COME NASCE LA DISINFORMAZIONE: MEMORIA SOCIALE E DERIVA NARRATIVA DELLA NOTIZIA

COME NASCE LA DISINFORMAZIONE: MEMORIA SOCIALE E DERIVA NARRATIVA DELLA NOTIZIA

“La fede comincia là dove la ragione finisce” (Soren Kierkegaard)
“Un fatto perde la sua oggettività nel momento stesso in cui manifestandosi viene osservato da un testimone, entra a far parte della sua esperienza e diventa racconto”

La frequenza con cui ultimamente si sente parlare di “fake news” e disinformazione è l’indice della presa di coscienza di un fenomeno le cui possibili influenze sulla scena sociale sembrano assumere una rilevanza tale al punto da alterare il consenso politico e persino i risultati delle scelte elettorali in alcuni casi eclatanti.

Ipotesi che creano un grande fermento sia nella parte politica che nei principali player dell’informazione online come Google, Facebook e Twitter in merito al tipo di provvedimenti da adottare che spaziano dalle soluzioni tecniche, legislative e sanzionatorie; bisognerà poi valutarne l’efficacia nel tempo.

Intanto è opportuno fare una distinzione tra le parole di “fake news”, disinformazione e propaganda che spesso vengono impropriamente usate come sinonimi:

      • Le “fake news” sono notizie che in genere usano toni di sensazionalismo, esagerando o in alcuni casi falsando il fatto cui si riferiscono; all’origine sono nate per generare “clickbaiting”1 e quindi profitti pubblicitari, e in linea di massima sono facilmente smascherabili a meno di essere abbastanza “sprovveduti” (famoso il post condiviso su Facebook dove in una votazione al senato si contavano più di 400 voti complessivi!!);
      • la propaganda è il tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti del propagandista” (Victoria O’Donnell – 1986);
      • la disinformazione è una comunicazione costruita consapevolmente su informazioni false o fuorvianti che alterano la realtà e influenzano l’opinione dei lettori su un argomento (tratta da http://www.andreaminini.com/comunicazione/disinformazione/).

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Le sottili sfumature che sottolineano le differenze tra i termini ne mutano sostanzialmente significati e obiettivi sociali, ma in estrema sintesi mentre le fake news puntano a effetti strumentali di breve tempo e di limitata portata, la disinformazione “alterando” consapevolmente la realtà mira ad un cambiamento di opinione, cambiamento che la sistematicità della propaganda tenta di rendere più o meno esteso e duraturo per asservire fini di un sistema di potere o di controllo.

Focalizzandosi sulla disinformazione, questa consiste di norma in una costruzione molto più raffinata, complessa ed al tempo stesso più subdola delle fake news, assai difficile da smascherare perché spesso richiede competenze approfondite e/o la disponibilità di dati originari che il lettore non ha.
Di norma la disinformazione si annida proprio nella capacità di falsare il nesso di causalità di un fatto, che spesso si concretizza nelle modalità di trattazione e selezione di dati o situazioni originarie, aspetto che nella notizia non viene quasi mai sufficientemente esplicitato.

Per questo l’efficacia della disinformazione si fonda sulla credibilità acquisita dalla fonte specialmente verso il suo lettore modello, il cui bias è incline ad accettare le tesi esposte verso le quali adotta un “atto di fede” che trasforma dati parziali in verità assolute, sospetti in prove inconfutabili.

 Argomentare per disinformare 

Sono estremamente numerose le tecniche di argomentazione o dispositivi retorici utili a costruire disinformazione che B. Ballardini descrive nel testo “manuale di disinformazione”, sulle quali si può operare una sintesi classificandole in base all’oggetto cui le argomentazioni si indirizzano:

  • argomentazioni mirate a screditare o erodere la credibilità di un soggetto al fine di indebolirne le tesi;
  • argomentazioni centrate sul contesto che affermano relazioni tra eventi sulla scorta di generalizzazioni e correlazioni di fatti basate su analogie ma senza una reale prova;
  • argomentazioni basate sull’approvazione sociale e mirate ad enfatizzare stereotipi, convinzioni diffuse, abitudini per affermare la verità di alcune tesi;
  • argomentazioni che tendono a validare una tesi sul riferimento a principi di autorità o a miti fondativi come la virtù della povertà, la ragione del potere, l’efficacia di una tesi perché basata sul nuovo o sul vecchio a seconda le circostanze;
  • argomentazioni mirate ad alterare la costruzione della tesi attraverso la manipolazione e inversione di premesse e conclusioni, nell’introdurre o togliere elementi rilevanti a validare la tesi, etc.

Ribadisco che si tratta di una semplificazione tendente soltanto a dare elementi orientativi ma che non ha pretesa di esaustività perché la complessità e varietà di questi aspetti non può essere esposta in questa sede.

Anziché soffermarmi sulle tecniche, sulle quali molti autori hanno scritto e di cui sono reperibili molti contributi, vorrei invece aprire uno spiraglio su una prospettiva alternativa che riguarda aspetti che si verificano all’origine della disinformazione e sul modo in cui questa agisce sulla mente.
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 La relazione tra fatto, notizia e narrazione 

Un passo indietro per riflettere sul concetto stesso di notizia che può essere definita come la descrizione di un avvenimento in corso o concluso, data da un giornalista attraverso un medium.

Un fatto per diventare notizia deve possedere il requisito fondamentale della “notiziabilità”, deve cioè essere interessante per il pubblico destinatario, deve “far notizia”.
In merito al concetto di notiziabilità, U. Volli (Manuale di Semiotica) afferma che esistono due grandi fattori origine di notizie: il difetto di razionale connessione logica (l’uomo che morde il cane), oppure l’esistenza di una causalità degradata (il cane randagio che morde l’uomo ove il fatto sta nella causa del randagismo).

In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad un’anomalia rispetto all’ordine comune delle cose, alterazioni rispetto ad un concetto di normalità che è in sostanza un costrutto culturale (normalità/anormalità) basato su una larga condivisione di conoscenze soggettive che fanno parte delle rappresentazioni sociali.

Ma quest’ultimo aspetto non può essere separato da una delle prospettive più ricche della psicologia sociale che si ricollega all’approccio scientifico di A. Smorti (Narrazioni, 2007) secondo il quale l’uomo ha la tendenza innata a memorizzare la propria esperienza del mondo in forma narrativa, attività cognitiva che riguarda il modo di categorizzare le informazioni e i ricordi della nostra mente.

Sulla scorta di tale presupposto è improbabile che il lettore percepisca la notizia di un fatto esclusivamente per come viene enunciata, ma che viceversa la elabori dandole la struttura di una storia, completandola laddove manchino degli elementi avvalendosi delle esperienze del passato, in modo che questa possa essere memorizzata nella sua mente.

In questo modo una notizia strutturata in forma narrativa, di fatto implica una proprietà diacronica che anche se non esplicitata, prevede l’esistenza di un contesto o panorama circostanziale (passato) che prelude al verificarsi di un fatto (presente) con il quale intrattiene un nesso causale, dal quale consegue la logica capacità di produrre conseguenze nel futuro (una tesi sulla particolare struttura narrativa di una notizia è esposta nell’articolo “La tragedia dei treni di Andria…”).

Riepilogando, la notizia diventa il racconto di una storia che implica aspetti passati, presenti e futuri, a volte chiaramente esplicitati, in altre sottintesi se ritenuti già noti al lettore modello, messi in relazione attraverso delle argomentazioni.

Conseguentemente anche a quanto riportato nel paragrafo precedente, è proprio nelle argomentazioni utilizzate per mettere in relazione queste tre fasi che si può originare disinformazione, alterando il rapporto tra la causa, l’effetto e le possibili conseguenze.
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Nella figura che schematizza l’arco temporale all’interno del quale si concretizza un fatto, i due momenti che permettono una maggiore “soggettività” sono quelli che si fondano sulle argomentazioni utilizzate per affermare il nesso causale e il ragionamento logico-deduttivo che consente di fare una previsione sulle conseguenze.

Ad esempio nel raccontare un’alluvione dovuta a piogge molto intense, il panorama circostanziale implicherà probabilmente nessi causali quali l’eccesso di cementificazione, oppure la mancata manutenzione dei corsi d’acqua o ancora il malcostume e la corruzione nelle concessioni edilizie o i cambiamenti climatici.
Gli effetti del fatto potranno consistere nei danni, nelle difficoltà create alla popolazione o peggio ancora nelle vittime occorse.
Le conseguenze potranno essere ipotizzate nella stima dei danni provocati, o nei danni all’economia o magari nella perdita di posti di lavoro e via dicendo.

Normalmente per gli eventi importanti nessuna testata giornalistica liquida la questione con un solo pezzo, pertanto il racconto diventa in realtà la somma di tutti gli articoli fatti sull’argomento in una unità di tempo relativamente breve, tuttavia non necessariamente il livello di dettaglio sul panorama circostanziale o sulle conseguenze future sarà esaustivo.

In tal caso il lettore modello provvederà in proprio a completare la storia facendo ricorso agli antecedenti2 per quanto riguarda il panorama circostanziale, agli script3 relativamente alla determinazione delle possibili conseguenze.
Il punto è che molto spesso script e antecedenti non sono il frutto delle esperienze dirette e soggettive del lettore, ma la risultante di queste e delle costruzioni giornalistiche del passato, con tutte le incognite di oggettività del caso.

Considerando l’esempio fatto dell’alluvione, ognuno dei nessi causali citati può essersi verificato nel passato, per cui l’autore dell’articolo farà la sua ricostruzione affermando o ipotizzando delle cause.
A questo punto i processi cognitivi del lettore si attiveranno per verificare se nella sua memoria esistono storie simili e se quindi il contenuto della notizia sia “verosimile”.
Se troverà degli antecedenti simili alla situazione raccontata ne costruirà una regola con oggettivazione, ritenendo valido il nesso causale senza bisogno di particolari prove da parte del giornalista/narratore, creandosi i presupposti per classificare nello stesso modo gli eventi simili che dovessero verificarsi successivamente.

Al tempo stesso il giornalista nell’ipotizzare conseguenze future, frutto di deduzioni logiche fondate su una relazione di probabilità, tenderà a fare affidamento agli script, ovvero schemi di comportamento/azione già verificatisi in casi precedenti e ritenuti altamente probabili e funzionali, schemi già in possesso delle esperienze del lettore.
In teoria bisognerebbe avere la capacità di tenere ben distinti il fatto o evento (che è oggettivo solo nel tempo e nello spazio in cui si manifesta e che perde immediatamente questa proprietà nel momento in cui entra a far parte del racconto di qualsivoglia testimone oculare o articolo giornalistico), dagli elementi aggiunti per dare una forma espressiva al suo racconto.

Infatti la sua forma espressiva sarà il frutto del processo interpretativo del narratore che se operatore professionale dell’informazione la trasforma in notizia secondo i “criteri produttivi”4 della testata giornalistica così da renderla fruibile per il proprio lettore modello, il quale la decodificherà e memorizzerà attribuendole significato in armonia alla propria enciclopedia di conoscenze.
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Per questo motivo tacciare una notizia di disinformazione spesso diventa difficilmente oggettivabile e profondamente opinabile, perché questa si forma al di fuori della manifestazione di un fatto/evento ed è inevitabilmente il frutto di processi interpretativi assolutamente soggettivi che si fondano nel mettere in relazione un fatto con rapporti di probabilità con ciò che lo ha preceduto e con ciò che lo seguirà.

