Sintesi sul funzionamento degli algoritmi di Linkedin e Twitter e alcuni suggerimenti per l”uso di queste piattaforme social media più orientate ad una utenza “business”
Una descrizione sintetica per illustrare le principali caratteristiche di queste piattaforme e alcune indicazioni per farne un uso corretto dedicate a imprenditori e professionisti che vogliano utilizzare questi social media a fini professionali, sia che li utilizzino direttamente, sia per migliorare la comprensione del lavoro dei loro consulenti in out sourcing.
Questo articolo segue l’analogo pubblicato che descrive l’algoritmo di Facebook e come in quel caso non è destinato agli specialisti dei social media per i quali risulterebbe non esaustivo.
Conoscere i principi di funzionamento aiuta ad utilizzare meglio le piattaforme, assegnando la giusta importanza alla qualità dei contenuti da pubblicare, aspetto che rimane sempre di sostanziale rilevanza per qualsiasi social.
Linkedin
Negli ultimi anni la trasformazione di Linkedin è stata enorme, da vetrina di curriculum a piattaforma di contenuti, che oggi per alcuni aspetti sembra somigliare sempre più a Facebook, anche se non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze.
Rimane comunque la piattaforma per il B2B per antonomasia, anche se non bisogna dimenticare che è pur sempre una piattaforma sociale di persone che lavorano in aziende e non una piattaforma di aziende.
Vediamo pertanto alcuni dei principi fondamentali dell’algoritmo di questa piattaforma:
Assegna miglior rilevanza ai profili completi di tutti i dati: job title, foto profilo, riepilogo, esperienza, referenze, etc.;
Viene attribuita priorità ai contenuti degli utenti con cui si interagisce maggiormente e che pubblicano in modo coerente;
Viene attribuita priorità ai contenuti degli utenti che ottengono forte coinvolgimento nei loro post anche se non manifestato direttamente dall’utente cui il post viene mostrato;
Attribuisce maggiore rilevanza ai commenti strutturati rispetto a un alto numero di reazioni;
Non attribuisce la priorità ai contenuti delle pagine aziendali;
Preferisce contenuti “nativi”, ovvero con testi, immagini e video caricati all’interno della piattaforma e non linkati;
Valuta la pertinenza dei contenuti con il feed utente: in base agli argomenti più seguiti, con maggiori interazioni o in base agli hashtag seguiti;
Valuta la probabilità di interazione dell’utente con i contenuti presentati nel proprio feed;
Valuta il tempo di lettura trascorso dagli utenti su determinati contenuti considerandoli più autorevoli e rilevanti;
Non assegna più priorità automatica ai video nella parte alta del feed.
In tal senso, la piattaforma, pur allargando le maglie della “discorsività” e della “socialità”, non vuole allontanarsi troppo dalla sua essenza originaria di piattaforma per il business, ponendo quindi molta attenzione ai contenuti, all’attenzione che riscuotono, ma anche alla fonte che li produce. Ne consegue che alcuni suggerimenti di uso possono riassumersi in:
pur non dimenticando la sintesi nei contenuti, su questa piattaforma i post possono essere anche più lunghi rispetto a Facebook e Twitter, perché gli utenti sono disposti a spendere più tempo su contenuti che ritengono professionalmente interessanti;
gli hashtag hanno acquisito negli ultimi due anni una notevole importanza per permettere all’utente di raggruppare i contenuti desiderati, per cui è bene utilizzarli anche se in numero non superiore a 2-3;
pubblicare con regolarità senza esagerare nella frequenza, ricordarsi che è bene privilegiare la qualità;
un “accurato” uso delle storie, video e documenti allegati, possono stimolare il coinvolgimento, così come le pronte risposte ai commenti e lo sviluppo di conversazioni sui post;
è bene utilizzare anche il proprio profilo o quello dei dipendenti anziché solo la pagina aziendale;
pubblicare link esterni solo occasionalmente.
Twitter
Pur con un certo ridimensionamento negli ultimi anni, con 330 milioni di utenti attivi mensilmente e 187 milioni ogni giorno, questa piattaforma delle notiizie brevi (280 caratteri) offre ancora margini interessanti nel B2B.
Twitter è la piattaforma che più di ogni altra tiene conto della attualità e tempestività nella divulgazione di notizie e contenuti.
L’obiettivo finale di questa piattaforma è quello di offrire la massima pertinenza della “timeline” (equivalente della bacheca di Facebook) mostrata con le preferenze dell’utente.
I principi fondamentali dell’algoritmo di questa piattaforma risultano essere:
“Content Quality scoring”: valutazione della qualità dei contenuti basata su credibilità profilo, video o immagini nativi (non linkati da altre piattaforme), rispetto della lunghezza contenuto (280 car.), link esterni (se linkano a contenuti di valore);
engagement: numero di followers e frequenza di interazioni con i tweet pubblicati;
interazioni: quantità di interazioni con i tweet (retweet, commenti, like nell’ordine), tempo trascorso sul tweet, qualità degli allegati/link;
cronologia dei contenuti: preferenza ai contenuti recenti (in rapporto al profilo verificato);
verticalità dei contenuti proposti (focalizzazione su un tema specifico);
frequenza di pubblicazione: in quanto rappresenta un valore per i follower/utenti.
Da tali punti emerge dunque la strategia di voler essere non una piattaforma di “quantità” per numero di utilizzatori, ma di “qualità”, intesa come qualità dell’informazione, quando confermata dall’interesse degli utenti, e qualità delle fonti.
In tal senso i suggerimenti per l’uso più proficuo della piattaforma sono:
avere un profilo completo di tutte le informazioni richieste dalla piattaforma, di immagini del profilo etc.; da contro profili fake o scarsamente attivi non sono un buon strumento;
pubblicare con regolarità, meglio tutti i giorni, da 2 fino a 10 tweet al giorno per massimizzare l’esposizione che la piattaforma farà dei tweet;
limitare il numero di hashtag a 2-3, visto che tra l’altro non sono più il criterio prioritario di diffusione;
tweet completi di immagini e link a fonti di valore (fonti verificate e non testate secondarie o sconosciute o peggio di fake news);
coinvolgimento degli utenti, attraverso commenti e rapide risposte agli stessi, retweet, o periodici sondaggi;
attenzione alla lunghezza dei tweet: 280 caratteri è il massimo ma se sono più brevi la piattaforma apprezza.
Ricordate che non è necessario essere presenti ovunque, ma laddove si è presenti bisogna esserci con qualità.
Tweet, following e follower, tre numeri che definiscono la nostra “posizione sociale”, una collocazione che attribuisce valore alla quantità più che alla qualità della relazione.
