeno importante, dove la percentuale di persone che vuole non solo informarsi, ma anche esprimere e diffondere il proprio punto di vista è in crescente aumento.

Per questo motivo interrogarsi sulla qualità di ciò che gli organi di informazione postano su Facebook è sicuramente importante così come comprendere gli atteggiamenti dei follower, aspetti che sia pure limitatamente, data la portata del fenomeno, affronto in questo post.
Ulteriori ricerche a più ampio spettro potrebbero esplorare più in profondità le tendenze emergenti e non escludo di ritornare sull’argomento in seguito.

 Che cosa viene commentato 

L’analisi è stata realizzata sul materiale pubblicato il giorno 19 settembre dalle ore 07.00 alle ore 20.00 sulle pagine Facebook di alcune tra le testate giornalistiche che hanno il maggior numero di followers (dato di settembre 2017 fonte: https://www.socialbakers.com/): la Repubblica (3. 435.022), Direttanews.it (2.957.609), Corriere della sera (2.456.342), il Fatto Quotidiano (2.154.297), Tgcom24 (1.847.054).

Pur non disponendo dei dati di visualizzazione delle varie pagine considerate, sappiamo che l’algoritmo di Facebook distribuisce i contenuti solo ad una parte dei followers (recenti aggiornamenti dicono che l’orientamento sia quello di ridimensionare nei feed il peso delle news a vantaggio di contenuti che suscitano interazione).
Pertanto si può supporre che ogni post-notizia sia distribuito ad una percentuale di followers che oscilla intorno al 10-15% con punte fino al 20% e che di questi una parte non consulti il proprio feed quotidianamente o che non lo esplori nella sua completezza, tanto per avere un’idea con buona approssimazione del pubblico che effettivamente legge la notizia.

Quanto e che cosa viene pubblicato dunque in queste pagine?
Non è la politica il tema più frequente proposto dalle pagine Facebook delle testate considerate: La repubblica propone solo 7 post su 38, il Corriere della sera 4 su 48, Tgcom24 6 su 58, Direttanews.it nemmeno uno, fa eccezione il Fatto Quotidiano che parla di politica in 30 dei suoi 71 post.

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La fotografia di una giornata, peraltro tranquilla, mostra una certa “iperattività” del Fatto Quotidiano per il numero di post pubblicati, seguito da Tgcom24, mentre la Repubblica, spesso molto attiva, non sembra aver trovato particolari ispirazioni in quella giornata.
Per quanto riguarda le interazioni invece, si è provveduto a calcolare la media di commenti, “reactions” (una volta erano solo “like”) e condivisioni per ogni post, e i risultati si possono vedere negli istogrammi riportati.

Mettendo in rapporto i dati ottenuti con il numero di followers della pagina, si ottengono dei coefficienti (per milione) che, in mancanza dei dati di insight, indicano qualcosa che si può definire come un indicatore della propensione ad interagire nei vari pubblici.

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Dai dati emerge che il pubblico di Direttanews.it è quello meno incline ad interagire, quello del Corriere il meno propenso a condividere mentre il pubblico del Fatto Quotidiano tende a farlo tre volte di più, che il pubblico di Tgcom24 è quello più propenso a mettere reactions, quasi il doppio rispetto agli altri, ed è anche il più incline a commentare, da una volta e mezza al doppio rispetto agli altri pubblici.

In sostanza questa è solo la fotografia di una giornata che ci offre qualche buon indizio in merito al tipo di discorso che nasce sulle piattaforme social, anche se i dati quantitativi disponibili non sono statisticamente sufficienti ad affermare una tendenza.
Ulteriori indizi si possono ottenere isolando la “top ten” dei 10 post di ogni testata che hanno ricevuto maggiori interazioni, che sono esposti nelle tabelle seguenti.

 La Repubblica 

repubblica

Un fatto di cronaca, un fatto politico e poi ancora cronaca per i tre post che hanno ricevuto il maggior numero di interazioni.
In particolare sentimento e solidarietà sociale sembrano essere il tema che impatta maggiormente per le reactions, mentre un tema politico a chiaro sfondo polemico riceve il maggior numero di commenti e condivisioni.

In sintesi a giudicare dai risultati della giornata in esame, sembrerebbe che la propensione ad interagire sia superiore su post che parlano di circostanze inusuali piuttosto che di fatti rilevanti per la loro portata sociale, che la politica è il territorio dei commenti, meglio se si tratti di argomenti che implicano aspetti polemici.

Con una certa sorpresa invece, un fatto potenzialmente di forte rilevanza mediatica come la violenza alla dottoressa della guardia medica di Catania, riceve un numero relativamente basso di interazioni, quasi che, non essendo il colpevole un immigrato, il fatto abbia perso quelle componenti di intertestualità che avrebbero prodotto un numero di commenti di gran lunga superiore, anche se le componenti polemiche non sono comunque mancate.

Il Corriere della sera 

corriere

Il caso Ryanair catalizza le maggior attenzioni, poi ancora un tema inerente il mondo del lavoro, ancora lavoro e antipolitica per i tre post che riscuotono il maggior numero di interazioni.

Da rilevare un alto numero di commenti per il famoso caso della Ferrari parcheggiata nel posto dei disabili e del fatto, meta cronaca e meta politica, che collega Di Maio a San Gennaro, sacro e profano.
Sembrano dunque diverse le preferenze del pubblico del Corriere della sera almeno in termini di interazioni.

In sintesi maggiore attenzione e coinvolgimento sui temi che riguardano il lavoro e la sua influenza sul sociale, poi a seguire i fatti di cronaca, mentre quello politico non è sembrato l’interesse dominante.

 Direttanews.it 

direttanews

Due fatti di cronaca tragici che riguardano bambini, poi un test sulla personalità mirato esplicitamente a veicolare traffico al sito, le “hits” di questa pagina.
Nel caso di Diretta News, pur in presenza di una diversa distribuzione di reactions, commenti e condivisioni tra i vari post, emerge in modo chiaro la prevalenza dei fatti di cronaca, meglio se nera, fatti di costume e gossip.

Una pagina dunque che preferisce concentrarsi e pilotare l’attenzione dei suoi lettori su temi meno “profondi”, che non sembra cavalcare l’onda lunga di alcuni macro temi molto battuti al momento come l’antipolitica o il fenomeno dei migranti o la sicurezza, che esprime i “malori” del sociale attraverso la cronaca nera e si distrae con il gossip e il grottesco dei fatti che illustra.

 Il Fatto Quotidiano 

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Un fatto tragico di cronaca, poi il fatto della violenza sessuale alla dottoressa della guardia medica di Catania, poi un fatto di costume che mette in evidenza le differenze culturali con le comunità islamiche nel territorio sono i post al top delle attenzioni tra i seguaci del Fatto Quotidiano; seguono per interesse i post che parlano di politica.

Sembrerebbe singolare questo livello di interesse sugli argomenti di una testata che ha fatto dell’antipolitica e del giornalismo d’inchiesta sul malaffare della politica il suo cavallo di battaglia.

