IKEA: COME DISTRUGGERE LA WEB REPUTATION – DA LOVEMARK A #PESSIMA IKEA NEL GIRO DI POCHI GIORNI

IKEA: COME DISTRUGGERE LA WEB REPUTATION – DA LOVEMARK A #PESSIMA IKEA NEL GIRO DI POCHI GIORNI

Ancora un esempio di pessimo storytelling nella comunicazione di crisi da parte di aziende leader, in questo caso Ikea.
Ancora una volta sfidare l’opinione pubblica si trasforma in boomerang.
Ancora una volta la miopia delle decisioni prevale sulla lungimiranza.

Ci risiamo, ci cadono proprio tutti!
Multinazionali e aziende leader come Ikea che destinano alla comunicazione del brand e dei loro prodotti decine di milioni di euro, quando si trovano di fronte ad un evento critico si rifugiano nei soliti sterili comunicati stampa che fanno infuriare ancora di più l’opinione pubblica.

Ancora una volta la tendenza a trincerarsi dietro dichiarazioni di circostanza e silenzi imbarazzanti dà la dimostrazione di come le aziende siano assolutamente impreparate a rispondere in modo adeguato e con il coraggio necessario in queste occasioni, a metterci la faccia come si suol dire.

Il riferimento è al caso del licenziamento di una madre di due figli, uno dei quali disabile, avvenuto alla fine di novembre del mese scorso.
Un episodio banale nella vita di un’azienda di quelle dimensioni come può essere un licenziamento, si è trasformato in un caso che è rimbalzato nei telegiornali nazionali, in tantissimi quotidiani e in tante testate online per diventare poi inevitabilmente virale nei social media, la cui reale propagazione tra menzioni dirette ed indirette non è mai facilmente definibile.
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E tanto per rilanciare, il giorno dopo Ikea licenzia un dipendente della sede di Bari perché si era assentato per 5 minuti oltre la pausa, un altro viene licenziato dalla sede di Roma dopo aver avuto un infarto, con tutto quello che ne segue in termini di attestazioni di solidarietà, scioperi, dichiarazioni e via dicendo.
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Non farò considerazioni etiche su questi fatti perché lo hanno già fatto in molti, viceversa voglio analizzare queste decisioni sulla scorta di un pragmatismo ai limiti del cinismo su ciò che il management di Ikea ha fatto e sugli effetti che ha prodotto.

Il management dovrebbe sempre informare le proprie decisioni ad una visione strategica, tenendo ben presente che ogni fatto è “ricoperto” da uno denso strato di significati che sono presenti nel contesto sociale in un dato momento e che si alimentano con la comunicazione che dà loro forma e contenuto, al punto tale che il loro aspetto costitutivo originario può passare in secondo piano o persino essere completamente ignorato.

Non solo, il tenore delle risposte o peggio i silenzi successivi, permetteranno ad altri di scrivere il finale della storia e la sua morale (visto che tanti parlano di “storytelling”!!) e questo avrà ricadute ed effetti non secondari sia sul marketing che sulle vendite.

Quali sono dunque i significati che si generano nel licenziare una donna separata madre di due bambini uno dei quali è disabile? Quali sono i macro “frames” presenti nell’opinione pubblica in questo momento?
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I “mainstream” del momento evidenziano la debolezza del soggetto donna, specialmente se madre, le sue difficoltà del doppio ruolo di donna lavoratrice e madre, il rispetto troppo spesso violato delle disabilità, la perdita delle tutele dei lavoratori che si innestano negli effetti del famoso jobs-act e della cancellazione dell’art. 18 con tutte le considerazioni di carattere politico che si trascina dietro.

Aspetti questi che si saldano con il significato profondo di una coercizione strisciante del soggetto forte sul più debole sempre più sentito nelle relazioni azienda-lavoratore e nel contesto sociale del momento, significati che richiamano inevitabilmente la lotta del debole contro il più forte.

È lecito domandarsi se il/i manager che hanno assunto questa decisione credevano che l’episodio rimanesse circoscritto nel rapporto tra impresa e lavoratrice? Se così fosse ci troviamo di fronte a dirigenti che agiscono di impulso e senza saper ponderare gli effetti delle loro decisioni.

Pensavano forse che la loro idea di giusta causa, quella che viene esposta nel comunicato stampa di cui parlo più avanti, potesse trovare consenso nell’opinione pubblica in questo momento?
Mi sembra pura illusione pensare di fare breccia nel senso comune con comunicati di circostanza e poi con imbarazzanti silenzi, la storia insegna che l’opinione pubblica deve essere cavalcata non sfidata, perché in questa sfide c’è sempre da perdere, mai da guadagnare.
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Prova ne sia che dalla data (28 novembre) in cui è stata diffusa la notizia del fatto in televisione, sui post degli ultimi giorni della pagina Facebook di Ikea sono cominciati a fioccare commenti molto critici ai quali il loro community manager all’inizio ha tentato timidamente di rispondere con un invito a leggere il comunicato stampa sul loro sito.
Troppo poco, troppo di circostanza la loro risposta, con un tono vagamente politichese che semmai legittima le accuse.

Ironia della sorte, proprio il 25 novembre, un loro post esprimeva sdegno per la violenza sulle donne, messaggio assolutamente fuori “tempo” e immediatamente tacciato di ipocrisia.
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Ora vediamo il tenore del comunicato stampa riportato nel riquadro:
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Un comunicato stampa strutturalmente corretto, compilato secondo le regole “tecniche” non c’è che dire, ma…. freddo, di circostanza, politico si potrebbe dire, un comunicato che non sposta nulla in termini di consenso, che in fondo non riesce a scalfire quella “verità” sociale già ascritta in queste contese.

Il tenore del comunicato richiederebbe un atto di fede assoluto nella versione dell’azienda che ha scelto di precisare i fatti (“7 giorni al mese di lavoro negli ultimi 8 mesi” ma la signora ha un contratto part-time, “le intemperanze pubbliche” non circostanziate) in un modo che dovrà molto probabilmente provare in giudizio e che, qualora non provati, ne aggraverebbero la posizione anche per aspetti non più inerenti al solo rapporto di lavoro. Ma quello che conta in definitiva è se l’opinione pubblica ci ha creduto.

Infatti è già apparsa su Huffington post un’intervista all’interessata la cui versione è diametralmente opposta a quella dell’azienda, e pur senza prendere le parti dell’uno o dell’altro (per mancanza di prove!!), non è difficile intuire i sentimenti della gente sempre influenzata dal mito senza tempo di Davide contro Golia.

