da Sergio Bernardini | Set 26, 2020 | MANAGEMENT E FORMAZIONE
Una breve analisi su un metodo che consente di elaborare progetti di formazione specifici per reti di imprese per mezzo di una matrice a tre dimensioni, che può costituire una interessante opportunità per le PMI aderenti alle reti
La complessità del momento e le difficoltà economiche attuali, impongono la revisione dei modelli organizzativi specialmente nell’ambito delle PMI.
Assume notevole rilevanza anche la preparazione del personale impiegato o da reperire, per cui la formazione, spesso trascurata, è un fattore di successo da non sottovalutare.
Le PMI in tal senso scontano maggiori difficoltà rispetto alle imprese più grandi perché non hanno la forza di strutturare progetti formativi proprietari, per cui devono affidarsi a ciò che il mercato della formazione offre.
La possibilità di creare reti di imprese permette alle PMI di trovare soluzioni al problema, con l’opportunità di realizzare progetti formativi dotati di standard adeguati a soddisfare le esigenze delle imprese aderenti, con notevoli risparmi sui costi e con la possibilità di accedere con più facilità ai canali della formazione finanziata.
Adottando un metodo progettuale per “cluster” si riesce più agevolmente a trovare una risposta alla domanda di specificità di cui ha bisogno ogni impresa per la formazione delle proprie risorse umane.
Parlerò di un metodo da me utilizzato con ottimi risultati in organizzazioni complesse, molto diverse tra loro anche per cultura, che condividevano soltanto settore di attività e obiettivi comuni di missione.
Con tale metodo progettuale, le numerose attività formative, molto frammentate da paese a paese, hanno trovato un comune denominatore e uno standard da seguire.
Utilizzando una matrice a tre dimensioni, come si vede in figura, si possono collocare su ogni asse i fattori fondamentali di un qualsiasi progetto formativo.
Ogni dimensione consta di una serie di “cluster” che rappresentano gli elementi fondanti a cui un’attività formativa deve dare risposta:
- Personale partecipante: a partire dalla leadership e dal management passando per i dipendenti nei vari ruoli, fino agli aspiranti all’impiego che, auspicio di tutte le imprese, si vorrebbero già pronti. Pur nella diversità di ogni impresa, alcuni ruoli svolgono funzioni ed hanno attribuzioni simili, specialmente tra aziende dello stesso settore; pensiamo ad esempio ad un responsabile amministrativo, a un responsabile marketing o a un funzionario commerciale.
- Job requirement: le abilità, capacità e competenze necessarie ad assolvere una certa funzione. Ad esempio, l’uso di metodi di auditing e di controllo piuttosto che l’utilizzo di strumenti per il web marketing sono competenze necessarie in certe funzioni assai comuni in molte imprese, fatte salve le particolarizzazioni eventuali.
- Cluster knowledge: i “gruppi” di conoscenze e cognizioni necessarie per consentire di assolvere con efficacia a determinate funzioni; ad esempio sono dei “cluster” norme e regole di contabilità, la pianificazione strategica, il digital marketing, i social media, etc. Questi “cluster” di conoscenze sono forniti da un insieme di aspetti teorici e di applicazioni pratiche, e devono consentire al personale di applicarsi speditivamente e con efficacia alle proprie funzioni, accorciando i tempi di acquisizione del “know-how” personale, generando più rapidamente economie di scala e, fatto non secondario, relazionarsi efficacemente con gli altri attori coinvolti nel processo.
Naturalmente i cluster delle tre dimensioni variano in base alle imprese partecipanti ad una rete, richiedono un’attenta analisi e non sono standardizzabili in “copia e incolla”.
Questo lavoro di analisi e scomposizione delle abilità lavorative e delle conoscenze necessarie è propedeutico alla progettazione delle attività formative.
Una volta definiti i vari cluster di conoscenze, questi potranno essere combinati con un sistema modulare per diventare corsi che rispondano all’esigenza di indicare dei destinatari, degli obiettivi formativi, e degli argomenti da trattare.
Questo metodo di progettazione possiede diverse proprietà:
- Modularità: la definizione di cluster che formeranno i vari corsi e la determinazione iniziale delle competenze necessarie alle varie funzioni, facilitano la creazione di più corsi di minor durata da seguire con maggior facilità e con una logica di progressività da parte del personale partecipante.
- flessibilità: la struttura della formazione per moduli consente di creare varianti che possano attagliarsi meglio alle esigenze di alcune imprese, conservando al contempo l’architettura complessiva del progetto.
- Facilità di aggiornamento: la struttura modulare consente di intervenire facilmente su quei moduli che debbano essere aggiornati o modificati, ovvero che non risultino adeguati per efficacia o per i trainer, mantenendo inalterata la struttura complessiva.