In realtà, al di fuori del post che descrive la tragedia del giovane torero in Spagna, tema che comunque richiama alla mente vecchie e mai sopite polemiche su questo genere di spettacolo, appare evidente una certa intertestualità tra i temi di natura politica, il fatto di violenza e gli usi di una comunità religiosa diversa, quali effetti indotti dalla malapolitica.

Evidente dunque che la politica e la sua stretta relazione con i problemi che influenzano la vita sociale e la quotidianità sia il filo conduttore di questa testata.

Tgcom24 

tgcom24

Un fatto di cronaca di violenza sessuale, poi il caso toccante dell’anziana sfrattata dalla sua casetta di legno giudicata non regolare in una delle zone terremotate, un fatto di sport con Valentino Rossi.

Si nota anche una certa distribuzione di commenti e condivisioni che si indirizza su altri temi e che fa pensare ad una testata che ha abituato il suo pubblico a mantenersi ad una certa distanza dai temi della politica, che indugia sulla cronaca e sui fatti di costume, che in tal modo riceve dal pubblico un alto numero di interazioni.

 Conclusioni 

Dunque non è la politica il tema più frequente delle testate giornalistiche su Facebook, anche se su di essa si sviluppano spesso le conversazioni più accese caratterizzate spesso da toni abbastanza “feroci” e che segnano le divisioni e gli schieramenti in modo netto.

Chiaramente un giudizio globale delle testate andrebbe fatto considerando che l’effetto di senso complessivo che il lettore costruisce è dato da un legame latente tra le varie notizie, tuttavia tentare una “lettura” di questo tipo tra le varie pagine diventerebbe fortemente interpretativo e discrezionale, per cui evito di entrare nel merito.

Appare opportuno ricordare il diverso grado di coinvolgimento tra le varie interazioni, dalla facilità di un like (largamente il più utilizzato persino impropriamente in alcuni casi), alla scelta di condividere un contenuto nella propria cerchia, alla pratica di commentare che impone di uscire allo scoperto con il proprio punto di vista, richiedendo perciò un rilevante coinvolgimento cognitivo ed emotivo al tempo stesso.

Infatti non sempre il maggior numero di reactions, implica un maggior numero di commenti o condivisioni, anzi a volte sembra quasi che esistano tendenze ad interagire variabili in base alla tipologia di contenuti.

In ogni caso i numeri relativi alle interazioni rappresentano comunque un indicatore di gradimento dei temi e quindi la loro intensità segnala cosa fa parte del “senso comune” di questo discorso virtuale.

D’altronde ho già avuto modo di soffermarmi su un fatto di cronaca di una certa rilevanza mediale per osservare le differenze di atteggiamento che il tipo di contenuti proposti ingenera nel proprio pubblico nel lungo termine (http://sb.aidazerouno.it//personalita-social-su-facebook/), differenze che emergono proprio dalla lettura dei commenti.

Non è troppo difficile per gli editori, basandosi su questi commenti, raccogliere le tendenze in atto e orientare in tal modo le proprie strategie editoriali.
Logica conseguenza che ci si può attendere, e che anche in questo caso si riscontra nelle parole delle conversazioni, riguarda la modifica di un certo genere di semantiche e delle relative semiotiche sociali, dalla quale scaturisce l’esaltazione di particolari aspetti emotivi della comunicazione.

Un effetto questo che in qualche caso esce dallo spazio virtuale per entrare nella quotidianità dei gruppi di conoscenti attraverso il passaparola e che, possiamo ben immaginare in quali casi, produce un effetto “regressivo” dell’opinione pubblica del tutto simile allo stesso genere di effetti attribuibili alle dinamiche della folla.

nota: Le infografiche relative alle statistiche del pubblico della rete sono state tratte dalle fonti citate nel testo
ALDE O EFDD? I TRAVAGLI INTERIORI TRA I SOSTENITORI DEL MOVIMENTO 5 STELLE

ALDE O EFDD? I TRAVAGLI INTERIORI TRA I SOSTENITORI DEL MOVIMENTO 5 STELLE

Un’esplorazione tra ideali e pragmatismo, malumori e dedizione tra i sostenitori del Movimento all’indomani della controversa questione sulla possibile adesione al gruppo europeo ALDE, attraverso i commenti espressi sul blog di Beppe Grillo. Quasi 1.000 commenti tra argomentazioni, opinioni, delusioni e dichiarazioni di fede che offrono una istantanea sugli atteggiamenti dei sostenitori

Credo che Renzi sbagli profondamente nel definire il Movimento 5 Stelle un algoritmo, evidentemente considerandolo solo per la sua struttura organizzativa, perché leggendo i commenti dei sostenitori del movimento, si percepiscono convinzioni ed atteggiamenti che hanno significati di assoluto interesse per una lettura del sociale.
In questi contenuti infatti si comprende abbastanza bene quali siano i fattori che motivano ed influenzano scelte ed azioni dei sostenitori nel medio e lungo termine più di quanto possa fare una struttura organizzativa di partito.

Chiarisco subito che questo scritto non è e non vuole essere un’analisi politica del fatto in questione e delle sue conseguenze future, ma soltanto una ricerca sociale che si pone l’obiettivo di saperne qualcosa in più sul sistema di credenze raccolto in una piazza virtuale, che è sicuramente parte delle narrazioni quotidiane del momento.

In questi commenti infatti, ancorché originati su uno specifico momento, si possono intravedere tracce significative del sistema di rappresentazioni sociali, di quali siano gli ancoraggi con il quale i nuovi fatti vengono metabolizzati, quali siano i sistemi di valori di riferimento di simpatizzanti ed attivisti del movimento.
In tal modo si possono intuire quali siano le convinzioni, i sogni e gli immaginari collettivi di un’aggregazione di consenso che si è formata nel giro di pochi anni e la cui identità è ancora da sedimentare, ma che tuttavia esprime atteggiamenti e scelte politiche in modi a volte anche veementi.

Nell’esame di questi commenti, pur mantenendomi alla larga da qualunque valutazione politica, emerge abbastanza chiaramente che la motivazione basilare degli aderenti al movimento sia rappresentata dalle profonde delusioni provate negli schieramenti in cui si erano fino ad ora riconosciuti e che la loro provenienza sia assai disparata, in alcuni casi palesemente opposta, così come appaiono sostanziali differenze nel modo di intendere l’azione politica, improntata al pragmatismo per alcuni, animata dagli ideali in altri.

Mi viene in mente il libro di Serge Moscovici “La fabbrica degli dei”, nel quale lo psicologo francese in un discorso molto articolato asseriva in sostanza come l’agire sociale spesso non sia il frutto del pensiero razionale ma il risultato di scelte fideistiche che poi vengono in qualche modo razionalizzate dagli individui.
Un ragionamento la cui complessità non si può certo spiegare in tre righe, ma il cui fondamento si presenta quando in alcuni commenti, pur partendo da tesi diametralmente opposte, si va a convergere su questioni e punti di vista che sono argomentati e razionalizzati giungendo alla fine alle stesse conclusioni.