Va da sé quindi che la disinformazione per attecchire ha bisogno di collegarsi ad un “mainstream” di stereotipi e convinzioni sociali diffuse che è giusto definire con il loro vero nome di rappresentazioni sociali.

Per la nostra alluvione ad esempio sarà facile ipotizzare un nesso causale derivante dagli eccessi di cementificazione dovuti alla corruzione politica, così come non sarà difficile diffondere l’indiscrezione di aumenti delle tasse per far fronte ai danni; sarebbe invece molto più difficile affermare un nesso causale dovuto a fenomeni ciclici geologici eccezionali, così come far credere che l’Amministrazione locale avesse accumulato risorse in precedenza per far fronte al problema e che i lavori di ripristino potrebbero generare un aumento dei posti di lavoro.

Pertanto è un po’ superficiale pensare che la disinformazione si riconduca ad un certo tipo di notizie più o meno sapientemente manipolate, perché dove queste non trovino una rappresentazione sociale condivisa non sarebbero in grado di produrre alcun effetto.
La sua potenza e pericolosità invece si annida nella costruzione progressiva e paziente, come in un gigantesco puzzle da realizzare in tempi più o meno lunghi, di rappresentazioni sociali dove i singoli individui hanno sviluppato una serie di copioni preconfezionati che li guidano a ragionamenti deduttivi indirizzati.

La diffusione di certi stereotipi e schemi di ragionamento attraverso i mass media, effetto dilatato a dismisura dalla presenza dei social media, provoca la formazione di una psicologia collettiva che ha molte similarità con la psicologia della folla, dove si instaurano processi di regressione e rifiuto della conoscenza a favore di semplificazioni specie se condivise dai più, nella convinzione che quelle rappresentino la verità.

Per tali motivi un’analisi approfondita dell’argomento è possibile solo considerandolo sotto un’ottica interdisciplinare che prenda in considerazione non solo le comunicazioni di massa ma anche i principi della psicologia e il funzionamento della memoria narrativa, le tecniche dell’argomentazione retorica e le socio-semiotiche circolanti in un contesto in uno specifico momento.

A titolo di esempio mi soffermerò su un caso sociale anziché politico, in modo da evitare fraintendimenti e strumentalizzazioni, anche se forse l’argomento avrebbe solleticato ben altri temi da analizzare come casi di studio.

 Un esempio per riflettere 
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I tre ritagli che vediamo nelle immagini si riferiscono ad un tema che si ripropone sui media con una certa periodicità: il confronto degli stipendi tra donne e uomini.
Nei primi due si afferma che le donne guadagnano meno degli uomini, fatto in linea di massima accettato come vero; nel terzo un politico intervistato rompe il mainstream ricorrente affermando che in realtà questa differenza viene originata dal fatto che le donne facciano meno straordinari degli uomini perché vogliono stare più vicine alla famiglia.

Sono due informazioni che specialmente leggendo i titoli appaiono opposte tra di loro, e il giudizio di valore che il giornalista aggiunge nel terzo riquadro, bollando come scioccante l’informazione, pesa non poco.
In questo caso la critica diffusa ha bollato l’affermazione del leghista come folle e sessista sulla falsa riga della “svalorizzazione” del concetto creata dal giornalista nel titolo.

In realtà in nessuna delle notizie riportate, anche per evidenti ragioni di spazio, apparivano le tabelle dati con il totale di occupati, le categorie, le ore globali lavorate, le retribuzioni in valori assoluti e medie, gli aspetti modali rilevati, le correlazioni e via dicendo, dati statistici che avrebbero permesso ad un qualunque lettore volenteroso di approfondire l’informazione e farsi la propria opinione con i dati origine.

In tutti e tre gli articoli, assai brevi, qualche dato insufficiente a spiegare il fenomeno ed al limite della contraddittorietà in alcuni passaggi.

Quindi come hanno operato i nostri informatori?

In sostanza le due informazioni possono essere non solo entrambe “vere” ma addirittura complementari, nel senso che potrebbero provenire anche dalla stessa base dati, che l’una potrebbe integrare l’altra nella descrizione di un fenomeno, ma che nel lavoro di sintesi delle informazioni i nostri informatori si sono serviti di dati parziali, non sapremo mai se per errore o volontariamente.

Certo, potendo disporre dei dati origine, avendo la volontà e la capacità di leggerli e di correlarli, poter conoscere il criterio utilizzato nel costruire l’informazione data sarebbe la soluzione migliore, ma c’è da chiedersi quanti sarebbero in grado di farlo? Avremmo il tempo sufficiente per farlo? Ci sarebbe sufficiente spazio nei media per ospitare la completezza dell’informazione?

Le risposte possiamo darcele autonomamente e d’altronde a pensarci bene spesso non si può pubblicare una tabella, semplicemente perché nella tabella non c’è notizia, o per meglio dire, non c’è narrazione.

Appare chiaro quindi che la fruizione di una notizia richiede un credito di fiducia verso il giornalista/narratore e verso la testata giornalistica che la riporta, così come appare logicamente spiegato il meccanismo circolare che costruisce questo rapporto di fiducia con l’informatore e il proprio bias strutturato sulle conoscenze apprese, gran parte delle quali attraverso i media.

Tornando al nostro caso/esempio poiché legislazione e contratti collettivi non consentono la discriminazione di genere, il problema che determina l’effetto, la differenza di stipendi, potrebbe forse annidarsi in altri aspetti che potrebbero persino essere più importanti.
Non avendo dati originari non mi schiero certamente né dall’una, né dall’altra parte, mi è sufficiente rilevare due aspetti contraddittori in attesa magari di dati veri e non di “racconti”.

Quello che vorrei sottolineare è che i due nessi causali hanno un diverso potenziale di influenza sull’opinione pubblica: nella versione più gettonata dal mainstream corrente, si reitera più o meno frequentemente il concetto utilizzando dati parziali che comunque aumentano salienza e risonanza del tema sull’opinione pubblica.
Il secondo nesso invece viene rigettato e screditato aprioristicamente, delegittimando la fonte prima ancora di averne verificata l’eventuale infondatezza.

Cosa comporta dunque la rimozione di un nesso causale e l’adozione “tout court” di un altro?

Il caso della discriminazione di genere in questo contesto si unisce facilmente ad altri temi contigui come le violenze sulle donne e via dicendo, creando di fatto una pressione dell’opinione pubblica sul legislatore (l’effetto “priming” sulla politica) che in conseguenza di spinte emotive magari legifererà aggiungendo norme in linea di massima già esistenti che, la storia ci insegna, di fatto non cambieranno nulla.

Invece il rigetto del nesso causale “alternativo”, qualora ne fosse stata verificata la fondatezza, azzera una riflessione più che mai necessaria sull’organizzazione e sull’efficacia del “welfare”, tema senz’altro di non secondaria importanza e dove gli spazi di intervento potrebbero essere assai più ampi.

Questo esempio ed il ragionamento ipotetico fatto sono serviti soltanto a mettere in evidenza un possibile modo con cui può concretizzarsi disinformazione e quali distorsioni possa produrre nell’ambiente, anche in presenza di buona fede da parte dei giornalisti/narratori. Basta proiettare questo su aspetti più complessi e delicati per rendersi conto della potenza dello strumento.

 Conclusioni 

Sicuramente non bastano poco più di 3.000 parole per spiegare esaustivamente un aspetto così complesso, tuttavia penso di aver introdotto aspetti importanti su cui riflettere seguendo percorsi alternativi.

In conclusione la disinformazione è sempre esistita e sempre esisterà perché potenzialmente endemica alla soggettività dell’informazione e del racconto in essa contenuto, e due sono i macro fattori su cui si poggia, uno di carattere cognitivo, l’altro di tipo contestuale.

Nei fattori cognitivi troviamo:

  • i meccanismi di funzionamento della memoria che tende ad organizzare fatti e conoscenze in forma narrativa anziché in forma di dati;
  • l’esigenza di semplificare un flusso di informazioni enorme diventato ormai inverificabile anche da parte degli operatori professionali dell’informazione porta a preferire la sintesi, i titoli, piuttosto che l’analisi seguendo quindi stereotipi ed idee comuni molto più semplici da organizzare;
  • l’impossibilità di discernere tra ciò che è vero o verosimile, manipolato o inventato, comporta fenomeni regressivi dove è più semplice seguire il proprio gruppo, credere a ciò che conferma i nostri giudizi, valori e simpatie, radicalizzando le posizioni all’interno delle proprie “cerchie” virtuali;
  • la convinzione diffusa di vivere in un contesto globalizzato dove la situazione sociale ha sviluppato diffidenza e sfiducia nelle fonti informative ufficiali, genera una reazione che porta a farsi affascinare dall’indiscrezione come possibile segno di verità nascoste dagli organi ufficiali.

Nondimeno il contesto offre un sostanzioso nutrimento al fenomeno della disinformazione attraverso:

  • le nuove tecnologie e i nuovi canali di comunicazione come i social media che hanno aumentato a dismisura velocità e capacità di diffusione dell’informazione;
  • il cambiamento di alcuni principi basilari del sistema delle comunicazioni di massa dove l’informazione non si propaga più solo dall’alto in basso ma con sistemi cosiddetti a rete;
  • il sistema di “gate keeper” è stato di fatto superato perché ormai i grandi network non detengono più il monopolio dell’informazione, visto che uno smartphone è sufficiente per documentare un fatto e creare informazione; non essendo più in grado di arginare la notizia di un fatto il loro ruolo si trasforma in “distributori all’ingrosso” di informazione che organizzano in forma e sequenza narrativa;
  • i social media sono diventati sede di sterminate ed incontrollabili piazze virtuali dove ogni “cerchia” discute, costruisce e metabolizza i propri significati sociali, un effetto “box chamber” che diffonde le interpretazioni più che i fatti.

C’è un bel po’ di carne al fuoco per rendersi conto della delicatezza del fenomeno e di come sia pressoché impossibile pensare di arginarlo; tanto vale cercare almeno di essere consapevoli del suo funzionamento e del perché ci si trova, più o meno volontariamente, all’interno di correnti di pensiero che in alcuni casi sono, ed è un eufemismo, “scarsamente razionali”.

 

“ogni particolare narrazione di una violazione dalla norma fonda una tradizione e diventa il nucleo di un genere narrativo su come il mondo è (Amsterdam – Bruner – 2000)

1 Generalmente il clickbait si avvale di titoli accattivanti e sensazionalisti che incitano a cliccare link di carattere falso o truffaldino, facendo leva sull’aspetto emozionale di chi vi accede. Il suo obiettivo è quello di attirare chi apre questi link per incoraggiarli a condividerne il contenuto sui social network, aumentandone quindi in maniera esponenziale i proventi pubblicitari (f.te Wikipedia)
2 Gli antecedenti sono definibili in sintesi come esperienze e conoscenze precedenti, presenti nella memoria, a cui si fa ricorso per interpretare e decodificare fatti e comportamenti che ci appaiono incongruenti e non chiaramente esplicitati; il concetto è ampiamente trattato nel testo Psicologia Culturale – A. Smorti – 2003 – Carocci ed.
3 Gli script sono definibili in sintesi come generi narrativi in cui siano stato interiorizzati schemi sequenziali di fatto-problema-soluzione che possono essere applicati a narrazioni di cui non si conoscono ancora le conseguenze finali; il concetto è ampiamente trattato nel testo Psicologia Culturale – A. Smorti – 2003 – Carocci ed.
4 Per criteri produttivi vds M. Wolf – Teorie delle comunicazioni di massa – Bompiani
le immagini sono state tratte da:

Il bluff della ripresa e la disinformazione

Facile dire fake news. Guida alla disinformazione


http://mondos-porco.blogspot.it/2015/04/i-mass-media-armi-di-disinformazione-di.html

ALDE O EFDD? I TRAVAGLI INTERIORI TRA I SOSTENITORI DEL MOVIMENTO 5 STELLE

ALDE O EFDD? I TRAVAGLI INTERIORI TRA I SOSTENITORI DEL MOVIMENTO 5 STELLE

Un’esplorazione tra ideali e pragmatismo, malumori e dedizione tra i sostenitori del Movimento all’indomani della controversa questione sulla possibile adesione al gruppo europeo ALDE, attraverso i commenti espressi sul blog di Beppe Grillo. Quasi 1.000 commenti tra argomentazioni, opinioni, delusioni e dichiarazioni di fede che offrono una istantanea sugli atteggiamenti dei sostenitori

Credo che Renzi sbagli profondamente nel definire il Movimento 5 Stelle un algoritmo, evidentemente considerandolo solo per la sua struttura organizzativa, perché leggendo i commenti dei sostenitori del movimento, si percepiscono convinzioni ed atteggiamenti che hanno significati di assoluto interesse per una lettura del sociale.
In questi contenuti infatti si comprende abbastanza bene quali siano i fattori che motivano ed influenzano scelte ed azioni dei sostenitori nel medio e lungo termine più di quanto possa fare una struttura organizzativa di partito.

