da Sergio Bernardini | Set 2, 2016 | NARRAZIONI SOCIALI, IMPERDIBILI
Social media come Twitter e Facebook sono diventati i protagonisti delle notizie in anteprima e dei loro tempestivi approfondimenti, cosicché telegiornali e carta stampata devono conformarsi alla trattazione fatta su queste piattaforme. Questo ne segna di fatto la supremazia nello spazio informativo, condizionando stili e strategie del discorso giornalistico
Prendo lo spunto dall’ incidente ferroviario di Andria per compiere un’analisi del discorso giornalistico che si sviluppa in casi come questo, un genere che diventa sempre meno discorsivo e sempre più narrativo1, uno stile giornalistico-comunicativo favorito dall’ evoluzione tecnologica del sistema dei media e che rientra nel più vasto campo della comunicazione di eventi di crisi.
Anche in questo caso, come in altri, è stato possibile individuare tracce di struttura che ogni volta tendono a caratterizzare il racconto e a stimolare le emozioni dei destinatari.
In questo caso sono stati presi in esame gli articoli pubblicati on-line dal Corriere della sera, la Repubblica, La Stampa, il Fatto Quotidiano, il Giornale entro i quattro giorni seguenti la tragedia, alcune prime pagine dei giornali cartacei nei tre giorni successivi, e i post pubblicati su Facebook dal Corriere della sera e dalla Repubblica nei due giorni successivi.
Scontato ma opportuno ricordare che ormai la costruzione del discorso giornalistico deve seguire i ritmi imposti dalle testate on-line e dai social media che esigono notizie concise corredate da immagini da diffondere a brevi intervalli temporali piuttosto che le più corpose inchieste che si costruivano nel passato sui media tradizionali, e ciò comporta un cambiamento nel racconto della storia.
Anche se i dati raccolti a supporto delle tesi illustrate riguardano soltanto il caso di cui si parla, stante la difficoltà a distanza di tempo di rinvenire materiali e tempistiche di pubblicazione di altri fatti simili, ciò nonostante la memoria di questi e l’esame dei documenti selezionati rappresentano un elemento abbastanza probante in merito all’ esistenza di strutture di questo genere giornalistico.
Tra l’altro la strage provocata dall’ atto terroristico di Nizza avvenuta la sera del 14 luglio, nemmeno quattro giorni dopo, ha riproposto le medesime tracce di struttura osservate in questo caso.
L’analisi sarà basata esclusivamente sul materiale giornalistico tralasciando completamente i commenti e focalizzandosi sulla sequenza dei contenuti pubblicati.
I dati
Nella tabella seguente sono riportati il numero di articoli pubblicati on-line dalle testate campionate che per certi aspetti costituiscono un indice di risonanza attribuito all’ evento durante i primi giorni seguenti l’accaduto.
Da notare il ridotto numero di articoli pubblicati dal Giornale, indice forse di una redazione più contenuta.
I numeri tradotti in grafici danno un’idea immediata di quello che possiamo, magari un po’ aridamente, definire il ciclo di vita della notizia e possiamo notare come la similarità della forma delle varie curve indichi il ricorso o quantomeno l’utilizzo delle medesime tracce strutturali nella costruzione del discorso giornalistico da parte delle varie testate.
Molto sinteticamente anche un breve esame effettuato su alcune prime pagine dei giornali stampati mostra una presenza del fatto in prima pagina complessivamente più contenuta, palesando tuttavia come titoli ed immagini tendano molto presto a topicalizzare aspetti e temi che si allineano alle loro posizioni pseudo politiche. Nelle immagini si può osservare la differenza nei modi di tematizzare2 l’evento stesso.
Su Facebook sono state prese a campione le pagine con il maggior seguito come la Repubblica e il Corriere della sera; sulle stesse sono stati pubblicati rispettivamente 43 e 38 post a partire da un’ora dopo la tragedia (ore 11.15 circa) fino alle 52 ore successive al fatto.
La sequenza cronologica dei post in termini di frequenza si può osservare nella tabella:
La struttura narrativa del racconto giornalistico
Nella messa in discorso di questo fatto, così come di eventi dello stesso tipo, sezionando il testo sarà possibile isolare strutture che hanno carattere di ricorsività pur presentandosi in forme diverse.
Queste strutture, di natura virtuale, sono in grado di sostenere uno schema narrativo di questo genere giornalistico e preludono alla sua messa in discorso come sinteticamente descritto di seguito:
- Elaborare la tematizzazione: procedimento attraverso il quale l’informazione di un fatto viene organizzata e valorizzata ponendo l’enfasi su particolari aspetti che possano conferirgli una risonanza e una posizione dominante nell’agenda del ricevente. La sua articolazione formale dovrà quindi essere adeguatamente predisposta affinché sia in grado di mantenere viva l’attenzione ed il senso di attesa del lettore (es. “Scontro tra treni in Puglia, la maledizione del binario unico”– Corriere della sera -12/07/16).
Per questo motivo, gli elementi costituenti questa struttura di norma vengono frazionati e divulgati cronologicamente in diversi momenti, concorrendo a costituire una sorta di intreccio come in una scenografia.
- Predisporre l’isotopizzazione: consistente nel collegare mediante rapporti di causalità, il racconto dell’evento con altri discorsi sociali presenti sulla scena, creando una intertestualità e una serie di rimandi con altre narrazioni (es. “Lo scontro tra i treni in Puglia e le responsabilità della cattiva politica” – Corriere della sera -12/07/16) in modo da farle sembrare simili o accomunate dagli stessi fattori presenti sulla scena sociale. Tipici esempi possono essere: ritardi nell’esecuzione dei lavori generati dalla corruzione, carenze tecniche provocate da una governance carente, errori umani o negligenze causate da orari di lavoro stressanti o rinnovi contrattuali scaduti da tempo etc.
- Creare l’attorializzazione, procedimento di virtualizzazione dei soggetti necessari alla messa in discorso del fatto, protagonisti o comparse che siano, mediante la scelta dei ruoli sociali e la loro caratterizzazione al fine di dare corpo e sostanza alla storia (es. “Scontro treni: vigili del fuoco e ruspe al lavoro per tutta la notte” – la Repubblica – 12/07/16). In questa struttura si collocano le vittime, i parenti delle vittime, i soccorritori, i testimoni, i presunti responsabili, gli uomini delle istituzioni, i politici, i personaggi famosi etc.
- Metaforizzare i miti negativi: le strutture di isotopizzazione e attorializzazione utilizzate nel racconto dei fatti, mediante retoriche allusive richiamano più o meno esplicitamente certe visioni del mondo, figure mitiche dotate di una carica negativa come l’ingiustizia, il cinismo del potere, l’errore umano, l’accanimento del destino sui deboli (es. “Scontro treni Puglia, abituati a essere figli di un Dio minore” – il Fatto Quotidiano – 13/07/16). La compresenza di certe figure orienta in qualche modo il giudizio morale, ovvero la trasformazione del fatto in esperienza ed antecedente, codice di interpretazione che la gente userà in futuro per dare spiegazioni ad altri fatti che dovessero presentarsi inspiegabili e senza certezze.
Queste strutture profonde, tipiche di questo genere di narrazioni, sostengono lo schema narrativo del racconto e tramite la loro attualizzazione mediante strutture di superficie conducono alla modellazione di elementi riconoscibili, cose, persone e figure del mondo che consentono la raccontabilità della storia rendendola percepibile al destinatario.
Le strutture discorsive o di superficie al momento identificate e che possiamo definire come funzioni o sfere d’azione principali3, così come appare nello schema sottostante, di norma si caratterizzano come segue:
- Rottura dell’equilibrio: è la notizia del fatto cosi come appare nella sua veste iniziale, è la parte più breve che consiste nell’enunciazione della notizia con informazioni frammentarie, affidando perlopiù alla drammaticità delle immagini che precedono la descrizione circostanziata degli eventi, il compito di creare nello spettatore il pathos emotivo e le aspettative in merito alle ulteriori e più dettagliate informazioni.
- Panorama circostanziale: è la funzione che prende il via sin dalle fasi iniziali proseguendo poi fin quasi alle fasi finali della storia e prevede la diffusione di approfondimenti in merito alla situazione ambientale, alle inefficienze, ai problemi, ai precedenti, agli eventi passati nello stesso posto o dello stesso genere in altro posto, alle prime ipotesi deduttive in merito ai nessi di causalità o in merito alle responsabilità, gli aggiornamenti sul numero delle vittime e sull’ andamento dei soccorsi.
È un tipo di informazione apparentemente scarna, ma che invece è strutturata in larga parte sulle strategie di quel processo di isotopizzazione del caso che sarà determinante nell’ orientare il giudizio morale dell’opinione pubblica, funzione che di fatto chiude il ciclo di vita della narrazione del fatto.
- Figurativizzazione: è l’opera di messa in discorso di dettagli, di immagini e di microstorie che riguardano il lavoro instancabile dei soccorritori, le loro gesta, le parole dei sopravvissuti, le identità delle vittime, le testimonianze di involontari spettatori, le opinioni di persone famose, le parole dei politici e del potere, le opinioni delle persone comuni.
È la funzione che permette di calare la storia tra la gente, di renderla viva, attuale, vicina oltre i confini dello spazio attraverso il dettaglio di fatti, oggetti, parole che fanno parte della quotidianità dell’opinione pubblica.
- Climax emotivo: è la funzione che crea il pathos della storia e ne prolunga il ciclo di vita; in questa funzione si mostrano e si commentano foto e oggetti delle vittime, particolari delle loro biografie come piccoli successi, prossime nozze, sacrifici o traguardi raggiunti, si enfatizza il dramma delle persone care che le attendevano, si dà spazio a dettagli e immagini che servono a dare la dimensione della perdita, a mostrare sofferenza, dolore e disperazione.