Dopo il comunicato stampa riportato nella figura, sul sito dell’azienda non sono stati emessi altri comunicati, sulla pagina Facebook la quotidiana pubblicazione di post è stata sospesa fino al 5 dicembre e la stessa cosa è avvenuta anche sull’account Twitter, mentre sui media la notizia è circolata per altri due giorni e poi è caduta nell’oblio come tutte le altre.

Sembrerebbe quasi che il silenzio sia premiante, è sufficiente attendere un paio di giorni che il temporale della notizia passi e poi tutto ritorna come prima. In realtà non è proprio così e questo si può comprendere meglio se si decide di soffermarsi sul contenuto delle reazioni pubblicate dalla gente sui social media.
Ne ho prese in considerazione soltanto una minima parte, ma il tono pare abbastanza eloquente.

Solo sul post del 28 novembre che tematizzava l’attesa del Natale, nel giro di poche ore sono stati pubblicati oltre 160 tra commenti e risposte, più o meno 10 volte più della media di tanti altri post di questa pagina.

Nel dettaglio del coro pressoché unanime di critiche più o meno forti, in ben 33 volte è stata riscontrata la parola “vergogna” nelle sue varie declinazioni, delusione compare 8 volte così come boicottaggio, la volontà espressa di non mettere più piede ovvero di non fare più acquisti in un negozio Ikea ben 13 volte, oltre alla comparsa di Hashtag come #boicottaIkea, #senonriassumitiboicottiamo, #pessimaIkea ed altri ancora.

Una notazione a parte per la parola clienti usata ben 16 volte quasi a voler significare che l’azienda abbia tradito un significato di affiliazione molto importante per un brand che nella sua comunicazione ha sempre tentato di essere percepito come un “lovemark”.

Inutile dire che sia nei commenti dei tre giorni precedenti, sia nei commenti postati sotto la notizia nelle pagine Facebook di varie testate giornalistiche, il tono delle parole non è certo migliore, anzi.
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Una ricerca su Twitter search ha mostrato che nei 3 giorni del caso, #boicottaIkea è stato usato 85 volte e #pessimaIkea 188 volte, a testimonianza che su questa piattaforma le cose non sono andate meglio.

Ma quello che a mio giudizio è di portata ancora maggiore è la varietà di termini e di immagini utilizzati nelle critiche, solo in minima parte mostrati nelle immagini precedenti come gli accostamenti al nazismo, che vanno ad intaccare pesantemente la reputazione e l’immagine del brand più di quanto non dicano in valore assoluto i numeri riportati.

Si consideri che i “volonterosi” che commentano sui social media pur essendo una percentuale molto bassa che alcune stime ritengono intorno ad un 1%, questa esigua minoranza sembra rappresentare spesso e abbastanza fedelmente una sintesi del senso comune diffuso e questo dovrebbe preoccupare un po’ di più.
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Lascio ad altri la stima del valore della “brand equity” andato in fumo con questi comportamenti e delle future vendite che andranno perdute, ma penso che già questi pochi dati riportati siano sufficienti per farsi un’idea che il danno economico può essere di gran lunga superiore a quello che la durata della notizia sulla scena lascerebbe presupporre.

Ora qualunque persona con un minimo di competenza di marketing sa molto bene quali sono i costi della comunicazione per conquistare nuovi clienti o per ripristinare un’immagine del brand danneggiata. Nel caso di Ikea Italia parliamo di un’azienda che secondo fonti giornalistiche economiche fattura circa 1,7 miliardi di Euro annui (dato 2016) e investe un budget intorno ai 20 milioni di Euro in pubblicità.

Non è difficile capire come con una quota centesimale di quel budget Ikea avrebbe potuto tenere a casa a stipendio pagato la signora Marika per diversi anni, rimanendo di gran lunga al di sotto di quanto sarà necessario investire per riparare il danno di immagine subito.

Quindi a prescindere dalle ragioni sulle quali, ripeto, non intendo entrare, voglio soltanto porre l’attenzione sul buonsenso o meno di certe decisioni manageriali che hanno molto il sapore della ripicca, delle prese di posizione e della voglia di affermare chi è il più forte, dimenticandosi poi di ponderare quali saranno i costi per un’azienda di quelle dimensioni quando l’opinione pubblica si mette di traverso.

Chiudo non potendo evitare di rilevare come le recenti teorie del management che parlano di valorizzazione delle risorse umane, di brand reputation, di responsabilità sociale delle aziende, troppo spesso non rappresentino altro che delle parole vuote di significato per i manager di alcune aziende come gli ultimi casi di Ikea e RyanAir sembrano testimoniare.

Va bene così, ma poi i risultati di bilancio agli azionisti e ai mercati, come dovrebbero venire spiegati?

LA TRAGEDIA DEI TRENI DI ANDRIA – LE STRUTTURE NARRATIVE DEL RACCONTO GIORNALISTICO

LA TRAGEDIA DEI TRENI DI ANDRIA – LE STRUTTURE NARRATIVE DEL RACCONTO GIORNALISTICO

Social media come Twitter e Facebook sono diventati i protagonisti delle notizie in anteprima e dei loro tempestivi approfondimenti, cosicché telegiornali e carta stampata devono conformarsi alla trattazione fatta su queste piattaforme. Questo ne segna di fatto la supremazia nello spazio informativo, condizionando stili e strategie del discorso giornalistico

Prendo lo spunto dall’ incidente ferroviario di Andria per compiere un’analisi del discorso giornalistico che si sviluppa in casi come questo, un genere che diventa sempre meno discorsivo e sempre più narrativo1, uno stile giornalistico-comunicativo favorito dall’ evoluzione tecnologica del sistema dei media e che rientra nel più vasto campo della comunicazione di eventi di crisi.

Anche in questo caso, come in altri, è stato possibile individuare tracce di struttura che ogni volta tendono a caratterizzare il racconto e a stimolare le emozioni dei destinatari.
In questo caso sono stati presi in esame gli articoli pubblicati on-line dal Corriere della sera, la Repubblica, La Stampa, il Fatto Quotidiano, il Giornale entro i quattro giorni seguenti la tragedia, alcune prime pagine dei giornali cartacei nei tre giorni successivi, e i post pubblicati su Facebook dal Corriere della sera e dalla Repubblica nei due giorni successivi.

Scontato ma opportuno ricordare che ormai la costruzione del discorso giornalistico deve seguire i ritmi imposti dalle testate on-line e dai social media che esigono notizie concise corredate da immagini da diffondere a brevi intervalli temporali piuttosto che le più corpose inchieste che si costruivano nel passato sui media tradizionali, e ciò comporta un cambiamento nel racconto della storia.