Twitter ci suggerisce anche le tendenze, frutto di un algoritmo basato sul numero di mentions, dove si spazia indifferentemente tra politica, sport, gossip o cronaca. L’agenda setting di Twitter è così democratica oppure altro si affaccia tra le sue righe?
2° parte
Se ci soffermiamo a riflettere un po’ sulla struttura della home page di Twitter, possiamo intuire abbastanza rapidamente la sostanza di ciò che conta effettivamente su questa piattaforma e di quali siano le sue pratiche d’uso.
Sotto il nome del nostro account troviamo subito il numero di tweet prodotti, i following e i follower, tre numeri che un po’ aridamente “quantificano” la nostra “posizione sociale” in termini di interazioni virtuali, ovvero la frequenza con la quale ci relazioniamo con il nostro gruppo virtuale di riferimento, una collocazione che attribuisce valore alla quantità più che alla qualità della relazione.
Poi da sinistra a destra troviamo prima le tendenze suggerite, una proposta eterogenea di parole (o hashtags) che rinviano ad argomenti i quali spaziano indifferentemente tra politica, sport, gossip o cronaca, frutto di un algoritmo che probabilmente è basato in buona parte sul numero di mentions in cui tale termine compare, per certi versi una sorta di agenda setting di Twitter.
Al centro i tweet pubblicati dai nostri following, una lista in continuo aggiornamento, tanto più rapidamente quanto più numerosi e/o prolifici saranno gli account che abbiamo scelto di seguire.
Ne consegue che mentre osserviamo il nostro schermo, al massimo 4 o 5 tweet, dopo pochi secondi un piccolo pop-up ci avvisa di nuovi tweet, quasi a voler suggerire che ciò che stiamo leggendo è già superato, un click e tutto quello che avevamo di fronte sparisce dalla vista, scivola in una sorta di oblio virtuale che possiamo “contrastare” solo attraverso lunghe e pazienti azioni di scrolling.
A destra il suggerimento di nuovi account da seguire, a volte accompagnato dall’avviso che alcuni nostri follower già seguono quell’account; anche in questo caso un particolare algoritmo si associa ad un meccanismo che induce all’adesione facendo leva sul principio di appartenenza, affinità e/o condivisione di valori che alcune volte abbiamo con i nostri contatti.
È ovviamente una proprietà della piattaforma tendente a stimolare le pratiche di relazione e di engagement.
Infatti più following significa ricevere nell’unità di tempo un maggior numero di tweet, poter disporre di più notizie, più curiosità, più apparente conoscenza del mondo.
Twitter è comunque un mezzo in evoluzione, per cui se il suo ruolo nella formazione dell’agenda setting dell’opinione pubblica, come abbiamo visto, può essere al più sussidiario, per quanto riguarda le pratiche di framing le cose potrebbero essere leggermente diverse. Per framing possiamo intendere “la selezione (operata da un soggetto idoneo) di alcuni aspetti di una realtà percepita allo scopo di renderli più salienti in un testo comunicativo, in modo da promuovere una particolare definizione del problema, interpretazione causale, valutazione morale e/o indicazione del trattamento per l’elemento descritto (Entman – 1993).
Forse non è un caso, ma nello specifico della comunicazione politica mi è capitato di osservare una situazione quantomeno interessante, ovvero l’utilizzo di una tecnica che potrebbe di fatto generare una sorta di framing, anche se non ho la certezza che il tentativo sia frutto di scelta strategica o sia stato creato casualmente.
Infatti su uno specifico fatto/personaggio politico, attraverso l’esecuzione di una serie di retweet concentrata in un breve lasso di tempo e circoscritta ad un hashtag, si è creata una specie di “cloud” di messaggi connotati da declinazioni discorsive che esprimevano critiche, ironia, sarcasmo. Questa aggregazione di una ridondanza di punti di vista simili in sequenza, crea la sensazione di un sentimento diffuso e condiviso, di fatto conferendo un effetto di rilevanza più marcato rispetto a quanto si percepisce con la tendenza puntiforme dei contenuti di cui ho parlato nella prima parte.
Per ovvie ragioni evito di dire chi fosse il soggetto politico (non quello della figura dunque), ma poiché nel mio precedente post di aprile mi ero già interrogato sulle modalità di utilizzo del retweeting, mi sembra di poter dire che sia già in itinere il tentativo da parte dei media tradizionali, di mantenere ben salda la loro funzione di costruttori dei framing sociali anche sulle piattaforme social.
Ancora due ulteriori osservazioni che è interessante riportare e che riguardano due casi che hanno riscosso una notevole attenzione nei giorni scorsi, temi suggeriti come tendenza dalla home page che sono caduti nell’oblio nel giro di pochissimo tempo.
Il primo riguarda il caso dell’arresto del marocchino #Touil, accusato di essere un complice dell’attentato al museo Bardo di Tunisi di un paio di mesi fa; l’hashtags collegato al suo nome #Touil ha registrato questo andamento: 12 tweet il 20 maggio, 2.576 il 21, 903 il 22, 193 il 23, 59 il 24, solo 58 negli ultimi 7 giorni e soltanto 2 il 31 maggio, usato insieme ad altri hashtags per un tema di rilevante importanza come il terrorismo. Siamo sicuri che tra qualche giorno qualcuno si ricordi ancora del fatto?
Ancora un’altra curiosità per l’hashtags #Heysel, ben 13514 tweet la settimana precedente il 31 maggio e addirittura 12.419 nei giorni compresi tra il 26 e il 30 maggio, ma appena 63 il 31 maggio, un picco fortissimo che poi decresce altrettanto rapidamente per rientrare nell’oblio. Questo, tranne un limitato numero di casi, sembra essere il destino prevalente della maggior parte degli hashtags, messaggeri troppo numerosi e multiformi di temi che rimangono sulla scena per tempi molto, troppo brevi.
Conclusioni
Alcuni aspetti si delineano con sufficiente chiarezza nel definire che tipo di informazione emani da questa piattaforma:
la già menzionata riduzione del ciclo di vita della notizia stessa, come abbiamo visto nell’esempio riportato, eccezion fatta per alcuni grandi temi che rimangono sullo sfondo per periodi di tempo anche abbastanza lunghi, fatto possibile solo a condizione che nell’ hashtag/ tema si innestino con una certa continuità fatti nuovi pur in presenza di scarso sviluppo sia dei nessi di causalità, sia di una certa costruzione narrativa. Il tema può così esporsi con una certa continuità ma in modo evanescente, lasciando tracce confuse e superficiali nella memoria condivisa della società.