Chiarisco subito che questo scritto non è e non vuole essere un’analisi politica del fatto in questione e delle sue conseguenze future, ma soltanto una ricerca sociale che si pone l’obiettivo di saperne qualcosa in più sul sistema di credenze raccolto in una piazza virtuale, che è sicuramente parte delle narrazioni quotidiane del momento.

In questi commenti infatti, ancorché originati su uno specifico momento, si possono intravedere tracce significative del sistema di rappresentazioni sociali, di quali siano gli ancoraggi con il quale i nuovi fatti vengono metabolizzati, quali siano i sistemi di valori di riferimento di simpatizzanti ed attivisti del movimento.
In tal modo si possono intuire quali siano le convinzioni, i sogni e gli immaginari collettivi di un’aggregazione di consenso che si è formata nel giro di pochi anni e la cui identità è ancora da sedimentare, ma che tuttavia esprime atteggiamenti e scelte politiche in modi a volte anche veementi.

Nell’esame di questi commenti, pur mantenendomi alla larga da qualunque valutazione politica, emerge abbastanza chiaramente che la motivazione basilare degli aderenti al movimento sia rappresentata dalle profonde delusioni provate negli schieramenti in cui si erano fino ad ora riconosciuti e che la loro provenienza sia assai disparata, in alcuni casi palesemente opposta, così come appaiono sostanziali differenze nel modo di intendere l’azione politica, improntata al pragmatismo per alcuni, animata dagli ideali in altri.

Mi viene in mente il libro di Serge Moscovici “La fabbrica degli dei”, nel quale lo psicologo francese in un discorso molto articolato asseriva in sostanza come l’agire sociale spesso non sia il frutto del pensiero razionale ma il risultato di scelte fideistiche che poi vengono in qualche modo razionalizzate dagli individui.
Un ragionamento la cui complessità non si può certo spiegare in tre righe, ma il cui fondamento si presenta quando in alcuni commenti, pur partendo da tesi diametralmente opposte, si va a convergere su questioni e punti di vista che sono argomentati e razionalizzati giungendo alla fine alle stesse conclusioni.

D’altronde, avendo memoria della storia politica degli ultimi decenni, non sarebbero facilmente spiegabili fenomeni opposti come gruppi molto stabili dell’elettorato di alcuni partiti, il cosiddetto “zoccolo duro”, che fa il paio con spostamenti molto forti, sorta di fenomeni “migratori” concentrati in tempi ristretti, verso neonati movimenti.
Al di fuori da interpretazioni politologiche, su cui ribadisco di non voler entrare, sono fenomeni che trovano spiegazioni nei principi di identità, formazione e appartenenza ai gruppi, propri delle scienze sociali, che possono venir potenziati da strategie comunicative adeguatamente contestualizzate ed in tal senso rinvio ad un testo molto interessante in merito (Marketing Moving – G. Ceriani – Angeli 2004).

Fatta questa lunga premessa, vediamo ora che cosa è emerso dai commenti inclusi al post pubblicato sul blog del Movimento 5 Stelle dove si invitavano i “commentatori certificati” ad esprimersi in merito alla possibile uscita dal gruppo di deputati europei dell’ EFDD e la conseguente adesione al gruppo ALDE.

Leggendo i commenti emerge immediatamente che una categorizzazione basata su un generico “favorevoli” o “contrari” e/o “delusi” sarebbe un po’ superficiale e che una descrizione più approfondita degli stati d’animo emersi richiede un maggior dettaglio.
Senza voler esagerare nelle distinzioni, le parole lasciano intravedere una diversità di atteggiamenti che possono essere categorizzati in sette diverse classi di seguito descritte:

  1. I fedelissimi: il gruppo di coloro che manifestano fiducia cieca nei principi del movimento e soprattutto si fidano senza riserve del capo “spirituale” individuato nella figura di Beppe Grillo, ne approvano l’operato razionalizzando qualunque sua scelta anche se la stessa dovesse apparire contraddittoria; rifiutano, anche con una certa veemenza, qualunque critica e chiunque si esprima in modo diverso, spesso bollandolo con spregio nei termini ormai codificati del dileggio grillino (troll, Piddioti etc.). Nel riquadro alcune espressioni o parti di esse che, ancorché decontestualizzate, esprimono il sentimento di appartenenza al gruppo.fedelissimi
  2. I favorevoli realisti: sono coloro che pur argomentando qualche riserva sulle scelte o sulle modalità di votazione adottate, si adeguano per accondiscendenza e spirito di adesione alle dinamiche proprie della maggioranza del gruppo; prevale in fondo il credito di fiducia verso il capo, e riescono in qualche modo a razionalizzare scelte all’apparenza contraddittorie, facendo del pragmatismo il loro criterio ispiratore. Nel riquadro alcune espressioni che ne descrivono l’approccio.favorevoli-pragmatici
  3. I dubbiosi analitici: esprimono il dubbio sulle scelte del movimento o meglio del suo capo ed elaborano le loro riflessioni critiche ma di fatto non giungono ad una conclusione, in alcuni casi confessano di non sentirsi all’altezza di capire o di giudicare e rimangono in attesa di spiegazioni e soprattutto di rassicurazioni dal vertice del movimento; l’accondiscendenza al gruppo come dinamica di riferimento non appare in discussione.dubbiosi
  4. I critici moderati: esprimono disagio e disaccordo sulla linea a volte con toni pacati, altre volte con toni più duri, ma è un disaccordo che rimane comunque all’interno del sentimento di appartenenza al gruppo, di cui si possono criticare anche le azioni e le scelte dei vertici, pur non venendo meno i fini e la statura morale superiore; in questa categoria tuttavia i principi morali del gruppo precedono e sono superiori al peso del capo ideologico che può essere fallace e messo in discussione.critici
  5. Gli “incazzati” duri: sono molto infuriati per le scelte del movimento e per il modus operandi dei vertici e lo argomentano con toni duri e senza mezzi termini; non sembrano tuttavia in discussione i principi ispiratori del movimento, che rimangono sacri come si percepisce dalle parole, così come lo spirito di adesione al gruppo che si avverte ancora saldo nonostante la delusione, mentre la leadership, che può cadere vittima delle tentazioni di potere, può essere messa in discussione perché tutto sommato non gode di una fiducia di tipo trascendente, anzi.incazzati
  6. I delusi: son quelli che sono fortemente amareggiati dal movimento e dal modo di agire del gruppo dirigente, sul quale esprimono una chiara e netta sfiducia, e la frase “cialtroni e ladri di sogni” sintetizza molto bene i sentimenti provati. Comunque i principi che avevano portato all’ adesione al movimento sono ancora vivi e nonostante le parole ed il disagio non sembrano poi così tanti quelli che dichiarano di non voler più votare il movimento o che lo faranno realmente, perché in parte, nonostante la delusione provata, sarebbero ben felici di captare qualunque segno di redenzione che non li obblighi ad affrontare un ulteriore e profondo conflitto interiore per scegliere una nuova appartenenza politica.delusi
  7. Gli Esterni: dai loro commenti e dal tipo di parole usate in alcuni casi in modo palese, in altri vagamente dissimulate (voi), si comprende come questi non appartengano (spiritualmente!) al Movimento e che tuttalpiù ne siano vagamente simpatizzanti, mantenendo comunque una certa distanza; in tal caso la loro critica, scontata, è da ritenere estranea agli stati d’animo propri dei sostenitori.

esterni

Le frasi prescelte, sulle quali per ragioni di spazio è stato necessario operare una forte sintesi, cercano di far intravedere alcuni concetti basilari che animano le rappresentazioni sociali e l’immaginario collettivo dei sostenitori grillini.

Giova ricordare che la modalità di aggregazione prevalente al Movimento 5S è stata, almeno fino a poco tempo fa, basata sulla rete, e che attraverso questa è stato possibile esercitare un forte potere di attrazione in quella massa di delusi (giustamente!) in fuga dalle rispettive identità politiche di appartenenza.
La loro provenienza politica infatti, sia di “destra” che di “sinistra”, viene dissimulata dalle retoriche e dal lessico utilizzato e, a seguito delle delusioni patite, ha trovato una “casa” comune nella “terra promessa” dell’onestà, della trasparenza, nel comune sentimento definito di “antipolitica”, nella speranza di poter contare di più (“uno vale uno”).

Quindi pur con una identità ancora in fase di sedimentazione, la motivazione originaria di appartenere a questo gruppo è stata senza dubbio molto consistente ed interiormente sentita ed il credito di fiducia attribuito molto forte.
Poiché evito di entrare più in profondità su aspetti di natura politica, il lettore curioso potrà trovare soddisfazione ai suoi interrogativi trovando direttamente sul blog di Beppe Grillo i commenti espressi.

 Il lessico
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Probabilmente a causa del tema originatore, nei commenti non sono stati rintracciati elementi di forte interesse sul piano semantico-lessicale che si manifestassero con frequenze di rilievo.
Risparmierò al lettore noiose dissertazioni e tavole statistiche, riassumendo solo alcuni punti significativi.

Dalla sommaria analisi del contenuto eseguita sui testi, i predicati verbali “essere”, “avere, “fare” si sono manifestati con una certa frequenza nelle varie forme flesse, risultato abbastanza scontato visto il tema.

Da rilevare un uso marcato della terza persona “è” e “sono” rispettivamente utilizzati in media una volta ogni commento e una ogni due.
Frequente, ma per altro prevedibile visto l’argomento, il lessema “votare” e le sue varie forme flesse che compaiono in circa il 70% dei commenti, mentre i sostantivi non strettamente connessi all’argomento e ai soggetti in discussione, contraddistinti da frequenze relative assai limitate non rappresentano particolarità degne di nota.
Una curiosità per il lessema “tradire” (comprese le sue forme flesse) che è stato utilizzato meno di una volta ogni 20 commenti.

Emerge invece un uso marcato di elementi del discorso come l’avverbio di negazione “non” utilizzato in media 1,5 volte per ogni commento, la congiunzione avversativa “ma” e la congiunzione condizionale (o dubitativa) “se” utilizzate in media una volta ogni 2 commenti, l’avverbio “perché” utilizzato quasi una volta ogni 4 commenti, indicatori di un discorso sofferto caratterizzato da negazioni, dubbi e tentativi di elaborare nessi di causalità.