Anche se i dati raccolti a supporto delle tesi illustrate riguardano soltanto il caso di cui si parla, stante la difficoltà a distanza di tempo di rinvenire materiali e tempistiche di pubblicazione di altri fatti simili, ciò nonostante la memoria di questi e l’esame dei documenti selezionati rappresentano un elemento abbastanza probante in merito all’ esistenza di strutture di questo genere giornalistico.

Tra l’altro la strage provocata dall’ atto terroristico di Nizza avvenuta la sera del 14 luglio, nemmeno quattro giorni dopo, ha riproposto le medesime tracce di struttura osservate in questo caso.
L’analisi sarà basata esclusivamente sul materiale giornalistico tralasciando completamente i commenti e focalizzandosi sulla sequenza dei contenuti pubblicati.

I dati 

Nella tabella seguente sono riportati il numero di articoli pubblicati on-line dalle testate campionate che per certi aspetti costituiscono un indice di risonanza attribuito all’ evento durante i primi giorni seguenti l’accaduto.
Da notare il ridotto numero di articoli pubblicati dal Giornale, indice forse di una redazione più contenuta.

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I numeri tradotti in grafici danno un’idea immediata di quello che possiamo, magari un po’ aridamente, definire il ciclo di vita della notizia e possiamo notare come la similarità della forma delle varie curve indichi il ricorso o quantomeno l’utilizzo delle medesime tracce strutturali nella costruzione del discorso giornalistico da parte delle varie testate.

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Molto sinteticamente anche un breve esame effettuato su alcune prime pagine dei giornali stampati mostra una presenza del fatto in prima pagina  complessivamente più contenuta, palesando tuttavia come titoli ed immagini tendano molto presto a topicalizzare aspetti e temi che si allineano alle loro posizioni pseudo politiche. Nelle immagini si può osservare la differenza nei modi di tematizzare2 l’evento stesso.

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Su Facebook sono state prese a campione le pagine con il maggior seguito come la Repubblica e il Corriere della sera; sulle stesse sono stati pubblicati rispettivamente 43 e 38 post a partire da un’ora dopo la tragedia (ore 11.15 circa) fino alle 52 ore successive al fatto.
La sequenza cronologica dei post in termini di frequenza si può osservare nella tabella:

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La struttura narrativa del racconto giornalistico 

Nella messa in discorso di questo fatto, così come di eventi dello stesso tipo, sezionando il testo sarà possibile isolare strutture che hanno carattere di ricorsività pur presentandosi in forme diverse.
Queste strutture, di natura virtuale, sono in grado di sostenere uno schema narrativo di questo genere giornalistico e preludono alla sua messa in discorso come sinteticamente descritto di seguito:

  • Elaborare la tematizzazione: procedimento attraverso il quale l’informazione di un fatto viene organizzata e valorizzata ponendo l’enfasi su particolari aspetti che possano conferirgli una risonanza e una posizione dominante nell’agenda del ricevente. La sua articolazione formale dovrà quindi essere adeguatamente predisposta affinché sia in grado di mantenere viva l’attenzione ed il senso di attesa del lettore (es. “Scontro tra treni in Puglia, la maledizione del binario unico”– Corriere della sera -12/07/16).
    Per questo motivo, gli elementi costituenti questa struttura di norma vengono frazionati e divulgati cronologicamente in diversi momenti, concorrendo a costituire una sorta di intreccio come in una scenografia.
  • Predisporre l’isotopizzazione: consistente nel collegare mediante rapporti di causalità, il racconto dell’evento con altri discorsi sociali presenti sulla scena, creando una intertestualità e una serie di rimandi con altre narrazioni (es. “Lo scontro tra i treni in Puglia e le responsabilità della cattiva politica” – Corriere della sera -12/07/16) in modo da farle sembrare simili o accomunate dagli stessi fattori presenti sulla scena sociale. Tipici esempi possono essere: ritardi nell’esecuzione dei lavori generati dalla corruzione, carenze tecniche provocate da una governance carente, errori umani o negligenze causate da orari di lavoro stressanti o rinnovi contrattuali scaduti da tempo etc.
  • Creare l’attorializzazione, procedimento di virtualizzazione dei soggetti necessari alla messa in discorso del fatto, protagonisti o comparse che siano, mediante la scelta dei ruoli sociali e la loro caratterizzazione al fine di dare corpo e sostanza alla storia (es. “Scontro treni: vigili del fuoco e ruspe al lavoro per tutta la notte” – la Repubblica – 12/07/16). In questa struttura si collocano le vittime, i parenti delle vittime, i soccorritori, i testimoni, i presunti responsabili, gli uomini delle istituzioni, i politici, i personaggi famosi etc.
  • Metaforizzare i miti negativi: le strutture di isotopizzazione e attorializzazione utilizzate nel racconto dei fatti, mediante retoriche allusive richiamano più o meno esplicitamente certe visioni del mondo, figure mitiche dotate di una carica negativa come l’ingiustizia, il cinismo del potere, l’errore umano, l’accanimento del destino sui deboli (es. “Scontro treni Puglia, abituati a essere figli di un Dio minore” – il Fatto Quotidiano – 13/07/16). La compresenza di certe figure orienta in qualche modo il giudizio morale, ovvero la trasformazione del fatto in esperienza ed antecedente, codice di interpretazione che la gente userà in futuro per dare spiegazioni ad altri fatti che dovessero presentarsi inspiegabili e senza certezze.

Queste strutture profonde, tipiche di questo genere di narrazioni, sostengono lo schema narrativo del racconto e tramite la loro attualizzazione mediante strutture di superficie conducono alla modellazione di elementi riconoscibili, cose, persone e figure del mondo che consentono la raccontabilità della storia rendendola percepibile al destinatario.

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Le strutture discorsive o di superficie al momento identificate e che possiamo definire come funzioni o sfere d’azione principali3, così come appare nello schema sottostante, di norma si caratterizzano come segue:

  • Rottura dell’equilibrio: è la notizia del fatto cosi come appare nella sua veste iniziale, è la parte più breve che consiste nell’enunciazione della notizia con informazioni frammentarie, affidando perlopiù alla drammaticità delle immagini che precedono la descrizione circostanziata degli eventi, il compito di creare nello spettatore il pathos emotivo e le aspettative in merito alle ulteriori e più dettagliate informazioni.