Gli stili discorsivi che i tweet normalmente tendono ad assumere, aspetto suscettibile di creare effetti significativi ai fini della costruzione simbolica dell’informazione proveniente da questa piattaforma. Infatti oltre allo stile tipicamente divulgativo, secco e asciutto dell’enunciazione di un fatto, si affiancano altre stilistiche di rilevante interesse che vertono nella critica, nell’ironia, nel sarcasmo, nella protesta. La contemporanea presenza di più stili, può contribuire in un modo abbastanza efficace, anche se sbrigativo, alla costruzione di una rappresentazione del senso comune dell’opinione pubblica “virtuale”su un qualcosa.
Il sistema dei media tradizionali presenti sulla piattaforma che non riesce a fornire le priorità ma solo un ordine cronologico, la mancanza di una traccia che concorra a dare salienza ai vari fatti che rischia di banalizzare il tutto in una sorta di melting pot indistinto.
Paradossalmente attributi puramente visuali legati alle immagini incluse, potrebbero indurre maggiore curiosità, una sorta di engagement appunto, spostando l’interesse di parte dell’opinione pubblica su temi assolutamente di scarso interesse.
Queste logiche indotte dalle caratteristiche dei nuovi media tendono pertanto a esaltare contenuti diretti a massimizzare l’appeal più che ad assicurare un’informazione esaustiva e comprensibile (Entman 1993). Tutto ciò porta alla distorsione del panorama informativo a favore di un’eccessiva semplificazione e decontestualizzazione delle issue (Franklin 1997; Delli Carpini e William 2001), perlopiù provocando preferenze su contenuti che operino una accentuazione degli aspetti più sensazionali e conflittuali (Esser 1999, Wessler 2008).
A tal proposito, come non meditare sulle straordinarie intuizioni degli studiosi citati, perfettamente compatibili anche per i social media, quando questi non erano ancora entrati sulla scena. (vai alla 1° parte)
Twitter azzera i tempi di “trasporto” della notizia dal luogo di “produzione” al fruitore dell’informazione, ma fa fatica a comunicare effetti di senso ridondanti rispetto a quanto permesso dai 140 caratteri.
Così reticenza, paradosso, allusione, ironia sono alcune delle armi retoriche che possono essere utilizzate nei brevi testi di Twitter, al pari della tecnica del retroscena, una promessa che pizzica le corde della curiosità…
1° parte
Twitter oltre che un social media è anche un mezzo di comunicazione di massa, per cui che tipo di influenza può avere nella formazione dell’agenda setting dell’opinione pubblica? Questo in sostanza l’interrogativo di chiusura del mio post precedente.
Parliamo di una piattaforma che è sicuramente una protagonista delle pratiche discorsive della società, caratterizzata da una forte trans-medialità, che sempre più spesso riesce a modificare ritmi e forme della comunicazione sociale e che possiede caratteristiche che implicano senz’altro sostanziose differenze rispetto alle teorie classiche di agenda setting.
La continua crescita di account, l’enorme numero di tweet diffusi, l’affermarsi di specifiche competenze tecniche nella produzione dei contenuti, fanno di Twitter un protagonista della formazione dei discorsi sociali, tale da porsi molto spesso come il primo anello della catena informativa che, pertanto, richiede di acquisire l’abilità di maneggiare Hashtags, retweeting, gestione di immagini e video, ma non solo, anche la capacità di saper comunicare effetti di senso ridondanti rispetto a quanto permesso dai 140 caratteri.
Per collegarmi alla domanda iniziale, riporto in estrema sintesi alcuni punti fondamentali degli studi condotti sulla teoria dell’agenda setting (Shaw 1979, McClure-Patterson 1976, Mc Combs 1976 per citarne alcuni)1 che asserivano la capacità dei media di massa, principalmente giornali e televisione, di fornire una agenda dei temi sui quali discutere e formarsi opinioni, di fatto escludendo gli altri. Già Cohen (1963) sosteneva che la stampa non può dire alla gente cosa pensare, mentre è sorprendentemente capace di dire ai propri lettori su quali temi pensare qualcosa.
In sintesi, si sostiene, l’effetto dell’agenda sul pubblico si estrinseca in un processo complesso che si articola in più fasi:
a) focalizzazione ed enfatizzazione dei temi in primo piano;
b) analisi dei nessi causali del problema e loro interpretazione (Framing);
c) collegamento tra l’oggetto inquadrato e il sistema simbolico del pubblico, fino a far integrare l’oggetto e il suo potenziale simbolico nel sistema sociale.
Le caratteristiche dei vari media costituiscono le condizioni con il quale ognuno di questi suggerisce la rilevanza dei vari temi: mentre i giornali tradizionali sfruttano la grandezza dei titoli e la posizione nella pagina molto efficacemente per affermare la salienza dei vari fatti, la televisione, meno efficace in questo, può far affidamento soltanto sull’esposizione cronologica delle notizie e sulla spettacolarizzazione delle immagini.
Twitter ha dalla sua parte la velocità del mezzo, che praticamente azzera i tempi di “trasporto” della notizia dal luogo di “produzione” al fruitore dell’informazione, però non può organizzarne le sequenze e fa molta fatica ad aggiungere risalto (al di là di quello intrinseco che alcuni fatti di per sé possiedono più di altri!) con le sue caratteristiche strutturali.
Così reticenza, paradosso, allusione, ironia sono alcune delle armi retoriche che possono essere utilizzate nei brevi testi di Twitter, magari includendo immagini e video più o meno ammalianti, per ottenere comunque il rinvio del lettore ad un’ altro mezzo.
C’è anche la possibilità di usare la tecnica del retroscena, in tal modo ammiccando al lettore e stimolandone l’aspettativa di trovare l’informazione altrimenti esclusa dai contenitori dei notiziari tradizionali, quindi spingendolo a seguire i link inclusi; ma il concetto di salienza, di rilevanza, non può manifestarsi con questi strumenti.
Per verificare empiricamente alcuni degli aspetti sopra descritti, con l’ausilio di Social Bakers è stata costruita una lista di 35 account scelti tra quelli aventi il maggior numero o comunque un numero significativo di followers, che appartenessero a diverse categorie così da rappresentare uno pseudo-mondo di informazione di un qualunque utente generico. È stata quindi formata una lista avente 7 account del mondo dello sport, 4 della politica, 4 dello spettacolo, 5 tra i media, 5 di intrattenimento, 5 brand di aziende di diversi settori e 5 di viaggi e turismo. È stata poi simulata in giorni ed orari diversi la possibile lettura da uno smartphone “scorrendo” un numero di tweet che coprissero un intervallo temporale di circa 2 ore ogni volta, e verificando poi alcuni aspetti qualitativi e quantitativi relativi agli argomenti.
