Dalla fotografia di una giornata tutto sommato “tranquilla” qualche indicazione interessante: non è la politica il tema più utilizzato dalle pagine Facebook delle testate giornalistiche più seguite, ma tipologia di interazioni e tenore dei commenti quali effetti possono generare nell’ agenda dei media?
Navigando su Facebook tra il mio feed ed altre pagine, soffermandomi qua e là a leggere i commenti di gente che spesso non conosco nemmeno, mi è capitato più di una volta di interrogarmi sulla reale portata sociale di questo genere di conversazioni.
Mi domando quanto siano radicate certe convinzioni espresse ed in che misura siano ispirate dalle pagine dei giornali e modellate dal tono dei commenti dei partecipanti alla conversazione.
Nel libro Corpi sociali (G. Marrone – Einaudi, 2001) l’autore analizzando i discorsi sociali, contemplava alcune categorie discorsive quali il discorso pubblicitario, il discorso giornalistico ed il discorso politico come fonti prevalenti nell’ alimentare il più generale concetto di opinione pubblica di una società.
Ritornando ai commenti su Facebook in particolare, ho avuto l’impressione che queste categorie siano divenute insufficienti perché l’avvento dei social media e di Facebook in particolare, rendono necessario definire i contorni di una nuova categoria, quella del “discorso virtuale”.
Probabilmente qualcuno prima e meglio di me avrà già elaborato il concetto di discorso virtuale, sul quale tuttavia mi sento di aggiungere le mie considerazioni.
Ritengo di una certa importanza comprendere più in profondità gli effetti emergenti di questa tipologia di conversazioni che, fino a 5 o 6 anni fa sembrava spazio ludico e semiserio dei pionieri delle piattaforme social, mentre oggi invece sembra contagiare e coinvolgere una fascia sempre più ampia di popolazione di tutte le età.
L’attitudine a commentare soprattutto sui temi sociali più dibattuti non sembra più prerogativa di una sparuta minoranza di avanguardisti, ma coinvolge un numero sempre più grande di persone che prova a diffondere la propria opinione, che è disposto a scendere sul terreno degli insulti per difenderla, che tenta di esercitare più o meno consapevolmente una qualche influenza sulla propria cerchia di contatti.
Intanto è importante distinguere tra lo spazio privato di ciascuno di noi, costituito da aspetti ludici o grotteschi che interessano solo una ristretta cerchia di amici, dal discorso virtuale di cui fanno parte contenuti riferiti ad aspetti e temi di natura sociale di più ampia portata, ove si delineano tendenze, si commentano fatti di rilevanza pubblica, si esprimono opinioni o giudizi avvalorati da tesi e conoscenze (spesso tutte da verificare!) e che implicano forti rapporti di intertestualità tra diversi temi.
A volte il confine tra queste due categorie è abbastanza labile: basti pensare ad esempio agli episodi di cyber-bullismo che si sviluppano nelle cerchie ristrette di amici e che travalicano questi confini quando provocano conseguenze anche tragiche, perché se entrano nel racconto dei media entrano a far parte dei discorsi virtuali dell’opinione pubblica della rete.
I media, o per stare al lessico sociologico, il discorso giornalistico proietta sulle piattaforme social le “esche” per lo sviluppo dei discorsi virtuali che si sviluppano in due modi:
– i commenti fatti direttamente a margine del post nella pagina dai vari “followers” che ospitano conversazioni estese tra persone che non si conoscono;
– la condivisione del post-notizia nel proprio profilo commentandolo, pratica che fa nascere spesso accese conversazioni nei gruppi (relativamente ristretti) di amici.
Tali conversazioni sono caratterizzate da una rilevante intertestualità che rivela le idee comuni e la risonanza che viene attribuita a certe tematizzazioni in un dato momento.
La rilevanza del fenomeno sta nel fatto che le dimensioni di queste conversazioni (a volte di diverse migliaia di commenti!) producono modificazioni nel discorso giornalistico, nel discorso politico ed anche nella formazione dell’opinione pubblica in generale.
Le modificazioni del discorso giornalistico si originano perché il feed-back diretto e tangibile del pubblico ad una certo articolo, rinforza il fenomeno della circolarità dei media, inducendo questi ultimi a pubblicare e dare rilevanza alle notizie più dibattute nonché ad adottare toni e linguaggi consoni al tipo di interazioni.
Di fatto quindi numerosità e portata delle interazioni non proietta la sua influenza soltanto sull’ agenda setting (la scelta degli argomenti proposta dai media) ma anche sul framing (la messa in forma degli argomenti stessi), facendo sì che ogni testata tenderà sempre più a modellare la “forma” della sua informazione a seconda il tipo di lettore-commentatore che frequenta le sue pagine.
Altro effetto indotto da questi fattori è che mentre nel passato l’informazione veniva “mediata” dagli organi di informazione su una linea che ponderava le opposte visioni dei lettori (anche da questo la denominazione di media), ora è verosimile che si diffonda una maggiore inclinazione a radicalizzarsi sulle posizioni e gli umori del proprio pubblico-commentatore.
Ovviamente sono in ballo fattori di natura economica molto importanti legati agli introiti pubblicitari in rete che si saldano con quanto detto sopra e che rinforzano certe tendenze, ma questo rientra in altro discorso.
Conseguentemente queste evidenze sono facilmente accessibili anche al mondo politico il quale ovviamente tenderà a modificare la sua agenda politica o quantomeno ad adeguare la “messa in discorso” dei vari temi nel modo ritenuto più efficace per stimolare le reazioni del proprio pubblico.
L’ effetto prevedibile nell’opinione pubblica e che in parte è già stato possibile osservare in diverse situazioni, è la tendenza a frammentarsi in gruppi più o meno ampi di persone che attraverso la condivisione e le conversazioni in rete, trovano conferme e rinforzo ai loro punti di vista, finendo per radicalizzare le proprie posizioni e convinzioni.
Diffidenza nelle fonti ufficiali, complottismo e anti-politica sono soltanto alcuni tra i trend sociali più diffusi che si intrecciano con il fenomeno diffuso delle fake-news e del clickbaiting in un magma in cui diventa sempre più difficile distinguere tra informazione e disinformazione.
Gli “informati” della rete – qualche statistica
L’abitudine ad informarsi in rete per mezzo delle testate on-line ed i social media è pratica sempre più diffusa che non riguarda più una percentuale ridotta di persone, anzi le statistiche parlano di un fenomeno in crescente aumento in tutte le fasce della popolazione.
Le statistiche dicono che nel 2016 il numero di persone che si sono connesse a internet è cresciuto del 4% rispetto all’anno precedente (39.21 milioni di persone), mentre l’aumento di quelle che usano i social media è dell’11%; aumentano del 17% invece le persone che accedono a piattaforme social da dispositivi mobile per un totale di 28 milioni, che corrisponde a una penetrazione del 47% (fonte: wearesocial.com/digital-in-2017-in-italia-e-nel-mondo).
Misurati in aumento anche gli utenti mensili di «current events & global news», che al lordo delle duplicazioni sono stati misurati in 20.55 milioni (dato maggio 2017), oltre 1,3 milioni in più rispetto ad Aprile che significa un +6.9%, la variazione maggiore fra tutte le categorie (fonte: www.datamediahub.it/report-su-quotidiani-italiani-social/).
Secondo il 14° rapporto Censis (fonte: www.primaonline.it/in-italia-il-60-delle-persone-segue-i-tg-per-informarsi-ma-tra-i-piu-giovani-cresce-il-peso-di-facebook/) invece i telegiornali sono usati abitualmente per informarsi dal 60,6% degli italiani, ma solo dal 53,9% dei giovani.
La seconda fonte d’informazione è Facebook con il 35%, ma nel caso degli under 30 il social network sale al 48,8%; stando ai dati, tra i mezzi utilizzati dai giovani per informarsi seguono i motori di ricerca su internet come Google (25,7%) e YouTube (20,7%).
Le persone più istruite, diplomate o laureate, restano affezionate ai tg generalisti (62,1%), ai giornali radio (25,3%) e alle tv all news (23,7%), anche se tuttavia danno comunque molta importanza a Facebook (41,1%).
I quotidiani vengono al sesto posto nella classifica generale: li usa regolarmente per informarsi solo il 14,2% della popolazione, il 15,1% delle persone più istruite, ma solo il 5,6% dei giovani.
Sempre secondo tale analisi a più della metà degli utenti di internet è capitato di dare credito a fake news circolate in rete: è successo spesso al 7,4%, qualche volta al 45,3%.
La percentuale scende di poco tra le persone più istruite (51,9%), ma sale fino al 58,8% tra i giovani under 30, che dichiarano di aver creduto spesso alle bufale in rete nel 12,3% dei casi.