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  • Panorama circostanziale: è la funzione che prende il via sin dalle fasi iniziali proseguendo poi fin quasi alle fasi finali della storia e prevede la diffusione di approfondimenti in merito alla situazione ambientale, alle inefficienze, ai problemi, ai precedenti, agli eventi passati nello stesso posto o dello stesso genere in altro posto, alle prime ipotesi deduttive in merito ai nessi di causalità o in merito alle responsabilità, gli aggiornamenti sul numero delle vittime e sull’ andamento dei soccorsi.
    È un tipo di informazione apparentemente scarna, ma che invece è strutturata in larga parte sulle strategie di quel processo di isotopizzazione del caso che sarà determinante nell’ orientare il giudizio morale dell’opinione pubblica, funzione che di fatto chiude il ciclo di vita della narrazione del fatto.

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  • Figurativizzazione: è l’opera di messa in discorso di dettagli, di immagini e di microstorie che riguardano il lavoro instancabile dei soccorritori, le loro gesta, le parole dei sopravvissuti, le identità delle vittime, le testimonianze di involontari spettatori, le opinioni di persone famose, le parole dei politici e del potere, le opinioni delle persone comuni.
    È la funzione che permette di calare la storia tra la gente, di renderla viva, attuale, vicina oltre i confini dello spazio attraverso il dettaglio di fatti, oggetti, parole che fanno parte della quotidianità dell’opinione pubblica.

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  • Climax emotivo: è la funzione che crea il pathos della storia e ne prolunga il ciclo di vita; in questa funzione si mostrano e si commentano foto e oggetti delle vittime, particolari delle loro biografie come piccoli successi, prossime nozze, sacrifici o traguardi raggiunti, si enfatizza il dramma delle persone care che le attendevano, si dà spazio a dettagli e immagini che servono a dare la dimensione della perdita, a mostrare sofferenza, dolore e disperazione.

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  • Nessi di causalità: è la funzione che deve raccontare le cause dell’ accaduto, che possa in qualche modo dare un senso al perché accadono certi fatti, ed è un passaggio necessario ad ogni storia di questo tipo, quindi occorre trovare o al limite ipotizzare le responsabilità, presunte, ipotetiche o accertate.
    Da questo la sequenza di una serie più o meno vasta di informazioni circostanziate, alcune confermate altre no, indiscrezioni, supposizioni e deduzioni logiche che insistono sugli errori umani, sulle carenze tecniche o infrastrutturali, sulla superficialità di chi dovrebbe prendere decisioni, sulle carenze della governance e della politica, la messa in relazione con altri fatti o eventi interpretabili secondo visioni stereotipate come mancanze del governo, corruzione che ha distratto fondi, scontri tra le parti politiche in un rimpallo di responsabilità.

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  • Giudizio morale: è la fase finale della storia, ciò che rimane scritto nella memoria sociale di questa; le responsabilità sono state almeno in parte identificate ed ora si cede la scena ai protagonisti negativi, trovano spazio anche le loro storie, le loro assunzioni di responsabilità spesso parziale.
    L’ allusione alle vere responsabilità che spesso si indirizzano in modo più o meno velato verso il sistema che detiene il potere, crea i presupposti per la formazione del giudizio morale dell’opinione pubblica che rimane sullo sfondo e che sarà l’antecedente che guiderà la decodifica di altri fatti nelle future narrazioni di tale genere.

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Queste funzioni non si susseguono in un ordine cronologico rigido ma tendono spesso a sovrapporsi o a presentarsi più volte vista la particolare natura dei mezzi informativi on line al quale oggi è lecito assegnare la prevalenza nel racconto di questo genere di fatti.
In questa tragedia vediamo nella tabella seguente la sequenza di funzioni che sono state individuate nei vari post durante la sua narrazione nei giorni considerati:

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Quale substrato teorico a sostegno della tesi 

L’esposizione giornalistica di questo caso è a tutti gli effetti una narrazione anche se rientra in una casistica un po’ particolare che riguarda il giornalismo di eventi critici, tipologia di cui in questo blog si è più volte parlato, e che possiede caratteristiche ben precise del discorso giornalistico.
Vanno considerate le particolarità imposte dal dominio dei social media nel panorama dell’informazione, specificità che implicano la compressione del ciclo di vita delle notizie, ma al tempo stesso la sua trattazione sviluppata in piccoli segmenti e pubblicata con continuità a cadenze di tempo assai ridotte, a volte anche inferiori ad un’ora.

Ovviamente ho ritenuto necessario compiere una verifica epistemologica in merito alla fondatezza di ipotesi come quella fin qui illustrata, per cui espongo sia pure sinteticamente, alcuni dei riferimenti teorici di natura interdisciplinare a cui mi sono ispirato in questa analisi.
I più importanti spunti presi a riferimento sono stati:

a) I principi delle rappresentazioni sociali teorizzate da S. Moscovici;
b) Il concetto di storia e di narrazioni che ci proviene dalla psicologia culturale di A. Smorti;
c) I principi della semiotica generativa di A.J. Greimas;
d) La sociosemiotica dei media di G. Marrone e la semiotica del testo giornalistico di Lorusso- Violi.

a) S. Moscovici4 definisce il sistema delle rappresentazioni sociali come una sorta di cornice di classificazione degli eventi, un processo che l’individuo adotta per controllare la sua naturale paura dell’ignoto utilizzando due fattori: ancoraggio e oggettivazione.
Il primo consiste nell’associare qualcosa che è percepito come non conosciuto a qualcosa di già noto: nel caso di cui parliamo si cerca di trovare nella memoria ricordi di episodi simili che aiutino a dare una spiegazione laddove le informazioni siano carenti.
Il secondo invece consiste nel rendere concreto ciò che è virtuale, nello specifico di trovare nella memoria conferme alla verosimiglianza delle ipotesi e ai nessi causali che vengono di volta in volta prodotti durante il racconto. In base a questi fattori si spiegherebbe il motivo ed anche l’efficacia di quei procedimenti di tematizzazione ed isotopizzazione del fatto spiegati in precedenza.