Per ogni intervallo si sono registrate serie di tweet comprese tra le 100 e le 200 unità, che hanno offerto un quadro informativo frammentato di notizie di vario genere, quasi alla rinfusa, alcune con immagini, altre no, dalle breaking news politiche alle notizie di sport, dai fatti delle crisi internazionali al gossip, dal caso di cronaca alle esternazioni di una qualche notorietà.
Nessuna traccia di struttura dunque, una serie puntiforme di tematizzazioni di cui è assai arduo organizzarne un senso generale, al contrario invece di quanto spontaneamente succede sui media di massa tradizionali.
Conseguentemente, un aspetto suscettibile di essere fortemente influenzato è la difficoltà ad accumulare il senso delle varie “quotidianità”, ciò che poi costituisce nel pubblico il patrimonio degli antecedenti, fattore fondamentale nel sistema di decodifica di fatti successivi del quale non siano certe le soluzioni (A. Smorti – Psicologia culturale 2003).
Pertanto, la maggiore difficoltà a concatenare gli eventi, che faticano a legarsi in una sorta di sequenza narrativa, attenuano il ricordo e la costruzione di una memoria sociale condivisa (vedi anche: Per una semiotica del quotidiano – E. Landoski in A. Semprini –Lo sguardo semiotico – 1990 e G. Marrone – Corpi sociali -2001).
Se il principio di agenda setting viene quindi a diluirsi a causa della frammentazione delle informazioni e conseguentemente l’ influenza dei media di massa viene a diminuire (forse!) nella formazione dell’opinione pubblica, fatto di per sé non totalmente negativo, c’è da prendere in considerazione che questo fenomeno tendendo a ridurre il ciclo di vita delle notizie, come già detto, al tempo stesso rende più instabile anche la memoria delle vicende che servono alla decodifica dei fatti successivi. Conseguenza possibile e ancora da esplorare nei suoi effetti sul lungo termine é lo sfrangiarsi e l’attenuarsi delle memorie collettive, la possibile disarticolazione tra la realtà percepita e i fatti che la costituiscono, la potenziale attenuazione dei legami di coesione sociale che potrebbero indebolirsi a fronte di una memoria condivisa poco strutturata.
Come possiamo definire dunque la nostra bacheca virtuale? Forse il termine bacheca appare un po’ riduttivo alla luce della bulimia informativa dal quale siamo pervasi, visto che buona parte dei frequentatori di Twitter annoverano un numero di following molto alto, in grado di tweettare un numero di messaggi superiori a quelli che normalmente si è in grado di fruire nel normale scorrere della quotidianità.
È un po’ come trovarsi in un enorme “mercato” virtuale, affollatissimo di “bancarelle” disposte in modo disordinato su cui trovare le notizie più disparate che non avremo mai la certezza di poter osservare completamente, che cambiano la loro “merce” con estenuante rapidità, un’ offerta talmente vasta e variegata che non riusciremo mai ad approfondire, perennemente distratti da nuove merci/notizia che si affollano e si sostituiscono vicendevolmente.
Nel giudizio dobbiamo sempre tenere presenti le modalità di fruizione, sempre meno riconducibili ad un desktop che ci consente certe modalità di navigazione e osservazione dei contenuti, sempre più legate agli smartphone, che in uno schermo di ridotte dimensioni e durante pause di tempo sempre più brevi, consentono di far “scorrere” le informazioni dei vari fatti con impressionante rapidità, che solo raramente si fa sosta su un tweet e se ne segue il link per un articolo on-line che il più delle volte ha una lunghezza inferiore alle 500 parole. Poche sono dunque le possibilità di reale approfondimento di più eventi e dei loro nessi causali, tutto si consuma in tempi sempre più ristretti che finiscono per diventare il foraggio ideale del qualunquismo e del pressappochismo. (vai alla 2° parte)
1 Per una trattazione estesa dell’argomento ed altri riferimenti bibliografici vedi Wolf Mauro – Teorie delle comunicazioni di massa – Bompiani 1985
Twitter sta diventando una sorta di hub la cui vitalità dipende dalle pratiche della trans-medialità e dalla logica dell’ipertesto ed al tempo stesso riveste un ruolo nel processo di formazione dei discorsi sociali. Quali dunque i modi di utilizzo dei principali quotidiani nazionali.
Nel mio post di settembre 2013 mi posi l’interrogativo se attraverso Twitter si costruissero narrazioni, compiendo pertanto una breve analisi su quali fossero le modalità di utilizzo di questo social media da parte di alcune tra le più note testate giornalistiche.
Esaminando oggi le home page degli stessi giornali e confrontandole con i risultati (e con i tweet) di quel momento, sembra essere trascorsa un’era perché il cambiamento appare evidente.
Non c’è soltanto un uso pianificato di hashtags, ma anche la frequentissima presenza di immagini e/o video (anche in più del 90% dei tweet) e la sistematica inclusione di link che rinviano altrove a dare subito l’impressione del cambiamento. Anche per questo la stessa sintassi dei tweet, ancora più sacrificata nel suo limite di 140 caratteri, assume forme troppo frammentate e povere di predicati verbali e/o di aggettivi che possano conferire una capacità performativa autonoma ai vari tweet pubblicati, soprattutto considerando che nella home page di un qualsiasi utente, i tweet di una testata compaiono in mezzo a quelli degli altri account seguiti e che la persistenza di questi messaggi in una schermata si esaurisce nel giro di pochi minuti.
Twitter si è quindi trasformato in una sorta di hub la cui vitalità dipende dalla trans-medialità, dalla possibilità di rimandare ad altre web-page, ed in tal senso la capacità di fare “engagement” ovvero di attirare un potenziale lettore e rinviarlo ad una propria pagina, è affidato a pochi elementi: la forza di impatto dell’immagine utilizzata, l’uso di hashtags, pochissime parole che nel tweet possano far leva su ambiguità o su significanti mirati spesso alle fobie sociali in modo da creare pathos o curiosità o anche operando una “spettacolarizzazione” dell’informazione.
La prospettiva dei quotidiani nazionali
Vediamo adesso che cosa è emerso da una ricerca effettuata dalla fine del mese di marzo alla prima metà di aprile di quest’anno, attraverso l’analisi di cinque tra le più note testate giornalistiche nazionali quali la Repubblica, il Corriere della Sera, La Stampa, il Messaggero, il Giornale.