Fa pensare comunque che mentre i tre quarti degli italiani (77,8%) soprattutto tra diplomati e laureati (80,8%) ritengono le fake news un fenomeno pericoloso e pensano che le bufale sul web vengono create ad arte per inquinare il dibattito pubblico (74,1%) e per favorire il populismo (69,4%), sembra invece che i giovani diano meno peso a queste valutazioni: il 44,6% ritiene che l’allarme sulle fake news sia sollevato dalle vecchie élite, come i giornalisti, che a causa del web hanno perso potere.
Infine per quanto riguarda i social media, la piattaforma che nello specifico ha un ruolo predominante per la possibilità di sviluppare conversazioni è Facebook, la quale a dicembre 2016 ha raggiunto 29 milioni di utenti attivi al mese, con un’audience di 24,6 milioni/giorno (fonte:http://vincos.it/social-media-in-italia-analisi-dei-flussi-di-utilizzo-del-2016/).
Quindi Facebook non è solo il luogo più affollato della rete, ma anche quello dove si trascorre più tempo con una media di 14 ore e 9 minuti/mese per persona; il 74% degli italiani che usa Facebook lo fa ogni giorno (contro una media globale del 55%).
Chiudo questa breve rassegna di dati riportando che, secondo Data Media Hub, la testata di Libero orientandosi su “gossip” e click baiting intercetta il 23,5% del proprio traffico on-line proprio da Facebook.
Sono dati in costante aumento e che nel momento in cui scrivo saranno già superati da nuovi record, numeri che danno la dimensione di un fenomeno importante, dove la percentuale di persone che vuole non solo informarsi, ma anche esprimere e diffondere il proprio punto di vista è in crescente aumento.
Per questo motivo interrogarsi sulla qualità di ciò che gli organi di informazione postano su Facebook è sicuramente importante così come comprendere gli atteggiamenti dei follower, aspetti che sia pure limitatamente, data la portata del fenomeno, affronto in questo post.
Ulteriori ricerche a più ampio spettro potrebbero esplorare più in profondità le tendenze emergenti e non escludo di ritornare sull’argomento in seguito.
Che cosa viene commentato
L’analisi è stata realizzata sul materiale pubblicato il giorno 19 settembre dalle ore 07.00 alle ore 20.00 sulle pagine Facebook di alcune tra le testate giornalistiche che hanno il maggior numero di followers (dato di settembre 2017 fonte: https://www.socialbakers.com/): la Repubblica (3. 435.022), Direttanews.it (2.957.609), Corriere della sera (2.456.342), il Fatto Quotidiano (2.154.297), Tgcom24 (1.847.054).
Pur non disponendo dei dati di visualizzazione delle varie pagine considerate, sappiamo che l’algoritmo di Facebook distribuisce i contenuti solo ad una parte dei followers (recenti aggiornamenti dicono che l’orientamento sia quello di ridimensionare nei feed il peso delle news a vantaggio di contenuti che suscitano interazione).
Pertanto si può supporre che ogni post-notizia sia distribuito ad una percentuale di followers che oscilla intorno al 10-15% con punte fino al 20% e che di questi una parte non consulti il proprio feed quotidianamente o che non lo esplori nella sua completezza, tanto per avere un’idea con buona approssimazione del pubblico che effettivamente legge la notizia.
Quanto e che cosa viene pubblicato dunque in queste pagine?
Non è la politica il tema più frequente proposto dalle pagine Facebook delle testate considerate: La repubblica propone solo 7 post su 38, il Corriere della sera 4 su 48, Tgcom24 6 su 58, Direttanews.it nemmeno uno, fa eccezione il Fatto Quotidiano che parla di politica in 30 dei suoi 71 post.
La fotografia di una giornata, peraltro tranquilla, mostra una certa “iperattività” del Fatto Quotidiano per il numero di post pubblicati, seguito da Tgcom24, mentre la Repubblica, spesso molto attiva, non sembra aver trovato particolari ispirazioni in quella giornata.
Per quanto riguarda le interazioni invece, si è provveduto a calcolare la media di commenti, “reactions” (una volta erano solo “like”) e condivisioni per ogni post, e i risultati si possono vedere negli istogrammi riportati.
Mettendo in rapporto i dati ottenuti con il numero di followers della pagina, si ottengono dei coefficienti (per milione) che, in mancanza dei dati di insight, indicano qualcosa che si può definire come un indicatore della propensione ad interagire nei vari pubblici.
Dai dati emerge che il pubblico di Direttanews.it è quello meno incline ad interagire, quello del Corriere il meno propenso a condividere mentre il pubblico del Fatto Quotidiano tende a farlo tre volte di più, che il pubblico di Tgcom24 è quello più propenso a mettere reactions, quasi il doppio rispetto agli altri, ed è anche il più incline a commentare, da una volta e mezza al doppio rispetto agli altri pubblici.
In sostanza questa è solo la fotografia di una giornata che ci offre qualche buon indizio in merito al tipo di discorso che nasce sulle piattaforme social, anche se i dati quantitativi disponibili non sono statisticamente sufficienti ad affermare una tendenza.
Ulteriori indizi si possono ottenere isolando la “top ten” dei 10 post di ogni testata che hanno ricevuto maggiori interazioni, che sono esposti nelle tabelle seguenti.
La Repubblica
Un fatto di cronaca, un fatto politico e poi ancora cronaca per i tre post che hanno ricevuto il maggior numero di interazioni.
In particolare sentimento e solidarietà sociale sembrano essere il tema che impatta maggiormente per le reactions, mentre un tema politico a chiaro sfondo polemico riceve il maggior numero di commenti e condivisioni.
In sintesi a giudicare dai risultati della giornata in esame, sembrerebbe che la propensione ad interagire sia superiore su post che parlano di circostanze inusuali piuttosto che di fatti rilevanti per la loro portata sociale, che la politica è il territorio dei commenti, meglio se si tratti di argomenti che implicano aspetti polemici.
Con una certa sorpresa invece, un fatto potenzialmente di forte rilevanza mediatica come la violenza alla dottoressa della guardia medica di Catania, riceve un numero relativamente basso di interazioni, quasi che, non essendo il colpevole un immigrato, il fatto abbia perso quelle componenti di intertestualità che avrebbero prodotto un numero di commenti di gran lunga superiore, anche se le componenti polemiche non sono comunque mancate.
Il Corriere della sera
Il caso Ryanair catalizza le maggior attenzioni, poi ancora un tema inerente il mondo del lavoro, ancora lavoro e antipolitica per i tre post che riscuotono il maggior numero di interazioni.
Da rilevare un alto numero di commenti per il famoso caso della Ferrari parcheggiata nel posto dei disabili e del fatto, meta cronaca e meta politica, che collega Di Maio a San Gennaro, sacro e profano.
Sembrano dunque diverse le preferenze del pubblico del Corriere della sera almeno in termini di interazioni.
In sintesi maggiore attenzione e coinvolgimento sui temi che riguardano il lavoro e la sua influenza sul sociale, poi a seguire i fatti di cronaca, mentre quello politico non è sembrato l’interesse dominante.
Direttanews.it
Due fatti di cronaca tragici che riguardano bambini, poi un test sulla personalità mirato esplicitamente a veicolare traffico al sito, le “hits” di questa pagina.
Nel caso di Diretta News, pur in presenza di una diversa distribuzione di reactions, commenti e condivisioni tra i vari post, emerge in modo chiaro la prevalenza dei fatti di cronaca, meglio se nera, fatti di costume e gossip.
Una pagina dunque che preferisce concentrarsi e pilotare l’attenzione dei suoi lettori su temi meno “profondi”, che non sembra cavalcare l’onda lunga di alcuni macro temi molto battuti al momento come l’antipolitica o il fenomeno dei migranti o la sicurezza, che esprime i “malori” del sociale attraverso la cronaca nera e si distrae con il gossip e il grottesco dei fatti che illustra.
Il Fatto Quotidiano
Un fatto tragico di cronaca, poi il fatto della violenza sessuale alla dottoressa della guardia medica di Catania, poi un fatto di costume che mette in evidenza le differenze culturali con le comunità islamiche nel territorio sono i post al top delle attenzioni tra i seguaci del Fatto Quotidiano; seguono per interesse i post che parlano di politica.
Sembrerebbe singolare questo livello di interesse sugli argomenti di una testata che ha fatto dell’antipolitica e del giornalismo d’inchiesta sul malaffare della politica il suo cavallo di battaglia.
In realtà, al di fuori del post che descrive la tragedia del giovane torero in Spagna, tema che comunque richiama alla mente vecchie e mai sopite polemiche su questo genere di spettacolo, appare evidente una certa intertestualità tra i temi di natura politica, il fatto di violenza e gli usi di una comunità religiosa diversa, quali effetti indotti dalla malapolitica.