b) I principi formulati da A. Smorti5 in merito alle caratteristiche che le storie devono avere per essere efficaci sui destinatari, dicono che le storie hanno bisogno del requisito della raccontabilità, che in questo genere di casi ci deriva dall’inusualità del fatto, dalle incertezze sulle cause e dalle potenziali mancanze o violazioni di qualche norma.
Questi aspetti nonché la descrizione dei fatti devono essere articolati in strutture narrative affinché i destinatari possano scomporre il testo e ordinare e catalogare le informazioni nella propria memoria.
Inoltre sempre Smorti6 sostiene che l’uomo ha la tendenza innata a memorizzare la propria esperienza del mondo in forma narrativa, cosicché i fatti ci appaiono più comprensibili e riferibili alle figure del mondo che conosciamo e ci consentono di ricorrere ad esperienze precedenti per poter comprendere aspetti altrimenti poco codificabili.
Perciò il processo di scomposizione di una storia consisterà nell’articolare una sequenza di elementi ordinati nel tempo e nello spazio, che normalmente si articolerà in uno stato iniziale, l’avvento di un problema, i tentativi di soluzione, stato iniziale ricostruito o un nuovo stato, stato sanzionatorio (finale).
Inoltre, nella classificazione di storie adottata dall’autore (vedi link Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?) questo genere di fatti appare come una storia senza soluzione e che pertanto il destinatario per trovarne una si affiderà in parte al racconto dei media, in parte frugherà nella sua memoria alla ricerca di ricordi di fatti precedenti che costituiscono il prezioso patrimonio di antecedenti.

c) Dalla semiotica generativa di Greimas7 sono di utile ausilio nella riflessione alcuni principi relativi alle strutture profonde, allo schema narrativo canonico e agli attanti narrativi, che per sintesi non sono stati illustrati, per parlare direttamente (all’ apparenza) degli schemi specifici di questo genere e delle procedure di attorializzazione e figurativizzazione che regolano le strutture di superficie delle narrazioni, ovvero la loro messa in discorso.
Esistono comunque sia nelle correnti della psicologia culturale che nella semiotica generativa, diversi punti in comune sulle narrazioni quali ad esempio la rottura dell’equilibrio iniziale e l’esigenza della sua ricostituzione, la fase della sanzione finale con ricompense e punizioni, anche se nella semiotica si tende a porre di più l’accento sulle strutture e sulla figuratività dei personaggi in virtù dell’essenza specifica di queste due scienze umane.

d) Il punto di vista di G. Marrone8 quando parlando della sociosemiotica dei media, asserisce che un singolo fatto o articolo di per sé spesso non è più sufficiente ad assumere senso come unità separata.
Questo deve potersi inquadrare all’ interno di un panorama circostanziale che comprenda non soltanto il fatto di cui si parla ma che includa diversi rimandi e nessi causali con altri fatti della vita politica e sociale, per cui ogni evento finisce per contribuire ad un più esteso senso complessivo che si traduce in un ampio discorso sociale prodotto dal sistema dei media.
Lo stesso autore pone anche l’accento sul fenomeno della spettacolarizzazione dell’informazione che provoca il sempre più frequente ricorso ad immagini che assumono la centralità del discorso dove alle parole spesso non rimane che una funzione didascalica, invertendo in un certo qual modo le funzioni che testo e immagini avevano un tempo.
Opportuno il riferimento anche al concetto di topicalizzazione di cui parlano A.M. Lorusso e P. Violi9 che illustrano come più fatti possano in qualche modo essere messi in relazione trovando un filo comune che li unisce, conferendo legami e nessi di relazione altrimenti non scontati e pertanto contribuendo a costruire quel senso complessivo di cui si parla.

Conclusioni 

L’informazione giornalistica all’interno del più vasto ambito delle comunicazioni di massa ha subito una profonda trasformazione negli ultimi anni, così come appare profonda la revisione del concetto stesso di notiziabilità.

Prima le routine produttive imponevano tempi, modi e spazi per la diffusione delle notizie in grandi contenitori come telegiornali e giornali stampati; ciò imponeva criteri di notiziabilità, capacità di fare giornalismo d’inchiesta e di far stare il tutto con ben precise esigenze di sintesi imponendo l’adozione di regimi più discorsivi da parte del giornalista.

In un paio di decenni, prima la supremazia conquistata dalle immagini, poi l’avvento delle testate on-line, infine la rivoluzione introdotta dai social media ha stravolto il modo di fare giornalismo.

L’opportunità ed al tempo stesso l’esigenza di pubblicare aggiornamenti costanti sulle testate on-line, l’esigenza di dover pubblicare sui social media, piazze virtuali dove il proprio prodotto è soggetto all’interazione diretta ed immediata del lettore, richiede l’adozione di strategie e stili fortemente narrativizzati.
Non basta informare, bisogna conformare il fabbisogno di informazioni ai formati richiesti dai nuovi strumenti, bisogna intercettare gli stati emotivi dell’opinione pubblica, bisogna soddisfarne curiosità ed una sorta di “voyeurismo” che vuole saziarsi di immagini, di dettagli, di indiscrezioni, di opinioni a volte anche non strettamente attinenti alla notiziabilità intrinseca del fatto stesso.

Nelle piazze virtuali delle proprie pagine social nasce l’esigenza di mettersi in relazione ed in linguaggio con i frequentatori di questa piazza e con il loro spazio valoriale, dando vita così a delle narrazioni in cui il fatto in sé è solo un elemento, ancorché importante, del panorama circostanziale che viene tirato in ballo.
Oramai i social, Twitter in testa e poi Facebook, costituiscono l’anteprima delle notizie e il primo spazio di approfondimento, cosicché telegiornali e carta stampata devono di fatto conformarsi alla trattazione fatta su queste piattaforme, segnandone di fatto l’avvenuta supremazia nello spazio informativo, con tutto ciò che questo comporta in termini di stili e strategie giornalistiche.

I nuovi media favoriscono il racconto delle crisi con lo scandire del tempo e delle emozioni del pubblico, come se si raccontasse una fiction cadenzata da puntate, in cui alla fine di ognuna occorre creare le aspettative per la successiva.
Troppo spesso l’esigenza di riempire celermente certi spazi, impone l’adozione di rapporti di intertestualità con altri fatti e problemi sociali aperti ai limiti della forzatura, creando quella sorta di continuum narrativo capace di mantenere il contatto con i propri lettori il più a lungo possibile. Ora il successo e la bontà di una notizia si misura con i like, con le condivisioni e con i commenti suscitati; da qui ovviamente una certa deriva del concetto di newsmaking.

Ovviamente il genere giornalistico che appartiene alla comunicazione di crisi è contrassegnato da particolarità, prima fra tutte il coinvolgimento emotivo dei lettori, anche se le considerazioni fatte in queste brevi note conclusive non escludono il resto del discorso giornalistico, anzi lo includono pienamente.