- Nessi di causalità: è la funzione che deve raccontare le cause dell’ accaduto, che possa in qualche modo dare un senso al perché accadono certi fatti, ed è un passaggio necessario ad ogni storia di questo tipo, quindi occorre trovare o al limite ipotizzare le responsabilità, presunte, ipotetiche o accertate.
Da questo la sequenza di una serie più o meno vasta di informazioni circostanziate, alcune confermate altre no, indiscrezioni, supposizioni e deduzioni logiche che insistono sugli errori umani, sulle carenze tecniche o infrastrutturali, sulla superficialità di chi dovrebbe prendere decisioni, sulle carenze della governance e della politica, la messa in relazione con altri fatti o eventi interpretabili secondo visioni stereotipate come mancanze del governo, corruzione che ha distratto fondi, scontri tra le parti politiche in un rimpallo di responsabilità.
- Giudizio morale: è la fase finale della storia, ciò che rimane scritto nella memoria sociale di questa; le responsabilità sono state almeno in parte identificate ed ora si cede la scena ai protagonisti negativi, trovano spazio anche le loro storie, le loro assunzioni di responsabilità spesso parziale.
L’ allusione alle vere responsabilità che spesso si indirizzano in modo più o meno velato verso il sistema che detiene il potere, crea i presupposti per la formazione del giudizio morale dell’opinione pubblica che rimane sullo sfondo e che sarà l’antecedente che guiderà la decodifica di altri fatti nelle future narrazioni di tale genere.
Queste funzioni non si susseguono in un ordine cronologico rigido ma tendono spesso a sovrapporsi o a presentarsi più volte vista la particolare natura dei mezzi informativi on line al quale oggi è lecito assegnare la prevalenza nel racconto di questo genere di fatti.
In questa tragedia vediamo nella tabella seguente la sequenza di funzioni che sono state individuate nei vari post durante la sua narrazione nei giorni considerati:
Quale substrato teorico a sostegno della tesi
L’esposizione giornalistica di questo caso è a tutti gli effetti una narrazione anche se rientra in una casistica un po’ particolare che riguarda il giornalismo di eventi critici, tipologia di cui in questo blog si è più volte parlato, e che possiede caratteristiche ben precise del discorso giornalistico.
Vanno considerate le particolarità imposte dal dominio dei social media nel panorama dell’informazione, specificità che implicano la compressione del ciclo di vita delle notizie, ma al tempo stesso la sua trattazione sviluppata in piccoli segmenti e pubblicata con continuità a cadenze di tempo assai ridotte, a volte anche inferiori ad un’ora.
Ovviamente ho ritenuto necessario compiere una verifica epistemologica in merito alla fondatezza di ipotesi come quella fin qui illustrata, per cui espongo sia pure sinteticamente, alcuni dei riferimenti teorici di natura interdisciplinare a cui mi sono ispirato in questa analisi.
I più importanti spunti presi a riferimento sono stati:
a) I principi delle rappresentazioni sociali teorizzate da S. Moscovici;
b) Il concetto di storia e di narrazioni che ci proviene dalla psicologia culturale di A. Smorti;
c) I principi della semiotica generativa di A.J. Greimas;
d) La sociosemiotica dei media di G. Marrone e la semiotica del testo giornalistico di Lorusso- Violi.
a) S. Moscovici4 definisce il sistema delle rappresentazioni sociali come una sorta di cornice di classificazione degli eventi, un processo che l’individuo adotta per controllare la sua naturale paura dell’ignoto utilizzando due fattori: ancoraggio e oggettivazione.
Il primo consiste nell’associare qualcosa che è percepito come non conosciuto a qualcosa di già noto: nel caso di cui parliamo si cerca di trovare nella memoria ricordi di episodi simili che aiutino a dare una spiegazione laddove le informazioni siano carenti.
Il secondo invece consiste nel rendere concreto ciò che è virtuale, nello specifico di trovare nella memoria conferme alla verosimiglianza delle ipotesi e ai nessi causali che vengono di volta in volta prodotti durante il racconto. In base a questi fattori si spiegherebbe il motivo ed anche l’efficacia di quei procedimenti di tematizzazione ed isotopizzazione del fatto spiegati in precedenza.
b) I principi formulati da A. Smorti5 in merito alle caratteristiche che le storie devono avere per essere efficaci sui destinatari, dicono che le storie hanno bisogno del requisito della raccontabilità, che in questo genere di casi ci deriva dall’inusualità del fatto, dalle incertezze sulle cause e dalle potenziali mancanze o violazioni di qualche norma.
Questi aspetti nonché la descrizione dei fatti devono essere articolati in strutture narrative affinché i destinatari possano scomporre il testo e ordinare e catalogare le informazioni nella propria memoria.
Inoltre sempre Smorti6 sostiene che l’uomo ha la tendenza innata a memorizzare la propria esperienza del mondo in forma narrativa, cosicché i fatti ci appaiono più comprensibili e riferibili alle figure del mondo che conosciamo e ci consentono di ricorrere ad esperienze precedenti per poter comprendere aspetti altrimenti poco codificabili.
Perciò il processo di scomposizione di una storia consisterà nell’articolare una sequenza di elementi ordinati nel tempo e nello spazio, che normalmente si articolerà in uno stato iniziale, l’avvento di un problema, i tentativi di soluzione, stato iniziale ricostruito o un nuovo stato, stato sanzionatorio (finale).
Inoltre, nella classificazione di storie adottata dall’autore (vedi link Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?) questo genere di fatti appare come una storia senza soluzione e che pertanto il destinatario per trovarne una si affiderà in parte al racconto dei media, in parte frugherà nella sua memoria alla ricerca di ricordi di fatti precedenti che costituiscono il prezioso patrimonio di antecedenti.
c) Dalla semiotica generativa di Greimas7 sono di utile ausilio nella riflessione alcuni principi relativi alle strutture profonde, allo schema narrativo canonico e agli attanti narrativi, che per sintesi non sono stati illustrati, per parlare direttamente (all’ apparenza) degli schemi specifici di questo genere e delle procedure di attorializzazione e figurativizzazione che regolano le strutture di superficie delle narrazioni, ovvero la loro messa in discorso.
Esistono comunque sia nelle correnti della psicologia culturale che nella semiotica generativa, diversi punti in comune sulle narrazioni quali ad esempio la rottura dell’equilibrio iniziale e l’esigenza della sua ricostituzione, la fase della sanzione finale con ricompense e punizioni, anche se nella semiotica si tende a porre di più l’accento sulle strutture e sulla figuratività dei personaggi in virtù dell’essenza specifica di queste due scienze umane.
d) Il punto di vista di G. Marrone8 quando parlando della sociosemiotica dei media, asserisce che un singolo fatto o articolo di per sé spesso non è più sufficiente ad assumere senso come unità separata.
Questo deve potersi inquadrare all’ interno di un panorama circostanziale che comprenda non soltanto il fatto di cui si parla ma che includa diversi rimandi e nessi causali con altri fatti della vita politica e sociale, per cui ogni evento finisce per contribuire ad un più esteso senso complessivo che si traduce in un ampio discorso sociale prodotto dal sistema dei media.
Lo stesso autore pone anche l’accento sul fenomeno della spettacolarizzazione dell’informazione che provoca il sempre più frequente ricorso ad immagini che assumono la centralità del discorso dove alle parole spesso non rimane che una funzione didascalica, invertendo in un certo qual modo le funzioni che testo e immagini avevano un tempo.
Opportuno il riferimento anche al concetto di topicalizzazione di cui parlano A.M. Lorusso e P. Violi9 che illustrano come più fatti possano in qualche modo essere messi in relazione trovando un filo comune che li unisce, conferendo legami e nessi di relazione altrimenti non scontati e pertanto contribuendo a costruire quel senso complessivo di cui si parla.
Conclusioni
L’informazione giornalistica all’interno del più vasto ambito delle comunicazioni di massa ha subito una profonda trasformazione negli ultimi anni, così come appare profonda la revisione del concetto stesso di notiziabilità.
Prima le routine produttive imponevano tempi, modi e spazi per la diffusione delle notizie in grandi contenitori come telegiornali e giornali stampati; ciò imponeva criteri di notiziabilità, capacità di fare giornalismo d’inchiesta e di far stare il tutto con ben precise esigenze di sintesi imponendo l’adozione di regimi più discorsivi da parte del giornalista.
In un paio di decenni, prima la supremazia conquistata dalle immagini, poi l’avvento delle testate on-line, infine la rivoluzione introdotta dai social media ha stravolto il modo di fare giornalismo.
L’opportunità ed al tempo stesso l’esigenza di pubblicare aggiornamenti costanti sulle testate on-line, l’esigenza di dover pubblicare sui social media, piazze virtuali dove il proprio prodotto è soggetto all’interazione diretta ed immediata del lettore, richiede l’adozione di strategie e stili fortemente narrativizzati.
Non basta informare, bisogna conformare il fabbisogno di informazioni ai formati richiesti dai nuovi strumenti, bisogna intercettare gli stati emotivi dell’opinione pubblica, bisogna soddisfarne curiosità ed una sorta di “voyeurismo” che vuole saziarsi di immagini, di dettagli, di indiscrezioni, di opinioni a volte anche non strettamente attinenti alla notiziabilità intrinseca del fatto stesso.
Nelle piazze virtuali delle proprie pagine social nasce l’esigenza di mettersi in relazione ed in linguaggio con i frequentatori di questa piazza e con il loro spazio valoriale, dando vita così a delle narrazioni in cui il fatto in sé è solo un elemento, ancorché importante, del panorama circostanziale che viene tirato in ballo.
Oramai i social, Twitter in testa e poi Facebook, costituiscono l’anteprima delle notizie e il primo spazio di approfondimento, cosicché telegiornali e carta stampata devono di fatto conformarsi alla trattazione fatta su queste piattaforme, segnandone di fatto l’avvenuta supremazia nello spazio informativo, con tutto ciò che questo comporta in termini di stili e strategie giornalistiche.
I nuovi media favoriscono il racconto delle crisi con lo scandire del tempo e delle emozioni del pubblico, come se si raccontasse una fiction cadenzata da puntate, in cui alla fine di ognuna occorre creare le aspettative per la successiva.