D’altronde, avendo memoria della storia politica degli ultimi decenni, non sarebbero facilmente spiegabili fenomeni opposti come gruppi molto stabili dell’elettorato di alcuni partiti, il cosiddetto “zoccolo duro”, che fa il paio con spostamenti molto forti, sorta di fenomeni “migratori” concentrati in tempi ristretti, verso neonati movimenti.
Al di fuori da interpretazioni politologiche, su cui ribadisco di non voler entrare, sono fenomeni che trovano spiegazioni nei principi di identità, formazione e appartenenza ai gruppi, propri delle scienze sociali, che possono venir potenziati da strategie comunicative adeguatamente contestualizzate ed in tal senso rinvio ad un testo molto interessante in merito (Marketing Moving – G. Ceriani – Angeli 2004).

Fatta questa lunga premessa, vediamo ora che cosa è emerso dai commenti inclusi al post pubblicato sul blog del Movimento 5 Stelle dove si invitavano i “commentatori certificati” ad esprimersi in merito alla possibile uscita dal gruppo di deputati europei dell’ EFDD e la conseguente adesione al gruppo ALDE.

Leggendo i commenti emerge immediatamente che una categorizzazione basata su un generico “favorevoli” o “contrari” e/o “delusi” sarebbe un po’ superficiale e che una descrizione più approfondita degli stati d’animo emersi richiede un maggior dettaglio.
Senza voler esagerare nelle distinzioni, le parole lasciano intravedere una diversità di atteggiamenti che possono essere categorizzati in sette diverse classi di seguito descritte:

  1. I fedelissimi: il gruppo di coloro che manifestano fiducia cieca nei principi del movimento e soprattutto si fidano senza riserve del capo “spirituale” individuato nella figura di Beppe Grillo, ne approvano l’operato razionalizzando qualunque sua scelta anche se la stessa dovesse apparire contraddittoria; rifiutano, anche con una certa veemenza, qualunque critica e chiunque si esprima in modo diverso, spesso bollandolo con spregio nei termini ormai codificati del dileggio grillino (troll, Piddioti etc.). Nel riquadro alcune espressioni o parti di esse che, ancorché decontestualizzate, esprimono il sentimento di appartenenza al gruppo.fedelissimi
  2. I favorevoli realisti: sono coloro che pur argomentando qualche riserva sulle scelte o sulle modalità di votazione adottate, si adeguano per accondiscendenza e spirito di adesione alle dinamiche proprie della maggioranza del gruppo; prevale in fondo il credito di fiducia verso il capo, e riescono in qualche modo a razionalizzare scelte all’apparenza contraddittorie, facendo del pragmatismo il loro criterio ispiratore. Nel riquadro alcune espressioni che ne descrivono l’approccio.favorevoli-pragmatici
  3. I dubbiosi analitici: esprimono il dubbio sulle scelte del movimento o meglio del suo capo ed elaborano le loro riflessioni critiche ma di fatto non giungono ad una conclusione, in alcuni casi confessano di non sentirsi all’altezza di capire o di giudicare e rimangono in attesa di spiegazioni e soprattutto di rassicurazioni dal vertice del movimento; l’accondiscendenza al gruppo come dinamica di riferimento non appare in discussione.dubbiosi
  4. I critici moderati: esprimono disagio e disaccordo sulla linea a volte con toni pacati, altre volte con toni più duri, ma è un disaccordo che rimane comunque all’interno del sentimento di appartenenza al gruppo, di cui si possono criticare anche le azioni e le scelte dei vertici, pur non venendo meno i fini e la statura morale superiore; in questa categoria tuttavia i principi morali del gruppo precedono e sono superiori al peso del capo ideologico che può essere fallace e messo in discussione.critici
  5. Gli “incazzati” duri: sono molto infuriati per le scelte del movimento e per il modus operandi dei vertici e lo argomentano con toni duri e senza mezzi termini; non sembrano tuttavia in discussione i principi ispiratori del movimento, che rimangono sacri come si percepisce dalle parole, così come lo spirito di adesione al gruppo che si avverte ancora saldo nonostante la delusione, mentre la leadership, che può cadere vittima delle tentazioni di potere, può essere messa in discussione perché tutto sommato non gode di una fiducia di tipo trascendente, anzi.incazzati
  6. I delusi: son quelli che sono fortemente amareggiati dal movimento e dal modo di agire del gruppo dirigente, sul quale esprimono una chiara e netta sfiducia, e la frase “cialtroni e ladri di sogni” sintetizza molto bene i sentimenti provati. Comunque i principi che avevano portato all’ adesione al movimento sono ancora vivi e nonostante le parole ed il disagio non sembrano poi così tanti quelli che dichiarano di non voler più votare il movimento o che lo faranno realmente, perché in parte, nonostante la delusione provata, sarebbero ben felici di captare qualunque segno di redenzione che non li obblighi ad affrontare un ulteriore e profondo conflitto interiore per scegliere una nuova appartenenza politica.delusi
  7. Gli Esterni: dai loro commenti e dal tipo di parole usate in alcuni casi in modo palese, in altri vagamente dissimulate (voi), si comprende come questi non appartengano (spiritualmente!) al Movimento e che tuttalpiù ne siano vagamente simpatizzanti, mantenendo comunque una certa distanza; in tal caso la loro critica, scontata, è da ritenere estranea agli stati d’animo propri dei sostenitori.

esterni

Le frasi prescelte, sulle quali per ragioni di spazio è stato necessario operare una forte sintesi, cercano di far intravedere alcuni concetti basilari che animano le rappresentazioni sociali e l’immaginario collettivo dei sostenitori grillini.

Giova ricordare che la modalità di aggregazione prevalente al Movimento 5S è stata, almeno fino a poco tempo fa, basata sulla rete, e che attraverso questa è stato possibile esercitare un forte potere di attrazione in quella massa di delusi (giustamente!) in fuga dalle rispettive identità politiche di appartenenza.
La loro provenienza politica infatti, sia di “destra” che di “sinistra”, viene dissimulata dalle retoriche e dal lessico utilizzato e, a seguito delle delusioni patite, ha trovato una “casa” comune nella “terra promessa” dell’onestà, della trasparenza, nel comune sentimento definito di “antipolitica”, nella speranza di poter contare di più (“uno vale uno”).

Quindi pur con una identità ancora in fase di sedimentazione, la motivazione originaria di appartenere a questo gruppo è stata senza dubbio molto consistente ed interiormente sentita ed il credito di fiducia attribuito molto forte.
Poiché evito di entrare più in profondità su aspetti di natura politica, il lettore curioso potrà trovare soddisfazione ai suoi interrogativi trovando direttamente sul blog di Beppe Grillo i commenti espressi.

 Il lessico
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Probabilmente a causa del tema originatore, nei commenti non sono stati rintracciati elementi di forte interesse sul piano semantico-lessicale che si manifestassero con frequenze di rilievo.
Risparmierò al lettore noiose dissertazioni e tavole statistiche, riassumendo solo alcuni punti significativi.