 I risultati ottenuti 
grafico-risultati

I circa 1.000 commenti (suddivisi in 4 pagine a margine dell’articolo) sono stati postati nel blog di Beppe Grillo dal giorno 8, quando è stato pubblicato l’articolo sul blog, al giorno 11, successivamente al rifiuto del gruppo ALDE di accogliere i deputati europei del Movimento; scontano quindi una certa variazione del contesto e con il passare del tempo hanno visto crescere lievemente la quota degli “incazzati duri” ed in modo più marcato quella dei “delusi”, ma le categorie di stati d’animo rilevate sono rimaste le stesse.

Ne sono stati campionati casualmente 535 fra le varie pagine, numero più che sufficiente ad evidenziare la ricorsività dei concetti e delle categorizzazioni adottate.
Non si può escludere che qualcuno abbia commentato più volte, tuttavia il depurare i dati raccolti da queste inesattezze avrebbe richiesto un tempo di lavorazione di gran lunga superiore al vantaggio conseguibile in termini di precisione di qualche decimale, che in fondo non è l’obiettivo vero di questo lavoro.

Peraltro anche la categorizzazione di uno stato d’animo o un atteggiamento attraverso un commento scritto, è ovviamente un lavoro che necessita del lavoro interpretativo dell’analista, per questo motivo chiarisco che le percentuali espresse non hanno pretesa di precisione ma servono a dare l’idea di quali siano gli ordini di grandezza dei vari stati d’animo rilevati, anche se è verosimile che le oscillazioni non sarebbero tali da dimezzare o raddoppiare i dati riportati; ripeto era più importante capire il tipo di atteggiamenti e di credenze espresse.

La lettura dei risultati ci dice che esiste una schiera assai compatta e numerosa di “fedelissimi”, la cui appartenenza al movimento, come già detto, rasenta dimensioni fideistiche e riguarda circa un terzo dei commentatori.

“Favorevoli realisti” e “Dubbiosi analitici”, sia pure con qualche riserva, sono in linea di massima accondiscendenti alle scelte del gruppo dirigente, e sono due gruppi che sommati rappresentano poco più di un quarto dei commentatori.

I due gruppi “Critici moderati” e “Incazzati duri” che pesano per circa il 30% dei commenti, si differenziano più che altro per i toni usati, nella sostanza criticano o prendono le distanze dal gruppo dirigente, e di fatto operano un sostanziale distinguo tra gli ideali che animano il Movimento e i leaders che possono anche essere messi in discussione.

Appare assai contenuto il numero dei “Delusi”, che globalmente vale circa l’11% ma che ha registrato una dinamica incrementale durante i quattro giorni in cui sono stati caricati i commenti; va detto tuttavia che i toni di delusione espressi ed i propositi manifestati più o meno apertamente di non votare più il movimento, non debbano a mio giudizio essere annoverati “ipso-facto” in voti persi, perché la percentuale di coloro che effettivamente non voterà più il gruppo probabilmente è molto più ridotta di quanto emerso in questo frangente.

Esiguo il gruppo degli “Esterni” che si riconoscono soprattutto per una semiotica discorsiva che dissimula l’opposizione io-voi e dai loro commenti si deduce che non attendessero altro che l’emergere di contraddizioni in seno al Movimento per poter commentare con soddisfazione una sorta di “lo sapevo che sarebbe finita così”, ma la loro quota è inferiore al 5%.

 Conclusioni 

Ho l’impressione che il fatto controverso di questo cambio di gruppo, poi rientrato, sia stato accolto con uno spirito diverso dai vari settori di opinione pubblica.
Mentre i media e le persone che non si riconoscono nel Movimento hanno, anche con una certa sorpresa, stigmatizzato la serie di decisioni contraddittorie del leader del movimento, per i sostenitori dei 5 stelle la risonanza e l’importanza stessa da attribuire al fatto sembrano complessivamente minori.

I sostenitori del Movimento hanno criticato la scelta anche duramente, ma i legami di appartenenza a questo che oltre ad essere un movimento rappresenta una promessa di valori da lungo tempo assenti nella scena politica, sembrano molto più solidi di una semplice preferenza politica optata sulla scorta di promesse elettorali.

Si tratta di legami basati su valori idealizzati che vanno anche oltre le valutazioni di tipo razionale e pragmatico e che continuano ad esercitare la propria forza fino a che, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, non risulti evidente l’inesistenza o il tradimento di questi ideali.

L’aspetto interessante raccolto nella lettura dei commenti è stato proprio questo, ovvero il comprendere attraverso questi che il Movimento per molti non rappresenta semplicemente una preferenza politica, ma una speranza, un sogno ideale e questo produce uno spirito di appartenenza e una capacità di accondiscendenza alle dinamiche del gruppo molto forti, al punto che ogni singolo riesce poi a razionalizzare anche gli elementi in contraddizione che non entrino in aperto contrasto con gli ideali fondanti.

LA TRAGEDIA DEI TRENI DI ANDRIA – LE STRUTTURE NARRATIVE DEL RACCONTO GIORNALISTICO

LA TRAGEDIA DEI TRENI DI ANDRIA – LE STRUTTURE NARRATIVE DEL RACCONTO GIORNALISTICO

Social media come Twitter e Facebook sono diventati i protagonisti delle notizie in anteprima e dei loro tempestivi approfondimenti, cosicché telegiornali e carta stampata devono conformarsi alla trattazione fatta su queste piattaforme. Questo ne segna di fatto la supremazia nello spazio informativo, condizionando stili e strategie del discorso giornalistico

Prendo lo spunto dall’ incidente ferroviario di Andria per compiere un’analisi del discorso giornalistico che si sviluppa in casi come questo, un genere che diventa sempre meno discorsivo e sempre più narrativo1, uno stile giornalistico-comunicativo favorito dall’ evoluzione tecnologica del sistema dei media e che rientra nel più vasto campo della comunicazione di eventi di crisi.

Anche in questo caso, come in altri, è stato possibile individuare tracce di struttura che ogni volta tendono a caratterizzare il racconto e a stimolare le emozioni dei destinatari.
In questo caso sono stati presi in esame gli articoli pubblicati on-line dal Corriere della sera, la Repubblica, La Stampa, il Fatto Quotidiano, il Giornale entro i quattro giorni seguenti la tragedia, alcune prime pagine dei giornali cartacei nei tre giorni successivi, e i post pubblicati su Facebook dal Corriere della sera e dalla Repubblica nei due giorni successivi.

Scontato ma opportuno ricordare che ormai la costruzione del discorso giornalistico deve seguire i ritmi imposti dalle testate on-line e dai social media che esigono notizie concise corredate da immagini da diffondere a brevi intervalli temporali piuttosto che le più corpose inchieste che si costruivano nel passato sui media tradizionali, e ciò comporta un cambiamento nel racconto della storia.

Anche se i dati raccolti a supporto delle tesi illustrate riguardano soltanto il caso di cui si parla, stante la difficoltà a distanza di tempo di rinvenire materiali e tempistiche di pubblicazione di altri fatti simili, ciò nonostante la memoria di questi e l’esame dei documenti selezionati rappresentano un elemento abbastanza probante in merito all’ esistenza di strutture di questo genere giornalistico.

Tra l’altro la strage provocata dall’ atto terroristico di Nizza avvenuta la sera del 14 luglio, nemmeno quattro giorni dopo, ha riproposto le medesime tracce di struttura osservate in questo caso.
L’analisi sarà basata esclusivamente sul materiale giornalistico tralasciando completamente i commenti e focalizzandosi sulla sequenza dei contenuti pubblicati.

I dati 

Nella tabella seguente sono riportati il numero di articoli pubblicati on-line dalle testate campionate che per certi aspetti costituiscono un indice di risonanza attribuito all’ evento durante i primi giorni seguenti l’accaduto.
Da notare il ridotto numero di articoli pubblicati dal Giornale, indice forse di una redazione più contenuta.

tabella articoli x data2

I numeri tradotti in grafici danno un’idea immediata di quello che possiamo, magari un po’ aridamente, definire il ciclo di vita della notizia e possiamo notare come la similarità della forma delle varie curve indichi il ricorso o quantomeno l’utilizzo delle medesime tracce strutturali nella costruzione del discorso giornalistico da parte delle varie testate.

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Molto sinteticamente anche un breve esame effettuato su alcune prime pagine dei giornali stampati mostra una presenza del fatto in prima pagina  complessivamente più contenuta, palesando tuttavia come titoli ed immagini tendano molto presto a topicalizzare aspetti e temi che si allineano alle loro posizioni pseudo politiche. Nelle immagini si può osservare la differenza nei modi di tematizzare2 l’evento stesso.

prime pagine 2
prime pagine 1

Su Facebook sono state prese a campione le pagine con il maggior seguito come la Repubblica e il Corriere della sera; sulle stesse sono stati pubblicati rispettivamente 43 e 38 post a partire da un’ora dopo la tragedia (ore 11.15 circa) fino alle 52 ore successive al fatto.
La sequenza cronologica dei post in termini di frequenza si può osservare nella tabella:

post facebook

La struttura narrativa del racconto giornalistico 

Nella messa in discorso di questo fatto, così come di eventi dello stesso tipo, sezionando il testo sarà possibile isolare strutture che hanno carattere di ricorsività pur presentandosi in forme diverse.
Queste strutture, di natura virtuale, sono in grado di sostenere uno schema narrativo di questo genere giornalistico e preludono alla sua messa in discorso come sinteticamente descritto di seguito:

  • Elaborare la tematizzazione: procedimento attraverso il quale l’informazione di un fatto viene organizzata e valorizzata ponendo l’enfasi su particolari aspetti che possano conferirgli una risonanza e una posizione dominante nell’agenda del ricevente. La sua articolazione formale dovrà quindi essere adeguatamente predisposta affinché sia in grado di mantenere viva l’attenzione ed il senso di attesa del lettore (es. “Scontro tra treni in Puglia, la maledizione del binario unico”– Corriere della sera -12/07/16).
    Per questo motivo, gli elementi costituenti questa struttura di norma vengono frazionati e divulgati cronologicamente in diversi momenti, concorrendo a costituire una sorta di intreccio come in una scenografia.
  • Predisporre l’isotopizzazione: consistente nel collegare mediante rapporti di causalità, il racconto dell’evento con altri discorsi sociali presenti sulla scena, creando una intertestualità e una serie di rimandi con altre narrazioni (es. “Lo scontro tra i treni in Puglia e le responsabilità della cattiva politica” – Corriere della sera -12/07/16) in modo da farle sembrare simili o accomunate dagli stessi fattori presenti sulla scena sociale. Tipici esempi possono essere: ritardi nell’esecuzione dei lavori generati dalla corruzione, carenze tecniche provocate da una governance carente, errori umani o negligenze causate da orari di lavoro stressanti o rinnovi contrattuali scaduti da tempo etc.
  • Creare l’attorializzazione, procedimento di virtualizzazione dei soggetti necessari alla messa in discorso del fatto, protagonisti o comparse che siano, mediante la scelta dei ruoli sociali e la loro caratterizzazione al fine di dare corpo e sostanza alla storia (es. “Scontro treni: vigili del fuoco e ruspe al lavoro per tutta la notte” – la Repubblica – 12/07/16). In questa struttura si collocano le vittime, i parenti delle vittime, i soccorritori, i testimoni, i presunti responsabili, gli uomini delle istituzioni, i politici, i personaggi famosi etc.
  • Metaforizzare i miti negativi: le strutture di isotopizzazione e attorializzazione utilizzate nel racconto dei fatti, mediante retoriche allusive richiamano più o meno esplicitamente certe visioni del mondo, figure mitiche dotate di una carica negativa come l’ingiustizia, il cinismo del potere, l’errore umano, l’accanimento del destino sui deboli (es. “Scontro treni Puglia, abituati a essere figli di un Dio minore” – il Fatto Quotidiano – 13/07/16). La compresenza di certe figure orienta in qualche modo il giudizio morale, ovvero la trasformazione del fatto in esperienza ed antecedente, codice di interpretazione che la gente userà in futuro per dare spiegazioni ad altri fatti che dovessero presentarsi inspiegabili e senza certezze.