Troppo spesso l’esigenza di riempire celermente certi spazi, impone l’adozione di rapporti di intertestualità con altri fatti e problemi sociali aperti ai limiti della forzatura, creando quella sorta di continuum narrativo capace di mantenere il contatto con i propri lettori il più a lungo possibile. Ora il successo e la bontà di una notizia si misura con i like, con le condivisioni e con i commenti suscitati; da qui ovviamente una certa deriva del concetto di newsmaking.
Ovviamente il genere giornalistico che appartiene alla comunicazione di crisi è contrassegnato da particolarità, prima fra tutte il coinvolgimento emotivo dei lettori, anche se le considerazioni fatte in queste brevi note conclusive non escludono il resto del discorso giornalistico, anzi lo includono pienamente.
1 Sinteticamente, per discorsivo intendiamo la descrizione di un contenuto non focalizzato sui personaggi, per narrativo un contenuto organizzato cronologicamente e centrato su protagonisti. Per una trattazione più ampia vds. anche U. Volli – Il nuovo libro della comunicazione – 2007
2 Dei titoli giornalistici e di alcuni meccanismi inerenti la loro costruzione ne parlo al link http://sb.aidazerouno.it//i-titoli-dei-giornali-narrazione-o-plagio/ e http://sb.aidazerouno.it//i-titoli-dei-giornali-narrazione-o-plagio2/
3 Il riferimento è esplicito ed evidente al concetto di funzioni o sfere d’azione teorizzato da V.J. Propp nei suoi studi sulla morfologia della fiaba.
4 Le rappresentazioni sociali – S. Moscovici – Il Mulino 2005
5 La psicologia culturale – Andrea Smorti – Carocci 2003
6 Narrazioni. Cultura, memorie, formazione del sé – Andrea Smorti – Giunti 2007
7 Del senso 2: narrativa, modalità, passioni (ed. or. 1983), tr. Patrizia Magli e Maria Pia Pozzato, Bompiani, Milano 1985
8 Corpi sociali – processi comunicativi e semiotica del testo – Gianfranco Marrone – Einaudi 2001
9 Semiotica del testo giornalistico – A.M. Lorusso P. Violi – Laterza 2004
da Sergio Bernardini | Giu 6, 2016 | MEDIA E SOCIETA'
La rilevanza dei media nel modellare le diverse rappresentazioni di un personaggio dal punto di vista iconografico è indiscutibile, specialmente quando si tratta di figure di primaria importanza sulla scena. Alcune volte tuttavia ne scaturiscono delle iconografie ai limiti del grottesco; sono le raffigurazioni percepite dal pubblico e riproposte dalla “circolarità” dei media oppure il tentativo di quest’ ultimi di imporre i propri modelli figurativi?
Dall’ avvento dei media di massa, tutti i leader politici gli hanno sempre attribuito notevole importanza, consapevoli della forte influenza che questi possono esercitare sull’ opinione pubblica nel raccontarne l’azione e nel condizionarne il livello di consenso.
In particolare, oltre al raccontare l’attività politica di un leader, c’è un altro aspetto che assume particolare rilevanza nel tempo e che consiste nel dare forma alle iconografie prevalenti relative al volto e alla gestualità del leader stesso, modellandone in un certo qual modo la percezione.
Dal punto di vista semiotico, la figura di un leader acquisisce un “effetto di senso” quale risultato di tutti i testi-oggetto in cui viene riprodotto durante la sua attività: interviste tv, audio e stampa, locandine, volantini, immagini sui mezzi di informazione, video e filmati vari; pertanto sarà molto importante il suo modo di porsi e di farsi rappresentare figurativamente in tutte le possibili situazioni di contatto con il suo pubblico e con il mondo degli operatori dell’informazione.
In particolare, a volte l’iconismo che si sviluppa attorno ad alcuni volti alla lunga sembra costituire un vero e proprio mainstream che finisce per diventare l’elemento caratterizzante della narrazione del personaggio e che concorre a formarne una marcata affinità con certe figure archetipiche più o meno stereotipate.
Per tale ragione è nata la curiosità di esplorare più in profondità le iconografie di alcune figure di primaria importanza sulla scena, e perciò sono stati confrontati tre leader che hanno una notevole rilevanza mediale quali Vladimir Putin, Angela Merkel e Donald Trump.
L’analisi si è basata sull’osservazione delle prime 150 immagini indicizzate da Google relative ai tre soggetti. Si è considerato che raccogliendo materiale da altre fonti, oltreché dispendioso, poteva essere condizionato sia dalla diffusione, sia dalle scelte di campo del medium stesso in un dato momento. Con uno standard univoco la selezione del materiale si è basata su una campionatura di immagini tratte da Google, in quanto tale motore di ricerca non fa altro che indicizzare e mostrare in base alla diffusione le immagini che circolano con maggiore frequenza nella rete, pertanto strumento perfettamente in grado di rappresentare il trend mediale prevalente.
Una sintesi delle immagini che riportano alcune delle espressioni significative più ricorrenti viene riportata nelle figure incluse.
I presupposti dell’analisi
Il primo presupposto considera l’aspetto fondamentale della rappresentazione, cioè il volto, la faccia, la sostanza principale della significazione che ci riferisce come è “fatta” la persona, che comunica identità e identificazione, trasfigurazione e somiglianza. Parte dal detto “metterci la faccia” che si fondano le garanzie morali, che si esprimono ritegno, pudore, emozioni, rabbia, disgusto, così come il perderla implica la diminuzione di credibilità, carisma, rispetto e fiducia. Quindi semioticamente la faccia diventa espressione della persona e significato per antonomasia.
Altro presupposto fondante della leadership è il carisma e le modalità espressive con cui un leader lo esprime. Anche in questo caso ci si avvale del contributo semiotico laddove si individuano due grandi categorie di stili di leadership, ognuna delle quali all’interno di propri sistemi di significazione: lo stile carismatico in cui il leader ha la titolarità del dominio simbolico della leadership e la esercita nei modi a lui congeniali, e lo stile rivoluzionario in cui l’aspirante leader non ha questa proprietà e cerca di acquisirla attraverso l’investitura popolare tratteggiando la sua egemonia futura.
Ultimo presupposto considerato valuta come le iconografie ricorrenti possano implicare analogie più o meno marcate con forme archetipiche e personaggi delle strutture narrative a cui facilmente il pubblico può collegare le proprie percezioni con interpretazioni più o meno stereotipate. Questo nasce dalla considerazione che in fondo i leader politici incorporino in un certo qual modo delle figure mitiche che suscitano una sorta di immedesimazione del pubblico, così come avviene per la filmografia in genere, e che il loro immedesimarsi vada a far riferimento a quelle figure felicemente descritte da Vogler nel suo lavoro di definizione dei ruoli scenografici.
Conseguentemente gli aspetti osservati hanno riguardato:
- Il confronto tra elementari principi di fisiognomica e l’espressione catturata nell’immagine letta come messaggio di comunicazione non verbale, allo scopo di prevederne la possibile percezione o di delinearne le interpretazioni;
- Le semiotiche complessive di certe pose, della gestualità catturata, che possono diventare segnali denotatori di valori ed atteggiamenti che sono in stretta relazione con aspetti quali il potere, l’autorità, l’affidabilità, il cambiamento, l’autorevolezza, il carisma etc.
Le iconografie dei leader e gli archetipi di Vogler – quale eroe in viaggio?
Donald Trump
In fisiognomica il faccione abbastanza squadrato di Trump è indice di un soggetto brusco, duro, rude nei giudizi e nel comportamento. I suoi sono i lineamenti tipici di persone inclini ad affidarsi solo alle proprie capacità, dal temperamento attivo, pratico e deciso, rigidi nelle proprie idee e mossi dall’ambizione di affermarsi, tendono ad attaccare anche con una certa veemenza e non di rado raggiungono il successo grazie alla propria incessante attività.
Le sembianze di Trump sono in linea con le prerogative suddette e le espressioni catturate lo mostrano frequentemente in espressioni e gesti grotteschi al limite della vignettatura, raccontano una persona animata da passioni anche se espresse in modo caricaturale, quasi comico. Le mimiche del volto mostrano parole gridate, smorfie che esprimono disgusto, espressioni sguaiate, il ghigno serioso della persona gretta, arida, che si compiace di aver affossato l’avversario, una gestualità sintetizzata da un dito indice accusatorio, da mani aperte a difesa, un riporto di capelli che aggiunge un senso di vanità goffa che implica ulteriori segnali negativi.
Abbastanza frequenti anche le caricature di Trump, rappresentazione complessiva di un soggetto svalorizzato, di un aspirante leader goffo e inaffidabile, raccontato come un ricco uomo di affari, meschino, ingordo, ottuso e dispotico. Trump tuttavia assume una veste iconica di antisistema che rivoluziona il concetto classico del leader sicuro, affidabile, illuminato nelle sue visioni ed intuizioni.
Trump sembra incorporare i segni di due figure archetipe di Vogler, a metà strada tra “l’antieroe” e “l’imbroglione”.
La figura dell’antieroe, non è il contrario dell’eroe, ma una sua specie particolare, come il fuorilegge o il cattivo, il quale però per diverse ragioni a volte riscuote l’approvazione sostanziale del pubblico. Il tipo di antieroe affine a Trump è quello di “eroe tragico”, figura sgradevole di cui si disapprovano le azioni, che presenta debolezze, che non risolve mai i propri demoni interiori al punto da venirne neutralizzato.
L’archetipo dell’imbroglione invece riunisce in sé le energie della goliardia e il desiderio di cambiare. La funzione psicologica dell’imbroglione è quella di ridimensionare i supereroi e riportarli con i piedi per terra insieme agli spettatori. A volte suscitano ilarità, mettendo a nudo i limiti dell’ambiente e rimarcandone le follie e le ipocrisie, stimolano cambiamenti e trasformazioni salutari. Gli imbroglioni sono spesso dei personaggi catalizzatori, che agiscono nelle vite altrui, pur rimanendo sé stessi. Nelle narrazioni, gli eroi imbroglioni si trovano nei miti popolari e nelle fiabe di tutto il mondo.