Evidente dunque che la politica e la sua stretta relazione con i problemi che influenzano la vita sociale e la quotidianità sia il filo conduttore di questa testata.
Tgcom24
Un fatto di cronaca di violenza sessuale, poi il caso toccante dell’anziana sfrattata dalla sua casetta di legno giudicata non regolare in una delle zone terremotate, un fatto di sport con Valentino Rossi.
Si nota anche una certa distribuzione di commenti e condivisioni che si indirizza su altri temi e che fa pensare ad una testata che ha abituato il suo pubblico a mantenersi ad una certa distanza dai temi della politica, che indugia sulla cronaca e sui fatti di costume, che in tal modo riceve dal pubblico un alto numero di interazioni.
Conclusioni
Dunque non è la politica il tema più frequente delle testate giornalistiche su Facebook, anche se su di essa si sviluppano spesso le conversazioni più accese caratterizzate spesso da toni abbastanza “feroci” e che segnano le divisioni e gli schieramenti in modo netto.
Chiaramente un giudizio globale delle testate andrebbe fatto considerando che l’effetto di senso complessivo che il lettore costruisce è dato da un legame latente tra le varie notizie, tuttavia tentare una “lettura” di questo tipo tra le varie pagine diventerebbe fortemente interpretativo e discrezionale, per cui evito di entrare nel merito.
Appare opportuno ricordare il diverso grado di coinvolgimento tra le varie interazioni, dalla facilità di un like (largamente il più utilizzato persino impropriamente in alcuni casi), alla scelta di condividere un contenuto nella propria cerchia, alla pratica di commentare che impone di uscire allo scoperto con il proprio punto di vista, richiedendo perciò un rilevante coinvolgimento cognitivo ed emotivo al tempo stesso.
Infatti non sempre il maggior numero di reactions, implica un maggior numero di commenti o condivisioni, anzi a volte sembra quasi che esistano tendenze ad interagire variabili in base alla tipologia di contenuti.
In ogni caso i numeri relativi alle interazioni rappresentano comunque un indicatore di gradimento dei temi e quindi la loro intensità segnala cosa fa parte del “senso comune” di questo discorso virtuale.
D’altronde ho già avuto modo di soffermarmi su un fatto di cronaca di una certa rilevanza mediale per osservare le differenze di atteggiamento che il tipo di contenuti proposti ingenera nel proprio pubblico nel lungo termine (http://sb.aidazerouno.it//personalita-social-su-facebook/), differenze che emergono proprio dalla lettura dei commenti.
Non è troppo difficile per gli editori, basandosi su questi commenti, raccogliere le tendenze in atto e orientare in tal modo le proprie strategie editoriali.
Logica conseguenza che ci si può attendere, e che anche in questo caso si riscontra nelle parole delle conversazioni, riguarda la modifica di un certo genere di semantiche e delle relative semiotiche sociali, dalla quale scaturisce l’esaltazione di particolari aspetti emotivi della comunicazione.
Un effetto questo che in qualche caso esce dallo spazio virtuale per entrare nella quotidianità dei gruppi di conoscenti attraverso il passaparola e che, possiamo ben immaginare in quali casi, produce un effetto “regressivo” dell’opinione pubblica del tutto simile allo stesso genere di effetti attribuibili alle dinamiche della folla.
nota: Le infografiche relative alle statistiche del pubblico della rete sono state tratte dalle fonti citate nel testo
La rilevanza dei media nel modellare le diverse rappresentazioni di un personaggio dal punto di vista iconografico è indiscutibile, specialmente quando si tratta di figure di primaria importanza sulla scena. Alcune volte tuttavia ne scaturiscono delle iconografie ai limiti del grottesco; sono le raffigurazioni percepite dal pubblico e riproposte dalla “circolarità” dei media oppure il tentativo di quest’ ultimi di imporre i propri modelli figurativi?
Dall’ avvento dei media di massa, tutti i leader politici gli hanno sempre attribuito notevole importanza, consapevoli della forte influenza che questi possono esercitare sull’ opinione pubblica nel raccontarne l’azione e nel condizionarne il livello di consenso.
In particolare, oltre al raccontare l’attività politica di un leader, c’è un altro aspetto che assume particolare rilevanza nel tempo e che consiste nel dare forma alle iconografie prevalenti relative al volto e alla gestualità del leader stesso, modellandone in un certo qual modo la percezione.
Dal punto di vista semiotico, la figura di un leader acquisisce un “effetto di senso” quale risultato di tutti i testi-oggetto in cui viene riprodotto durante la sua attività: interviste tv, audio e stampa, locandine, volantini, immagini sui mezzi di informazione, video e filmati vari; pertanto sarà molto importante il suo modo di porsi e di farsi rappresentare figurativamente in tutte le possibili situazioni di contatto con il suo pubblico e con il mondo degli operatori dell’informazione.
In particolare, a volte l’iconismo che si sviluppa attorno ad alcuni volti alla lunga sembra costituire un vero e proprio mainstream che finisce per diventare l’elemento caratterizzante della narrazione del personaggio e che concorre a formarne una marcata affinità con certe figure archetipiche più o meno stereotipate.
Per tale ragione è nata la curiosità di esplorare più in profondità le iconografie di alcune figure di primaria importanza sulla scena, e perciò sono stati confrontati tre leader che hanno una notevole rilevanza mediale quali Vladimir Putin, Angela Merkel e Donald Trump.
L’analisi si è basata sull’osservazione delle prime 150 immagini indicizzate da Google relative ai tre soggetti. Si è considerato che raccogliendo materiale da altre fonti, oltreché dispendioso, poteva essere condizionato sia dalla diffusione, sia dalle scelte di campo del medium stesso in un dato momento. Con uno standard univoco la selezione del materiale si è basata su una campionatura di immagini tratte da Google, in quanto tale motore di ricerca non fa altro che indicizzare e mostrare in base alla diffusione le immagini che circolano con maggiore frequenza nella rete, pertanto strumento perfettamente in grado di rappresentare il trend mediale prevalente.
Una sintesi delle immagini che riportano alcune delle espressioni significative più ricorrenti viene riportata nelle figure incluse.
I presupposti dell’analisi
Il primo presupposto considera l’aspetto fondamentale della rappresentazione, cioè il volto, la faccia, la sostanza principale della significazione che ci riferisce come è “fatta” la persona, che comunica identità e identificazione, trasfigurazione e somiglianza. Parte dal detto “metterci la faccia” che si fondano le garanzie morali, che si esprimono ritegno, pudore, emozioni, rabbia, disgusto, così come il perderla implica la diminuzione di credibilità, carisma, rispetto e fiducia. Quindi semioticamente la faccia diventa espressione della persona e significato per antonomasia.
Altro presupposto fondante della leadership è il carisma e le modalità espressive con cui un leader lo esprime. Anche in questo caso ci si avvale del contributo semiotico laddove si individuano due grandi categorie di stili di leadership, ognuna delle quali all’interno di propri sistemi di significazione: lo stile carismatico in cui il leader ha la titolarità del dominio simbolico della leadership e la esercita nei modi a lui congeniali, e lo stile rivoluzionario in cui l’aspirante leader non ha questa proprietà e cerca di acquisirla attraverso l’investitura popolare tratteggiando la sua egemonia futura.
Ultimo presupposto considerato valuta come le iconografie ricorrenti possano implicare analogie più o meno marcate con forme archetipiche e personaggi delle strutture narrative a cui facilmente il pubblico può collegare le proprie percezioni con interpretazioni più o meno stereotipate. Questo nasce dalla considerazione che in fondo i leader politici incorporino in un certo qual modo delle figure mitiche che suscitano una sorta di immedesimazione del pubblico, così come avviene per la filmografia in genere, e che il loro immedesimarsi vada a far riferimento a quelle figure felicemente descritte da Vogler nel suo lavoro di definizione dei ruoli scenografici.
Conseguentemente gli aspetti osservati hanno riguardato:
Il confronto tra elementari principi di fisiognomica e l’espressione catturata nell’immagine letta come messaggio di comunicazione non verbale, allo scopo di prevederne la possibile percezione o di delinearne le interpretazioni;
Le semiotiche complessive di certe pose, della gestualità catturata, che possono diventare segnali denotatori di valori ed atteggiamenti che sono in stretta relazione con aspetti quali il potere, l’autorità, l’affidabilità, il cambiamento, l’autorevolezza, il carisma etc.
Le iconografie dei leader e gli archetipi di Vogler – quale eroe in viaggio?