Queste strutture profonde, tipiche di questo genere di narrazioni, sostengono lo schema narrativo del racconto e tramite la loro attualizzazione mediante strutture di superficie conducono alla modellazione di elementi riconoscibili, cose, persone e figure del mondo che consentono la raccontabilità della storia rendendola percepibile al destinatario.

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Le strutture discorsive o di superficie al momento identificate e che possiamo definire come funzioni o sfere d’azione principali3, così come appare nello schema sottostante, di norma si caratterizzano come segue:

  • Rottura dell’equilibrio: è la notizia del fatto cosi come appare nella sua veste iniziale, è la parte più breve che consiste nell’enunciazione della notizia con informazioni frammentarie, affidando perlopiù alla drammaticità delle immagini che precedono la descrizione circostanziata degli eventi, il compito di creare nello spettatore il pathos emotivo e le aspettative in merito alle ulteriori e più dettagliate informazioni.

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  • Panorama circostanziale: è la funzione che prende il via sin dalle fasi iniziali proseguendo poi fin quasi alle fasi finali della storia e prevede la diffusione di approfondimenti in merito alla situazione ambientale, alle inefficienze, ai problemi, ai precedenti, agli eventi passati nello stesso posto o dello stesso genere in altro posto, alle prime ipotesi deduttive in merito ai nessi di causalità o in merito alle responsabilità, gli aggiornamenti sul numero delle vittime e sull’ andamento dei soccorsi.
    È un tipo di informazione apparentemente scarna, ma che invece è strutturata in larga parte sulle strategie di quel processo di isotopizzazione del caso che sarà determinante nell’ orientare il giudizio morale dell’opinione pubblica, funzione che di fatto chiude il ciclo di vita della narrazione del fatto.

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  • Figurativizzazione: è l’opera di messa in discorso di dettagli, di immagini e di microstorie che riguardano il lavoro instancabile dei soccorritori, le loro gesta, le parole dei sopravvissuti, le identità delle vittime, le testimonianze di involontari spettatori, le opinioni di persone famose, le parole dei politici e del potere, le opinioni delle persone comuni.
    È la funzione che permette di calare la storia tra la gente, di renderla viva, attuale, vicina oltre i confini dello spazio attraverso il dettaglio di fatti, oggetti, parole che fanno parte della quotidianità dell’opinione pubblica.

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  • Climax emotivo: è la funzione che crea il pathos della storia e ne prolunga il ciclo di vita; in questa funzione si mostrano e si commentano foto e oggetti delle vittime, particolari delle loro biografie come piccoli successi, prossime nozze, sacrifici o traguardi raggiunti, si enfatizza il dramma delle persone care che le attendevano, si dà spazio a dettagli e immagini che servono a dare la dimensione della perdita, a mostrare sofferenza, dolore e disperazione.

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  • Nessi di causalità: è la funzione che deve raccontare le cause dell’ accaduto, che possa in qualche modo dare un senso al perché accadono certi fatti, ed è un passaggio necessario ad ogni storia di questo tipo, quindi occorre trovare o al limite ipotizzare le responsabilità, presunte, ipotetiche o accertate.
    Da questo la sequenza di una serie più o meno vasta di informazioni circostanziate, alcune confermate altre no, indiscrezioni, supposizioni e deduzioni logiche che insistono sugli errori umani, sulle carenze tecniche o infrastrutturali, sulla superficialità di chi dovrebbe prendere decisioni, sulle carenze della governance e della politica, la messa in relazione con altri fatti o eventi interpretabili secondo visioni stereotipate come mancanze del governo, corruzione che ha distratto fondi, scontri tra le parti politiche in un rimpallo di responsabilità.

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  • Giudizio morale: è la fase finale della storia, ciò che rimane scritto nella memoria sociale di questa; le responsabilità sono state almeno in parte identificate ed ora si cede la scena ai protagonisti negativi, trovano spazio anche le loro storie, le loro assunzioni di responsabilità spesso parziale.
    L’ allusione alle vere responsabilità che spesso si indirizzano in modo più o meno velato verso il sistema che detiene il potere, crea i presupposti per la formazione del giudizio morale dell’opinione pubblica che rimane sullo sfondo e che sarà l’antecedente che guiderà la decodifica di altri fatti nelle future narrazioni di tale genere.

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Queste funzioni non si susseguono in un ordine cronologico rigido ma tendono spesso a sovrapporsi o a presentarsi più volte vista la particolare natura dei mezzi informativi on line al quale oggi è lecito assegnare la prevalenza nel racconto di questo genere di fatti.
In questa tragedia vediamo nella tabella seguente la sequenza di funzioni che sono state individuate nei vari post durante la sua narrazione nei giorni considerati:

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Quale substrato teorico a sostegno della tesi 

L’esposizione giornalistica di questo caso è a tutti gli effetti una narrazione anche se rientra in una casistica un po’ particolare che riguarda il giornalismo di eventi critici, tipologia di cui in questo blog si è più volte parlato, e che possiede caratteristiche ben precise del discorso giornalistico.
Vanno considerate le particolarità imposte dal dominio dei social media nel panorama dell’informazione, specificità che implicano la compressione del ciclo di vita delle notizie, ma al tempo stesso la sua trattazione sviluppata in piccoli segmenti e pubblicata con continuità a cadenze di tempo assai ridotte, a volte anche inferiori ad un’ora.

Ovviamente ho ritenuto necessario compiere una verifica epistemologica in merito alla fondatezza di ipotesi come quella fin qui illustrata, per cui espongo sia pure sinteticamente, alcuni dei riferimenti teorici di natura interdisciplinare a cui mi sono ispirato in questa analisi.
I più importanti spunti presi a riferimento sono stati:

a) I principi delle rappresentazioni sociali teorizzate da S. Moscovici;
b) Il concetto di storia e di narrazioni che ci proviene dalla psicologia culturale di A. Smorti;
c) I principi della semiotica generativa di A.J. Greimas;
d) La sociosemiotica dei media di G. Marrone e la semiotica del testo giornalistico di Lorusso- Violi.

a) S. Moscovici4 definisce il sistema delle rappresentazioni sociali come una sorta di cornice di classificazione degli eventi, un processo che l’individuo adotta per controllare la sua naturale paura dell’ignoto utilizzando due fattori: ancoraggio e oggettivazione.
Il primo consiste nell’associare qualcosa che è percepito come non conosciuto a qualcosa di già noto: nel caso di cui parliamo si cerca di trovare nella memoria ricordi di episodi simili che aiutino a dare una spiegazione laddove le informazioni siano carenti.
Il secondo invece consiste nel rendere concreto ciò che è virtuale, nello specifico di trovare nella memoria conferme alla verosimiglianza delle ipotesi e ai nessi causali che vengono di volta in volta prodotti durante il racconto. In base a questi fattori si spiegherebbe il motivo ed anche l’efficacia di quei procedimenti di tematizzazione ed isotopizzazione del fatto spiegati in precedenza.

b) I principi formulati da A. Smorti5 in merito alle caratteristiche che le storie devono avere per essere efficaci sui destinatari, dicono che le storie hanno bisogno del requisito della raccontabilità, che in questo genere di casi ci deriva dall’inusualità del fatto, dalle incertezze sulle cause e dalle potenziali mancanze o violazioni di qualche norma.
Questi aspetti nonché la descrizione dei fatti devono essere articolati in strutture narrative affinché i destinatari possano scomporre il testo e ordinare e catalogare le informazioni nella propria memoria.
Inoltre sempre Smorti6 sostiene che l’uomo ha la tendenza innata a memorizzare la propria esperienza del mondo in forma narrativa, cosicché i fatti ci appaiono più comprensibili e riferibili alle figure del mondo che conosciamo e ci consentono di ricorrere ad esperienze precedenti per poter comprendere aspetti altrimenti poco codificabili.
Perciò il processo di scomposizione di una storia consisterà nell’articolare una sequenza di elementi ordinati nel tempo e nello spazio, che normalmente si articolerà in uno stato iniziale, l’avvento di un problema, i tentativi di soluzione, stato iniziale ricostruito o un nuovo stato, stato sanzionatorio (finale).
Inoltre, nella classificazione di storie adottata dall’autore (vedi link Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?) questo genere di fatti appare come una storia senza soluzione e che pertanto il destinatario per trovarne una si affiderà in parte al racconto dei media, in parte frugherà nella sua memoria alla ricerca di ricordi di fatti precedenti che costituiscono il prezioso patrimonio di antecedenti.

c) Dalla semiotica generativa di Greimas7 sono di utile ausilio nella riflessione alcuni principi relativi alle strutture profonde, allo schema narrativo canonico e agli attanti narrativi, che per sintesi non sono stati illustrati, per parlare direttamente (all’ apparenza) degli schemi specifici di questo genere e delle procedure di attorializzazione e figurativizzazione che regolano le strutture di superficie delle narrazioni, ovvero la loro messa in discorso.
Esistono comunque sia nelle correnti della psicologia culturale che nella semiotica generativa, diversi punti in comune sulle narrazioni quali ad esempio la rottura dell’equilibrio iniziale e l’esigenza della sua ricostituzione, la fase della sanzione finale con ricompense e punizioni, anche se nella semiotica si tende a porre di più l’accento sulle strutture e sulla figuratività dei personaggi in virtù dell’essenza specifica di queste due scienze umane.

d) Il punto di vista di G. Marrone8 quando parlando della sociosemiotica dei media, asserisce che un singolo fatto o articolo di per sé spesso non è più sufficiente ad assumere senso come unità separata.
Questo deve potersi inquadrare all’ interno di un panorama circostanziale che comprenda non soltanto il fatto di cui si parla ma che includa diversi rimandi e nessi causali con altri fatti della vita politica e sociale, per cui ogni evento finisce per contribuire ad un più esteso senso complessivo che si traduce in un ampio discorso sociale prodotto dal sistema dei media.
Lo stesso autore pone anche l’accento sul fenomeno della spettacolarizzazione dell’informazione che provoca il sempre più frequente ricorso ad immagini che assumono la centralità del discorso dove alle parole spesso non rimane che una funzione didascalica, invertendo in un certo qual modo le funzioni che testo e immagini avevano un tempo.
Opportuno il riferimento anche al concetto di topicalizzazione di cui parlano A.M. Lorusso e P. Violi9 che illustrano come più fatti possano in qualche modo essere messi in relazione trovando un filo comune che li unisce, conferendo legami e nessi di relazione altrimenti non scontati e pertanto contribuendo a costruire quel senso complessivo di cui si parla.

Conclusioni 

L’informazione giornalistica all’interno del più vasto ambito delle comunicazioni di massa ha subito una profonda trasformazione negli ultimi anni, così come appare profonda la revisione del concetto stesso di notiziabilità.