Vladimir Putin
Le immagini che ritraggono Putin sono invece di tenore completamente diverso rispetto a quelle di Trump.
I tratti fisiognomici del suo volto si imperniano in una fronte alta e ampia, indice di soggetti dotati di qualità induttive e deduttive, capacità di analisi e di sintesi, di praticità e portatori di ideali. Le labbra sottili e serrate indicano soggetti meticolosi, ordinati, precisi che seguono la ragione e agiscono anche con senso dell’opportunità, con occhi profondi e sottili, segni di un leader sicuro, deciso, forte e temibile.
I lineamenti del viso abbastanza stretto di Putin sono pertinenti alla figura di leader, la gestualità illustrata delle mani è limitata ma decisa, ed i movimenti esprimono controllo; le immagini in primo piano mostrano una postura abbastanza protesa in avanti ad affrontare il problema, lo sguardo che non denota incertezze, le mani che si appoggiano al volto segnalano la giusta riflessione e ponderatezza delle scelte del leader ma mai l’incertezza, rari sono i sorrisi, di rado l’espressione compiaciuta di chi ha messo sotto scacco l’avversario anche stavolta. Non sono rare le immagini che lo riprendono intento a svolgere attività sportive o ad usare armi, segnali che tendono ad intercettare non solo il carisma del potere ma anche dell’abilità, della forza e dell’energia.
Qualche concessione alle passioni solo quando viene ritratto con animali domestici, che denotano l’esistenza di un lato sentimentale a cui può accedere solo chi riscuote la sua fiducia.
La figura di Putin è affine a quella di “eroe catalizzatore”, di colui che, eroe dinamico e deciso, non cambia e risolve le falle del sistema. Gli eroi catalizzatori sono figure centrali che possono agire eroicamente, interiormente stabili perché la loro precisa funzione è provocare la trasformazione negli altri, sono particolarmente efficienti nelle narrazioni che continuano nel tempo come le serie TV e i sequels; come in “Superman” questi eroi subiscono pochi cambiamenti interiori, ma intervengono soprattutto per aiutare gli altri o guidarli nella loro crescita, come i catalizzatori nella chimica, essi provocano un cambiamento nel sistema senza trasformarsi.
Questa sostanza archetipica ben si addice al personaggio Putin, ormai sulla scena da parecchi anni e artefice primo della rinascita prima di tutto identitaria della Russia. Il suo personaggio è percepibile come colui che, dedito alla comunità, ne può risolvere i problemi, impegnato nel suo viaggio ad affrontare di volta in volta gli ostacoli messi sul suo cammino dall’alleanza dei poteri avversi, dimostra di avere doti di scaltrezza, risolutezza e decisione che sono bagaglio di un vero leader. Spesso criticato, è anche descritto come risoluto e spietato verso i suoi avversari, tuttavia questo non sembra scalfire un granché il suo carisma e la sua popolarità. Incorpora comunque la figura del leader che ha una sua meta, un suo progetto e sa perfettamente come fare e perciò trasmette affidabilità e sicurezza nei suoi cittadini, ed anche un pizzico di ammirazione in vasta parte dell’opinione pubblica occidentale.
Angela Merkel
I tratti del viso della Merkel, denotano una certa triangolarità, con tempie larghe ed il mento abbastanza aguzzo. Questi tratti sono tipici di soggetti che lavorano principalmente con la mente, pronti e rapidi nell’afferrare le situazioni, non di rado scaltri più che profondi o colti. Una mascella abbastanza pronunciata riferisce di soggetti dotati di volontà, combattivi, dallo spirito conquistatore, ambiziosi ed orgogliosi che a volte rischiano di perdere aderenza con la realtà.
La leadership della Merkel, personaggio politico di primissimo piano della scena europea, mal si concilia con un momento storico in cui le leadership europee sono fortemente criticate specialmente quando si tratti di persone che si reputano appartenenti all’establishment dei cosiddetti poteri forti, crisi dovuta alla sfiducia e al malessere, ai guasti provocati dalle classi politiche al potere che hanno investito quasi tutti i paesi europei in una crisi che dura ormai da otto anni.
Ovviamente una figura carismatica, seppur controversa come la Merkel, non poteva rimanere indenne da queste correnti di pensiero, perciò la sua immagine di donna di ferro non sembra più garantire quelle rendite di posizione di cui, in altri momenti, aveva goduto la Tatcher.
Le immagini che la raccontano ci mostrano una donna che rappresenta il potere, ma che appare frequentemente corrucciata, un volto per niente conciliante, con la bocca curvata verso il basso in un’espressione che sembra trapelare un moto di disgusto, quasi a denotare la distanza del potere dalla società civile. Spesso ripresa in smorfie grottesche che tentano di ridicolizzarne e svilirne l’appeal di leader, non di rado viene caricaturizzata con sembianze che ne disconoscono la femminilità, che la disumanizzano mostrandola spietata e insensibile, perfettamente integrata in un sistema di potere transnazionale ormai distante dalla società e che non riscuote più la fiducia della gente. Di rado viene ripresa in espressioni sorridenti e più distese, eccezioni alla regola dunque, mentre anche la gestualità delle mani, palme aperte verso il pubblico, non sembra ispirare grandi speranze.
Il personaggio della Merkel sembra configurarsi bene con l’archetipo del “guardiano della soglia”; i guardiani della soglia, di solito non sono i malvagi o gli antagonisti della storia, spesso sono il braccio destro del maligno. Agli ingressi di un mondo nuovo ci sono dei guardiani severi a sorvegliare la soglia, per impedire l’accesso a chi non lo merita, mostrano un’espressione minacciosa, ma se affrontati adeguatamente possono essere superati, ignorati o diventare persino alleati. Spesso il malvagio stabilisce un rapporto con il guardiano della soglia per essere protetto o avvertito quando un Eroe si avvicina al limitare della sua roccaforte.
Gli eroi che riescono nella loro missione a neutralizzare i guardiani della soglia, imparano ad aggirarli, ad incanalare la loro energia al fine di incorporarli. Imparare ad affrontare i guardiani della soglia è una delle prove più ardue del viaggio dell’Eroe.
conclusioni
In questo momento l’accostamento fatto tra questi tre leader politici, le loro iconografie ricorrenti e le figure archetipe della narrazione, suggerisce spunti abbastanza interessanti sul come le rappresentazioni visive diventino per certi aspetti una sorta di barometro del giudizio sociale.
La lunga e profonda crisi non solo economica ma anche politica e valoriale della società occidentale si caratterizza per un moto di sfiducia generalizzata nelle classi politiche dominanti incapaci di risolvere i problemi sociali, pertanto sentimenti di rivalsa, di contestazione e anche di rottura degli schemi si affacciano un po’ ovunque anche se il panorama dei sentimenti popolari appare estremamente frammentato e confuso.
Trump non mostra certamente le virtù del leader ispirato, anzi è grottesco, caricaturale, antisistema, al margine dell’establishment di potere e inviso al sistema dei media che ne riproduce un’ icona da impostore; forse è proprio per questo che più Trump è osteggiato dal sistema, più il suo gradimento nelle masse del pubblico americano tende a salire, segnale quindi che la gente potrebbe vedere in lui un elemento di rottura con la continuità del passato fatta di menzogne e false promesse.
Diametralmente opposta invece la lettura del personaggio Merkel, la cui popolarità in calo deriva anche dal suo apparire interprete e protettrice di politiche austere che fanno gli interessi di un sistema di poteri economici ingordo, ambiguo, perfettamente in linea a farsi portatore di quell’alone di cupo mistero che serve ad alimentare dietrologie e complottismi. Ecco perché il suo incorporare la figura del “guardiano della soglia”, ben si congiunge con il ruolo di protettrice degli oligopoli del sistema Europa, di quelle forze egoiste che ne stanno distruggendo i valori fondativi nella mente della gente.
Putin invece, con il rilancio della Russia come potenza, come identità e come attore primario sulla scena mondiale, finisce per calzare bene i panni dell’eroe che sta compiendo appieno la sua impresa, vicino a sconfiggere il drago che attanagliava il suo paese. Pur nella durezza e nei difetti, riscuote ammirazione ed esercita comunque un certo ascendente su buona parte dell’opinione pubblica occidentale, quel carisma appunto che solo i personaggi eroi catalizzatori delle sceneggiature sanno coagulare.
Quale sarà quindi il loro percorso futuro? Vedremo!
da Sergio Bernardini | Ott 19, 2015 | CASE STUDY
La ricorrente difficoltà a gestire la comunicazione nelle situazioni di crisi sembra aver colpito anche un gruppo delle dimensioni di Volkswagen. Molti segnali, rilevati anche sui social media, ci delineano un’azienda esitante di fronte al problema ed incline a nascondere la faccia.
Il management della comunicazione in situazioni di crisi è uno degli aspetti più complessi che un’azienda può dover affrontare a causa di diversi fattori quali condizioni di incertezza, processi sommari dell’opinione pubblica, forme più o meno scontate di ostracismo ambientale e dei media.
Come avevo già rilevato in precedenza (Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?), troppo spesso ci si rifugia in atteggiamenti difensivi mirati a limitare i danni finendo così per trincerarsi in comunicazioni scarne, in ambiguità o silenzi che non fanno altro che aumentare la presunzione di colpevolezza dell’azienda agli occhi del pubblico.
Il gigante di Wolfsburg, pienamente coinvolto nel soprannominato “Volkswagen-gate” non sembra al momento fare eccezione avendo mostrato un forte imbarazzo nel dover affrontare questa situazione, ulteriore conferma della difficoltà a governare le situazioni di crisi nella prospettiva di ingenti perdite non soltanto economiche ma anche di reputazione ed immagine.