1 Sinteticamente, per discorsivo intendiamo la descrizione di un contenuto non focalizzato sui personaggi, per narrativo un contenuto organizzato cronologicamente e centrato su protagonisti. Per una trattazione più ampia vds. anche U. Volli – Il nuovo libro della comunicazione – 2007
2 Dei titoli giornalistici e di alcuni meccanismi inerenti la loro costruzione ne parlo al link http://sb.aidazerouno.it//i-titoli-dei-giornali-narrazione-o-plagio/ e http://sb.aidazerouno.it//i-titoli-dei-giornali-narrazione-o-plagio2/
3 Il riferimento è esplicito ed evidente al concetto di funzioni o sfere d’azione teorizzato da V.J. Propp nei suoi studi sulla morfologia della fiaba.
4 Le rappresentazioni sociali – S. Moscovici – Il Mulino 2005
5 La psicologia culturale – Andrea Smorti – Carocci 2003
6 Narrazioni. Cultura, memorie, formazione del sé – Andrea Smorti – Giunti 2007
7 Del senso 2: narrativa, modalità, passioni (ed. or. 1983), tr. Patrizia Magli e Maria Pia Pozzato, Bompiani, Milano 1985
8 Corpi sociali – processi comunicativi e semiotica del testo – Gianfranco Marrone – Einaudi 2001
9 Semiotica del testo giornalistico – A.M. Lorusso P. Violi – Laterza 2004
VOLKSWAGEN GATE – UN CASO DI  “CRISIS COMMUNICATION MANAGEMENT”

VOLKSWAGEN GATE – UN CASO DI “CRISIS COMMUNICATION MANAGEMENT”

La ricorrente difficoltà a gestire la comunicazione nelle situazioni di crisi sembra aver colpito anche un gruppo delle dimensioni di Volkswagen. Molti segnali, rilevati anche sui social media, ci delineano un’azienda esitante di fronte al problema ed incline a nascondere la faccia.

Il management della comunicazione in situazioni di crisi è uno degli aspetti più complessi che un’azienda può dover affrontare a causa di diversi fattori quali condizioni di incertezza, processi sommari dell’opinione pubblica, forme più o meno scontate di ostracismo ambientale e dei media.

Come avevo già rilevato in precedenza (Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?), troppo spesso ci si rifugia in atteggiamenti difensivi mirati a limitare i danni finendo così per trincerarsi in comunicazioni scarne, in ambiguità o silenzi che non fanno altro che aumentare la presunzione di colpevolezza dell’azienda agli occhi del pubblico.

Il gigante di Wolfsburg, pienamente coinvolto nel soprannominato “Volkswagen-gate” non sembra al momento fare eccezione avendo mostrato un forte imbarazzo nel dover affrontare questa situazione, ulteriore conferma della difficoltà a governare le situazioni di crisi nella prospettiva di ingenti perdite non soltanto economiche ma anche di reputazione ed immagine.

Il caso 

A partire dalle accuse formalizzate dall’EPA lo scorso 18 settembre, dilagate poi su TV e giornali dal 22 settembre, l’azienda si è limitata a caricare sul proprio sito un videomessaggio del CEO il 22 settembre, a comunicati stampa contenenti generiche spiegazioni il 23 settembre, ad annunciare un cambio al vertice dell’azienda il 25 settembre, scarni e sporadici comunicati contenenti generiche rassicurazioni ai clienti sulla sicurezza (!?) delle vetture, sul loro futuro impegno a riguadagnare la fiducia (senza specificare come!), a generiche promesse sull’impegno dell’azienda a risolvere il problema senza chiarire in che modo. In sostanza sono stati persi quattro giorni preziosi, dove l’azienda anziché prendere l’iniziativa ha aspettato che il problema deflagrasse sui media prima di rispondere.
trend-topsy
Carente e criticabile anche l’azione sui social media:

– su Twitter, nell’account USA due soli tweet il 24 e il 27 settembre, in quello italiano due tweet il 24/9 e il 2/10, in quello inglese tre tweet dal 23/9, in quello francese nove tweet di cui solo due dedicati al fatto mentre gli altri addirittura promuovono i propri modelli, negli account @Volkswagen e @vwgroup_en rispettivamente 8 e 11 tweet dedicati perlopiù al cambio al vertice e a notizie sulla governance mentre soltanto 2 tweet erano mirati a rispondere agli interrogativi della clientela;

– Su Facebook nella pagina americana un post di generiche scuse il 25/9 (7.339 commenti), informazioni ai consumatori il 27/9 (4.646 commenti), sulla pagina tedesca un post di informazioni il 2/10 (?) seguito da un manifesto condiviso il giorno dopo (3.000 commenti e 6.800 condivisioni), sulla pagina francese si evita l’argomento postando la promozione dei propri modelli, sulla pagina italiana un post di scuse il 24/9 (1.301 commenti), poi a partire dall’8/10 vari post di promozione dei propri modelli, sulla pagina del gruppo sei post con i contenuti generici già detti, solo il 3/10 un aggiornamento informazioni per i consumatori e il 12/10 l’assicurazione che non ci sono rischi per la salute, addirittura il 22 settembre un post con la presentazione di una APP!

Quello che ha indispettito anche i giornali tedeschi e che è stato stigmatizzato anche dalla FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) è che in un evento di tale portata in aggiunta alla carenza di spiegazioni, sono stati caricati in rete messaggi, video e tweet di promozione di nuovi prodotti mettendo in mostra così un senso di indifferenza alle domande e ai dubbi dell’opinione pubblica e dei clienti.

Il sentimento della gente 

È stata interessante la lettura dei commenti sulla pagina Fb di VW Italia nel post del 24 settembre, dove il “sentiment” rilevato poteva essere categorizzabile in cinque tipi di atteggiamenti che ho denominato in:
adoratori (48%): clienti che possiedono e dichiarano il loro amore per la marca, non sono praticamente toccati dall’ accaduto e difendono il marchio come se parlassero di una squadra di calcio, alcuni adducendo addirittura l’ipotesi di complotti;
possibilisti (4%): soddisfatti dell’esperienza con la Volkswagen, relativamente consapevoli della gravità del fatto, dalle loro parole si deduce che sono disposti ad accordare un’altra chance alla marca;
dubbiosi (9%): sono i clienti confusi, quelli che possiedono un modello e non sanno come si devono comportare, che temono gli effetti del problema, e che di fatto potrebbero diventare clienti persi;
delusi (11%): sono clienti delusi o dal prodotto o dal fatto commesso dall’azienda, sono quelli che dichiarano mai più Vw, in definitiva clienti persi;
sarcastici e arrabbiati (28%): in linea di massima non sono e non diventeranno clienti VW, attribuiscono grande importanza al fatto accaduto, esprimono la loro sfiducia e la loro condanna al marchio e ai suoi modelli passando dall’ ironia, al sarcasmo, alla rabbia.