Prima le routine produttive imponevano tempi, modi e spazi per la diffusione delle notizie in grandi contenitori come telegiornali e giornali stampati; ciò imponeva criteri di notiziabilità, capacità di fare giornalismo d’inchiesta e di far stare il tutto con ben precise esigenze di sintesi imponendo l’adozione di regimi più discorsivi da parte del giornalista.

In un paio di decenni, prima la supremazia conquistata dalle immagini, poi l’avvento delle testate on-line, infine la rivoluzione introdotta dai social media ha stravolto il modo di fare giornalismo.

L’opportunità ed al tempo stesso l’esigenza di pubblicare aggiornamenti costanti sulle testate on-line, l’esigenza di dover pubblicare sui social media, piazze virtuali dove il proprio prodotto è soggetto all’interazione diretta ed immediata del lettore, richiede l’adozione di strategie e stili fortemente narrativizzati.
Non basta informare, bisogna conformare il fabbisogno di informazioni ai formati richiesti dai nuovi strumenti, bisogna intercettare gli stati emotivi dell’opinione pubblica, bisogna soddisfarne curiosità ed una sorta di “voyeurismo” che vuole saziarsi di immagini, di dettagli, di indiscrezioni, di opinioni a volte anche non strettamente attinenti alla notiziabilità intrinseca del fatto stesso.

Nelle piazze virtuali delle proprie pagine social nasce l’esigenza di mettersi in relazione ed in linguaggio con i frequentatori di questa piazza e con il loro spazio valoriale, dando vita così a delle narrazioni in cui il fatto in sé è solo un elemento, ancorché importante, del panorama circostanziale che viene tirato in ballo.
Oramai i social, Twitter in testa e poi Facebook, costituiscono l’anteprima delle notizie e il primo spazio di approfondimento, cosicché telegiornali e carta stampata devono di fatto conformarsi alla trattazione fatta su queste piattaforme, segnandone di fatto l’avvenuta supremazia nello spazio informativo, con tutto ciò che questo comporta in termini di stili e strategie giornalistiche.

I nuovi media favoriscono il racconto delle crisi con lo scandire del tempo e delle emozioni del pubblico, come se si raccontasse una fiction cadenzata da puntate, in cui alla fine di ognuna occorre creare le aspettative per la successiva.
Troppo spesso l’esigenza di riempire celermente certi spazi, impone l’adozione di rapporti di intertestualità con altri fatti e problemi sociali aperti ai limiti della forzatura, creando quella sorta di continuum narrativo capace di mantenere il contatto con i propri lettori il più a lungo possibile. Ora il successo e la bontà di una notizia si misura con i like, con le condivisioni e con i commenti suscitati; da qui ovviamente una certa deriva del concetto di newsmaking.

Ovviamente il genere giornalistico che appartiene alla comunicazione di crisi è contrassegnato da particolarità, prima fra tutte il coinvolgimento emotivo dei lettori, anche se le considerazioni fatte in queste brevi note conclusive non escludono il resto del discorso giornalistico, anzi lo includono pienamente.

1 Sinteticamente, per discorsivo intendiamo la descrizione di un contenuto non focalizzato sui personaggi, per narrativo un contenuto organizzato cronologicamente e centrato su protagonisti. Per una trattazione più ampia vds. anche U. Volli – Il nuovo libro della comunicazione – 2007
2 Dei titoli giornalistici e di alcuni meccanismi inerenti la loro costruzione ne parlo al link http://sb.aidazerouno.it//i-titoli-dei-giornali-narrazione-o-plagio/ e http://sb.aidazerouno.it//i-titoli-dei-giornali-narrazione-o-plagio2/
3 Il riferimento è esplicito ed evidente al concetto di funzioni o sfere d’azione teorizzato da V.J. Propp nei suoi studi sulla morfologia della fiaba.
4 Le rappresentazioni sociali – S. Moscovici – Il Mulino 2005
5 La psicologia culturale – Andrea Smorti – Carocci 2003
6 Narrazioni. Cultura, memorie, formazione del sé – Andrea Smorti – Giunti 2007
7 Del senso 2: narrativa, modalità, passioni (ed. or. 1983), tr. Patrizia Magli e Maria Pia Pozzato, Bompiani, Milano 1985
8 Corpi sociali – processi comunicativi e semiotica del testo – Gianfranco Marrone – Einaudi 2001
9 Semiotica del testo giornalistico – A.M. Lorusso P. Violi – Laterza 2004
ICONOGRAFIE DI LEADERS – LE DIMENSIONI NARRATIVE DEI SOGGETTI RAPPRESENTATI

ICONOGRAFIE DI LEADERS – LE DIMENSIONI NARRATIVE DEI SOGGETTI RAPPRESENTATI

La rilevanza dei media nel modellare le diverse rappresentazioni di un personaggio dal punto di vista iconografico è indiscutibile, specialmente quando si tratta di figure di primaria importanza sulla scena. Alcune volte tuttavia ne scaturiscono delle iconografie ai limiti del grottesco; sono le raffigurazioni percepite dal pubblico e riproposte dalla “circolarità” dei media oppure il tentativo di quest’ ultimi di imporre i propri modelli figurativi?

Dall’ avvento dei media di massa, tutti i leader politici gli hanno sempre attribuito notevole importanza, consapevoli della forte influenza che questi possono esercitare sull’ opinione pubblica nel raccontarne l’azione e nel condizionarne il livello di consenso.

In particolare, oltre al raccontare l’attività politica di un leader, c’è un altro aspetto che assume particolare rilevanza nel tempo e che consiste nel dare forma alle iconografie prevalenti relative al volto e alla gestualità del leader stesso, modellandone in un certo qual modo la percezione.

Dal punto di vista semiotico, la figura di un leader acquisisce un “effetto di senso” quale risultato di tutti i testi-oggetto in cui viene riprodotto durante la sua attività: interviste tv, audio e stampa, locandine, volantini, immagini sui mezzi di informazione, video e filmati vari; pertanto sarà molto importante il suo modo di porsi e di farsi rappresentare figurativamente in tutte le possibili situazioni di contatto con il suo pubblico e con il mondo degli operatori dell’informazione.

In particolare, a volte l’iconismo che si sviluppa attorno ad alcuni volti alla lunga sembra costituire un vero e proprio mainstream che finisce per diventare l’elemento caratterizzante della narrazione del personaggio e che concorre a formarne una marcata affinità con certe figure archetipiche più o meno stereotipate.
Per tale ragione è nata la curiosità di esplorare più in profondità le iconografie di alcune figure di primaria importanza sulla scena, e perciò sono stati confrontati tre leader che hanno una notevole rilevanza mediale quali Vladimir Putin, Angela Merkel e Donald Trump.

L’analisi si è basata sull’osservazione delle prime 150 immagini indicizzate da Google relative ai tre soggetti. Si è considerato che raccogliendo materiale da altre fonti, oltreché dispendioso, poteva essere condizionato sia dalla diffusione, sia dalle scelte di campo del medium stesso in un dato momento. Con uno standard univoco la selezione del materiale si è basata su una campionatura di immagini tratte da Google, in quanto tale motore di ricerca non fa altro che indicizzare e mostrare in base alla diffusione le immagini che circolano con maggiore frequenza nella rete, pertanto strumento perfettamente in grado di rappresentare il trend mediale prevalente.

Una sintesi delle immagini che riportano alcune delle espressioni significative più ricorrenti viene riportata nelle figure incluse.

 I presupposti dell’analisi 

Il primo presupposto considera l’aspetto fondamentale della rappresentazione, cioè il volto, la faccia, la sostanza principale della significazione che ci riferisce come è “fatta” la persona, che comunica identità e identificazione, trasfigurazione e somiglianza. Parte dal detto “metterci la faccia” che si fondano le garanzie morali, che si esprimono ritegno, pudore, emozioni, rabbia, disgusto, così come il perderla implica la diminuzione di credibilità, carisma, rispetto e fiducia. Quindi semioticamente la faccia diventa espressione della persona e significato per antonomasia.

Altro presupposto fondante della leadership è il carisma e le modalità espressive con cui un leader lo esprime. Anche in questo caso ci si avvale del contributo semiotico laddove si individuano due grandi categorie di stili di leadership, ognuna delle quali all’interno di propri sistemi di significazione: lo stile carismatico in cui il leader ha la titolarità del dominio simbolico della leadership e la esercita nei modi a lui congeniali, e lo stile rivoluzionario in cui l’aspirante leader non ha questa proprietà e cerca di acquisirla attraverso l’investitura popolare tratteggiando la sua egemonia futura.

Ultimo presupposto considerato valuta come le iconografie ricorrenti possano implicare analogie più o meno marcate con forme archetipiche e personaggi delle strutture narrative a cui facilmente il pubblico può collegare le proprie percezioni con interpretazioni più o meno stereotipate. Questo nasce dalla considerazione che in fondo i leader politici incorporino in un certo qual modo delle figure mitiche che suscitano una sorta di immedesimazione del pubblico, così come avviene per la filmografia in genere, e che il loro immedesimarsi vada a far riferimento a quelle figure felicemente descritte da Vogler nel suo lavoro di definizione dei ruoli scenografici.

Conseguentemente gli aspetti osservati hanno riguardato:

  • Il confronto tra elementari principi di fisiognomica e l’espressione catturata nell’immagine letta come messaggio di comunicazione non verbale, allo scopo di prevederne la possibile percezione o di delinearne le interpretazioni;
  • Le semiotiche complessive di certe pose, della gestualità catturata, che possono diventare segnali denotatori di valori ed atteggiamenti che sono in stretta relazione con aspetti quali il potere, l’autorità, l’affidabilità, il cambiamento, l’autorevolezza, il carisma etc.

Le iconografie dei leader e gli archetipi di Vogler – quale eroe in viaggio? 

Donald Trump 

striscia Trump
In fisiognomica il faccione abbastanza squadrato di Trump è indice di un soggetto brusco, duro, rude nei giudizi e nel comportamento. I suoi sono i lineamenti tipici di persone inclini ad affidarsi solo alle proprie capacità, dal temperamento attivo, pratico e deciso, rigidi nelle proprie idee e mossi dall’ambizione di affermarsi, tendono ad attaccare anche con una certa veemenza e non di rado raggiungono il successo grazie alla propria incessante attività.

Le sembianze di Trump sono in linea con le prerogative suddette e le espressioni catturate lo mostrano frequentemente in espressioni e gesti grotteschi al limite della vignettatura, raccontano una persona animata da passioni anche se espresse in modo caricaturale, quasi comico. Le mimiche del volto mostrano parole gridate, smorfie che esprimono disgusto, espressioni sguaiate, il ghigno serioso della persona gretta, arida, che si compiace di aver affossato l’avversario, una gestualità sintetizzata da un dito indice accusatorio, da mani aperte a difesa, un riporto di capelli che aggiunge un senso di vanità goffa che implica ulteriori segnali negativi.

Abbastanza frequenti anche le caricature di Trump, rappresentazione complessiva di un soggetto svalorizzato, di un aspirante leader goffo e inaffidabile, raccontato come un ricco uomo di affari, meschino, ingordo, ottuso e dispotico. Trump tuttavia assume una veste iconica di antisistema che rivoluziona il concetto classico del leader sicuro, affidabile, illuminato nelle sue visioni ed intuizioni.