Il caso
A partire dalle accuse formalizzate dall’EPA lo scorso 18 settembre, dilagate poi su TV e giornali dal 22 settembre, l’azienda si è limitata a caricare sul proprio sito un videomessaggio del CEO il 22 settembre, a comunicati stampa contenenti generiche spiegazioni il 23 settembre, ad annunciare un cambio al vertice dell’azienda il 25 settembre, scarni e sporadici comunicati contenenti generiche rassicurazioni ai clienti sulla sicurezza (!?) delle vetture, sul loro futuro impegno a riguadagnare la fiducia (senza specificare come!), a generiche promesse sull’impegno dell’azienda a risolvere il problema senza chiarire in che modo. In sostanza sono stati persi quattro giorni preziosi, dove l’azienda anziché prendere l’iniziativa ha aspettato che il problema deflagrasse sui media prima di rispondere.
Carente e criticabile anche l’azione sui social media:
– su Twitter, nell’account USA due soli tweet il 24 e il 27 settembre, in quello italiano due tweet il 24/9 e il 2/10, in quello inglese tre tweet dal 23/9, in quello francese nove tweet di cui solo due dedicati al fatto mentre gli altri addirittura promuovono i propri modelli, negli account @Volkswagen e @vwgroup_en rispettivamente 8 e 11 tweet dedicati perlopiù al cambio al vertice e a notizie sulla governance mentre soltanto 2 tweet erano mirati a rispondere agli interrogativi della clientela;
– Su Facebook nella pagina americana un post di generiche scuse il 25/9 (7.339 commenti), informazioni ai consumatori il 27/9 (4.646 commenti), sulla pagina tedesca un post di informazioni il 2/10 (?) seguito da un manifesto condiviso il giorno dopo (3.000 commenti e 6.800 condivisioni), sulla pagina francese si evita l’argomento postando la promozione dei propri modelli, sulla pagina italiana un post di scuse il 24/9 (1.301 commenti), poi a partire dall’8/10 vari post di promozione dei propri modelli, sulla pagina del gruppo sei post con i contenuti generici già detti, solo il 3/10 un aggiornamento informazioni per i consumatori e il 12/10 l’assicurazione che non ci sono rischi per la salute, addirittura il 22 settembre un post con la presentazione di una APP!
Quello che ha indispettito anche i giornali tedeschi e che è stato stigmatizzato anche dalla FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) è che in un evento di tale portata in aggiunta alla carenza di spiegazioni, sono stati caricati in rete messaggi, video e tweet di promozione di nuovi prodotti mettendo in mostra così un senso di indifferenza alle domande e ai dubbi dell’opinione pubblica e dei clienti.
Il sentimento della gente
È stata interessante la lettura dei commenti sulla pagina Fb di VW Italia nel post del 24 settembre, dove il “sentiment” rilevato poteva essere categorizzabile in cinque tipi di atteggiamenti che ho denominato in:
– adoratori (48%): clienti che possiedono e dichiarano il loro amore per la marca, non sono praticamente toccati dall’ accaduto e difendono il marchio come se parlassero di una squadra di calcio, alcuni adducendo addirittura l’ipotesi di complotti;
– possibilisti (4%): soddisfatti dell’esperienza con la Volkswagen, relativamente consapevoli della gravità del fatto, dalle loro parole si deduce che sono disposti ad accordare un’altra chance alla marca;
– dubbiosi (9%): sono i clienti confusi, quelli che possiedono un modello e non sanno come si devono comportare, che temono gli effetti del problema, e che di fatto potrebbero diventare clienti persi;
– delusi (11%): sono clienti delusi o dal prodotto o dal fatto commesso dall’azienda, sono quelli che dichiarano mai più Vw, in definitiva clienti persi;
– sarcastici e arrabbiati (28%): in linea di massima non sono e non diventeranno clienti VW, attribuiscono grande importanza al fatto accaduto, esprimono la loro sfiducia e la loro condanna al marchio e ai suoi modelli passando dall’ ironia, al sarcasmo, alla rabbia.
L’approfondimento del contenuto dei commenti sarebbe tema interessante per altri discorsi stante l’essenza di lovemark del brand Vw, visto che si rintracciano molto frequentemente espressioni da tifo calcistico, ma questo è un argomento da trattare in altra sede.
Tuttavia gli atteggiamenti rilevati nei commenti, all’apparenza abbastanza positivi, non debbono trarre in inganno prima di tutto perché espressi in larga parte da frequentatori della pagina Volkswagen, buona parte dei quali rientrano tra gli adoratori, pertanto il campione potrebbe essere poco rappresentativo e le percentuali poco attendibili. Ciò nonostante un buon 11% di clienti sembrerebbe perso e un altro 9 % è fortemente a rischio. Tra l’altro, dando una rapida occhiata a qualche commento nelle pagine Fb di altri paesi, sembrerebbero grosso modo riproporsi le stesse tendenze della pagina italiana.
Quando però si esce da questo alveo le cose sono differenti e ben altro è il tipo di risonanza che si diffonde. Effettuando una ricerca su Twitter dell’hashtags #VWgate emerge l’esistenza di un discorso parallelo alle fonti ufficiali della marca che, come si vede nei grafici riportati, a distanza di un mese mantiene ancora una forte presenza sui discorsi dei social, sviluppa derivazioni semantiche tipiche dell’ambiente social, offre lo spunto per coniare fraseologie e iconografie ironiche in grado di incidere negativamente per lungo tempo sull’immagine della marca.
In sostanza la Volkswagen non è sembrata affatto pronta ad affrontare e gestire una situazione che, sapendo di agire in violazione di norme, doveva essere sicuramente contemplata nel risk management e prevedere un piano di risposte sia sul piano giuridico economico, sia sul piano emotivo, tempestivo, ben articolato e senza incertezze.
La scelta di low profile adottata dall’azienda pertanto non sembra affatto pagante visto che la notizia non si è sgonfiata dopo pochi giorni ma continua a mantenere la scena sui media a quasi un mese dalla sua uscita.
Le soluzioni al problema
Per pianificare azioni adeguate è necessario prima di tutto porsi una serie di domande le cui risposte possano soddisfare i potenziali interrogativi dell’audience (la comunicazione di crisi – notizia o narrazione):
-
- Cosa si sta chiedendo il pubblico? Conosce sufficientemente e nel modo voluto come si sono svolti i fatti e le conseguenze?
- Trova risposte nell’ attribuzione di responsabilità? Può pensare che si stia coprendo un colpevole?
- Le informazioni rese disponibili fino ad ora sono coerenti con i requisiti e l’immagine del brand, ovvero possono incidere negativamente sulla percezione di questo nella mente del pubblico?
- Chi pagherà per i fatti accaduti, e quale sarà la giusta pena per i colpevoli?
Inevitabilmente nella formulazione delle risposte dovranno esistere dei passaggi obbligati che ricadono sempre sull’attribuzione di responsabilità, perché come prevede la struttura narrativa da costruire intorno ad un evento critico, ci si aspetta che sia fatta giustizia e che il responsabile venga identificato e paghi la giusta colpa.
Qualsiasi carenza nella comunicazione di questi aspetti offre uno spazio che può essere riempito da ipotesi, congetture o peggio dal pessimismo di esperienze precedenti, pertanto ogni intervento deve tendere a fare chiarezza senza reticenze e senza fughe dalle responsabilità che finiscono per indispettire ancor di più l’opinione pubblica.
Volendo dissezionare questa crisi si possono rintracciare fattori rilevanti che possono diventare criteri generalizzabili in una qualsiasi pianificazione delle risposte:
-
- la rilevanza del danno economico in questo caso a centinaia di migliaia se non milioni di clienti, provocando in questi incertezza e rabbia;
- le dimensioni del brand e la gravità del fatto lasciavano prevedere che i media ne avrebbero fatto un caso, pertanto bisognava essere pronti e senza ritardi a spiegare che cosa era successo, cosa comportava per i consumatori, chi erano i responsabili e quindi le teste da sacrificare, cosa intendeva fare l’azienda per scusarsi e riparare i danni;
- la carenza e il ritardo nel fornire delucidazioni sta creando la sensazione diffusa che siano in atto tentativi di nascondere la verità e viene percepito come ambiguità, intaccando ancor di più la credibilità dell’azienda;
- i ritardi comunicativi incoraggiano l’influenza reciproca tra i soggetti coinvolti che trova terreno fertile nei social media producendo “trascinamenti” nel tempo sotto forma di luoghi comuni, di forme di satira o di critica incontrollabili che erodono l’immagine del brand nel lungo termine;
- il riaffiorare nella mente della gente di schemi precostituiti di precedenti situazioni di crisi dove i responsabili hanno tentato di nascondersi nell’ambiguità o in affermazioni rivelatisi poi false;
- il ruolo giocato dai social media che, nella loro funzione di condivisione delle informazioni, si stanno trasformando sempre più in casse di risonanza degli eventi di maggior popolarità.
In conclusione, pur non essendoci vittime, la gravità del fatto sta sia nel gran numero di soggetti coinvolti, sia nel profondo contrasto emerso tra una condotta truffaldina più o meno diffusa nel mondo economico e l’immagine solida e scrupolosa costruita nel tempo dall’azienda, affidabile anche oltre la tradizionale attendibilità tedesca, contrasto che ha contribuito a generare un’enorme risonanza del fatto persino superiore agli effetti che, come detto, non hanno provocato effetti letali, almeno nell’immediato.
Inoltre non deve venir meno la considerazione che questo fatto non coinvolge solo e soltanto i consumatori, ma anche diverse categorie di stakeholders come fornitori, dipendenti dell’azienda e dell’indotto, risparmiatori, azionisiti e attori del mercato finanziario, persino alcune frange del livello politico.
La scoperta della mancanza di valori morali dell’azienda è un fattore che può produrre effetti nel lungo periodo che riguardano la percezione del brand riflettendosi su tutti gli aspetti dell’attività e non soltanto sulle vendite.