Dalla sommaria analisi del contenuto eseguita sui testi, i predicati verbali “essere”, “avere, “fare” si sono manifestati con una certa frequenza nelle varie forme flesse, risultato abbastanza scontato visto il tema.

Da rilevare un uso marcato della terza persona “è” e “sono” rispettivamente utilizzati in media una volta ogni commento e una ogni due.
Frequente, ma per altro prevedibile visto l’argomento, il lessema “votare” e le sue varie forme flesse che compaiono in circa il 70% dei commenti, mentre i sostantivi non strettamente connessi all’argomento e ai soggetti in discussione, contraddistinti da frequenze relative assai limitate non rappresentano particolarità degne di nota.
Una curiosità per il lessema “tradire” (comprese le sue forme flesse) che è stato utilizzato meno di una volta ogni 20 commenti.

Emerge invece un uso marcato di elementi del discorso come l’avverbio di negazione “non” utilizzato in media 1,5 volte per ogni commento, la congiunzione avversativa “ma” e la congiunzione condizionale (o dubitativa) “se” utilizzate in media una volta ogni 2 commenti, l’avverbio “perché” utilizzato quasi una volta ogni 4 commenti, indicatori di un discorso sofferto caratterizzato da negazioni, dubbi e tentativi di elaborare nessi di causalità.

 I risultati ottenuti 
grafico-risultati

I circa 1.000 commenti (suddivisi in 4 pagine a margine dell’articolo) sono stati postati nel blog di Beppe Grillo dal giorno 8, quando è stato pubblicato l’articolo sul blog, al giorno 11, successivamente al rifiuto del gruppo ALDE di accogliere i deputati europei del Movimento; scontano quindi una certa variazione del contesto e con il passare del tempo hanno visto crescere lievemente la quota degli “incazzati duri” ed in modo più marcato quella dei “delusi”, ma le categorie di stati d’animo rilevate sono rimaste le stesse.

Ne sono stati campionati casualmente 535 fra le varie pagine, numero più che sufficiente ad evidenziare la ricorsività dei concetti e delle categorizzazioni adottate.
Non si può escludere che qualcuno abbia commentato più volte, tuttavia il depurare i dati raccolti da queste inesattezze avrebbe richiesto un tempo di lavorazione di gran lunga superiore al vantaggio conseguibile in termini di precisione di qualche decimale, che in fondo non è l’obiettivo vero di questo lavoro.

Peraltro anche la categorizzazione di uno stato d’animo o un atteggiamento attraverso un commento scritto, è ovviamente un lavoro che necessita del lavoro interpretativo dell’analista, per questo motivo chiarisco che le percentuali espresse non hanno pretesa di precisione ma servono a dare l’idea di quali siano gli ordini di grandezza dei vari stati d’animo rilevati, anche se è verosimile che le oscillazioni non sarebbero tali da dimezzare o raddoppiare i dati riportati; ripeto era più importante capire il tipo di atteggiamenti e di credenze espresse.

La lettura dei risultati ci dice che esiste una schiera assai compatta e numerosa di “fedelissimi”, la cui appartenenza al movimento, come già detto, rasenta dimensioni fideistiche e riguarda circa un terzo dei commentatori.

“Favorevoli realisti” e “Dubbiosi analitici”, sia pure con qualche riserva, sono in linea di massima accondiscendenti alle scelte del gruppo dirigente, e sono due gruppi che sommati rappresentano poco più di un quarto dei commentatori.

I due gruppi “Critici moderati” e “Incazzati duri” che pesano per circa il 30% dei commenti, si differenziano più che altro per i toni usati, nella sostanza criticano o prendono le distanze dal gruppo dirigente, e di fatto operano un sostanziale distinguo tra gli ideali che animano il Movimento e i leaders che possono anche essere messi in discussione.

Appare assai contenuto il numero dei “Delusi”, che globalmente vale circa l’11% ma che ha registrato una dinamica incrementale durante i quattro giorni in cui sono stati caricati i commenti; va detto tuttavia che i toni di delusione espressi ed i propositi manifestati più o meno apertamente di non votare più il movimento, non debbano a mio giudizio essere annoverati “ipso-facto” in voti persi, perché la percentuale di coloro che effettivamente non voterà più il gruppo probabilmente è molto più ridotta di quanto emerso in questo frangente.

Esiguo il gruppo degli “Esterni” che si riconoscono soprattutto per una semiotica discorsiva che dissimula l’opposizione io-voi e dai loro commenti si deduce che non attendessero altro che l’emergere di contraddizioni in seno al Movimento per poter commentare con soddisfazione una sorta di “lo sapevo che sarebbe finita così”, ma la loro quota è inferiore al 5%.

 Conclusioni 

Ho l’impressione che il fatto controverso di questo cambio di gruppo, poi rientrato, sia stato accolto con uno spirito diverso dai vari settori di opinione pubblica.
Mentre i media e le persone che non si riconoscono nel Movimento hanno, anche con una certa sorpresa, stigmatizzato la serie di decisioni contraddittorie del leader del movimento, per i sostenitori dei 5 stelle la risonanza e l’importanza stessa da attribuire al fatto sembrano complessivamente minori.

I sostenitori del Movimento hanno criticato la scelta anche duramente, ma i legami di appartenenza a questo che oltre ad essere un movimento rappresenta una promessa di valori da lungo tempo assenti nella scena politica, sembrano molto più solidi di una semplice preferenza politica optata sulla scorta di promesse elettorali.

Si tratta di legami basati su valori idealizzati che vanno anche oltre le valutazioni di tipo razionale e pragmatico e che continuano ad esercitare la propria forza fino a che, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, non risulti evidente l’inesistenza o il tradimento di questi ideali.

L’aspetto interessante raccolto nella lettura dei commenti è stato proprio questo, ovvero il comprendere attraverso questi che il Movimento per molti non rappresenta semplicemente una preferenza politica, ma una speranza, un sogno ideale e questo produce uno spirito di appartenenza e una capacità di accondiscendenza alle dinamiche del gruppo molto forti, al punto che ogni singolo riesce poi a razionalizzare anche gli elementi in contraddizione che non entrino in aperto contrasto con gli ideali fondanti.

PERSONALITA’ SOCIAL – FACEBOOK INFLUENZA LA FORMAZIONE DEL “SENSO COMUNE”?

PERSONALITA’ SOCIAL – FACEBOOK INFLUENZA LA FORMAZIONE DEL “SENSO COMUNE”?

Come ragionano le persone che davanti ad un video postano commenti sui social? Quali sono i loro punti di vista e la loro visione del mondo? Fino a che punto sono influenzabili dai contenuti pubblicati? È possibile raggrupparli in target audience relativamente omogenei?

Domande frequenti in chi opera nel mondo dei social sia perché dietro un commento non si sa mai chi c’è realmente, sia perché questi media rappresentano un fenomeno ancora troppo giovane per poter disporre di riferimenti sociologici consolidati sui loro effetti, così da poter costituire sicuro riferimento.
Se per i media tradizionali è stata in più occasioni dimostrata e descritta la loro capacità di influenzare gli atteggiamenti del pubblico, la stessa cosa non si può ancora affermare con pari certezza riguardo i social media.