Donald Trump
In fisiognomica il faccione abbastanza squadrato di Trump è indice di un soggetto brusco, duro, rude nei giudizi e nel comportamento. I suoi sono i lineamenti tipici di persone inclini ad affidarsi solo alle proprie capacità, dal temperamento attivo, pratico e deciso, rigidi nelle proprie idee e mossi dall’ambizione di affermarsi, tendono ad attaccare anche con una certa veemenza e non di rado raggiungono il successo grazie alla propria incessante attività.
Le sembianze di Trump sono in linea con le prerogative suddette e le espressioni catturate lo mostrano frequentemente in espressioni e gesti grotteschi al limite della vignettatura, raccontano una persona animata da passioni anche se espresse in modo caricaturale, quasi comico. Le mimiche del volto mostrano parole gridate, smorfie che esprimono disgusto, espressioni sguaiate, il ghigno serioso della persona gretta, arida, che si compiace di aver affossato l’avversario, una gestualità sintetizzata da un dito indice accusatorio, da mani aperte a difesa, un riporto di capelli che aggiunge un senso di vanità goffa che implica ulteriori segnali negativi.
Abbastanza frequenti anche le caricature di Trump, rappresentazione complessiva di un soggetto svalorizzato, di un aspirante leader goffo e inaffidabile, raccontato come un ricco uomo di affari, meschino, ingordo, ottuso e dispotico. Trump tuttavia assume una veste iconica di antisistema che rivoluziona il concetto classico del leader sicuro, affidabile, illuminato nelle sue visioni ed intuizioni.
Trump sembra incorporare i segni di due figure archetipe di Vogler, a metà strada tra “l’antieroe” e “l’imbroglione”.
La figura dell’antieroe, non è il contrario dell’eroe, ma una sua specie particolare, come il fuorilegge o il cattivo, il quale però per diverse ragioni a volte riscuote l’approvazione sostanziale del pubblico. Il tipo di antieroe affine a Trump è quello di “eroe tragico”, figura sgradevole di cui si disapprovano le azioni, che presenta debolezze, che non risolve mai i propri demoni interiori al punto da venirne neutralizzato.
L’archetipo dell’imbroglione invece riunisce in sé le energie della goliardia e il desiderio di cambiare. La funzione psicologica dell’imbroglione è quella di ridimensionare i supereroi e riportarli con i piedi per terra insieme agli spettatori. A volte suscitano ilarità, mettendo a nudo i limiti dell’ambiente e rimarcandone le follie e le ipocrisie, stimolano cambiamenti e trasformazioni salutari. Gli imbroglioni sono spesso dei personaggi catalizzatori, che agiscono nelle vite altrui, pur rimanendo sé stessi. Nelle narrazioni, gli eroi imbroglioni si trovano nei miti popolari e nelle fiabe di tutto il mondo.
Vladimir Putin
Le immagini che ritraggono Putin sono invece di tenore completamente diverso rispetto a quelle di Trump.
I tratti fisiognomici del suo volto si imperniano in una fronte alta e ampia, indice di soggetti dotati di qualità induttive e deduttive, capacità di analisi e di sintesi, di praticità e portatori di ideali. Le labbra sottili e serrate indicano soggetti meticolosi, ordinati, precisi che seguono la ragione e agiscono anche con senso dell’opportunità, con occhi profondi e sottili, segni di un leader sicuro, deciso, forte e temibile.
I lineamenti del viso abbastanza stretto di Putin sono pertinenti alla figura di leader, la gestualità illustrata delle mani è limitata ma decisa, ed i movimenti esprimono controllo; le immagini in primo piano mostrano una postura abbastanza protesa in avanti ad affrontare il problema, lo sguardo che non denota incertezze, le mani che si appoggiano al volto segnalano la giusta riflessione e ponderatezza delle scelte del leader ma mai l’incertezza, rari sono i sorrisi, di rado l’espressione compiaciuta di chi ha messo sotto scacco l’avversario anche stavolta. Non sono rare le immagini che lo riprendono intento a svolgere attività sportive o ad usare armi, segnali che tendono ad intercettare non solo il carisma del potere ma anche dell’abilità, della forza e dell’energia.
Qualche concessione alle passioni solo quando viene ritratto con animali domestici, che denotano l’esistenza di un lato sentimentale a cui può accedere solo chi riscuote la sua fiducia.
La figura di Putin è affine a quella di “eroe catalizzatore”, di colui che, eroe dinamico e deciso, non cambia e risolve le falle del sistema. Gli eroi catalizzatori sono figure centrali che possono agire eroicamente, interiormente stabili perché la loro precisa funzione è provocare la trasformazione negli altri, sono particolarmente efficienti nelle narrazioni che continuano nel tempo come le serie TV e i sequels; come in “Superman” questi eroi subiscono pochi cambiamenti interiori, ma intervengono soprattutto per aiutare gli altri o guidarli nella loro crescita, come i catalizzatori nella chimica, essi provocano un cambiamento nel sistema senza trasformarsi.
Questa sostanza archetipica ben si addice al personaggio Putin, ormai sulla scena da parecchi anni e artefice primo della rinascita prima di tutto identitaria della Russia. Il suo personaggio è percepibile come colui che, dedito alla comunità, ne può risolvere i problemi, impegnato nel suo viaggio ad affrontare di volta in volta gli ostacoli messi sul suo cammino dall’alleanza dei poteri avversi, dimostra di avere doti di scaltrezza, risolutezza e decisione che sono bagaglio di un vero leader. Spesso criticato, è anche descritto come risoluto e spietato verso i suoi avversari, tuttavia questo non sembra scalfire un granché il suo carisma e la sua popolarità. Incorpora comunque la figura del leader che ha una sua meta, un suo progetto e sa perfettamente come fare e perciò trasmette affidabilità e sicurezza nei suoi cittadini, ed anche un pizzico di ammirazione in vasta parte dell’opinione pubblica occidentale.
Angela Merkel
I tratti del viso della Merkel, denotano una certa triangolarità, con tempie larghe ed il mento abbastanza aguzzo. Questi tratti sono tipici di soggetti che lavorano principalmente con la mente, pronti e rapidi nell’afferrare le situazioni, non di rado scaltri più che profondi o colti. Una mascella abbastanza pronunciata riferisce di soggetti dotati di volontà, combattivi, dallo spirito conquistatore, ambiziosi ed orgogliosi che a volte rischiano di perdere aderenza con la realtà.
La leadership della Merkel, personaggio politico di primissimo piano della scena europea, mal si concilia con un momento storico in cui le leadership europee sono fortemente criticate specialmente quando si tratti di persone che si reputano appartenenti all’establishment dei cosiddetti poteri forti, crisi dovuta alla sfiducia e al malessere, ai guasti provocati dalle classi politiche al potere che hanno investito quasi tutti i paesi europei in una crisi che dura ormai da otto anni.
Ovviamente una figura carismatica, seppur controversa come la Merkel, non poteva rimanere indenne da queste correnti di pensiero, perciò la sua immagine di donna di ferro non sembra più garantire quelle rendite di posizione di cui, in altri momenti, aveva goduto la Tatcher.
Le immagini che la raccontano ci mostrano una donna che rappresenta il potere, ma che appare frequentemente corrucciata, un volto per niente conciliante, con la bocca curvata verso il basso in un’espressione che sembra trapelare un moto di disgusto, quasi a denotare la distanza del potere dalla società civile. Spesso ripresa in smorfie grottesche che tentano di ridicolizzarne e svilirne l’appeal di leader, non di rado viene caricaturizzata con sembianze che ne disconoscono la femminilità, che la disumanizzano mostrandola spietata e insensibile, perfettamente integrata in un sistema di potere transnazionale ormai distante dalla società e che non riscuote più la fiducia della gente. Di rado viene ripresa in espressioni sorridenti e più distese, eccezioni alla regola dunque, mentre anche la gestualità delle mani, palme aperte verso il pubblico, non sembra ispirare grandi speranze.
Il personaggio della Merkel sembra configurarsi bene con l’archetipo del “guardiano della soglia”; i guardiani della soglia, di solito non sono i malvagi o gli antagonisti della storia, spesso sono il braccio destro del maligno. Agli ingressi di un mondo nuovo ci sono dei guardiani severi a sorvegliare la soglia, per impedire l’accesso a chi non lo merita, mostrano un’espressione minacciosa, ma se affrontati adeguatamente possono essere superati, ignorati o diventare persino alleati. Spesso il malvagio stabilisce un rapporto con il guardiano della soglia per essere protetto o avvertito quando un Eroe si avvicina al limitare della sua roccaforte.
Gli eroi che riescono nella loro missione a neutralizzare i guardiani della soglia, imparano ad aggirarli, ad incanalare la loro energia al fine di incorporarli. Imparare ad affrontare i guardiani della soglia è una delle prove più ardue del viaggio dell’Eroe.
conclusioni
In questo momento l’accostamento fatto tra questi tre leader politici, le loro iconografie ricorrenti e le figure archetipe della narrazione, suggerisce spunti abbastanza interessanti sul come le rappresentazioni visive diventino per certi aspetti una sorta di barometro del giudizio sociale.