In conclusione si deve tenere sempre presente che, laddove ci fosse un difetto di informazioni, è ineluttabile che la gente provveda in proprio a darsi delle risposte, pertanto coloro che a vario titolo dovessero trovarsi nella scomoda posizione di dover comunicare in situazioni di crisi devono sapere che tutto ciò che non verrà detto o non sarà chiarito sufficientemente, sarà generato e aggiunto dagli altri senza alcuna possibilità di controllo.
Le rappresentazioni sono basate sul detto “non c’è fumo senza fuoco” ….. per scoprire da dove viene il fumo andiamo alla ricerca del fuoco..
(S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)
da Sergio Bernardini | Ott 7, 2015 | IMPERDIBILI, MEDIA E SOCIETA'
Un sistema di “mapping” che consente di comparare i diversi modi dei giornali di narrare la realtà, conclusioni di una ricerca basata su quasi 2.000 prime pagine e oltre 1.600 titoli relativi ad un soggetto politico di primo piano
Nei miei precedenti post (i titoli dei giornali – narrazione o plagio 1° e 2°) ho cercato di definire un metodo che potesse oggettivamente esplicitare le diverse discorsività di un quotidiano, proponendo al tempo stesso un modo per rappresentarle.
Ribadisco che il fatto di concentrarsi sui soli titoli di prima pagina, scaturisce dalla constatazione di come l’informazione breve sia diventata fondamentale nella fase attuale, sospinta sia dalla enorme quantità di informazioni disponibili, sia dalle caratteristiche degli strumenti tecnologici utilizzabili (es. smartphone), sia dall’ evoluzione degli strumenti informativi disponibili sul web 2.0.
La ricerca, basata sulla selezione di titoli che riportassero le parole Renzi, Premier, governo, ritengo possa aver fornito diverse indicazioni di carattere anche metodologico, ultima delle quali in questa sede la comparazione dei diversi quotidiani attraverso un sistema di mapping alla quale seguirà una sintesi conclusiva per punti.
La mappatura è stata costruita utilizzando un sistema di assi cartesiani in cui sono stati collocati i risultati della categorizzazione dei titoli nei tre criteri esposti in dettaglio nel post 2°.
Nella prima mappa sono stati collocati sull’ asse delle ordinate i valori relativi all’ opposizione tra la modalità constatativa e quella performativa, mentre sull’asse delle ascisse sono stati collocati i valori relativi all’ altra dicotomia discorso riportato – discorso indiretto, stabilendo come punto origine (0) la media derivante dai valori riportati da ciascun quotidiano per ognuna delle due dicotomie predette.
Nella seconda mappa invece sull’ asse delle ascisse al posto della modalità discorso riportato – indiretto, sono stati collocati i risultati riscontrati nella opposizione costruzione narrativa – antagonistica.
Con questo metodo è stato possibile fare una comparazione visiva delle diverse strategie discorsive operate dai giornali in questione almeno relativamente al soggetto analizzato.
Nella prima figura appaiono evidenti le posizioni sostanzialmente opposte tra il Giornale e la Repubblica, il primo nettamente collocato nel quadrante compreso tra le modalità del discorso constatativo e discorso indiretto, il secondo invece al centro del quadrante delimitato dalle modalità del discorso performativo e riportato.
In sintesi, il Giornale preferisce narrativizzare1 il suo discorso, reinterpretando e descrivendo il panorama circostanziale, il quale viene risemantizzato con uno stile a focalizzazione zero dove il giornale si propone come soggetto esperto nei confronti del lettore, di colui che sa molto di più del racconto dei protagonisti, che ne sa più del soggetto ed in tal modo può di fatto reinterpretare adottando il suo sistema di valori e di giudizio. Il Giornale constata le complicanze della scena in cui il soggetto si muove ed agisce, ma di fatto denegandone il discorso diretto e la performatività lo priva dello statuto di protagonista della situazione. Il soggetto è narrato, sterile nelle azioni e carente nel sapere, in una scena in cui diventa comprimario non essendo dotato delle facoltà di modificare l’ambiente.
La Repubblica invece si cala nella veste di narratore etero-diegetico, ossia nel ruolo di colui che non prende parte alle vicende che racconta e che riportando le parole del soggetto, di fatto gli affida la responsabilità di narrarsi, la facoltà di dimostrare il suo sapere, l’onere della veridizione delle sue affermazioni. Scegliendo di evidenziare, tra tante, le parole della performatività del soggetto e la sua volontà di agire, realizza di fatto un discorso a focalizzazione interna, ossia di chi sa tramite le parole del soggetto, ma al tempo stesso è anche il discorso della mimesi, perché il narratore può nascondersi dietro le parole delle frasi riportate.
In posizioni opposte, ancorché molto vicine al punto di equilibrio (il punto origine per convenzione), si collocano rispettivamente anche il Corriere della sera, stesso quadrante del Giornale, e la Stampa, stesso quadrante della Repubblica anche se il loro discorso si celebra con toni più sfumati.
In particolare, il Corriere della sera constata e narrativizza il suo discorso anche perché è nel suo stile la conoscenza dei fatti, del panorama circostanziale, è un narratore esperto che non eccede e non reinterpreta, è il quotidiano che nomina di meno il soggetto in quanto narra la scena non il personaggio.
Uno stile diverso invece per il Messaggero, che pur evidenziando la performatività del soggetto, indossa i panni del narratore etero-diegetico e si affida al discorso riportato per mantenere una apparente distanza dal soggetto sul quale ricade l’onere del suo racconto, anche in questo caso è nella mimesi narrativa che il quotidiano parla al suo pubblico.
Quasi superfluo ribadire che tra le tante parole del soggetto, è sempre frutto della scelta del quotidiano-narratore quale di queste utilizzare, ma come più volte detto voglio evitare giudizi di merito soggettivi ed affidare ai numeri della categorizzazione adottata la definizione dello stile dei quotidiani di cui si parla.
Nella seconda mappa rimane invariata la collocazione dei quotidiani sui valori delle ordinate, visto che permane la precedente dicotomia, mentre sull’asse delle ascisse dove si collocano i valori relativi alla costruzione antagonistica, emerge un posizionamento diverso dei quotidiani.
Il Giornale è quello che più frequentemente degli altri ricorre alla costruzione antagonistica, una modalità che appartiene e completa il suo stile di raccontare la scena con le sue parole, con le sue interpretazioni e giudizi di valore, volutamente conferendo al suo discorso una verve che lo contraddistingue e che si nota anche osservando il grafico descrittivo della sua area discorsiva (vedi post. 2°).
Il Corriere della sera invece, sia pure con una frequenza minore, riporta una lieve prevalenza della costruzione antagonistica; risultato del suo stile e delle sue scelte, il quotidiano “constata” la scena e rileva i conflitti tra personaggi pur cercando di tenersi lontano da giudizi di merito, in linea con la forma della sua area discorsiva.
Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda del Corriere della sera si colloca la Repubblica, anche se la costruzione antagonistica emerge perlopiù nel discorso performativo e nelle parole riportate del soggetto, producendo un discorso ben caratterizzato come dimostra l’area discorsiva descritta.
La Stampa, molto vicina al punto di equilibrio, sembra assegnare una leggera prevalenza alla costruzione narrativa, racconta il conflitto nella constatazione della scena ma evita di enfatizzarlo soprattutto sulle parole e sulla performatività del soggetto, preferisce appunto costruire narrativamente e ciò si nota anche nella forma della sua area discorsiva.
Infine il Messaggero, il quotidiano che maggiormente dimostra la tendenza ad evitare la costruzione antagonistica propendendo per una narrativizzazione della scena, rimane sul suo ruolo di informatore, evita la bagarre e pur essendo il giornale che cita più frequentemente il soggetto preferisce evitare eccessive enfatizzazioni dei toni e del suo discorso in generale.
Conclusioni
Vediamo in definitiva cosa è emerso da questa analisi:
- L’agenda setting, ovvero i temi di maggiore rilevanza dei quotidiani, aldilà di particolarizzazioni “stilistiche” risulta essere molto simile tra i vari giornali; ne gli indici relativi alla frequenza delle menzioni del soggetto di analisi, risultati abbastanza simili, ne l’applicazione dell’analisi di contenuto (vds, post n° 1) che non ha rivelato differenze significative nella frequenza delle parole chiave, hanno offerto strumenti di differenziazione efficaci, e per un lettore che non si impegni in complicate analisi statistiche le diversità si rivelano pressoché impercettibili;
- Neanche l’indice di frequenza con la quale il soggetto appare nei titoli principali deve trarre in inganno perché si dimostra un debole indizio quantitativo del framing operato dal giornale, non supportato, come detto, da sostanziali differenze rintracciabili nel lessico utilizzato vista la sostanziale invarianza ottenuta con l’analisi di contenuto.
- Per identificare le procedure di framing è apparso invece molto più produttivo seguire un approccio teorico rivolto ad individuare elementi di narratologia, in sintesi focalizzando le procedure di costruzione del discorso, piuttosto che basarsi sulla frequenza di determinate parole rilevanti. In tal senso assume maggiore rilevanza definire il soggetto all’interno del panorama circostanziale e rilevarne atteggiamenti e comportamenti in rapporto ai suoi eventuali anti-soggetti anziché basarsi su indicatori quantitativi.
- I tre criteri prescelti nel catalogare la natura del discorso che si realizza nei titoli e che si sostanziavano nella distinzione tra constatazione e performatività, tra il discorso riportato e il discorso indiretto, tra una costruzione prettamente antagonistica e una narrativizzata (vds. post. n° 2 per esposizione più dettagliata dei criteri), hanno messo in luce le differenze esistenti tra i vari quotidiani, confermando in tal senso la rilevanza e l’utilità dell’approccio narratologico e del peso che questo può avere nella procedura di valorizzazione o svalorizzazione di un soggetto.