Trump sembra incorporare i segni di due figure archetipe di Vogler, a metà strada tra “l’antieroe” e “l’imbroglione”.
La figura dell’antieroe, non è il contrario dell’eroe, ma una sua specie particolare, come il fuorilegge o il cattivo, il quale però per diverse ragioni a volte riscuote l’approvazione sostanziale del pubblico. Il tipo di antieroe affine a Trump è quello di “eroe tragico”, figura sgradevole di cui si disapprovano le azioni, che presenta debolezze, che non risolve mai i propri demoni interiori al punto da venirne neutralizzato.

L’archetipo dell’imbroglione invece riunisce in sé le energie della goliardia e il desiderio di cambiare. La funzione psicologica dell’imbroglione è quella di ridimensionare i supereroi e riportarli con i piedi per terra insieme agli spettatori. A volte suscitano ilarità, mettendo a nudo i limiti dell’ambiente e rimarcandone le follie e le ipocrisie, stimolano cambiamenti e trasformazioni salutari. Gli imbroglioni sono spesso dei personaggi catalizzatori, che agiscono nelle vite altrui, pur rimanendo sé stessi. Nelle narrazioni, gli eroi imbroglioni si trovano nei miti popolari e nelle fiabe di tutto il mondo.

Vladimir Putin 

striscia Putin
Le immagini che ritraggono Putin sono invece di tenore completamente diverso rispetto a quelle di Trump.
I tratti fisiognomici del suo volto si imperniano in una fronte alta e ampia, indice di soggetti dotati di qualità induttive e deduttive, capacità di analisi e di sintesi, di praticità e portatori di ideali. Le labbra sottili e serrate indicano soggetti meticolosi, ordinati, precisi che seguono la ragione e agiscono anche con senso dell’opportunità, con occhi profondi e sottili, segni di un leader sicuro, deciso, forte e temibile.

I lineamenti del viso abbastanza stretto di Putin sono pertinenti alla figura di leader, la gestualità illustrata delle mani è limitata ma decisa, ed i movimenti esprimono controllo; le immagini in primo piano mostrano una postura abbastanza protesa in avanti ad affrontare il problema, lo sguardo che non denota incertezze, le mani che si appoggiano al volto segnalano la giusta riflessione e ponderatezza delle scelte del leader ma mai l’incertezza, rari sono i sorrisi, di rado l’espressione compiaciuta di chi ha messo sotto scacco l’avversario anche stavolta. Non sono rare le immagini che lo riprendono intento a svolgere attività sportive o ad usare armi, segnali che tendono ad intercettare non solo il carisma del potere ma anche dell’abilità, della forza e dell’energia.

Qualche concessione alle passioni solo quando viene ritratto con animali domestici, che denotano l’esistenza di un lato sentimentale a cui può accedere solo chi riscuote la sua fiducia.
La figura di Putin è affine a quella di “eroe catalizzatore”, di colui che, eroe dinamico e deciso, non cambia e risolve le falle del sistema. Gli eroi catalizzatori sono figure centrali che possono agire eroicamente, interiormente stabili perché la loro precisa funzione è provocare la trasformazione negli altri, sono particolarmente efficienti nelle narrazioni che continuano nel tempo come le serie TV e i sequels; come in “Superman” questi eroi subiscono pochi cambiamenti interiori, ma intervengono soprattutto per aiutare gli altri o guidarli nella loro crescita, come i catalizzatori nella chimica, essi provocano un cambiamento nel sistema senza trasformarsi.

Questa sostanza archetipica ben si addice al personaggio Putin, ormai sulla scena da parecchi anni e artefice primo della rinascita prima di tutto identitaria della Russia. Il suo personaggio è percepibile come colui che, dedito alla comunità, ne può risolvere i problemi, impegnato nel suo viaggio ad affrontare di volta in volta gli ostacoli messi sul suo cammino dall’alleanza dei poteri avversi, dimostra di avere doti di scaltrezza, risolutezza e decisione che sono bagaglio di un vero leader. Spesso criticato, è anche descritto come risoluto e spietato verso i suoi avversari, tuttavia questo non sembra scalfire un granché il suo carisma e la sua popolarità. Incorpora comunque la figura del leader che ha una sua meta, un suo progetto e sa perfettamente come fare e perciò trasmette affidabilità e sicurezza nei suoi cittadini, ed anche un pizzico di ammirazione in vasta parte dell’opinione pubblica occidentale.

Angela Merkel 

striscia Merkel
I tratti del viso della Merkel, denotano una certa triangolarità, con tempie larghe ed il mento abbastanza aguzzo. Questi tratti sono tipici di soggetti che lavorano principalmente con la mente, pronti e rapidi nell’afferrare le situazioni, non di rado scaltri più che profondi o colti. Una mascella abbastanza pronunciata riferisce di soggetti dotati di volontà, combattivi, dallo spirito conquistatore, ambiziosi ed orgogliosi che a volte rischiano di perdere aderenza con la realtà.

La leadership della Merkel, personaggio politico di primissimo piano della scena europea, mal si concilia con un momento storico in cui le leadership europee sono fortemente criticate specialmente quando si tratti di persone che si reputano appartenenti all’establishment dei cosiddetti poteri forti, crisi dovuta alla sfiducia e al malessere, ai guasti provocati dalle classi politiche al potere che hanno investito quasi tutti i paesi europei in una crisi che dura ormai da otto anni.
Ovviamente una figura carismatica, seppur controversa come la Merkel, non poteva rimanere indenne da queste correnti di pensiero, perciò la sua immagine di donna di ferro non sembra più garantire quelle rendite di posizione di cui, in altri momenti, aveva goduto la Tatcher.

Le immagini che la raccontano ci mostrano una donna che rappresenta il potere, ma che appare frequentemente corrucciata, un volto per niente conciliante, con la bocca curvata verso il basso in un’espressione che sembra trapelare un moto di disgusto, quasi a denotare la distanza del potere dalla società civile. Spesso ripresa in smorfie grottesche che tentano di ridicolizzarne e svilirne l’appeal di leader, non di rado viene caricaturizzata con sembianze che ne disconoscono la femminilità, che la disumanizzano mostrandola spietata e insensibile, perfettamente integrata in un sistema di potere transnazionale ormai distante dalla società e che non riscuote più la fiducia della gente. Di rado viene ripresa in espressioni sorridenti e più distese, eccezioni alla regola dunque, mentre anche la gestualità delle mani, palme aperte verso il pubblico, non sembra ispirare grandi speranze.

Il personaggio della Merkel sembra configurarsi bene con l’archetipo del “guardiano della soglia”; i guardiani della soglia, di solito non sono i malvagi o gli antagonisti della storia, spesso sono il braccio destro del maligno. Agli ingressi di un mondo nuovo ci sono dei guardiani severi a sorvegliare la soglia, per impedire l’accesso a chi non lo merita, mostrano un’espressione minacciosa, ma se affrontati adeguatamente possono essere superati, ignorati o diventare persino alleati. Spesso il malvagio stabilisce un rapporto con il guardiano della soglia per essere protetto o avvertito quando un Eroe si avvicina al limitare della sua roccaforte.

Gli eroi che riescono nella loro missione a neutralizzare i guardiani della soglia, imparano ad aggirarli, ad incanalare la loro energia al fine di incorporarli. Imparare ad affrontare i guardiani della soglia è una delle prove più ardue del viaggio dell’Eroe.

conclusioni 

In questo momento l’accostamento fatto tra questi tre leader politici, le loro iconografie ricorrenti e le figure archetipe della narrazione, suggerisce spunti abbastanza interessanti sul come le rappresentazioni visive diventino per certi aspetti una sorta di barometro del giudizio sociale.

La lunga e profonda crisi non solo economica ma anche politica e valoriale della società occidentale si caratterizza per un moto di sfiducia generalizzata nelle classi politiche dominanti incapaci di risolvere i problemi sociali, pertanto sentimenti di rivalsa, di contestazione e anche di rottura degli schemi si affacciano un po’ ovunque anche se il panorama dei sentimenti popolari appare estremamente frammentato e confuso.

Trump non mostra certamente le virtù del leader ispirato, anzi è grottesco, caricaturale, antisistema, al margine dell’establishment di potere e inviso al sistema dei media che ne riproduce un’ icona da impostore; forse è proprio per questo che più Trump è osteggiato dal sistema, più il suo gradimento nelle masse del pubblico americano tende a salire, segnale quindi che la gente potrebbe vedere in lui un elemento di rottura con la continuità del passato fatta di menzogne e false promesse.

Diametralmente opposta invece la lettura del personaggio Merkel, la cui popolarità in calo deriva anche dal suo apparire interprete e protettrice di politiche austere che fanno gli interessi di un sistema di poteri economici ingordo, ambiguo, perfettamente in linea a farsi portatore di quell’alone di cupo mistero che serve ad alimentare dietrologie e complottismi. Ecco perché il suo incorporare la figura del “guardiano della soglia”, ben si congiunge con il ruolo di protettrice degli oligopoli del sistema Europa, di quelle forze egoiste che ne stanno distruggendo i valori fondativi nella mente della gente.

Putin invece, con il rilancio della Russia come potenza, come identità e come attore primario sulla scena mondiale, finisce per calzare bene i panni dell’eroe che sta compiendo appieno la sua impresa, vicino a sconfiggere il drago che attanagliava il suo paese. Pur nella durezza e nei difetti, riscuote ammirazione ed esercita comunque un certo ascendente su buona parte dell’opinione pubblica occidentale, quel carisma appunto che solo i personaggi eroi catalizzatori delle sceneggiature sanno coagulare.

Quale sarà quindi il loro percorso futuro? Vedremo!

PERSONALITA’ SOCIAL – FACEBOOK INFLUENZA LA FORMAZIONE DEL “SENSO COMUNE”?

PERSONALITA’ SOCIAL – FACEBOOK INFLUENZA LA FORMAZIONE DEL “SENSO COMUNE”?

Come ragionano le persone che davanti ad un video postano commenti sui social? Quali sono i loro punti di vista e la loro visione del mondo? Fino a che punto sono influenzabili dai contenuti pubblicati? È possibile raggrupparli in target audience relativamente omogenei?

Domande frequenti in chi opera nel mondo dei social sia perché dietro un commento non si sa mai chi c’è realmente, sia perché questi media rappresentano un fenomeno ancora troppo giovane per poter disporre di riferimenti sociologici consolidati sui loro effetti, così da poter costituire sicuro riferimento.
Se per i media tradizionali è stata in più occasioni dimostrata e descritta la loro capacità di influenzare gli atteggiamenti del pubblico, la stessa cosa non si può ancora affermare con pari certezza riguardo i social media.

Tuttavia sembra che Facebook abbia compiuto delle ricerche in tal senso, isolando due gruppi omogenei di persone ed esponendoli per un certo periodo di tempo a contenuti diversi; i risultati dimostrarono che gli atteggiamenti dei due gruppi verso certi elementi erano diversi in relazione al tipo di contenuti a cui erano stati esposti.

Certo questa ricerca, peraltro poco pubblicizzata, non costituisce prova definitiva, ma comunque rappresenta un punto importante su cui cercare ulteriori conferme empiriche.
Nella frequentazione delle cosiddette piazze virtuali, una persona trova delle fonti dalle quali attinge spesso per costruire le proprie conoscenze sui fatti sociali, cerca conferme alle proprie opinioni, trae spesso la convinzione in merito alla accettabilità e alla condivisione dei propri punti di vista.

Non ingannino le conversazioni “furibonde” che alcune volte si scatenano sui social perché in ogni caso si tratta spesso di polarizzazioni che appartengono allo stesso frame, e capita che un qualsiasi utente possa fare una breve escursione in “territori ostili”, ma riflettendo introspettivamente è logico pensare che quando si è liberi di scegliere, si preferisca frequentare luoghi e persone con le quali si ha una certa affinità di pensiero, per cui è verosimile che questo accada anche nelle cosiddette piazze virtuali.