La lunga e profonda crisi non solo economica ma anche politica e valoriale della società occidentale si caratterizza per un moto di sfiducia generalizzata nelle classi politiche dominanti incapaci di risolvere i problemi sociali, pertanto sentimenti di rivalsa, di contestazione e anche di rottura degli schemi si affacciano un po’ ovunque anche se il panorama dei sentimenti popolari appare estremamente frammentato e confuso.
Trump non mostra certamente le virtù del leader ispirato, anzi è grottesco, caricaturale, antisistema, al margine dell’establishment di potere e inviso al sistema dei media che ne riproduce un’ icona da impostore; forse è proprio per questo che più Trump è osteggiato dal sistema, più il suo gradimento nelle masse del pubblico americano tende a salire, segnale quindi che la gente potrebbe vedere in lui un elemento di rottura con la continuità del passato fatta di menzogne e false promesse.
Diametralmente opposta invece la lettura del personaggio Merkel, la cui popolarità in calo deriva anche dal suo apparire interprete e protettrice di politiche austere che fanno gli interessi di un sistema di poteri economici ingordo, ambiguo, perfettamente in linea a farsi portatore di quell’alone di cupo mistero che serve ad alimentare dietrologie e complottismi. Ecco perché il suo incorporare la figura del “guardiano della soglia”, ben si congiunge con il ruolo di protettrice degli oligopoli del sistema Europa, di quelle forze egoiste che ne stanno distruggendo i valori fondativi nella mente della gente.
Putin invece, con il rilancio della Russia come potenza, come identità e come attore primario sulla scena mondiale, finisce per calzare bene i panni dell’eroe che sta compiendo appieno la sua impresa, vicino a sconfiggere il drago che attanagliava il suo paese. Pur nella durezza e nei difetti, riscuote ammirazione ed esercita comunque un certo ascendente su buona parte dell’opinione pubblica occidentale, quel carisma appunto che solo i personaggi eroi catalizzatori delle sceneggiature sanno coagulare.
Quale sarà quindi il loro percorso futuro? Vedremo!
Un paragone a cavallo del tempo tra le pubblicità di due marchi storici, un breve viaggio ove scorgere nelle immagini di qualche anno fa la pseudo realtà ed i miti del momento.
Uno degli obiettivi fondamentali della comunicazione pubblicitaria di norma dovrebbe essere la costruzione di un posizionamento ben definito e strutturato nella mente del consumatore, al fine di rappresentare per quest’ultimo un riferimento immediato ed attraente da seguire per un’esperienza di consumo, aspetto al quale il marketing attuale attribuisce notevole importanza almeno al pari del semplice atto di acquisto di un prodotto.
A volte uno degli elementi fondamentali che concorrono al posizionamento di una brand consiste proprio nella scelta di un pay off ben concepito, quella breve frase che chiude un messaggio pubblicitario, spesso filo conduttore tra una campagna e l’altra, che ha il compito di sintetizzare in pochissime parole l’identità o il sistema di valori a cui la marca fa riferimento.
Ci sono stati pay off capaci di durare decenni sino a diventare un vero e proprio mantra della marca, che in alcuni casi sono entrati nel linguaggio comune travalicando persino i confini della marca (chi non ricorda per esempio il celebre claim della Lavazza “più lo mandi giù, più ti tira su”?), altre volte invece il pay off viene cambiato più spesso per varie cause che possono riguardare strategie comunicative, scarso favore del consumatore, mutate condizioni di consumo o della realtà sociale cui si riferiscono.
In questa sede vorrei proporre il confronto della pubblicità di due noti marchi, Averna e Ramazzotti, appartenenti allo stesso settore di mercato, compiendo idealmente un piccolo viaggio nel tempo e recuperando alcuni spot diventati famosi realizzati dalla metà degli anni ’80 in poi, un’esperienza vintage che consente di rivedere alcuni frangenti della quotidianità idealizzata di quegli anni, una peculiarità della pubblicità, del suo essere situata, strettamente riferita al tempo a cui appartiene.
Pertanto di seguito si riporta un breve riassunto degli spot insieme al link ove osservarli sulla piattaforma youtube da cui sono stati tratti, a beneficio di nostalgici e curiosi.
Ramazzotti “Milano da bere” (anno 87)
Una campagna famosa anche per questo pay off un po’ provocatorio che nasce alla meta degli anni ’80 nel periodo dello “yuppismo”, dei giovani rampanti in carriera; uno spot da 30 secondi con tagli di scena rapidissimi che racconta la giornata di una città dinamica, che lavora, dove si vedono studenti di fretta, operai in cantiere, colletti bianchi, taxi, metro, dove la parodia del consumo si celebra nella parte finale dello spot: un uomo e una donna che denotano un certo status al ristorante con un cameriere in papillon che serve il Ramazzotti; è qui che il pay off “Milano da bere” opera un posizionamento “alto” mediante la metonimia delle immagini. Si celebra il momento di consumo in un luogo esclusivo riservato a persone di successo al di là del racconto di una città che lavora. Un posizionamento che ricevette anche diverse critiche per la sua scelta di legare la marca alla città della finanza per antonomasia.
Ramazzotti “giovane amaro” (anno 94)
Un pay off diverso per questo breve spot di metà anni 90 (20’), che tuttavia nelle immagini conferma le icone dei protagonisti, giovani eleganti, uomini e donne di successo, dove va in scena persino l’emulazione della scelta del Ramazzotti, ma il consumo è sempre lì, in un ristorante esclusivo, un posto pubblico, un prodotto per una certa classe di persone.
http://youtu.be/y7HTGgIA-lo Ramazzotti “Amaro positivo”(anno 99)
una clip molto breve (15’), dalla scena di un matrimonio, ad un uomo in bici, al consumo del Ramazzotti in un ambiente indistinto ma privato, ancora un uomo all’aperto ed infine un bel volto femminile per richiamare (sovrascritta!) la passione, il liquore che fluisce in un bicchiere annuncia il pay off finale “da che mondo è mondo .. amaro Ramazzotti, amaro positivo”. Cambia molto in questo spot, cambia la tipologia di personaggi ma soprattutto cambia il momento di consumo, cambia l’esperienza che ne viene richiamata.
Ramazzotti “200 anni da bere” (anno 2014)
Una clip molto breve (10’), una bottiglia al centro della scena e un mondo che simbolicamente gira intorno mostrando cronologicamente persone e costumi che richiamano i 200 anni di tradizione come spiegato dalla voce narrante, che chiude con il pay off “200 anni da bere”; gli abiti, almeno quelli dei giorni nostri, sono informali, non si ostenta esclusività, ma il momento di consumo è tornato in uno spazio pubblico, in un luogo di relazione.
Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anni ’80)
un giovane regista dirige le prove di coreografia di una scena, un uomo maturo osserva, il giovane lo nota esprimendo sorpresa e gioia, i due si abbracciano, è probabilmente l’incontro tra padre e figlio, è il momento della pausa e i due uomini gustano insieme amaro Averna mentre la voce narrante canta “Amaro Averna scalda il cuore .. il gusto pieno della vita”.
Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 99)
Una festa in casa e giovani vestiti in modo informale bevono Averna, in parallelo una bella ragazza cammina in strada e nel cambio di scena il suo volto è nella copertina di un magazine, cade una goccia di Averna sulle labbra ritratte in copertina e nel nuovo cambio di scena dal vivo la ragazza pare riassaporare con le labbra il gusto dell’amaro, quasi a richiamare alla mente il ricordo del sapore; la voce narrante che dice “gusto chiama gusto, Averna il gusto pieno della vita”.
Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 2008)
Il jingle inizia “Dimmi quand’è…”, una macchina in fila, un giovane ben vestito che nota un cane abbandonato e scende dall’auto per accarezzarlo, un abbraccio tra padre e figlio, due fidanzati che discutono e lei che improvvisamente ferma l’auto in mezzo alla strada e scende prima accigliata poi abbozzando tra sé e sé una sorta di sorriso complice, una coppia sorridente che in ambiente domestico consuma l’amaro, il testo del jingle che in modo estremamente appropriato scandisce e descrive le scene e conclude con le parole “dimmi quand’è che hai vissuto le piccole cose con il gusto pieno della vita” enfatizzando in tal modo il valore speciale di aspetti della quotidianità e del privato tra le quali il consumo dell’amaro si propone in entimema.
Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 2014)
Il jingle che inizia “Ci son momenti che ….”, tre giovani su un tetto, cambio di scena ed altri che costruiscono un castello di carte mentre bevono amaro Averna, poi l’abbraccio tra padre e figlio, un falò in spiaggia tra giovani, una giovane coppia che nella propria casa sembra aver messo a dormire i bambini e si gode un attimo di serenità gustando l’ amaro, ancora una volta lo scandire preciso ed appropriato del jingle che conclude dicendo “…se ci pensi un po’ su niente conta di più, l’emozione che c’è quando scopri le cose più vere Averna il gusto pieno della vita”, magnificando anche in questo caso il valore delle piccole cose della quotidianità a cui amaro Averna sembra appartenere.
http://youtu.be/dMuUtXoCHR8
Due mondi possibili (A. Semprini – 1993) ben diversi quelli descritti e rappresentati dalle due marche, ognuna delle quali propone le sue storie facendo riferimento a sistemi di valori differenti a tratti persino in opposizione tra di loro.
Il Ramazzotti, pur avendo adottato una discontinuità nei vari pay off, prima Milano da bere, poi giovane amaro, poi amaro positivo infine 200 anni da bere, attraverso la sintassi delle immagini, carte di credito, il sole 24 ore, camerieri in papillon, ristoranti d’elite, protagonisti vestiti in modo ricercato, adotta regimi discorsivi che tracciano un mondo possibile caratterizzato dall’ espressione di un io idealizzato che connota prestigio, successo, status, seduzione.
L’amaro Averna invece sceglie un mondo privato fatto di piccole cose, quelle che in fondo sono veramente importanti, il gusto pieno della vita, un claim che dura da 30 anni e che mostra lo spazio degli affetti, dell’amore, delle piccole grandi emozioni della quotidianità e dell’intimità, dove Averna si candida discretamente ad esserne testimone. È un pay off che si afferma, costante e sicuro nel tempo, sempre allo stesso modo pur in una società che cambia nelle sue forme esteriori.
Sono pertanto due brand che portano avanti due narrazioni in potenziale opposizione tra di loro come si può osservare nel mapping semiotico rappresentato in figura1, che ancorché appartenenti alla tipologia di narrazioni utopiche, visto il genere merceologico, scelgono di farlo adottando due sfere di valori assai diverse; mentre Ramazzotti deve adeguare il suo pay off al momento biografico dell’audience (A. Fontana) avendo optato per il mondo sociale, Averna può mantenerlo inalterato avendo puntato sulla sfera privata.
Ci sarebbe da precisare tuttavia che all’epoca il successo del claim “Milano da bere” suscito, per la verità, diverse critiche in quanto capace di alimentare polarizzazioni opposte tra chi apprezzava quella proiezione del sé, e chi invece mal digeriva quella connotazione definita un po’ “spocchiosa”.
Non ho disponibili dati di marketing recenti affidabili, anche se sembra che verso la fine degli anni ’80 l’amaro Averna risultava come il più venduto con una quota di mercato del 24%, seguito a ruota dall’ Amaro Montenegro (22%), e poi da Ramazzotti (13,5%). Non si può quindi verificare che una strategia di comunicazione sia vincente rispetto all’altra anche perché ci sono molti altri fattori di marketing dei gruppi cui appartengono le due marche che possono influenzare le quote di mercato.
Occorrerebbero ricerche mirate e specifiche per determinare che tipo di posizionamento ne è scaturito nella mente dei consumatori e la sua efficacia nell’influenzare le vendite al di là poi del gusto vero e proprio del prodotto.
Tuttavia questa sorta di viaggio nel tempo dei due marchi, oltre magari a richiamare nel lettore nostalgie di momenti passati, mostra in modo ancor più netto, qualora ce ne fosse bisogno, di come ogni elemento che fa parte delle strategie comunicative dirette a definire l’identità e l’immagine di una marca, rivesta un ruolo importante e mai banale.
1 Il modello è tratto da A. Fontana – Storyselling – 2010, ed è a sua volta una rielaborazione tratta da A. Semprini – Marche e mondi possibili – 1993. Per il concetto di mapping vedi anche G. Marrone – Corpi sociali – 2001.
Le conversazioni nei social media sono sempre più specchio della società, forme di interazione virtuale che ripropongono nei formati propri della rete, la parodia di atteggiamenti ed istanze della quotidianità; isterie, superficialità, narcisismo, intolleranza, insulti, sono alcuni degli ingredienti che costituiscono discorsi sociali, idee comuni e narrazioni collettive.
Uno degli aspetti più rilevanti nei social media è che attraverso la lettura dei commenti si può ottenere uno spaccato dei discorsi sociali, delle idee comuni e delle modalità di interazione dei frequentatori della rete.
Pur avendo già parlato di questa peculiarità in precedenti articoli, la particolarità delle conversazioni createsi su due post pubblicati a fine dicembre hanno rappresentato una tentazione troppo forte per tornare sull’argomento, specialmente per i toni usati nei contenuti, elementi di un fenomeno che si fa fatica ad inquadrare se preoccupante o a tratti addirittura esilarante.
Cosa ci può essere di meglio se non due post originati da fatti pseudo calcistici sui quali un buon numero di persone ha cercato di tirare fuori il meglio di sé? Come non meravigliarsi per coloro che professandosi scandalizzati da tali fatti, si sono espressi contro i responsabili degli episodi e contro gli autori di commenti di tono diverso dal loro con termini che definire forti in alcuni casi rischia di diventare un eufemismo?
Gli argomenti in questione riguardano un post del Corriere della sera in merito al pestaggio di un tassinaro per una divergenza di opinioni calcistiche, e uno di Repubblica relativo ai cori beceri di una partita di squadre giovanili tra tifosi torinisti e juventini.
Ritengo interessante mostrare un piccolo campionario di “aforismi”, scusandomi idealmente per averne esclusi tanti altri comunque “meritevoli” che non hanno trovato spazio per ragioni di sintesi, e soprattutto mi scuso con gli autori al quale ho preferito non fare pubblicità.
Non entrerò nel merito dei fatti, entrambi deprecabili, se non con poche parole più avanti, mentre viceversa vale la pena fare qualche sintetica riflessione su alcuni aspetti particolari indotti dai social media:
Interazioni virtuali
L’avvento della cosiddetta “Computer-Mediated Communication” (CMC), forma di comunicazione mediata dal computer, contraddistinta dalla natura ibrida del linguaggio utilizzato, una forma originale con un lessico a meta strada tra oralità e scrittura, una sorta di simulazione della comunicazione faccia a faccia che però non contempla l’interazione materiale dei partecipanti nello stesso ambiente.
Queste forme di interazione virtuale, gran parte delle quali basate su legami sociali deboli ed estremamente disomogenei, caratterizzati dall’assenza di vincoli formali, a differenza invece di quanto accade nelle interazioni quotidiane della propria sfera sociale, e da una reciprocità di status “virtuale”, favoriscono una discussione “disinibita”, libera dal dover dire cose “socialmente accettabili” al di fuori degli schemi di relazione del gruppo di appartenenza.
Il risultato è l’espressione di sentimenti viscerali, senza la mediazione del proprio io socializzato, favoriti dal non dover esporre la propria faccia, compartecipi in tal modo di un flusso di pensiero collettivo basato sugli istinti ed inevitabilmente tendente a forme di radicalismo.
Narcisismo digitale
La realtà generata dal fenomeno degli “User Generated Content”, ovvero la possibilità offerta praticamente a tutti dalla tecnologia, di trasformarsi da spettatori a produttori dell’informazione, una tendenza al mediattivismo1 in cui certe forme di produzione mediale diventano pratica quotidiana, e che l’avvento dei social media ha finito per dilatare a dismisura.
Il cambiamento da oggetto a soggetto della conversazione, con la voglia di lasciare il proprio segno, di essere protagonisti di questi eventi comunicativi, il pensiero che passa dall’interiorità all’ espressione sociale con la possibilità di osservarne l’effetto attraverso i “like”, le condivisioni, i commenti, genera una tendenza all’ auto riflessività, alla possibilità di rispecchiarsi nell’esperienza social e tende a produrre forme di narcisismo digitale che troppo spesso, prive delle modalità di controllo proprie dell’interazione diretta, tendono a degenerare.
Regressione psichica
Così come E. Bernays e G. Le Bon sostenevano gli effetti regressivi a livello psichico dell’individuo in mezzo alla folla, provocandone in tal modo la fuga dalle responsabilità e la sua tendenza a dare sfogo alle proprie pulsioni istintive, allo stesso modo gli eventi comunicativi e relazionali sui social network sembrano caratterizzarsi per effetti similari;
la possibilità di produrre contenuti spesso senza dover mettere in gioco la propria identità o comunque senza dover soggiacere a certi filtri moderatori tipici dell’interazione faccia a faccia, sembra facilitare la fuga dalle responsabilità delle proprie parole abbassando di molto i freni inibitori.