Tuttavia sembra che Facebook abbia compiuto delle ricerche in tal senso, isolando due gruppi omogenei di persone ed esponendoli per un certo periodo di tempo a contenuti diversi; i risultati dimostrarono che gli atteggiamenti dei due gruppi verso certi elementi erano diversi in relazione al tipo di contenuti a cui erano stati esposti.

Certo questa ricerca, peraltro poco pubblicizzata, non costituisce prova definitiva, ma comunque rappresenta un punto importante su cui cercare ulteriori conferme empiriche.
Nella frequentazione delle cosiddette piazze virtuali, una persona trova delle fonti dalle quali attinge spesso per costruire le proprie conoscenze sui fatti sociali, cerca conferme alle proprie opinioni, trae spesso la convinzione in merito alla accettabilità e alla condivisione dei propri punti di vista.

Non ingannino le conversazioni “furibonde” che alcune volte si scatenano sui social perché in ogni caso si tratta spesso di polarizzazioni che appartengono allo stesso frame, e capita che un qualsiasi utente possa fare una breve escursione in “territori ostili”, ma riflettendo introspettivamente è logico pensare che quando si è liberi di scegliere, si preferisca frequentare luoghi e persone con le quali si ha una certa affinità di pensiero, per cui è verosimile che questo accada anche nelle cosiddette piazze virtuali.

In tal senso, ho effettuato una sintetica ricerca sulle pagine Facebook di due quotidiani assai diffusi come il Corriere della Sera e il Giornale, selezionando i post pubblicati relativi a un caso che ha occupato le prime pagine di tutti i media e ho analizzato i commenti che sono stati aggiunti, con lo scopo di mettere in luce quali siano state le prese di posizione sul caso e quali fossero le idee comuni emergenti più diffuse, con uno sguardo anche alle modalità lessicali utilizzate per veicolare tali punti di vista.

La scelta è ricaduta su questi due quotidiani perché pur avendo posizioni diverse su vari aspetti di carattere sociale e politico non si collocano su poli estremi, fatto che avrebbe reso relativamente scontate le differenze rintracciate.

 Le modalità di ricerca 

La ricerca è stata effettuata sulle pagine dei due giornali il giorno 10 marzo, prendendo a campione il caso dell’omicidio Varani ed effettuando la rilevazione dei commenti pubblicati alle ore 15.00 circa.

I commenti sono stati analizzati leggendoli uno ad uno perché l’obiettivo era quello di disvelare le opinioni comuni sullo sfondo aldilà delle parole usate per esprimerle, si trattava quindi di operare un “sentiment analisys” assai poco automatizzabile e molto artigianale perché diretto a decodificare sottintesi, toni ironici o espressioni gergali utilizzate (es. “metteteli in galera e buttate via la chiave”).

Privilegiato quindi l’aspetto qualitativo anche perché il numero di commenti disponibili non era elevatissimo, per cui un’analisi quantitativa su un campione numericamente non adeguato sarebbe tacciabile di scarsa significatività. Ciò nonostante, numeri e dati che comunque riporto, aldilà della significatività statistica, hanno l’obiettivo di descrivere per grandi linee una dimensione del fenomeno osservato.

Considerata l’efferatezza dell’omicidio di Luca Varani, nei commenti si sono riversate tensioni emotive che ovviamente hanno condizionato buona parte dei commenti specialmente per quanto riguarda il lessico utilizzato e le posizioni espresse sulla vicenda, tuttavia per quanto riguarda le opinioni più o meno dissimulate nelle parole, sono emersi aspetti interessanti circa la diffusione di certi punti di vista non solo verso la questione giustizia, ma anche verso questioni sociali di una certa rilevanza.

Sono stati considerati 194 commenti inseriti nel post del Corriere della sera e 173 commenti apparsi in 4 differenti post pubblicati dal Giornale, mentre il numero di commenti risultati indecifrabili in entrambe le testate è stato abbastanza basso. Ogni commento considerato poteva contenere sia una presa di posizione sul caso, sia palesare una o più convinzioni.

Il Corriere della sera ha pubblicato un unico post alle ore 6.45 utilizzando una immagine sbiadita del volto di uno dei responsabili, quasi a voler simulare i famosi manifesti “wanted” della filmografia western, operando in tal modo una sorta di disumanizzazione del soggetto, cercando di sbiadire i tratti da ragazzo perbene di colui che si è macchiato di un crimine efferato. Il titolo si incentra su una procedura giudiziaria, gli interrogatori, e su un aspetto ormai abbastanza frequente nei casi giudiziari che è divenuto un’antecedente nella memoria collettiva, ovvero lo scambio di accuse tra i due colpevoli. All’ora della rilevazione i commenti erano di poco superiori a 200.

Il Giornale invece ha pubblicato 4 post, alle ore 10.35, alle 11.10, alle 12.25 e alle 14.30, utilizzando immagini che ritraggono l’altro colpevole, mostrando in primo piano un volto ogni volta in posa per lo scatto, quattro foto differenti di altrettanti momenti dove la composizione fotografica evoca i tratti del narcisismo e della personalità multipla del colpevole. Nei titoli i temi cavalcati sono stati il tentativo degli avvocati di appellarsi a incapacità parziali dei colpevoli, il tentativo di confondere l’accusa, l’efferatezza del delitto compiuto e l’espressione deteriore dell’omosessualità quale concausa dell’omicidio.
I commenti ricevuti nei quattro post sono stati complessivamente 178 e ancorché pubblicati su post diversi sono apparsi abbastanza omogenei, per cui potevano essere analizzati globalmente allo scopo di ricavare una fotografia degli atteggiamenti espressi.

composizione post

In entrambi i casi invece non sono state prese in considerazione le risposte ai vari commenti.

 I risultati emersi 

I contenuti dei commenti ai post sono stati analizzati definendo due categorie di informazioni: la prima relativa alle varie prese di posizione che il pubblico ha assunto sul caso riguardo la colpevolezza degli accusati e la pena da infliggere; la seconda ricavando ed etichettando gli “schemi mentali” (vds. Polmonari, Cavazza, Rubini – Psicologia Sociale) attraverso i quali vengono costruiti i processi di ancoraggio ai nessi causali del fatto; infine è stato operato un confronto tra alcune delle unità lessicali dotate di significatività più utilizzate.

Una breve digressione a margine del poliforme concetto di schemi mentali, per rinviare alle pregevoli elaborazioni del concetto di Rappresentazioni sociali di Moscovici, della definizione di senso comune che proviene tra gli altri da Clifford Geertz e Pierre Bourdieu, ma anche del più datato, ma sempre interessante, concetto di idee comuni di Gustav Flaubert; ovviamente le definizioni da me utilizzate in questo lavoro tengono conto di un certo legame di sinonimia di questi concetti.