- Non si può affermare che quanto emerso in termini di posizionamento dei quotidiani in merito al soggetto analizzato si verifichi analogamente anche per altri soggetti o argomenti, tuttavia diversi indizi, peraltro già osservati dal sottoscritto, sembrano avvalorare l’esistenza in alcune redazioni quantomeno di tendenze precostituite all’utilizzo di costruzioni antagonistiche o magari la scelta di reinterpretare narrativamente i fatti piuttosto che riportare le parole dei protagonisti.
- Si nota spesso nei giornali “relativamente” più giovani (il Giornale 1974 – la Repubblica 1976) rispetto a quelli più datati (il Messaggero 1878 – il Corriere della sera 1876 – la Stampa 1867) la tendenza a comunicare stimolando emozioni e tensioni del lettore anche con l’uso di immagini di maggiore impatto, propensione questa che personalmente ho percepito anche in contesti e testate di altre nazioni.
Alcune conclusioni al quale sono pervenuto potrebbero sembrare scontate o poco approfondite, ma ripeto che un’analisi dettagliata per ogni titolo avrebbe richiesto tempi maggiori e una trattazione più articolata, magari più precisa ma che non poteva certo essere sufficiente per attribuire una tendenza, per cui per esprimere questo aspetto ho privilegiato la quantità. Lascio al lettore pertanto l’onere di integrare con il proprio giudizio soggettivo la definizione delle strategie discorsive dei quotidiani di cui ho parlato.
1 Per un approfondimento delle definizioni relative a termini di narratologia usati vds. al link www.bicudi.net/manuale/cap_09.pdf . Per gli studi in materia si rimanda ai contributi e opere di G. Genette, T. Todorov, A.J. Greimas, di cui è possibile reperire in rete ampie e dettagliate sintesi.
L’immagine di apertura è stata tratta da:
https://33.media.tumblr.com/0cd7538d7fab250bd890490e66041105/tumblr_inline_njd8mlSsNf1t6eixt.jpg
da Sergio Bernardini | Set 14, 2015 | IMPERDIBILI, MEDIA E SOCIETA'
Quali le configurazioni discorsive riprodotte dai titoli di alcuni tra i più diffusi quotidiani nazionali relativamente ad un soggetto politico di primissimo piano. Alcuni risultati emergenti da un’analisi condotta su quasi 2.000 prime pagine
2° parte
Nella prima parte di qualche giorno fa ho mostrato alcuni dati quantitativi che in qualche modo hanno messo in luce l’atteggiamento di alcuni tra i quotidiani nazionali più diffusi verso il soggetto di analisi rappresentato dall’ attuale Premier, monitorando i tre termini Renzi, Premier e governo. La diversa frequenza con cui i giornali hanno parlato del soggetto e la tendenza a dedicargli i titoli di maggiore impatto, forniscono delle indicazioni sicuramente interessanti che tuttavia prese isolatamente non sembrano essere in grado di offrire un dato determinante senza utilizzare ulteriori parametri di analisi.
Con una certa sorpresa neanche attraverso l’analisi di contenuto, con la quale sono state isolate le prime 30 parole significative, sono emersi riscontri interessanti, e pur nella relativa povertà lessicale dei titoli si è registrata una evidente similarità di tutte le testate nell’uso di certi termini chiave, per cui necessariamente occorre cercare nella costruzione del discorso quegli effetti di senso che costituiscono l’elemento differenziante dei vari giornali.
I criteri cui ho accennato nel precedente post, di cui illustrerò ora il fondamento disciplinare, costituiranno l’elemento con cui categorizzare qualitativamente il discorso prodotto da ogni quotidiano.
1. Il primo criterio prende in esame il “punto di vista” del quotidiano sul soggetto e ispirandosi ai principi di Austin sugli atti linguistici, ne riprende le due modalità fondamentali dell’enunciazione: quella constatativa e quella performativa1. Premesso che nella comunicazione attraverso i media l’enunciazione avviene attraverso il testo e non mediante lo scambio interazionale, nel testo sono comunque proiettabili i simulacri enunciativi del narratore e per certi versi l’interpretazione del destinatario, per cui la tassonomia di Austin mantiene una sua validità di fondo anche nella valutazione del titolo giornalistico.
Nella modalità constativa, si riscontra qualcosa in merito al tema di cui si parla, si effettua una sintesi descrittiva di una situazione o evento in cui il soggetto poteva non necessariamente avere o esercitare un ruolo attivo o determinante (es. “Colle e politica estera: confronto Renzi-Prodi” – il Corriere della Sera – 17 dic. 14).
Nella performatività invece il soggetto del discorso, chiaramente identificato, ha realizzato un’azione o è impegnato in un fare o comunque promette di fare, sta performando qualcosa destinato a cambiare lo stato di fatto delle cose di cui si parla ed in quanto tale si caratterizza anche patemicamente2 (es.”Renzi sfida la vecchia guardia” – il Corriere della sera -22 set. 14; “Renzi vuole tagli per 6 miliardi” – il Corriere della sera – 9 apr. 14). Una deroga è stata usata nel caso di alcune modalità ottative3 come nel secondo esempio che, esprimendo una volitività del soggetto su qualcosa, sono state comunque classificate come enunciati performativi considerando la modalità del “poter fare” in capo al soggetto del discorso.
In questa dicotomia la posizione del quotidiano, prescindendo da allusioni e ironie, non è certo neutra nei confronti del soggetto del discorso, il quale può far parte di una scena che lo include e a volte lo sovrasta (modalità constatativa), oppure essere inquadrato come protagonista, positivo o negativo, di una situazione che può modificare in qualche modo (modalità performativa) e dalla quale ne può risultare valorizzato o svalorizzato nel merito e nella rappresentazione.
2. Il secondo criterio considera il punto di vista del quotidiano sul discorso e si sofferma sulla costruzione del titolo, individuando nella dicotomia tra il discorso diretto riportato e il discorso indiretto narrativizzato la chiave di classificazione.
Nel primo caso il quotidiano-narratore si serve del cosiddetto discorso diretto riportando le parole pronunciate dal soggetto ed operando in tal modo una presa di distanza da quanto affermato da questi; sono le frasi riportate tra virgolette e/o dopo i due punti (per particolari licenze giornalistiche questi elementi della punteggiatura possono anche essere omessi), in ogni caso parole attribuibili senza dubbio al soggetto (es. “Renzi: niente nuove tasse ma sforbiciate alla spesa” – Corriere della Sera – 23 ago. 14).
In questa modalità il giornale non entra nel merito della veridizione4 che rimane in capo al soggetto, tantomeno in apparenza opera un giudizio di valore sul contenuto, concretizzando con ciò la presa di distanza dai fatti riportati.
Nel secondo caso invece la costruzione narrativizzata del titolo consiste in una riformulazione o riassunto delle parole pronunciate dal soggetto, fatta anche in modo arbitrario ad opera del narratore (es. Renzi svela le spese pazze della ditta – il Giornale – 13 dic. 14); in questo modo reinterpretando ed in qualche modo ricontestualizzando le parole del soggetto all’interno del proprio sistema di valori, se ne produce una modalità narrativa più o meno caratterizzante. Ancorché ci siano molte similarità con le procedure semiotico-discorsive di debrayage/embrayage5, non mi sono sembrate particolarmente attinenti al contesto vista la particolarità delle modalità e strategie del titolo, per cui ho deciso di tralasciarne la discussione.
3. Il terzo criterio valuta le scelte del quotidiano sulle modalità narrative indirizzate al lettore e scaturisce da due approcci teorici complementari. Il primo pone a base la teoria di R. Barthes sull’esistenza di un’informazione doppia della costruzione giornalistica: il fatto vero e proprio così come viene raccontato, e lo sfondo circostanziale da cui tale fatto origina, dedotto per implicazione dal lettore stesso, da cui scaturiscono le condizioni per la produzione della notizia. Il secondo invece proposto da Volli, si basa sulla categorizzazione della costruzione giornalistica6 della notizia e contempla:
- la costruzione antagonistica;
- la componente narrativa;
- il difetto di razionale connessione logica;
- l’anomalia rispetto all’ordine comune delle cose.
In questa ricerca, trattandosi di politica, troveremo pressoché totalmente titoli/enunciato basati sulla costruzione antagonistica oppure connotati da una componente narrativa. Nel primo caso il soggetto citato o chiaramente presupposto per implicazione, è descritto in conflittualità diretta con un anti-soggetto rappresentato da uno o più attori opponenti che concorreranno, nell’ambito della costruzione giornalistica, a valorizzarne o svalorizzarne la figura e/o le azioni (es. “il Premier attacca CGIL e mezzo PD: un museo delle cere – il Giornale – 29 set. 14). Nel secondo caso invece la componente conflittuale, comunque presente in ogni struttura narrativa, appare più sfumata, dissimulata in una composizione dai toni meno accesi, meno intensa nelle sue componenti passionali perché destinata a comporsi all’interno di una fabula più ampia, ove la costruzione antagonistica non si esaurisce nel singolo titolo (es. “Renzi: lavoro, si a nuove regole – la Stampa – 13 ago. 14).
Ovviamente, soprattutto in quest’ultima classificazione, diversi titoli potevano avere una certa compatibilità con entrambe le polarità delle dicotomie descritte per cui la discriminante è stata la loro valutazione rispetto al soggetto di analisi e non viceversa rispetto a criteri generali. D’altronde anche nel caso di qualche classificazione opinabile o di eventuali sviste, per la legge dei grandi numeri ciò non modificherebbe significativamente i risultati ottenuti.
Ulteriori elementi di interesse nel ricostruire visivamente il posizionamento dei giornali sono state ottenute analizzando le diverse combinazioni ottenibili attraverso i tre criteri descritti che hanno dato vita a 8 possibili configurazioni discorsive, dal quale sono scaturite delle aree discorsive di caratterizzazione che sono illustrate graficamente.