Nemmeno le spinte narcisiste anzidette sembrano mitigare le modalità di espressione che troppo spesso degenerano in insulti oppure trascendono in forme di integralismo, dove persino chi si scandalizza e vorrebbe deplorare certi atteggiamenti, finisce per essere risucchiato nel vortice dell’intolleranza e degli improperi; nelle figure se ne possono osservare alcuni esempi.
Rappresentazioni sociali e narrazioni
il prodotto dell’esperienza dei social media attraverso i commenti istintivi, disvela il pensiero interiore, libero dalla sua maschera di accettabilità sociale, mostra le visioni del mondo e i modi di interpretare gli eventi. Nel caso in questione non è osservabile solo l’aberrazione del credo calcistico, ma va considerato che le proiezioni interiori dei partecipanti vanno a costituire delle aggregazioni di contenuto capaci di alimentare le rappresentazioni non di gruppi sociali strutturati nella loro capacità di mediazione dei significati condivisi, ma quelle di individui il cui comun denominatore sarà rappresentato da frammenti di convinzioni alla rinfusa, sulle quali basare l’interpretazione dei fatti a venire e le proprie narrazioni individuali.
A titolo di esempio, soprattutto in una (..gobbo-comunista..), appare la sintesi della costruzione della demonizzazione dell’altro fondendo metafora calcistica, handicap fisico e credo politico, costruendo così un muro invalicabile di incomunicabilità e di conflitto tra diverse tifoserie, che troppo facilmente conduce allo scontro appena si esca dal territorio della virtualità.
Logica conseguenza è dunque un discorso sociale dove la violenza verbale sta prendendo il sopravvento come anche in altre occasioni osservabile, ed è una modalità che si manifesta nei confronti di chi la pensa diversamente, che traspare e si manifesta persino in chi vorrebbe prendere le distanze da certi atteggiamenti.
L’intolleranza è dunque il sentimento in ascesa, perché con buona pace di tanti sbandierati principi, la capacità di accettare chi la pensa diversamente è sempre molto difficile.
Conclusioni
Tornando brevemente ai fenomeni calcistici, come non ricordare, per chi ha qualche primavera, delle partitelle tra ragazzi nei campetti di periferia, un quartiere contro un’altro, autentiche battaglie, dove non raramente volava qualche sberla? Il calcio (spesso anche altri sport di squadra) ha un profondo radicamento con l’identità e le relazioni nei e tra i gruppi, diventa inevitabilmente fenomeno sociale e quando si verificano o si creano artatamente particolari condizioni, i comportamenti degenerano irrimediabilmente, ne più ne meno come accade nei conflitti di altra natura; questo tanti autorevoli commentatori da talk show e giornalisti dovrebbero saperlo.
Non è questa la sede per approfondire il discorso ma è certo che per disinnescare certe degenerazioni ci sarebbe bisogno di un’ analisi competente e seria a cui far seguire comportamenti e assunzioni di responsabilità oltre a misure adeguate che non siano solo repressive.
Concluderei riportando due commenti che dicono cose interessanti e che testualmente recitano: “episodio ignobile, che dimostra come il fanatismo calcistico non abbia niente da invidiare al terrorismo in nome del fondamentalismo religioso” “Non è solo il calcio, purtroppo. basta vedere il linguaggio usato da certi politici e da buona parte dei naviganti. Violenza verbale gratuita che trova sempre qualcuno pronto a metterla in pratica.”
Per cui tornando al fenomeno delle interazioni virtuali si può concludere dicendo che queste in fondo registrano e ripropongono nell’ambiente che le accoglie e nei formati possibili, la riedizione di atteggiamenti ed istanze sociali della quotidianità.
Isteria, violenza verbale, superficialità, narcisismo, intolleranza, conformismo, sono alcuni dei costituenti che si rintracciano nelle parole, che svelano le idee comuni e le narrazioni collettive, qualunque sia la tematizzazione sulla quale queste interazioni si realizzano.
Fino a che non ci si emanciperà dalle proprie debolezze, oserei dire di ordine cognitivo, non credo che ci si debba sorprendere più di tanto di quanto accade.
1 Per un’ ampia e completa trattazione di questa parte si veda in G. Boccia Artieri – Stati di Connessione – Ed. Franco Angeli 2012
Le immagini dei quotidiani, mondi apparentemente uguali ma al tempo stesso profondamente diversi, creatori di narrazioni parallele, ancorché costruite sulla stessa terra, destinate a persone diverse. Alla scoperta delle tendenze emergenti di alcune raffigurazioni che andranno poi a popolare gli immaginari collettivi dei lettori.
Dopo aver parlato di una possibile tassonomia delle immagini sui giornali e di come queste possano tradursi in uno strumento di interpretazione dei processi identitari e culturali di un paese (n.d.r. Kosovo), in questa sede voglio affrontarne un altro aspetto che pur originato in un ambito culturale diverso, dimostra la forte e raffinata capacità che le immagini possono avere nell’influenzare le visioni del mondo dei loro lettori.
L’analisi è tratta da ricerche, esperienze e osservazioni a più riprese effettuate sul Libano, un paese al cui interno vivono in equilibrio precario diverse identità risultanti dall’intreccio tra più confessioni religiose e numerose correnti politiche, in un mosaico assai complesso da decifrare.
Non parlerò, se non minimamente, di schieramenti e legami politici che avrebbero rischiato di essere fuorvianti nell’ interpretazione semiotica dei significati percepibili dall’osservazione delle immagini.
Non esistono, come in nessuna realtà giornalistica, limitazioni esplicite a qualsivoglia tipologia di immagini, ma è sulla loro “sintassi” e sulla presenza di certe ridondanze che questa analisi si indirizza, sintetizzando le tendenze emergenti di alcune raffigurazioni che presumibilmente andranno a popolare gli immaginari collettivi dei lettori.
Al Akhbar
Al Akhbar – 18 agosto
Al Akhbar è uno tra i cinque giornali più popolari a Beirut e nel sud del Libano, fondato nel 2006 e dichiarandosi indipendente e progressista, impegnato nel sostegno a valori come indipendenza, libertà e giustizia sociale, è ritenuto abbastanza vicino alle posizioni di Hizbollah ed ha una impostazione grafica che ne denota una sua ben precisa identità editoriale; la prima pagina normalmente riporta immagini a “tutta pagina”, foto di grande impatto visivo che spesso non si limitano a documentare un evento quanto piuttosto mirano a far leva sulle emozioni del lettore;
si rileva l’iconografia del principio di autorità tradizionale attraverso immagini che mostrano leaders religiosi, mostrandone perlopiù i volti; una raffigurazione di autorità che richiama archetipi ancestrali che non possono essere messi in discussione e che pertanto implicano una sorta di lealtà cieca;
le immagini di uomini che impugnano armi, che non appartengono a forze regolari e che indossano i copricapo tipici delle fazioni di appartenenza, sono l’emblema della militanza armata, la riproposizione di una realtà del recente passato radicata nel paese che viene quasi legittimata attraverso la sua collocazione nella quotidianità;
Al Akhbar – 31 luglio e 1 agosto
viene raffigurata la sofferenza, specialmente in prima pagina, non limitandosi a documentare gli eventi tragici che spesso popolano la quotidianità di questo paese, ma ne viene ritratto con dovizia il dolore, la disperazione, il pianto che attanaglia i volti della gente comune e delle donne e che esercita una forte carica patemica nel lettore, suscitandone sentimenti di pietà e solidarietà misti a rabbia come si può immaginare;
Al Akhbar – 1° pag. 31 luglio
sono spesso mostrati bambini, vittime delle sofferenze, che si aggirano nei luoghi delle rovine, scenario della loro quotidianità, e che talvolta appena adolescenti già imbracciano le armi, quasi una profezia del loro futuro;
edifici distrutti o semidistrutti, rappresentazione di una tragica ciclicità degli eventi che mostra come gli effetti delle guerre e delle lotte intestine costituiscano la realtà di buona parte di questa gente;
le manifestazioni di protesta in strada, folle di gente che esprime la sua anima, altra pratica abbastanza radicata nella quotidianità della popolazione.