      1. La tipologia di prese di posizione sul caso ha rivelato molte similarità, anche se espresse in modi e lessico diverso, evidenziando una maggiore predisposizione dei followers del Corriere a prendere posizione (202 volte) in confronto ai followers del Giornale (112volte); tali posizioni sono state:
        – favorevoli all’ergastolo o comunque a situazioni di carcere duro e senza sconti di pena (76 Corriere, 29 il Giornale);
        – favorevoli alla pena di morte o comunque raffigurando modi di espiazione della pena in rapporto di sinonimia con la morte, espresse lasciando trasparire un forte senso di sdegno e di vendetta (42 Corriere, 26 il Giornale);
        – il senso di orrore per quanto commesso dai due e la convinzione che siano entrambi colpevoli allo stesso modo (38 Corriere, 22 il Giornale);
        – la convinzione che i due colpevoli, con l’aiuto di famiglie e avvocati, metteranno in atto la tattica di rimpallarsi le responsabilità per eludere la pena (35 Corriere, 10 il Giornale);
        – la convinzione che gli avvocati proveranno ad utilizzare le astuzie processuali per far eludere o limitare la giusta pena ai colpevoli (11 Corriere, 25 il Giornale).
        Per operare un confronto i dati sono esposti in percentuale nei grafici sottostanti.TABELLA 1Da questa infografica possiamo notare come per alcune posizioni non emergano forti differenze, tuttavia si vede come il pubblico del Corriere esprima una forte propensione all’ergastolo quale giusta condanna e la convinzione che i due colpevoli tenteranno qualche escamotage per eludere la pena, mentre nei followers del Giornale emerge l’indignazione, prevedendo il susseguirsi delle astuzie degli avvocati finalizzate ad evitare la giusta punizione ai colpevoli, in quasi un quarto delle posizioni espresse, oltre all’aumento dei fautori della pena capitale.
      2. Gli schemi mentali riconducibili alle convinzioni sia sulle concause probabili, sia sul futuro decorso della giustizia invece fanno registrare differenze nel tipo di opnioni e nella diffusione delle stesse, così come schematizzato nella tabella sottostante:TABELLA 2Su questo piano le differenze come si può vedere sono abbastanza rilevanti e possono risalire sia a diversità socio-culturali tra le due tipologie di followers, sia al tipo di framing che viene più o meno palesemente richiamato dai titoli dei post.Infatti, mentre sul Corriere lo scambio di accuse è la tematizzazione di riferimento, fatto quindi che ispira nei lettori della pagina una presa di posizione sul tema (202 volte), nel Giornale la combinazione dei 4 post ed i rispettivi titoli, tendono a richiamare i frame dell’omosessualità e del decadimento morale e sociale che molto probabilmente ispirano più l’espressione del senso comune, nel tentativo di trovare spiegazioni al verificarsi di eventi così efferati.Difatti nel caso del Giornale circa un terzo delle convinzioni riscontrate, indica nell’omosessualità e nella degradazione che ad essa idealmente si collega un nesso causale più o meno strettamente collegato al caso, mentre le responsabilità educative indotte da genitori benestanti che nel Corriere era stata riscontrata in oltre un terzo delle idee emerse, nel Giornale cala sensibilmente.Infine appare degno di nota richiamare l’attenzione sulle percentuali in merito alle convinzioni rilevate sui giudici e sulla giustizia in genere, perché mentre nel Corriere sembra predominante il riferimento alla giustizia come soggetto astratto che palesa delle lacune nell’assicurare la meritata condanna, nel Giornale il concetto viene oggettivato e la maggiore responsabilità viene attribuita alla persona del giudice quale attore che non applica bene la legge.
      3. Ne consegue che il lessico è abbastanza in linea con posizioni manifestate e idee emerse, così che mentre nel Corsera le parole più frequenti sono mostri, figli, padre, ergastolo, galera, droga, nel Giornale emergono schifo, avvocati, assassini, gay, giudici, e nella lista delle 15 parole più utilizzate, solo 5 sono comuni ad entrambe ma con rango e indici di frequenza assai diversi. Da riportare invece singolari espressioni come “metterli in galera e buttare la chiave” quale raffigurazione che sembra dare una parvenza di maggiore concretezza della privazione della libertà a vita piuttosto che la parola ergastolo.

TABELLA 3
Conclusioni 

Se ci si sofferma con attenzione sui titoli dei post, le differenze emerse nel tenore dei commenti sembrano avere una correlazione con gli stessi abbastanza evidente, per cui è verosimile pensare che le tematizzazioni utilizzate nei post abbiano un ruolo non secondario nell’ispirare certi principi e nell’orientare il tipo di conversazione che ne scaturisce.

Il quadro che emerge da questi risultati sembra offrire una piccola ma ulteriore conferma; anche i social media sono in grado di influenzare gli atteggiamenti, e questo accade attraverso una duplice azione: da una parte la notizia che proviene dal mainstream informativo dei media; dall’altra il framing operato da ogni singola testata o pagina che influenza il tipo di conversazione che si produce in questa piazza virtuale e che finisce per stimolare reciproche influenze nei partecipanti, ma anche per persuadere coloro che passivamente leggono questi commenti nella convinzione che siano socialmente approvati e diffusi.
A riprova di ciò sono state abbastanza frequenti espressioni gergali pressoché identiche.

Chiaramente il risultato di questo lavoro costituisce un’istantanea su un aspetto perché ovviamente i sistemi di rappresentazioni sociali e di visione del mondo, più o meno omogenei, si sedimentano con il tempo e finiscono poi per orientare valori ed atteggiamenti.

Appare perciò quantomeno verosimile affermare che siamo di fronte non solo alla democrazia della rete, come entusiasticamente sostenuto da alcuni, ma all’uso più o meno consapevole di nuove e più sofisticate forme di influenza delle opinioni nel panorama sociale dei media di cui anche i social, lo ripeto ancora, fanno prima di tutto parte.

 

Infografiche realizzate da Manuel G. Bernardini
manuelg.bernardini@gmail.com
FARE BRANDING IN UN’ORGANIZZAZIONE ATIPICA – QUALI IMPLICAZIONI?

FARE BRANDING IN UN’ORGANIZZAZIONE ATIPICA – QUALI IMPLICAZIONI?

Esistono soggetti atipici come istituzioni o persino come i contingenti militari impegnati in operazioni di peacekeeping che devono comunque tutelare la propria immagine, o per meglio dire ‘fare branding’: quali implicazioni derivano dalla loro particolare natura e quali modelli utilizzare?

Le politiche di branding1 delle organizzazioni sono un fattore abbastanza complesso che oltretutto devono mutare strategie e applicazione in base al settore di attività ed al contesto in cui operano.
Teorie e modelli esistenti, oltre ai vari riferimenti bibliografici, sono il frutto di numerosi studi che hanno in larga parte mutuato dal marketing il loro approccio empirico, quello cioè di un soggetto che opera collocando sul mercato prodotti e servizi in aderenza alle logiche di consumo.

Sostanziali sono le differenze che condizionano le strategie di un brand originate non soltanto dalle differenze tra i vari settori di consumo, ma anche e soprattutto dagli aspetti sociali e culturali che possono entrare in gioco in un determinato momento o contesto, ed in tal senso il riferimento ad organizzazioni senza fini di lucro, ovvero a soggetti istituzionali, è ovviamente esplicito.