Una prima serie di dati inclusi nella tabella sottostante fornisce il numero di followers (dati tratti da Socialbakers.com) di ogni testata aggiornati a distanza di due settimane e misura l’incremento percentuale di questi. Considerando che l’ incremento si riferisce ad un periodo di 2 settimane, qualora si mantengano questi ritmi in un anno la crescita di followers per tutte le testate sarebbe assai sostenuta, con percentuali che andrebbero da un minimo del 25% fino a performance di oltre il 50%. Incrementi di questo tenore pertanto dimostrano che lo sviluppo di questa piattaforma social non ha ancora raggiunto la sua fase di maturità.
Altro oggetto di osservazione ha riguardato la struttura data ai tweet dalle varie testate. È stato analizzato un campione rilevato a ritroso dal 12 aprile sugli ultimi 171 tweet pubblicati; oggetto di indagine la percentuale di immagini o video, il numero di link inclusi, la frequenza di retweet utilizzata. Repubblica e Corriere della sera utilizzano con molta frequenza sia le immagini che i link in misura anche superiore al 90%, segno evidente che tale struttura costituisce una scelta editoriale pianificata e non casuale.
L’uso di immagini ha una frequenza minore sia per la Stampa che per il Giornale, il primo usa i link praticamente nella totalità dei casi, mentre il Giornale usa di meno i link forse per sfruttare anche quegli spazi per l’uso di retoriche “vibranti” peraltro di un certo interesse dal punto di vista semiotico e linguistico, e che segnano comunque in modo chiaro un posizionamento ben preciso e l’idea di un “lettore modello” ben identificato.
Scelte diverse anche per il Messaggero che include sempre i link, ma non usa praticamente mai le immagini. Difficile capire i motivi di questa scelta controcorrente, visto che l’uso di immagini da parte dei produttori di informazione professionali è diventato quasi la regola. Considerata la data di iscrizione a Twitter (e considerati anche i dati di tiratura della versione stampata) lascio al lettore fare le proprie personali deduzioni sulla scorta dei dati della tabella inserita in precedenza.
Per quanto riguarda il retweeting, oltre alle percentuali visibili nel grafico, a fattor comune questa pratica appare abbastanza legata al networking di account satelliti e non sembra emergere al momento nessuna particolare strategia legata al loro uso.
Attraverso i dati dell’API Topsy.com, si può trarre la cosiddetta social influence delle testate considerate, ovvero il numero di tweet o retweet in cui il loro nome (es. @corriereit) compare e che rappresenta per certi aspetti la capacità di diffondersi dei propri contenuti.
Nel grafico sono riportati i valori rilevati al 12 aprile e riferiti agli ultimi 30 giorni, e per certi aspetti questo è un indicatore di un certo interesse; si può ulteriormente tentare di approfondire mettendo in rapporto questi dati con il numero di followers di ogni testata, rendendole in tal modo comparabili ed ottenendo per ognuna un indice percentuale che in linea di massima indica la propensione avuta dai propri followers a diffonderne i contenuti.
Sono emersi coefficienti simili ad eccezion fatta per La Stampa che registra una percentuale doppia rispetto agli altri, tendenza confermata in un’ulteriore prova. È sicuramente presto per trarne un dato che, se confermato in altre verifiche ed in tempi diversi, indicherebbe che questa testata avrebbe una efficacia di “social influence” molto più marcata rispetto agli altri, fattore che può derivarle o per credibilità, o per qualità dei contenuti, o per tipologia di followers.
Infine una sommaria analisi del contenuto su alcuni campioni di tweet delle varie testate di entità variabile tra i 140 e i 170 eseguita dal 9 all’11 aprile (per il Giornale, in virtù del minor numero di tweet, il periodo è stato dal 3 all’ 11 aprile).
Pur in presenza di un campione limitato, a mio giudizio emergono risultati non particolarmente interessanti. In questo frangente, dominato dal tragico fatto accaduto al Tribunale di Milano, le parole più frequenti, comuni a tutte le testate, sono state ovviamente palazzo di giustizia, tribunale, Milano, strage, con percentuali rispetto alle forme lessicali utilizzate comprese tra l’1 e il 2%.
Una frammentazione elevata dunque, ed è in parte sorprendente anche il fatto che per tutte e cinque le testate non emergono significative frequenze ne di predicati verbali (escluso il verbo essere) ne di aggettivi, visto che per quelli più “frequenti” si è nell’ordine di percentuali inferiori allo 0,5%; non sono pertanto evidenti ridondanze degne di nota che palesino l’uso di particolari strategie discorsive.
In conclusione emerge una struttura dei tweet assai asettica nelle sue forme verbali, o per meglio dire povera di strutture discorsive.
L’esigenza di adoperare hashtags per inserirsi in tematizzazioni facilmente rintracciabili, nonché la scelta di inserire foto e link con costanza, fanno sì che chi usa questa piattaforma di fatto rinvii ad altre pagine la vera struttura del suo messaggio e per certi versi questo provoca un impoverimento dei tweet che non hanno più l’esigenza di veicolare un’ informazione strutturata.
È evidente quindi che le testate giornalistiche esaminate abbiano modificato in modo marcato l’uso di questa piattaforma, indice di una maggiore consapevolezza del possibile uso del mezzo o quantomeno di un’evoluzione che risulta essere in linea con i trend attuali. È possibile dedurre che, considerato l’ampio numero di followers, questa evoluzione sia diventata patrimonio condiviso per tutta quella fascia non pioneristica di utenti, siano essi soggetti professionali o anonimi frequentatori dei social media.
Sociologia minima di Twitter
Da questi risultati si possono trarre una serie di riflessioni, molte delle quali magari non inedite ma che non farà peccato replicare.
Un rapido passaggio dalle origini ricordando che Twitter è un social media e che tale definizione deriva dal fatto di essere prima di tutto uno strumento di comunicazione, un media, e che il termine social in sintesi esprime il rovesciamento del concetto uno a molti dei media tradizionali con quello di molti a molti proprio dei social media, una proprietà basilare su cui ragionare.
In tal senso sono assai perplesso da un buon numero di testi che circolano (in rete!) e che trattano l’argomento sulla scorta di ricette che non mi sembrano seguire un minimo rigore disciplinare;
in quanto media non disdegnerei di mantenere sullo sfondo la teoria delle comunicazioni di massa dalla quale evolvono, ma di cui bisogna tenere in considerazione alcuni principi basilari per valutarne gli effetti.
Pertanto quali sono gli elementi chiave di Twitter?