Il Corriere della Sera
Il Corriere della sera su 404 giorni considerati ha nominato il soggetto di analisi in 278 occasioni, il 40,3% delle volte in posizione di rilevanza (1° o 2° titolo principale). Il nome Renzi è riportato 186 volte mentre in 23 casi di discorso riportato il termine è chiaramente presupposto, Matteo 2 volte, 51 volte l’appellativo di Premier (o Presidente del Consiglio) e solo 25 volte la parola governo. Forte appare lo stacco tra la personalità di Renzi che catalizza le attenzioni dei media, e il governo come organo collegiale che mostra un’identità abbastanza labile. Non è detto che questa sovraesposizione paghi positivamente e che si traduca in un vantaggio per il Premier, anzi. Relativamente ai criteri di classificazione del discorso si può notare la prevalenza del regime della constatazione (59,7%) su quello della performatività (40,3%), la prevalenza del discorso indiretto (56,1%) su quello riportato (43,9%), mentre la costruzione spiccatamente antagonistica ricorre circa un quarto delle volte (24,1%).
Le configurazioni discorsive ottenute combinando i tre criteri mostrano una chiara tendenza verso le modalità constatative del discorso con netta prevalenza della modalità indiretto/narrativa (32%), mentre nel discorso performativo che comunque mostra un certo picco (20,5%), si preferisce optare per la modalità del discorso riportato/narrativo, prendendo in tal modo le distanze dall’onere di veridizione in capo al soggetto e dalle conflittualità sullo sfondo, la cui ricostruzione rimane nella facoltà interpretativa del lettore. Le modalità conflittuali sono mediamente presenti e mostrano un picco (10,4%) nella configurazione constatativo/indiretto a conferma di un ruolo di osservatore e descrittore della scena a cui il quotidiano non vuole rinunciare, e che peraltro non può e non vuole sottacere alle tensioni presenti sullo scenario. L’antagonismo dunque non è prodotto direttamente dall’enunciazione del soggetto politico, ulteriore presa di distanza, ma connaturato alla situazione.
Il Giornale
Il Giornale su 336 giorni considerati ha nominato il soggetto in 248 occasioni, il 36% delle volte in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). La parola Renzi è stata usata 167 volte mentre in 2 casi era chiaramente implicato dal discorso riportato, Matteo 9 volte, 48 volte Premier e solo 20 volte quella di governo.
In merito alla classificazione del discorso prevale nettamente il regime della constatazione (71,8%) su quello della performatività (28,2%), parimenti accentuata la prevalenza del discorso indiretto (87,5%) su quello riportato, mentre la costruzione spiccatamente antagonistica (33,9%) rappresenta il valore più elevato tra tutti i quotidiani considerati.
Le configurazioni discorsive registrate, disegnano nel grafico una singolare forma a quattro cuspidi dove tutte le forme di discorso riportato sono usate in modo assai limitato, prevale in modo molto netto la configurazione constatativo/indiretto/narrativo (44,8%), due picchi nel discorso constatativo/indiretto/antagonistico (19%) e performativo/indiretto/narrativo (15,3%), ed infine una non trascurabile configurazione performativo/indiretto/antagonistico (8,5%). Da rilevare oltretutto che 14 volte su 20 il discorso riportato non appartiene a Renzi ma a personaggi antagonisti.
Scelte di campo che testimoniano sia la scelta di concedere limitatamente la “parola” al soggetto, sia di evidenziarne le inclinazioni alla conflittualità nelle situazioni di performatività, sia uno stile complessivo del quotidiano di proporsi non semplice cronista ma narratore della scena che preferisce appunto reinterpretare narrativamente.
La rilevanza della frequenza del soggetto Renzi non deve dunque trarre in inganno, in quanto sembra emergere un soggetto raccontato in rapporto antagonistico con l’ambiente circostante, la cui volitività è notevolmente ridimensionata.
Il Messaggero
Il Messaggero su 404 giorni considerati ha citato il soggetto in 384 occasioni risultando il quotidiano con il più alto numero di menzioni, di cui il 47,1% delle volte in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). Nel complesso la parola Renzi ricorre 242 volte mentre in 14 casi il nome è chiaramente presupposto nei casi di discorso riportato, Matteo 4 volte, 83 volte l’appellativo di Premier e 59 volte quella di governo. Relativamente alle modalità discorsive appare un quasi equilibrio tra il regime della constatazione (52.9%) e quello della performatività (47.1%), una prevalenza del discorso riportato (57%) rispetto a quello indiretto, una costruzione antagonistica assai limitata (12.2%) che fa registrare il valore più basso tra le altre testate.
Nel grafico delle configurazioni discorsive rilevante è la cuspide della modalità performativo/riportato/narrativo (29,4%) e comunque tutta l’area della narratività è assai utilizzata, a discapito della polarità antagonistica, evidenziando quindi una scelta di campo ben precisa.
Il Quotidiano dunque rimane in buon equilibrio nel suo ruolo di narratore della scena, usa il discorso riportato quando la responsabilità della veridizione deve ricadere nella sfera del soggetto, ne riporta la performatività o ne constata la sua presenza nella situazione con equa frequenza, rinuncia all’enfasi dello scontro anche a costo di penalizzare la propria identità.
Una testata che sceglie quindi un basso profilo, rimane nel suo ruolo di informatore e sicuramente non maltratta il soggetto che ne risulta si volitivo, non incline solo al conflitto con altri soggetti ma semmai contro il problema.
La Repubblica
La Repubblica su 404 giorni considerati ha citato il soggetto 370 volte di cui il 60.4% in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). Nel complesso la parola Renzi ricorre 249 volte mentre in 27 casi il nome è chiaramente presupposto nei casi di discorso riportato, Matteo 11 volte, 79 volte l’appellativo di Premier e solo 20 volte quella di governo. Relativamente ai criteri di classificazione del discorso si può notare la prevalenza del regime della della performatività (56.2%), una prevalenza consistente del discorso riportato (63.5%), mentre la costruzione antagonistica (23.2%) ha un coefficiente abbastanza marcato.
Nelle configurazioni discorsive, emerge nettamente la cuspide della modalità performativo/riportato/narrativo (34,3%) ed un’area della constazione equamente divisa tra discorso riportato/narrativo e discorso indiretto/narrativo (16,5%). Una certa rilevanza comunque anche nell’area della costruzione antagonistica nelle due modalità performativo/riportato (9,8%) e constatativo/indiretto (7,3%), segno di un identità polemica certamente non sopita. In generale dunque una testata che cerca di rimanere in equilibrio sul soggetto, che accetta di riportarne la performatività pur senza farsene carico mediante il discorso riportato, che privilegia la narratività pur senza abbandonare l’uso di una costruzione antagonistica nel quale tenta di trovare un equilibrio tra il ruolo di descrittore della scena e le responsabilità da porre in capo al soggetto riportandone le affermazioni.
La Stampa
La Stampa su 393 giorni considerati ha riportato il soggetto in 352 occasioni di cui il 56.1% delle volte in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). Nel complesso la parola Renzi ricorre 235 volte mentre in 20 casi il nome è chiaramente presupposto nei casi di discorso riportato, poi Matteo 5 volte, 67 volte Premier e 37 volte governo. In merito alla classificazione del discorso si può notare la prevalenza del regime della constatazione (54%) su quello della performatività (46%), la leggera prevalenza del discorso indiretto (52.3%) su quello riportato, l’uso della costruzione antagonistica il 20.2% delle volte rispetto alla modalità narrativa.
Le configurazioni discorsive che ne derivano, vedono l’area della costruzione narrativa più o meno equamente distribuita nelle quattro modalità possibili, mentre nell’area della costruzione antagonistica una cuspide di una certa importanza si riscontra nella configurazione constatativo/indiretto/antagonistico (11,6%). Da notare che altre due configurazioni del discorso antagonistico, quella performativa (2,6%) e quella del discorso riportato (2,3%) registrano valori assai limitati, quasi a sollevare il soggetto dalle responsabilità dei conflitti.
Una testata dunque che anche in questo caso sceglie il versante della narratività per operare come descrittore della scena, evita i conflitti se non quando il suo ruolo di informatore glielo impone, soggetto neutro che utilizza con equilibrio sia la dicotomia del discorso riportato/indiretto, sia quella della performatività/constatazione, un profilo che certamente non nuoce al soggetto e che consente di mutare le scelte di campo senza intaccarne la credibilità agli occhi dei suoi lettori.
Ci sono molte considerazioni da fare ancora, ma ritengo sia il caso di chiudere e lasciare una pausa di riposo al lettore prima di passare alle conclusioni per le quali do appuntamento tra qualche giorno.
la prima immagine è tratta da:
http://i630.photobucket.com/albums/uu29/climalteranti/giornale.jpg
(vai alla prima parte)
1 Per una trattazione più approfondita della performanza e della constatazione, dell’enunciazione per gli atti linguistici vedi anche M. Sbisa – Gli atti linguistici – Feltrinelli,1978, – J.L. Austin – Come fare cose con le parole – Marietti, 1987
2 Termine in uso in semiotica delle passioni che attiene a sentimenti, emozioni, passioni. Alcuni autori di riferimento: A.J. Greimas, J. Fontanille, P. Fabbri, I. Pezzini, F. Marsciani.
3 Le modalità ottative esprimono desiderio o potenzialità, quindi non sono direttamente riferibili ad una azione in corso o compiuta.
4 Termine coniato da M. Foucault che identifica il processo del dichiarare il vero di qualcosa secondo la visione del mondo di un particolare soggetto, piuttosto che l’oggettivazione del vero di quel qualcosa.
5 Per una esposizione più ampia della nozione di debrayage / embrayage e della teoria dell’enunciazione vedi U. Volli – Manuale di semiotica –Laterza 2000 – per la formulazione della teoria dell’enunciazione vedi anche A.J. Greimas – Semiotica, dizionario ragionato della teoria del linguaggio – 1979
6 Per una trattazione più ampia dei concetti si veda U. Volli – Manuale di semiotica –Laterza 2000 – G. Marrone – Corpi sociali _Einaudi 2001 – U. Volli – Il nuovo libro della comunicazione – Il saggiatore 2007