- Risparmi nei costi di progettazione e svolgimento: standardizzazione e modularità consentono risparmi nella progettazione, organizzazione e svolgimento delle attività e facilitano la possibilità di accedere alla formazione finanziata con la presentazione di progetti ad ampio respiro.
- Condivisione di conoscenze: all’interno di un’impresa si rende più semplice la condivisione di quelle conoscenze comuni che possano diminuire le conflittualità interne tra le varie funzioni a tutto beneficio dell’efficienza.
Un metodo non semplice, ma fortemente consigliato ad una rete di PMI che vogliano puntare sulla formazione come fattore critico di successo, realizzando un progetto ad ampio respiro in grado di funzionare con una logica e una visione pluriennale.
da Sergio Bernardini | Ago 23, 2020 | PIANIFICAZIONE STRATEGICA E MARKETING
Torniamo a parlare di obiettivi , tema centrale della pianificazione aziendale per esaminare alcuni aspetti inclusa la decodifica dell’acronimo S.M.A.R.T. di provenienza anglosassone.
Le cinque iniziali significano:
- Specific – specifico;
- Measurable – misurabile;
- Achievable (Assignable) – realizzabile (attribuibile a chi);
- Realistic (Relevant) – realistico (pertinente);
- Time-bound – in tempi stabiliti;
Non tragga in inganno la apparente banalità di questo concetto che non è poi così scontato; basterà provare ad applicare il metodo nella formulazione di obiettivi per accorgersi che non è poi così facile come sembra.
Non a caso nel mio precedente articolo obiettivi generali nel digital marketing parlavo di categorie di obiettivi, perché se prendiamo ad esempio l’obiettivo “incrementare le vendite” (quale impresa non desidera farlo?), una formulazione così fatta non risponderebbe certo ai requisiti “SMART”.
Pertanto l’adattamento alle varie realtà delle categorie citate in quell’articolo, dovrà senz’altro essere fatta utilizzando il metodo SMART appena descritto.
Ma c’è un’altro aspetto che va sottolineato.
Alcuni obiettivi dimostrano di avere un’ampiezza e una proiezione temporale ben più vasta di altri.
Anche in questo caso devo prendere a riferimento la terminologia anglosassone, che in parte denota il diverso approccio culturale al problema.
Infatti nelle procedure di pianificazione si possono incrociare le definizioni di “goal” e “objective” che nella nostra traduzione letterale corrispondono entrambi alla parola obiettivo; in realtà non è corretto.
Nel loro approccio alla materia, la definizione di “goal” di norma sta per “dichiarazione che definisce ciò che un’organizzazione si propone di realizzare a livello economico, organizzativo o progettuale, breve e chiara definizione di risultati da raggiungere entro un periodo di tempo in linea di massima di 3-5 anni.”
Invece il termine “objective” è “una definizione specifica, misurabile, attuabile, realistica e limitata nel tempo (di norma entro un’anno) che indica le azioni da intraprendere per realizzare un obiettivo particolare funzionale al raggiungimento di obiettivi (goals) strategici”.
Esistono numerose definizioni e sfumature, per cui senza estenuanti sofismi ritengo comunque consigliabile adottare una distinzione tra “scopo” (goal) e “obiettivo” (objective), dove questi ultimi sono più specifici, limitati nel tempo e nello spazio e forniscono maggiori dettagli rispetto allo/agli scopi.
Altro aspetto che richiederebbe un’analisi accurata riguarda le relazioni tra i vari obiettivi: “incrementare le vendite” è un obiettivo realizzabile quale conseguenza (effetto) del raggiungimento di altri obiettivi o di serie di azioni a premessa, che potrebbero ad esempio consistere in “lancio di 2 nuovi prodotti sul mercato entro l’anno” oppure “realizzare due campagne promozionali di sconti sul prodotto entro l’anno” e via dicendo.
Per brevità mi riprometto di tornare su quest’ultimo punto in futuro per delineare un metodo di approccio e sviluppo.
da Sergio Bernardini | Lug 24, 2020 | PIANIFICAZIONE STRATEGICA E MARKETING
Stakeholder: chi sono, quali relazioni e cosa implicano
Stakeholder, termine nato nel 1963 presso il Research Institute dell’Università di Stanford, definisce un soggetto interessato o attivamente coinvolto in un’iniziativa economica, progetto o azienda che sia.
In questa definizione sono compresi tutti quei soggetti “portatori di un interesse” nei confronti di un’azienda che pertanto rientrano a pieno titolo nel “pubblico” di questa.