In questa sede si parlerà del branding di un soggetto atipico quale può essere considerato un contingente multinazionale impegnato in una operazione di peacekeeping in aree di crisi, operando di tanto in tanto un confronto con la realtà di una qualunque impresa.

Alcuni precisazioni a premessa del discorso:

– mentre un’impresa opera con tecniche di marketing e di comunicazione promuovendo attività e prodotti verso un pubblico che ha un atteggiamento in linea di massima neutro o favorevole, di frequente un contingente multinazionale deve iniziare ad operare in ambienti tendenzialmente, o in alcuni casi, palesemente ostili, sia per eventi passati, sia per la presenza di stereotipi culturali; in alcuni casi potrà trovare un atteggiamento neutrale ma si tratta di aperture a tempo limitato perché qualora certe aspettative delle popolazioni indigene non fossero soddisfatte, tale neutralità tende rapidamente a trasformarsi in ostilità.

– Per i contingenti militari chiamati ormai sempre più spesso ad intervenire in situazioni di crisi, l’uso della forza è sempre più condizione estrema e puramente episodica, mentre il contatto con la popolazione civile è costante e frequente, pertanto è inevitabile portare avanti una strategia del consenso con quest’ultima da perseguire sempre più attraverso attività di comunicazione che debbono essere sempre più raffinate e soprattutto appropriate.
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Di fatto analizzare una situazione limite come quella di un contingente multinazionale permette di affermare che nessuna entità o organizzazione, sia che si tratti di un soggetto politico o di un’istituzione pubblica, può più sottrarsi all’esigenza di progettare e sviluppare una propria politica di branding, esigenza resa ancor più pressante dalla viralità della comunicazione indotta dal web.
Conseguentemente è opportuno chiedersi a quale tipo di modello far riferimento e quali azioni saranno necessarie per dare pratica attuazione a quelle attività che nei soggetti che sto considerando passano ancora sotto una generica ed inadeguata definizione di immagine, concetto ormai obsoleto nel mondo della comunicazione.

Nella realtà attuale e non certo per ricalcare una moda, il concetto di immagine non può essere disgiunto da quello onnicomprensivo di brand che meglio risponde all’ipercomplessità ambientale e che necessariamente richiede un modello a più dimensioni.
Inoltre non va dimenticato che ogni soggetto impegnato in un contesto sociale, sicuramente più delicato del contesto di consumo per gli aspetti in gioco, ha bisogno di strumenti che meglio consentano lo sviluppo di un’efficace narrazione (o storytelling se si preferisce).

Un modello tra i più dettagliati in uso nell’ambito commerciale è il Brand Care System della GPF & A. (Gian Paolo Fabbris & Associati), un ottagono del brand che ne definisce il territorio a 360 gradi, definendo le sue dimensioni in: experience, product benefit, value for money, brand fingerprint, icon, intangible, brand personality, competence (vds. immagine).
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Si può notare facilmente che alcune tra queste dimensioni sono poco attinenti al tipo di organizzazione di cui parlo o per un’istituzione che operi senza fini di lucro, dove in ballo ci sono valori identitari e culturali di altra natura rispetto alle percezioni legate al consumo e agli stili di vita.
D’altronde l’ambito di una istituzione e le caratteristiche di brand che, consapevole o meno, incorpora, sono il frutto di una costruzione diacronica che origina nella memoria sociale e che si costruisce nel tempo.

Perciò non saranno sufficienti soltanto le tradizionali campagne di comunicazione mirata, ma bisognerà tenere conto delle interazioni intercorse tra i componenti dell’organizzazione e l’ambiente sociale tra passato e presente, cercando di ricostruirne il senso senza reticenze.
Per cui è opportuno interpretare le politiche di branding in chiave narrativa, ricostruendo pazientemente anche l’intreccio dei fatti passati per determinare i contorni dei “protagonisti” già presenti negli immaginari collettivi della gente, capire a che punto della storia ci si innesta quando si immette un messaggio di qualunque tipo nell’ambiente, pena negare le proprie campagne di qualsiasi parvenza di credibilità.

Necessario pertanto proporre un modello che possa risultare adeguato a questa tipologia di soggetti affinché rappresenti una guida di riferimento alle attività di “tutela dell’immagine”, che d’ora in poi sarebbe più che appropriato definire brand (l’equivalente italiano è “marca” ma sembra suonare con significato riduttivo!).
Quello che seguirà nelle prossime righe è dunque un modello multidimensionale applicabile al caso di un contingente multinazionale, come affermato all’inizio, che appare comunque ben adottabile anche per altre realtà istituzionali.
Gli otto fattori dell’ottagono sono stati delineati con lo scopo di descrivere il territorio del brand riferibile a questo genere di organizzazioni che operano in contesti sociali la cui audience risulti identificabile nel complesso concetto di opinione pubblica2.
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      • Reputazione quale somma di diversi contenuti che sono presenti nella mente della nostra audience e che consistono nelle tracce di episodi passati esistenti nella memoria collettiva, nei precedenti riferiti ai comportamenti osservati in certe situazioni, nei racconti e nei luoghi comuni che circolano tra la gente, nella credibilità e affidabilità che vengono percepiti dal corpo sociale in base alle sue osservazioni e ai racconti che scaturiscono dal sistema dei media. È un fattore fortemente condizionato dagli stereotipi, ed in quanto tale è di fatto attribuito dall’audience, per cui il compito dell’organizzazione è quello di ricostruirne i contorni annidati nella mente della gente e cercare di modificarli progressivamente innestando nelle narrazioni quotidiane nuovi fattori che correggano gli eventuali precedenti negativi. Ad esempio la reputazione di contingenti italiani in Libia sarebbe ancora notevolmente condizionata dai precedenti coloniali di quasi un secolo fa, così come viene ancora percepita in Libano la presenza francese.
      • Identità quale risultato di fattori che però in questo caso possono essere alimentati e gestiti dall’organizzazione mediante comportamenti, postura, approccio normativo, valori a cui dimostra di ispirarsi, atteggiamenti manifestati verso la cultura e il contesto sociale dell’ambiente circostante, posizioni che si decide di prendere di fronte a controversie locali e fatti quotidiani. Per esempio in Kosovo, nonostante la dichiarata volontà di essere imparziali, il contingente nella sua globalità ed in base alle azioni tradotte in essere, veniva percepito come favorevolmente orientato verso l’etnia albanese soprattutto dalla componente serba, anche se ciò non corrispondeva in linea di massima al sentimento dei peecekeapers.
      • Immagine come risultante di tutti i segnali inviati all’audience che in prevalenza, ma non esclusivamente, sono di carattere visuale. Si concretizza attraverso i modi di rappresentarsi veicolati attraverso i vari media nelle attività di comunicazione pianificate ma anche, da non sottovalutare, attraverso l’agire quotidiano delle forze impiegate all’esterno che viene attentamente osservato dalla popolazione indigena diventando poi elementi di conferma o di svalorizzazione di quanto comunicato sui media. Tutto quanto rilevato va ad alimentare poi l’immaginario collettivo dell’audience di riferimento, ne modella le mitografie esistenti, va a porsi in stretta correlazione con le credenze legate alla reputazione. Come non citare ad esempio un video che circolava su youtube che mostrava un mezzo militare americano muoversi e farsi largo “a sportellate” tra le auto civili in mezzo al traffico di kabul, o come dimenticare le rimostranze che la popolazione libanese muoveva contro i mezzi francesi colpevoli a loro dire di transitare a velocità troppo elevata nei centri urbani o di danneggiare le strade con i loro mezzi pesanti.