In tal senso, ho effettuato una sintetica ricerca sulle pagine Facebook di due quotidiani assai diffusi come il Corriere della Sera e il Giornale, selezionando i post pubblicati relativi a un caso che ha occupato le prime pagine di tutti i media e ho analizzato i commenti che sono stati aggiunti, con lo scopo di mettere in luce quali siano state le prese di posizione sul caso e quali fossero le idee comuni emergenti più diffuse, con uno sguardo anche alle modalità lessicali utilizzate per veicolare tali punti di vista.

La scelta è ricaduta su questi due quotidiani perché pur avendo posizioni diverse su vari aspetti di carattere sociale e politico non si collocano su poli estremi, fatto che avrebbe reso relativamente scontate le differenze rintracciate.

 Le modalità di ricerca 

La ricerca è stata effettuata sulle pagine dei due giornali il giorno 10 marzo, prendendo a campione il caso dell’omicidio Varani ed effettuando la rilevazione dei commenti pubblicati alle ore 15.00 circa.

I commenti sono stati analizzati leggendoli uno ad uno perché l’obiettivo era quello di disvelare le opinioni comuni sullo sfondo aldilà delle parole usate per esprimerle, si trattava quindi di operare un “sentiment analisys” assai poco automatizzabile e molto artigianale perché diretto a decodificare sottintesi, toni ironici o espressioni gergali utilizzate (es. “metteteli in galera e buttate via la chiave”).

Privilegiato quindi l’aspetto qualitativo anche perché il numero di commenti disponibili non era elevatissimo, per cui un’analisi quantitativa su un campione numericamente non adeguato sarebbe tacciabile di scarsa significatività. Ciò nonostante, numeri e dati che comunque riporto, aldilà della significatività statistica, hanno l’obiettivo di descrivere per grandi linee una dimensione del fenomeno osservato.

Considerata l’efferatezza dell’omicidio di Luca Varani, nei commenti si sono riversate tensioni emotive che ovviamente hanno condizionato buona parte dei commenti specialmente per quanto riguarda il lessico utilizzato e le posizioni espresse sulla vicenda, tuttavia per quanto riguarda le opinioni più o meno dissimulate nelle parole, sono emersi aspetti interessanti circa la diffusione di certi punti di vista non solo verso la questione giustizia, ma anche verso questioni sociali di una certa rilevanza.

Sono stati considerati 194 commenti inseriti nel post del Corriere della sera e 173 commenti apparsi in 4 differenti post pubblicati dal Giornale, mentre il numero di commenti risultati indecifrabili in entrambe le testate è stato abbastanza basso. Ogni commento considerato poteva contenere sia una presa di posizione sul caso, sia palesare una o più convinzioni.

Il Corriere della sera ha pubblicato un unico post alle ore 6.45 utilizzando una immagine sbiadita del volto di uno dei responsabili, quasi a voler simulare i famosi manifesti “wanted” della filmografia western, operando in tal modo una sorta di disumanizzazione del soggetto, cercando di sbiadire i tratti da ragazzo perbene di colui che si è macchiato di un crimine efferato. Il titolo si incentra su una procedura giudiziaria, gli interrogatori, e su un aspetto ormai abbastanza frequente nei casi giudiziari che è divenuto un’antecedente nella memoria collettiva, ovvero lo scambio di accuse tra i due colpevoli. All’ora della rilevazione i commenti erano di poco superiori a 200.

Il Giornale invece ha pubblicato 4 post, alle ore 10.35, alle 11.10, alle 12.25 e alle 14.30, utilizzando immagini che ritraggono l’altro colpevole, mostrando in primo piano un volto ogni volta in posa per lo scatto, quattro foto differenti di altrettanti momenti dove la composizione fotografica evoca i tratti del narcisismo e della personalità multipla del colpevole. Nei titoli i temi cavalcati sono stati il tentativo degli avvocati di appellarsi a incapacità parziali dei colpevoli, il tentativo di confondere l’accusa, l’efferatezza del delitto compiuto e l’espressione deteriore dell’omosessualità quale concausa dell’omicidio.
I commenti ricevuti nei quattro post sono stati complessivamente 178 e ancorché pubblicati su post diversi sono apparsi abbastanza omogenei, per cui potevano essere analizzati globalmente allo scopo di ricavare una fotografia degli atteggiamenti espressi.

composizione post

In entrambi i casi invece non sono state prese in considerazione le risposte ai vari commenti.

 I risultati emersi 

I contenuti dei commenti ai post sono stati analizzati definendo due categorie di informazioni: la prima relativa alle varie prese di posizione che il pubblico ha assunto sul caso riguardo la colpevolezza degli accusati e la pena da infliggere; la seconda ricavando ed etichettando gli “schemi mentali” (vds. Polmonari, Cavazza, Rubini – Psicologia Sociale) attraverso i quali vengono costruiti i processi di ancoraggio ai nessi causali del fatto; infine è stato operato un confronto tra alcune delle unità lessicali dotate di significatività più utilizzate.

Una breve digressione a margine del poliforme concetto di schemi mentali, per rinviare alle pregevoli elaborazioni del concetto di Rappresentazioni sociali di Moscovici, della definizione di senso comune che proviene tra gli altri da Clifford Geertz e Pierre Bourdieu, ma anche del più datato, ma sempre interessante, concetto di idee comuni di Gustav Flaubert; ovviamente le definizioni da me utilizzate in questo lavoro tengono conto di un certo legame di sinonimia di questi concetti.

      1. La tipologia di prese di posizione sul caso ha rivelato molte similarità, anche se espresse in modi e lessico diverso, evidenziando una maggiore predisposizione dei followers del Corriere a prendere posizione (202 volte) in confronto ai followers del Giornale (112volte); tali posizioni sono state:
        – favorevoli all’ergastolo o comunque a situazioni di carcere duro e senza sconti di pena (76 Corriere, 29 il Giornale);
        – favorevoli alla pena di morte o comunque raffigurando modi di espiazione della pena in rapporto di sinonimia con la morte, espresse lasciando trasparire un forte senso di sdegno e di vendetta (42 Corriere, 26 il Giornale);
        – il senso di orrore per quanto commesso dai due e la convinzione che siano entrambi colpevoli allo stesso modo (38 Corriere, 22 il Giornale);
        – la convinzione che i due colpevoli, con l’aiuto di famiglie e avvocati, metteranno in atto la tattica di rimpallarsi le responsabilità per eludere la pena (35 Corriere, 10 il Giornale);
        – la convinzione che gli avvocati proveranno ad utilizzare le astuzie processuali per far eludere o limitare la giusta pena ai colpevoli (11 Corriere, 25 il Giornale).
        Per operare un confronto i dati sono esposti in percentuale nei grafici sottostanti.TABELLA 1Da questa infografica possiamo notare come per alcune posizioni non emergano forti differenze, tuttavia si vede come il pubblico del Corriere esprima una forte propensione all’ergastolo quale giusta condanna e la convinzione che i due colpevoli tenteranno qualche escamotage per eludere la pena, mentre nei followers del Giornale emerge l’indignazione, prevedendo il susseguirsi delle astuzie degli avvocati finalizzate ad evitare la giusta punizione ai colpevoli, in quasi un quarto delle posizioni espresse, oltre all’aumento dei fautori della pena capitale.
      2. Gli schemi mentali riconducibili alle convinzioni sia sulle concause probabili, sia sul futuro decorso della giustizia invece fanno registrare differenze nel tipo di opnioni e nella diffusione delle stesse, così come schematizzato nella tabella sottostante:TABELLA 2Su questo piano le differenze come si può vedere sono abbastanza rilevanti e possono risalire sia a diversità socio-culturali tra le due tipologie di followers, sia al tipo di framing che viene più o meno palesemente richiamato dai titoli dei post.Infatti, mentre sul Corriere lo scambio di accuse è la tematizzazione di riferimento, fatto quindi che ispira nei lettori della pagina una presa di posizione sul tema (202 volte), nel Giornale la combinazione dei 4 post ed i rispettivi titoli, tendono a richiamare i frame dell’omosessualità e del decadimento morale e sociale che molto probabilmente ispirano più l’espressione del senso comune, nel tentativo di trovare spiegazioni al verificarsi di eventi così efferati.Difatti nel caso del Giornale circa un terzo delle convinzioni riscontrate, indica nell’omosessualità e nella degradazione che ad essa idealmente si collega un nesso causale più o meno strettamente collegato al caso, mentre le responsabilità educative indotte da genitori benestanti che nel Corriere era stata riscontrata in oltre un terzo delle idee emerse, nel Giornale cala sensibilmente.Infine appare degno di nota richiamare l’attenzione sulle percentuali in merito alle convinzioni rilevate sui giudici e sulla giustizia in genere, perché mentre nel Corriere sembra predominante il riferimento alla giustizia come soggetto astratto che palesa delle lacune nell’assicurare la meritata condanna, nel Giornale il concetto viene oggettivato e la maggiore responsabilità viene attribuita alla persona del giudice quale attore che non applica bene la legge.
      3. Ne consegue che il lessico è abbastanza in linea con posizioni manifestate e idee emerse, così che mentre nel Corsera le parole più frequenti sono mostri, figli, padre, ergastolo, galera, droga, nel Giornale emergono schifo, avvocati, assassini, gay, giudici, e nella lista delle 15 parole più utilizzate, solo 5 sono comuni ad entrambe ma con rango e indici di frequenza assai diversi. Da riportare invece singolari espressioni come “metterli in galera e buttare la chiave” quale raffigurazione che sembra dare una parvenza di maggiore concretezza della privazione della libertà a vita piuttosto che la parola ergastolo.

TABELLA 3
Conclusioni 

Se ci si sofferma con attenzione sui titoli dei post, le differenze emerse nel tenore dei commenti sembrano avere una correlazione con gli stessi abbastanza evidente, per cui è verosimile pensare che le tematizzazioni utilizzate nei post abbiano un ruolo non secondario nell’ispirare certi principi e nell’orientare il tipo di conversazione che ne scaturisce.

Il quadro che emerge da questi risultati sembra offrire una piccola ma ulteriore conferma; anche i social media sono in grado di influenzare gli atteggiamenti, e questo accade attraverso una duplice azione: da una parte la notizia che proviene dal mainstream informativo dei media; dall’altra il framing operato da ogni singola testata o pagina che influenza il tipo di conversazione che si produce in questa piazza virtuale e che finisce per stimolare reciproche influenze nei partecipanti, ma anche per persuadere coloro che passivamente leggono questi commenti nella convinzione che siano socialmente approvati e diffusi.
A riprova di ciò sono state abbastanza frequenti espressioni gergali pressoché identiche.

Chiaramente il risultato di questo lavoro costituisce un’istantanea su un aspetto perché ovviamente i sistemi di rappresentazioni sociali e di visione del mondo, più o meno omogenei, si sedimentano con il tempo e finiscono poi per orientare valori ed atteggiamenti.

Appare perciò quantomeno verosimile affermare che siamo di fronte non solo alla democrazia della rete, come entusiasticamente sostenuto da alcuni, ma all’uso più o meno consapevole di nuove e più sofisticate forme di influenza delle opinioni nel panorama sociale dei media di cui anche i social, lo ripeto ancora, fanno prima di tutto parte.

 

Infografiche realizzate da Manuel G. Bernardini
manuelg.bernardini@gmail.com