Il produttore dell’informazione, nel linguaggio social il titolare dell’account, che può essere un privato cittadino, una persona famosa, una società o organizzazione di persone, un’istituzione, soggetti molto diversi che dispongono di una pagina la cui struttura, ancorché personalizzabile, è uguale per tutti e attraverso la quale produrranno contenuti, i tweet. C’è una differenza fondamentale tra i vari account, ovvero la notorietà sociale che gli deriva dal proprio status o settore di attività, la presumibile importanza attribuita ai loro contenuti, la loro autorevolezza o credibilità sociale, la curiosità che possono destare, altrimenti sarebbe difficile capire come mai in soli tre anni e mezzo il Corriere della Sera dispone di oltre un milione di followers e addirittura la cantante pop Lady Gaga di quasi 46 milioni di followers.Innegabile quindi che la collocazione sociale del soggetto-account, organizzazione o persona che sia, influisca in modo fondamentale sulla sua diffusione e che pertanto tale piattaforma non altera di fatto le dinamiche sociali dei ruoli e tutto ciò che ne consegue, anzi a queste dimostra di plasmarsi nel corso del tempo. Pertanto la possibilità di attirare followers attraverso i contenuti esiste, ma la sua realizzazione attraverso complesse strategie e tecniche di engagement richiede tempi lunghi e un grande sforzo per dare risultati mai proporzionali a quelli forniti dalla notorietà sociale.
Il tweet, un cinguettio in 140 caratteri, un messaggio da produrre con esigenze di sintesi a volte troppo stringenti per spiegare nel minimo indispensabile un concetto. Difficile quindi definire informazione (dare forma alle idee) nella sua etimologia originaria un tweet; meglio piuttosto pensare che il “cinguettio” ci “avvisa” dell’esistenza di qualcosa dandoci il suo indirizzo/URL. Assolutamente normale quindi l’uso diffuso di link, visto che un tweet è una sorta di trailer del contenuto e che rinvia ad altra parte.Poi l’introduzione dell’uso di immagini, straordinario elemento della comunicazione nella loro capacità testimoniale, nella loro proprietà di supportare “la cognizione” 1 rapidamente e senza fatica, in un mondo in cui la fruibilità dell’informazione è spesso affidata agli smartphone, quindi con tempi e modi di consultazione assai compressi. La conseguenza che ne deriva, anche per farsi scorgere meglio nella grande quantità di tweet postati, è quella di spettacolarizzare l’informazione, di fare sensazionalismo promettendo contenuti esplosivi, quindi riproponendo tendenze in atto già da tempo nei media tradizionali; è una tecnica irresistibile per fare “engagement” ma c’è da chiedersi come trasformerà e dove trascinerà questo social media. Probabilmente sarò presto smentito dal tweet della star di turno che annuncia il divorzio su questo mezzo (ogni riferimento …) ma anche su questi aspetti ci sarebbe da ragionare sopra.
L’Hashtag, il fatidico “cancelletto” # che precede una o più parole unite, diventato un mito nel giro di pochissimo tempo, al punto da pensare che molti utilizzatori non sappiano esattamente a cosa serva. In fondo è uno strumento tecnico che consente di raggruppare e visualizzare in sequenza cronologica tutti i tweet contrassegnati da uno stesso hashtags, una raccolta argomentativa che rimane comunque assai discontinua e frammentata (ecco perché non la definirei tematizzazione). In un certo senso serve a dare più “stabilità” al messaggio collocandolo in una argomentazione dove può farsi trovare più facilmente dai propri followers. D’altronde dati recenti dicono che ogni minuto vengono pubblicati nel mondo 278.000 tweets, pertanto l’impersistenza del messaggio è uno dei limiti di questo mezzo.In sintesi le modalità di fruizione di Twitter per gli utenti si sostanziano oltre ai metodi di notifica degli aggiornamenti, nello sfogliare la propria home page personale, oppure nella scansione di uno specifico hashtags, mentre è meno frequente (se non in casi particolari) la visione della pagina di uno specifico account, e questo è un punto da tenere nella debita considerazione.
In definitiva quindi pur considerata la volatilità e la frammentazione dei messaggi veicolati da questa piattaforma, non si può dire che essa sia estranea a quel processo di formazione dei discorsi sociali, anzi per le sue caratteristiche tende ad essere il primo anello della catena, e le sue fortune risiedono nella logica dell’ipertesto e nella pratica della trans-medialità.
C’è ancora bisogno di riflettere su altri concetti basilari riguardo al ruolo di Twitter nella formazione dell’agenda setting o nel fare framing, ovvero quale sia il peso, se esiste, dei gatekeepers e quali i criteri di newsmaking, quale sia il ruolo nella formazione delle rappresentazioni sociali visto che magari non sembra essere il mezzo più adatto per la formazione di narrazioni. Non si poteva liquidare l’argomento in poche parole per cui per ragioni di opportunità chiudo con il proposito di tornare su questi specifici aspetti a breve scadenza.
1 Una descrizione molto interessante del fenomeno dell’ Homo videns che ha sostituito l’Homo sapiens e contenuta nel libro di G. Sartori Homo Videns – Laterza 1999.
Una riflessione sulle narrazioni contemporanee oggi non può prescindere dal porsi alcuni interrogativi su quello che è il ruolo dei social media (SM), per cui è lecito chiedersi: nei SM si costruiscono delle narrazioni, e di che tipo?
In questa ricerca la mia attenzione si è focalizzata su Twitter, con lo scopo di verificare empiricamente se su questa piattaforma si generino dei frammenti narrativi1 più o meno strutturati, pur in una esplorazione di portata limitata.
Tra le varie modalità possibili ho ristretto il campo di ricerca all’analisi dei tweet pubblicati da tre testate giornalistiche di diffusione nazionale mediante il monitoraggio dei messaggi “twittati” nell’arco di una settimana, precisamente dal 20 al 26 settembre. Gli account monitorati sono stati il Corriere della Sera (C ), il Giornale (G) e la Repubblica (R) e l’analisi dei loro tweet è stata eseguita con l’ausilio di un software per la “content analysis”.
Tra le numerose variabili che potevano essere considerate, ho indirizzato la mia attenzione su quelle che ho ritenuto potessero dare delle risposte più immediate al quesito di partenza. Le tabelle che compaiono riportano il riepilogo delle variabili considerate e dei dati emersi dai quali sono scaturite le riflessioni che seguiranno.