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      • Scopi e obiettivi perseguiti dal contingente e dettati dagli organismi internazionali (che non sempre tuttavia godono di buona reputazione), ponendo attenzione a veicolare in modo corretto la volontà dell’organizzazione ma avendo cura soprattutto che la popolazione indigena percepisca correttamente questi concetti. Poiché la corretta comunicazione di questi aspetti è un fattore nella disponibilità dell’organizzazione, suo è l’onere e la responsabilità di entrare in sintonia con l’audience ricercandone una possibile condivisione valoriale e cercando di interpretarne anche umori e perplessità eventuali che riguardano gli effetti del proprio operato. È purtroppo assai frequente che dopo un certo periodo di tempo aumentino distanze e incomprensioni tra il contingente da una parte e le popolazioni dall’altra, il primo impegnato a comunicare fini politicamente corretti e l’ultima a fare i conti con una quotidianità troppo distante dalle dichiarazioni imbalsamate di circostanza.
      • Azioni condotte come accurata descrizione di quanto fatto e del modo di operare del contingente, possibilmente senza reticenze e senza prestare il fianco alla comunicazione di parte avversa che, quando trova zone d’ombra, trova gli spunti migliori per screditare l’operato del contingente stesso cercando di minarne alla base i requisiti di credibilità. Bisogna oltretutto tenere conto che non tutto quanto viene fatto può essere notato dalla popolazione e che spesso la conoscenza dei fatti è il frutto o del passaparola, o del racconto del sistema dei media locali che deve essere attentamente monitorato nelle semantiche utilizzate verso l’audience di riferimento. Non si possono dimenticare situazioni nel quale i media locali non fossero quasi per nulla interessati al racconto dei fatti del contingente impegnato, diventando invece molto più proattivi in caso di notizie che potevano gettare discredito alla forza di pace.
      • Risultati ottenuti attraverso i propri sforzi e le proprie azioni, anche in questo caso preferendo schiettezza e franchezza a comunicazioni di circostanza che, come nel punto precedente, possono essere facilmente attaccate e smontate dai sistemi di comunicazione locale che possono facilmente godere, in virtù del radicamento sul territorio, di un vantaggio competitivo in termini di credibilità. L’aspetto relativo ai risultati ottenuti, troppo spesso trascurato, deve cercare di dare la prova empirica della bontà dei propri scopi e del proprio operato e deve cercare dati oggettivi e concreti che non possano essere facilmente smontati dalle contro narrazioni di parte avversa. La sostanza delle cose, sperando ovviamente di poterla offrire, è sempre il miglior sistema per alimentare la propria reputazione e giustificare la propria presenza sul territorio. Allo stesso tempo deve essere adeguatamente monitorato e contrastato quanto in termini di insuccessi venga costruito e attribuito in modi più o meno striscianti da parte avversa, bisogna conoscere l’entità anche di certi luoghi comuni dei locali perché questo diventa il materiale utilizzabile per minare la credibilità dell’operato del contingente nel suo complesso.

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      • Patrimonio simbolico e valoriale in parte emanato dal proprio atteggiamento complessivo, in parte attribuito come ricordo delle storie del passato e del racconto del sistema dei media locali. È la traduzione degli elementi visuali in valori e simboli ed è assolutamente intangibile. Giova ricordare che spesso, specialmente nei territori in cui si interviene, esistono forti differenze tra il livello economico di provenienza degli appartenenti al contingente e la situazione della popolazione indigena, e questo guida preventive e stereotipate attribuzioni di valori rispetto alla cultura locale, un aspetto tendenzialmente pregiudizievole all’instaurarsi di relazioni umane di fiducia e credibilità.
      • Relazioni intersoggettive ovvero l’insieme delle relazioni formali tra il contingente e le altre istituzioni o organizzazioni locali e le relazioni interpersonali che possono intercorrere tra alcuni membri del contingente e personale indigeno, sia che si tratti di leader politici o capo clan, sia che si tratti di interpreti e lavoranti nella base o di semplice popolazione locale. Le relazioni personali possono essere un fattore molto forte nell’influenzare il discorso sociale, persino più efficaci di qualsiasi messaggio qualunque sia il medium che lo trasmette, anche se purtroppo la loro diffusione in termini numerici non riesce ad essere troppo estesa. È importante comunque sottolineare che ogni positiva relazione instaurata può stimolare un effetto advocacy che si propaga influenzando positivamente la percezione del contingente nel suo complesso. La costruzione di una rete di relazioni, strategia che sta assumendo un peso maggiore negli ultimi anni come fattore di successo, può assicurare un notevole contributo ad una politica di branding del contingente, dando anche l’opportunità di controllare e stemperare percezioni dissonanti circolanti nell’audience di riferimento.

 Conclusioni 

In conclusione mentre può sembrare relativamente semplice costruire sopra prodotti tangibili una serie di attributi intangibili, viceversa appare assai più complesso costruire nell’intangibilità un nucleo di contenuti stabile e riconosciuto.

Sembrano pertanto maturi i tempi per introdurre il concetto di branding anche per organizzazioni, quali appunto un contingente multinazionale, le quali non potendo fondare su un prodotto tangibile la propria politica, mediante un modello più strutturato e specificamente dedicato come quello presentato potrebbero meglio contrastare le, a volte notevoli, difficoltà che incontrano a veicolare se stesse.

Si parla spesso di narrazioni e di comunicazione strategica ignorandone tuttavia, dal mio punto di vista, i presupposti che le sostengono alla base. Non si può infatti pensare di affermare una narrative che dir si voglia, senza prima aver categorizzato e monitorato tutti i vari fattori che sono invece ben presenti nella mente dell’audience e che se non ben definiti, possono costituire un sistema di credenze in grado di rendere la popolazione assolutamente impermeabile a qualsiasi serie di impulsi proveniente dall’esterno.

1 Pianificazione e gestione di tecniche di marketing e di comunicazione per la creazione, la gestione e lo sviluppo di una marca o “brand”; può definirisi anche come brand management.
2 Si può definire l’opinione pubblica come l’aggregazione delle attitudini di pensiero collettive di un sistema sociale, somma delle opinioni dei singoli, che la comunicano nei modi più disparati utilizzando gli strumenti di comunicazione esistenti; protagonisti della sua diffusione, più o meno fedele o rielaborata, sono i mass-media che in tal modo influenzano sia le decisioni politiche, sia la popolazione stessa che in qualche modo l’ha originata (vds. anche Allport, Habermas, Lippmann).