L’approfondimento del contenuto dei commenti sarebbe tema interessante per altri discorsi stante l’essenza di lovemark del brand Vw, visto che si rintracciano molto frequentemente espressioni da tifo calcistico, ma questo è un argomento da trattare in altra sede.

Tuttavia gli atteggiamenti rilevati nei commenti, all’apparenza abbastanza positivi, non debbono trarre in inganno prima di tutto perché espressi in larga parte da frequentatori della pagina Volkswagen, buona parte dei quali rientrano tra gli adoratori, pertanto il campione potrebbe essere poco rappresentativo e le percentuali poco attendibili. Ciò nonostante un buon 11% di clienti sembrerebbe perso e un altro 9 % è fortemente a rischio. Tra l’altro, dando una rapida occhiata a qualche commento nelle pagine Fb di altri paesi, sembrerebbero grosso modo riproporsi le stesse tendenze della pagina italiana.
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Quando però si esce da questo alveo le cose sono differenti e ben altro è il tipo di risonanza che si diffonde. Effettuando una ricerca su Twitter dell’hashtags #VWgate emerge l’esistenza di un discorso parallelo alle fonti ufficiali della marca che, come si vede nei grafici riportati, a distanza di un mese mantiene ancora una forte presenza sui discorsi dei social, sviluppa derivazioni semantiche tipiche dell’ambiente social, offre lo spunto per coniare fraseologie e iconografie ironiche in grado di incidere negativamente per lungo tempo sull’immagine della marca.
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In sostanza la Volkswagen non è sembrata affatto pronta ad affrontare e gestire una situazione che, sapendo di agire in violazione di norme, doveva essere sicuramente contemplata nel risk management e prevedere un piano di risposte sia sul piano giuridico economico, sia sul piano emotivo, tempestivo, ben articolato e senza incertezze.
La scelta di low profile adottata dall’azienda pertanto non sembra affatto pagante visto che la notizia non si è sgonfiata dopo pochi giorni ma continua a mantenere la scena sui media a quasi un mese dalla sua uscita.

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Le soluzioni al problema 

Per pianificare azioni adeguate è necessario prima di tutto porsi una serie di domande le cui risposte possano soddisfare i potenziali interrogativi dell’audience (la comunicazione di crisi – notizia o narrazione):

    • Cosa si sta chiedendo il pubblico? Conosce sufficientemente e nel modo voluto come si sono svolti i fatti e le conseguenze?
    • Trova risposte nell’ attribuzione di responsabilità? Può pensare che si stia coprendo un colpevole?
    • Le informazioni rese disponibili fino ad ora sono coerenti con i requisiti e l’immagine del brand, ovvero possono incidere negativamente sulla percezione di questo nella mente del pubblico?
    • Chi pagherà per i fatti accaduti, e quale sarà la giusta pena per i colpevoli?

Inevitabilmente nella formulazione delle risposte dovranno esistere dei passaggi obbligati che ricadono sempre sull’attribuzione di responsabilità, perché come prevede la struttura narrativa da costruire intorno ad un evento critico, ci si aspetta che sia fatta giustizia e che il responsabile venga identificato e paghi la giusta colpa.

Qualsiasi carenza nella comunicazione di questi aspetti offre uno spazio che può essere riempito da ipotesi, congetture o peggio dal pessimismo di esperienze precedenti, pertanto ogni intervento deve tendere a fare chiarezza senza reticenze e senza fughe dalle responsabilità che finiscono per indispettire ancor di più l’opinione pubblica.

Volendo dissezionare questa crisi si possono rintracciare fattori rilevanti che possono diventare criteri generalizzabili in una qualsiasi pianificazione delle risposte:

    • la rilevanza del danno economico in questo caso a centinaia di migliaia se non milioni di clienti, provocando in questi incertezza e rabbia;
    • le dimensioni del brand e la gravità del fatto lasciavano prevedere che i media ne avrebbero fatto un caso, pertanto bisognava essere pronti e senza ritardi a spiegare che cosa era successo, cosa comportava per i consumatori, chi erano i responsabili e quindi le teste da sacrificare, cosa intendeva fare l’azienda per scusarsi e riparare i danni;
    • la carenza e il ritardo nel fornire delucidazioni sta creando la sensazione diffusa che siano in atto tentativi di nascondere la verità e viene percepito come ambiguità, intaccando ancor di più la credibilità dell’azienda;
    • i ritardi comunicativi incoraggiano l’influenza reciproca tra i soggetti coinvolti che trova terreno fertile nei social media producendo “trascinamenti” nel tempo sotto forma di luoghi comuni, di forme di satira o di critica incontrollabili che erodono l’immagine del brand nel lungo termine;
    • il riaffiorare nella mente della gente di schemi precostituiti di precedenti situazioni di crisi dove i responsabili hanno tentato di nascondersi nell’ambiguità o in affermazioni rivelatisi poi false;
    • il ruolo giocato dai social media che, nella loro funzione di condivisione delle informazioni, si stanno trasformando sempre più in casse di risonanza degli eventi di maggior popolarità.

In conclusione, pur non essendoci vittime, la gravità del fatto sta sia nel gran numero di soggetti coinvolti, sia nel profondo contrasto emerso tra una condotta truffaldina più o meno diffusa nel mondo economico e l’immagine solida e scrupolosa costruita nel tempo dall’azienda, affidabile anche oltre la tradizionale attendibilità tedesca, contrasto che ha contribuito a generare un’enorme risonanza del fatto persino superiore agli effetti che, come detto, non hanno provocato effetti letali, almeno nell’immediato.

Inoltre non deve venir meno la considerazione che questo fatto non coinvolge solo e soltanto i consumatori, ma anche diverse categorie di stakeholders come fornitori, dipendenti dell’azienda e dell’indotto, risparmiatori, azionisiti e attori del mercato finanziario, persino alcune frange del livello politico.

La scoperta della mancanza di valori morali dell’azienda è un fattore che può produrre effetti nel lungo periodo che riguardano la percezione del brand riflettendosi su tutti gli aspetti dell’attività e non soltanto sulle vendite.

In conclusione si deve tenere sempre presente che, laddove ci fosse un difetto di informazioni, è ineluttabile che la gente provveda in proprio a darsi delle risposte, pertanto coloro che a vario titolo dovessero trovarsi nella scomoda posizione di dover comunicare in situazioni di crisi devono sapere che tutto ciò che non verrà detto o non sarà chiarito sufficientemente, sarà generato e aggiunto dagli altri senza alcuna possibilità di controllo.