Il panorama circostanziale
Prima di tutto i fatti più dibattuti della settimana in questione, la quale è stata largamente dominata dal tema legato alla decadenza di Berlusconi e quindi la probabile crisi di governo conseguente, poi a seguire la possibile acquisizione della Telecom da parte della spagnola Telefonica, l’aumento dell’IVA e i suoi effetti, l’attacco terroristico al centro commerciale di Nairobi, le elezioni in Germania, e in più riprese gli interventi volti a richiamare calma e senso di responsabilità nella politica fatti dal Capo dello stato Giorgio Napolitano.
Il numero di tweet postati nel periodo è stato sostenuto per il Corriere della Sera (709) e la Repubblica (694), abbastanza limitato per il Giornale (123), fatto questo che comporta una certa problematicità di carattere statistico nell’operare un confronto con le prime due testate. Giova tuttavia considerare che non si va a caccia di indici statistici, bensì di far emergere degli indirizzi di fondo, per cui i dati numerici in sé non rappresentano delle discriminanti di carattere assoluto. È comunque da ricordare che G ha creato altri account (es. il Giornale editoriali) che non sono stati presi in considerazione in questa sede.
L’analisi dei dati
Stante il vincolo dei 140 caratteri e la conseguente brevità dei testi, non ho dato rilevanza al totale delle parole utilizzate mentre invece ho scelto di valutare la varietà di termini utilizzati per osservare se emergevano delle differenze significative. In tal senso, pur considerando possibili imprecisioni nei valori assoluti che il trattamento automatico dei testi comporta (a meno di compiere verifiche manuali di dettaglio assai onerose in termini di tempo), i numeri ottenuti con buona approssimazione ci danno un idea dell’andamento.
Risulta che R ha utilizzato 3539 lemmi diversi, contro i 2990 utilizzati da C e i 1047 di G pur con un numero di tweet che è notevolmente inferiore; rapportando i lemmi con il numero di tweet emessi otteniamo nell’ordine 5,1 – 4,2 – 8,5. Questi indici sembrerebbero suggerire che G utilizzi una varietà di termini maggiore rispetto agli altri, ma la notevole differenza nel numero di messaggi pubblicati suggerisce di rivedere questo confronto, mentre tra le altre due testate sembra esistere una sia pur lieve propensione alla variabilità di lessico da parte di R.
L’uso degli hashtags (importante proprietà di Twitter che consente ad un utente di selezionare tutti i tweet che parlano di uno specifico argomento anteponendo alla parola il simbolo #) é una modalità che un account può sfruttare per operare un “engagement” più efficace su un “lettore modello” orientato alla ricerca di ben determinati argomenti, che gli hashtags rendono più semplice aggregare. In questo si osservano differenze di un certo rilievo; emerge una marcata tendenza di G ad utilizzare questa tecnica (98 volte) quindi R (39), mentre è abbastanza sporadico l’utilizzo che ne fa C (6). Non è possibile sapere se questo corrisponda a specifiche scelte da parte degli editori.
La selezione delle parole utilizzate con maggiore frequenza implicava la possibilità di inquadrare speditivamente le tematizzazioni affrontate, ed al tempo stesso poteva fornire un informazione qualitativa in merito alle ridondanze rintracciate. Come si osserva nelle tabelle, dalle parole più utilizzate da R si può dedurre che siano prevalsi temi relativi al territorio ed ai fatti di carattere nazionale, mentre invece in C notiamo parole che implicano una maggiore insistenza su temi di carattere internazionale, in primo piano i fatti di Nairobi e il tema del terrorismo, così come le citazioni relative alla Merkel confermano un’attenzione sulla Germania non trascurabile. G invece, pur considerando il minor numero globale di parole e quindi il minor numero di frequenze da vagliare, sembra orientato verso una maggiore attenzione ai temi di carattere politico strettamente legati alle perturbazioni degli ultimi giorni.
Da ritenere degno di nota anche l’uso di lemmi di tipo avversativo e/o dubitativo; in questo caso si possono notare similitudini nel comportamento dei tre soggetti che raccontano inevitabilmente della presenza di situazioni di tensione che provengono dallo scontro politico in atto e dalla delicata situazione, aspetto che si palesa con la frequenza comune a tutte e tre le testate nell’uso del termine “contro” e con l’incertezza rivelata da un frequente uso del “se”. In considerazione della situazione conflittuale della politica in questo particolare frangente, era inevitabile non soffermarsi sull’atteggiamento tenuto dalle tre testate e quindi tentare di fare un confronto tra di esse.
Il teatrino della politica
Nelle tabelle dove sono riportate le parole usate con più frequenza, è possibile vedere come ci siano alcune analogie nei soggetti menzionati e forse non poteva essere altrimenti visto il momento, per cui le varie redazioni non potevano differenziarsi troppo da un’agenda pressoché obbligata. Quindi la presenza dei protagonisti citati potrebbe sembrare scontata in virtù delle posizioni editoriali delle testate di cui abbiamo tutti una esperienza abbastanza consolidata.
Tuttavia poiché lo scopo del lavoro era quello di far emergere tracce narrative e non l’eventuale posizione di favore verso un qualunque personaggio, i relativi termini sono stati osservati all’interno dei frammenti di testo in cui comparivano (di frequente corrispondevano più o meno all’intero tweet). Ovviamente la possibilità data dal software di aggregare e mettere in ordine sequenziale tutti i frammenti connessi a un termine, facilita l’osservazione della costruzione discorsiva fatta intorno ad esso e di percepirne la valorizzazione complessiva nella sua interezza. Ed i risultati hanno mostrato qualche aspetto interessante.
I frammenti narrativi che emergono su R in sintesi ci raccontano di un personaggio Berlusconi oggetto della discordia e causa dei problemi, oltre ad apparire attore incline alla violazione delle regole e perciò svalorizzato nel suo complesso, mentre la figura di Napolitano si staglia come entità conciliatrice, ancora depositario di una autorità morale nel richiamare le parti alla saggezza e al senso di responsabilità. Il PD invece viene raccontato come agente in crisi di identità, prigioniero delle sue diatribe interne ed in costante malessere con gli alleati anche nella esposizione della situazione in Sicilia. Il Presidente del Consiglio Letta si delinea come soggetto attivo, combattivo anche se la situazione lo costringe sulla difensiva, accerchiato da situazioni che promette di combattere e da cui vuole uscire.
Infine il PDL, attore che viene palesato come fautore della linea dura, arroccato sulla incondizionata difesa del suo leader e disposto a buttare all’aria il tavolo della trattativa, una valorizzazione che potrebbe essere letta in modi diametralmente opposti a seconda le inclinazioni e le insoddisfazioni del pubblico.