Errato dunque pensare restrittivamente che il pubblico di un’azienda sia costituito solo dai suoi clienti effettivi e/o potenziali, mentre invece include tutti quei soggetti o gruppi che, interessati più o meno direttamente all’attività di questa, ne possono condizionare favorevolmente o meno lo svolgimento delle sue attività e dei suoi risultati.
Va da sé dunque che tutti i soggetti rappresentati in figura possano avere relazioni potenziali di interesse economico (azionisti, dipendenti), mutuo sostegno (fornitori, partner), influenza ambientale (istituzioni, media), conflitto (organizzazioni sindacali, concorrenti), acquisto (clienti attuali o futuri).
Pertanto ogni gruppo diventa idealmente destinatario di messaggi “appropriati” con lo scopo di influenzarne le azioni, e con ciò implica l’esigenza di una comunicazione “strategica”, concetto che va un pò oltre la ormai datata definizione di comunicazione integrata.
Ultimo ma non meno importante, per questi motivi bisognerà riconsiderare il concetto di ”immagine del brand” verso un più esteso concetto di “reputazione del brand” sia in termini di soggetti destinatari, sia in termini di “storia” nel quale si forma tale “reputazione”. Tornerò più avanti su questo aspetto.
da Sergio Bernardini | Giu 7, 2020 | SOCIAL MEDIA
Un’ aspetto non nuovo ma mai sufficientemente ribadito alle aziende sono le ragioni per cui la gente utilizza i social media.
Sicuramente la gente non utilizza i social media per osservare la pubblicità delle aziende, ne ha l’intento di acquistare qualcosa come se fosse al supermercato.
Tali effetti possono essere stimolati e raggiunti ma come conseguenza e non come risultato diretto.
In estrema sintesi tra le principali ragioni sociologiche che spingono la gente ad utilizzare i social media troviamo:
- narcisismo, edonismo e divismo;
- ricerca di momenti ludici e intrattenimento;
- proiezione di identità socialmente desiderabili, non realizzate nella realtà;
- ricerca di Popolarità e prestigio;
- bisogno di informarsi anche a scopo professionale;
- desiderio di esprimersi, di creare contenuti;
- affinità, rassicurazione sui propri convincimenti e superamento delle barriere d’influenza nella relazione faccia a faccia;
- relazionalità e nuove conoscenze.
Pertanto un’ impresa, grande o piccola che sia, deve considerare queste ragioni, incontrarle o soddisfarle nel miglior modo possibile se vuole che un generico pubblico si trasformi prima in followers e poi in clienti.
L’ansia di incrementare le vendite può essere cattiva consigliera.
Ottenere vendite, aldilà della complessità del processo d’acquisto tipico di ogni prodotto o servizio, è il risultato di un percorso dove il pubblico deve acquisire consapevolezza, relazione, credibilità e fiducia nell’impresa attraverso un “discorso” prima di acquistarne i prodotti.
da Sergio Bernardini | Giu 3, 2020 | PIANIFICAZIONE STRATEGICA E MARKETING
Quali variabili di scenario considerare per utilizzare un approccio olistico all’analisi dell’ambiente in cui un’impresa deve operare?
Nella tabella viene presentato un modello che deriva dalla pianificazione strategica militare e riconvertito ad un ambito commerciale.
Tale modello contempla 6 variabili in grado di dettagliare lo scenario in cui l’impresa opera, definibili con un acronimo che denominiamo SEMICI e che si sostanziano in:
Sociale: implica la conoscenza approfondita del territorio e della gente, il loro grado di potenziale accettazione del business e dei prodotti/servizi dell’impresa.
Economia: implica l’analisi e la valutazione dell’andamento economico del macro-micro ambiente e/o della comunità locale dove il business si dovrà concretizzare.
Media: capire le abitudini di uso dei media implica poter scegliere e valutare la sostenibilità nonché pianificare il modo più efficace per raggiungere il proprio pubblico potenziale e far conoscere impresa e prodotti.
Istituzioni: le dinamiche politico istituzionali nonché l’identificazione di soggetti e gruppi in grado di influenzare l’ambiente circostante, possono avere grande influenza nello sviluppo, permanenza e prosperità dell’impresa.
Concorrenza: la valutazione dei concorrenti, della loro aggressività sul mercato, nonché la presenza di barriere all’entrata di nuove imprese sono aspetti fondamentali nel determinare l’attrattività di un mercato.
Infrastrutture: intese come tutte le strutture materiali e di risorse umane che condizionano la possibilità dell’impresa di operare in modo redditizio e influenzano la struttura dei costi, sia diretti che indiretti.

L’esame obiettivo e approfondito di queste 6 variabili fornisce gli elementi basilari per valutare le possibilità di successo di un impresa e la possibilità di costruire il vantaggio competitivo della stessa.