Annahar
Questo giornale, fondato nel 1933, è il più anziano tra i giornali considerati, assai diffuso in Libano con una circolazione stimata di 45.000 copie, è una testata che si accredita a principi liberali, pluralisti ed in parte di centro-sinistra;
la prima pagina normalmente propone due immagini che documentano gli eventi principali della giornata con uno spazio normalmente inferiore a metà pagina, e che denotano in linea di massima valore testimoniale ai fatti raccontati;
Annahar – 9 maggio
l’autorità rappresentata attraverso le immagini è un’autorità laica di tipo legittimo che si manifesta nei luoghi “di produzione” come gli incontri di vertice, anche se viene comunque espressa senza disdegnare i tratti del carisma e del rango di appartenenza;
le armi sono rappresentate ma detenute dalle forze regolari, dall’esercito ovvero dall’istituzione legittimata ad utilizzarle nel bisogno;
Annahar – 1 agosto
gli spazi di aggregazione sociale, locali, edifici e spazi urbani trovano una presenza adeguata nel mostrare l’aspetto della normalità quotidiana e del vivere sociale;
Annahar – 26 aprile
distruzioni e rovine sono mostrate così come la gente coinvolta in questi drammi, ma la sintassi di queste raffigurazioni assume valore testimoniale, se ne percepisce la gravità senza che se ne enfatizzi il dolore e la disperazione.
Annahar – 1° pag. 31 luglio
The Daily Star
Il Daily Star è stato fondato nel 1952 e nacque all’origine con lo scopo di informare il cospicuo numero di espatriati a causa della nascente industria petrolifera nei paesi del golfo, divenendo in breve tempo il primo giornale in lingua inglese del Medio oriente. Accreditato di circa 30.000 copie, dalla sua stilistica complessiva si percepisce ben presto come questa testata miri ad altro tipo di audience in termini di cultura e di status sociale;
Annahar – 26 aprile e 10 maggio
nella prima pagina di norma appare una foto che occupa il 25-30 % della pagina ed esercita un certo impatto nell’attribuire risonanza al fatto del giorno e che in linea di massima tende ad assumere valore documentale;
The Daily star – 1° pagina 28 luglio
immagini di catene di produzione, di impianti industriali, di aziende, di banche, la presenza di infografica relativa ai mercati finanziari, costituiscono la rappresentazione del mondo degli affari, mostrano pezzi di realtà locale e popolano l’immaginario collettivo di una fascia di popolazione che vive un altro tipo di quotidianità;
The Daily Star – 22 marzo e 7 aprile
la ricorrenza in varie modalità dell’iconografia femminile, uno spazio per la moda, ma anche immagini che mostrano soldi, descrivono un mondo dei consumi e raccontano l’esistenza di uno spazio esistenziale di ben altro genere rispetto a quello spesso mostrato da Al Akhbar;
le proteste di piazza compaiono con una certa frequenza, segno inequivocabile dell’appartenenza alle pratiche quotidiane di questo paese;
le immagini che mostrano edifici, a volte anche dal basso verso l’alto, che rappresentano un significante semiotico di un certo modo di pensare il futuro;
armi e rovine non possono mancare, ma compaiono in misura inferiore, denotano una valorizzazione testimoniale e non emotiva, sono elementi di un fatto non la normalità quotidiana.
L’Orient Le Jour
L’Orient le Jour è stato fondato nel 1970 dall’unione di due quotidiani libanesi in lingua francese e denota alcune caratterizzazioni tipiche dei giornali occidentali; è una testata attenta a finanza, economia e allo scenario internazionale, ospita spazi glamour e di cultura, ed appare indirizzarsi ad un certo tipo di elite sociale, a tratti persino snob, rappresentata dai suoi lettori modello, appartenenti in prevalenza alla parte cristiana che si richiama alle impronte della cultura francese;
la prima pagina riporta più immagini di dimensioni contenute che accompagnano i titoli principali; non c’è quindi l’enfasi sul solo titolo di testa, ma la descrizione di una scena poliedrica, quasi a dare la sensazione di saper guardare il mondo nella sua interezza e non solo circoscritto al territorio libanese, un richiamo esplicito a chi ha questa cultura;
il giornale fa maggior uso del colore rispetto ad altre testate, sia nelle immagini, sia utilizzando fondini colorati all’interno delle sue pagine, stilistica che ricalca l’impronta di modernità dei giornali più “giovani” rispetto a quelli di più lunga tradizione;
le immagini che riportano personalità di spicco, come nella tradizione libanese, sono abbastanza frequenti, ma anche in questo caso il potere è rappresentato “in giacca e cravatta”, è un potere che si concretizza in incontri più esclusivi, più ristretti rispetto a quanto di norma rappresentato sul Daily;
L’Orient le jour – 16 maggio e 28 aprile
le rovine non sono ignorate, ma sono documentate, non “gridate”, così come le proteste di piazza o le armi, meno frequenti, meno pervasive nel rappresentare una realtà libanese che vuole mostrare anche altre facce;
L’Orient le jour – 1° pagina 31 luglio
il vivere sociale nei luoghi della cultura o del tempo libero trova un suo spazio, così come la cronaca di fatti di costume, un mondo che appartiene presumibilmente ai suoi lettori;
l’uso di caricature denota la capacità di saper fare ironia sui fatti e sui personaggi, forse un modo meno isterico ma comunque efficace di veicolare il proprio punto di vista sulla scena, il punto di vista espresso da una elite culturale che non si affida alla violenza;
la pubblicità prevalente mostra prodotti e beni di status symbol come orologi esclusivi, accessori e alta moda griffata, auto di alta gamma.
L’Orient le jour – 28 luglio e 16 maggio
Considerazioni
Ad una osservazione sbrigativa, tutti gli elementi peculiari della quotidianità libanese sono rappresentati nelle immagini: le rovine delle guerre, le sofferenze della popolazione, la circolazione delle armi, i decisori politici in azione, per cui sembrerebbe che tutti i giornali svolgano la loro azione informativa salvo poi declinare attraverso le parole il loro orientamento ideologico, ma questo fatto è noto, risaputo e sostanzialmente decodificato dalla maggior parte dei lettori.
È nel potere di veridicità attribuito alle immagini, alla loro forza testimoniale che si deve la produzione di immaginari collettivi da cui percepiamo valori e dai quali creiamo narrazioni, anche se a volte il nostro osservare quasi distrattamente la scena non ci dà questa consapevolezza.
Focalizzando l’attenzione sulle differenze invece, emergono aspetti che a mio giudizio hanno più importanza di quanta non gliene venga attribuita.
Se consideriamo le tendenze emerse in Al Akhbar, le tipologie di immagini che ho evidenziato possono assimilarsi alle tessere di un puzzle che ripropone lo schema narrativo canonico di Greimas: la rottura dell’equilibrio (gli eventi di distruzione), le sofferenze e le umiliazioni del debole (le rovine, la disperazione), il destinante che da la sua investitura (l’iconografia della leadership), l’acquisizione della competenza (adolescenti con le armi), la lotta (militanti in armi), la folla in strada (in attesa di celebrare il ritorno dell’eroe?), costituiscono una sequenza a cui forse in termini di immagini manca solo il “ritorno dell’eroe dopo aver sconfitto il drago”, una sanzione finale che può essere immaginata e incasellata nelle narrazioni collettive anche senza mostrarne l’evidenza.
Se consideriamo le immagini con le armi, per esempio, mentre in Al Akhbar il detentore era la figura del miliziano o dei gruppi armati, in Annahar queste sono nella disponibilità di reparti regolari in armi, dell’istituzione a ciò deputata, e questo nonostante entrambe le testate si dichiarino ispirate a valori liberali e progressisti.
Le immagini delle rovine sono presenti in tutte le testate considerate, ma mentre in Al Akhbar a volte sono un aspetto totalizzante occupando magari un’intera prima pagina, in The Daily Star o in L’Orient le Jour sono una parte del mondo, perché immagini e notizia compaiono a fianco di altri temi, e già variando lo spazio delle immagini, se ne modifica la risonanza e il peso percepito.
La rappresentazione stessa dell’autorità nelle immagini di persone importanti, assume le sembianze degli affari (Daily Star), del potere (L’Orient le Jour), delle istituzioni (Annahar), del carisma (Al Akhbar), espressioni diverse dello stesso concetto che è uno dei pilastri fondamentali del modo di interpretare la propria realtà sociale.
Persino la pubblicità, rappresentazione dei desideri o proiezione del proprio modo di vedersi nel mondo, assume forme distinte, diverse da quel mondo francese di charme mostrato da L’Orient le Jour.
Tanti mondi apparentemente uguali, ma al tempo stesso profondamente diversi, creatori di narrazioni parallele, ancorché costruite sulla stessa terra, destinate a persone diverse.
Descrivendo la realtà dei quotidiani libanesi, ho preso spunto da questo stato così ricco di aspetti e di contraddizioni, per far emergere il valore peculiare di certe sottili differenze che si celano nella sintassi delle immagini, capaci di influenzare le nostre visioni del mondo.
È in base a ciò che vediamo e che ricordiamo nella nostra testa che edifichiamo le nostre rappresentazioni del mondo, i nostri script sulla scorta dei quali procediamo a decodificare poi le nuove informazioni in ingresso ed andiamo ad aggiornare le nostre personali narrazioni quotidiane.
Ma siamo certi che gli artefici della costruzione siamo noi?