Su C si racconta un Letta soggetto attivo, che mostra fermezza nel fronteggiare questa situazione di crisi nonostante le difficoltà, mentre Berlusconi da un lato è l’oggetto che provoca lacerazioni per il problema legato alla sua decadenza, evento in grado di sfociare nelle dimissioni dei suoi fedelissimi, dall’altro lato si riappropria di una sfera soggettiva che lo vede impegnato nel tessere la tela e tramare alla ricerca di vie di uscita ai suoi guai.
Ancora un PD diviso e logorato dalle sue contraddizioni interne e dalla mancanza di univocità di fronte ai fatti politici, ancora quindi i contorni di una identità in crisi a cui fa da contraltare un PDL che marcia senza indugi e senza tentennamenti verso i suoi obiettivi, fautore dello scontro con Napolitano e deciso a portare avanti la linea dura. Ancora il personaggio Renzi che si manifesta come soggetto dinamico, critico della scena e degli attori in gioco, mentre la politica come ruolo tematico appare protagonista negativa in perenne conflitto con la giustizia, causa prima delle incertezze e dei problemi della situazione.
Infine il frame dipinto da G dove emerge un Letta dubbioso nelle scelte ed inadempiente nelle azioni, complessivamente svalorizzato, un Berlusconi nel ruolo di vittima degli attacchi dei suoi nemici ma che risorgerà (alle elezioni!), un PDL soggetto dinamico impegnato all’offensiva su tutti i fronti e leale fino in fondo al suo leader. A seguire altri tre personaggi connotati in modo non certo positivo, una Boldrini femminista e attentatrice dei valori familiari, un Renzi regista delle trame contro il governo, istigatore delle divisioni interne al PD, quindi complessivamente svalorizzato ed infine Saccomanni, isolato nel governo, screditato nelle azioni, in un certo modo emblema in declino della categoria dei tecnici che agiscono in politica. Da queste poche righe si potrebbero trarre alcune considerazioni che tuttavia evito di fare per rimanere quanto più possibile vicino all’oggettività dei dati; all’eventuale lettore trarre delle conclusioni.
Verbi come azioni
I verbi descrivono le azioni e perciò sono un elemento fondante dei dispositivi enunciativi che definiscono i comportamenti dei soggetti e la loro natura. I predicati più utilizzati (essere, avere) non sorprendono in raffronto al linguaggio comune, tuttavia si potrebbe azzardare una differenza tra R e C; nel primo sembrano più frequenti le modalità del fare, dell’azione, mentre nel secondo oltre ai verbi collegabili ai fatti terroristici, sembrano più frequenti predicati di tipo cognitivo (guardare, pensare, chiedere). È un dato questo sul quale bisognerebbe tornare per cercare conferme, perché una modalità di questo tipo, se confermata, implica un diverso modo di raccontare la quotidianità.
Si registra inoltre come l’uso dell’indicativo presente, specialmente se declinato nella terza persona, rappresenti la modalità di gran lunga più utilizzata da tutte e tre le testate. In linea di massima questa è una costruzione linguistica che descrive i fatti senza prese di posizione in prima persona, senza il ricorso a frasi riportate (cosiddetta “enunciazione enunciata”); con beneficio di inventario si potrebbe asserire che questa sia prevalentemente la modalità del fare cronaca, del raccontare il fatto piuttosto che la prassi di costruzione del testo narrativo.
Infatti è da ricordare che nei quotidiani (cartacei) lo stile asetticamente discorsivo del riportare la notizia sta lasciando il posto sempre più a modalità testuali e interpretative che si configurano come narrazioni e che, in quanto tali, sono proiettate in un orizzonte diacronico, implicando in tal modo il ricorso a predicati verbali che articolino sia il passato che il futuro oltre al presente; su Twitter invece sembra emergere che tali modalità non sono ancora utilizzate in modo significativo.
Considerazioni conclusive
A questo punto si possono tracciare alcune considerazioni che emergono dall’analisi fatta fino ad ora, aspetti magari da sottoporre a verifica in presenza di un panorama circostanziale differente.
Non si deve dimenticare comunque che Twitter è una piattaforma abbastanza “giovane” e la sua espansione specialmente in Italia è un fatto recente, per cui non si può escludere che a breve scadenza tecniche e modi del suo utilizzo possano evolvere verso forme di maturità scaturite dalla consapevolezza delle sue potenzialità.
In linea di massima sembrerebbe che la particolare natura di questa piattaforma non renda facilmente intelligibili le strutture narrative, e questo è in buona parte dovuto alla brevità del messaggio, fatto che rende senz’altro complicato costituire all’interno di questo le strutture in grado di formare una narrazione. Inoltre bisogna riflettere sulle modalità pratiche di fruizione di Twitter: la diffusione e l’utilità di questa piattaforma come mezzo di informazione viene esaltata dalla proliferazione degli smartphone, strumento per l’informazione “mordi e fuggi” in ogni luogo e momento. Invece è da notare che, specie i media ufficiali, nella maggioranza dei casi inseriscono nel tweet un link che rinvia all’articolo pubblicato nel portale on-line.
Ora se è probabile che l’articolo completo possa contenere gli aspetti narrativi di cui si parla, è da ritenere poco frequente che gli utilizzatori così come sono stati descritti, ricorrano alla lettura dell’articolo completo collegato al tweet, se non in poche occasioni.
Pertanto due considerazioni possono essere fatte: la prima è che comunque, sia pure in modo frammentario, sia possibile la costituzione di frammenti narrativi, come in precedenza osservato nei commenti relativi alla scena politica. Si tratta di frammenti che probabilmente non possono avere vita autonoma ma che comunque possono saldarsi in un ambiente di trans-medialità.
La seconda invece ci porta a pensare che la “gioventù” di questo SM non abbia ancora generato quella scaltrezza comunicativa che si ritrova invece nelle modalità di costruzione dei titoli di prima pagina che, pur essendo più brevi di un tweet, mediante il sapiente uso di artifizi retorici, sono capaci di veicolare frammenti narrativi estremamente densi e ricchi di senso.
Per queste ragioni, almeno fino ad ulteriori conferme, non ho ritenuto opportuno parlare di elementi narrativi come le strutture attanziali2, consapevole di proporre un tema di dibattito con ancora molte ipotesi da verificare.
1 Con il termine “frammento narrativo” per convenzione si deve intendere una parte testuale che per complementarietà sarà suscettibile di unirsi ad altri frammenti presenti nel panorama trans-mediale in modo da comporre una narrazione strutturata. 2 Per questo concetto si vedano gli studi di A. Greimas e della semiotica generativa.