Le rappresentazioni sono basate sul detto “non c’è fumo senza fuoco” ….. per scoprire da dove viene il fumo andiamo alla ricerca del fuoco..

(S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)

DECALOGO

Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?

Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?

La narrazione di una crisi è di per sé la storia di un problema: dramma, fatalità, ambiguità, cinismo; cosa emergerà?

………il pensiero sociale fa un uso estensivo di sospetti che ci mettono sulle tracce della causalità. (S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)

Nel mio precedente post avevo già introdotto il tema di come la narrazione d una crisi incorpori normalmente le caratteristiche di una storia, ovvero una struttura che ne facilita la comprensione e il ricordo nella mente della gente. Riflettendo sulla citazione di Moscovici (in corsivo), l’aspetto più delicato si rivela essere la presenza di processi mentali che implicano il formarsi di dubbi e sospetti in risposta a qualsiasi ambiguità e una fervida attività di deduzione logica mirata ad individuare le responsabilità personali.

A conferma di questo, nel video sottostante che racconta i recenti e tragici fatti dell’alluvione in Sardegna, si nota come al termine del resoconto giornalistico si manifesti subito la volontà di individuare responsabilità.

Una spiegazione in merito ai motivi di questi atteggiamenti va cercata riflettendo sugli studi di psicologia sociale di A. Smorti (Psicologia culturale – 2003), il quale propone una categorizzazione delle storie che presenta molti riferimenti applicabili alla comunicazione di crisi.

In questa classificazione troviamo:
a) storie senza problemi: sono storie auto evidenti e auto esplicative come una testimonianza o ricordi autobiografici, perché hanno un significato non ambiguo e culturalmente determinato, discorsive, coerenti e spesso scarsamente interessanti;
b) storie con un problema che presenta soluzione: sono storie ove tipicamente la figura dell’eroe affronta un ostacolo, una difficoltà che comunque è resa evidente, e qualunque sia poi il risultato finale, il problema viene comunque esplicitato nella sua causa senza ambiguità;
c) storie con problema che non ha soluzione: sono le storie problematiche che non presentano soluzione, ed a questo genere si possono associare per esempio tutti quei casi giudiziari che rimangono irrisolti, ma anche casi della vita o fatti che rimangono inspiegabili; sono queste le storie che generano la tipologia seguente;
d) storie che tentano di interpretare le storie senza soluzione (storie ipotesi): in questa tipologia di storie si fa largo ricorso alle ipotesi che fanno riferimento all’ esperienza, al cosiddetto mondo possibile, agli antecedenti per trovare spiegazioni altrimenti non esplicitate (es. Tizio ha una violenta lite con Caio; Caio viene ritrovato morto dopo poco tempo, Tizio è sospettato di essere l’assassino).

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Considerata la particolare natura con cui si presentano a noi, le situazioni di crisi in linea di massima si collocano nella tipologia di storie senza risposta, almeno nella loro fase iniziale. Da questa caratteristica scaturiscono spesso sequenze di storie ipotesi, ove si tenta di ricostruire un nesso causale ai fatti avvenuti e alle conseguenze che ne derivano con una retorica discorsiva improntata al “pathos”.
Attingendo alla nostra memoria infatti troveremo senz’altro la storia di un fatto che, pur permanendo sullo sfondo, ha dato origine ad una sorta di racconto ulteriore interamente focalizzato sulla ricostruzione delle cause, sull’ identificazione delle responsabilità, sulla personificazione di ruoli tematici stereotipati da cui ci si aspetta che qualcuno indossi i panni dell’eroe, e di qualcuno che invece dovrà calzare quelli dell’antieroe calamitando i disvalori emersi nel racconto.

 Categorizzare gli eventi 

Pertanto il saper prevenire sin dall’inizio le reazioni emotive del pubblico, quali saranno le implicazioni provocate da eventuali reticenze, omissioni e ambiguità, è un essenziale punto di partenza se non per disinnescare, quantomeno per limitare danni ed effetti di una crisi.
Non devono esserci dubbi sul fatto che ogni carenza informativa, ogni dubbio, l’opinione pubblica provvederà a colmarlo attingendo alle proprie esperienze, agli antecedenti in materia, alle idee comuni e alle pratiche contemporanee.

Se ad una attenta analisi, le reazioni dell’opinione pubblica di fronte a certi fatti e situazioni possono essere in qualche modo prevedibili, il miglior modo di organizzarsi è individuare gli scenari di rischio potenzialmente possibili e sulla scorta di questi calibrare una strategia di risposte pianificate e soprattutto mirate a rispondere al bisogno di tempestività, a prevenire eventuali carenze, a ridurre gli effetti provocati dalle criticità della situazione.
Un criterio guida che può facilitare questo lavoro presuppone di operare una categorizzazione dei fatti critici più frequenti al fine di delinearne gli elementi comuni:

    • Eventi critici provocati da situazioni ambientali che coinvolgono una collettività di persone tra i quali ad esempio il terremoto che ha colpito l’Aquila o quello che in Giappone ha provocato il disastro nucleare di Fukushima, l’alluvione che ha colpito Genova un paio d’anni fa o i recenti e tragici fatti dell’alluvione in Sardegna di pochi giorni fa. Questa tipologia di eventi è contraddistinta dall’imponderabilità dei fatti e dall’incontrollabile forza della natura nei confronti dell’uomo: ma l’ineluttabilità degli avvenimenti lascia rapidamente il posto alla ricerca di responsabilità, per non aver saputo prevedere, per non aver limitato i danni, per la lentezza o l’inadeguatezza dei soccorsi tanto per citare alcune delle derive più frequenti. La causalità della tragedia passa assai presto dal fatalismo alla ricerca dei responsabili delle conseguenze. Pur essendo eventi che rientrano nella categoria di storie senza soluzione, la mente umana nel tentativo costante di attribuire significati plausibili ai fatti, si servirà di storie ipotesi che hanno la funzione di ridurre l’incertezza e rendere il mondo meno inconoscibile e più prevedibile; da qui l’esigenza di individuare responsabilità che in qualche modo consentano di ridurre la paura dell’ignoto e dell’incontrollabile.
    • Eventi critici tra istituzioni e collettività, dove atti e azioni delle istituzioni, o meglio di uomini delle istituzioni, provocano dei danni o delle conseguenze a singoli individui o gruppi di individui. Tanto per fare qualche esempio va ricordato il grave incidente in cui rimase ucciso Gabriele Sandri, oppure i gravissimi disordini nella manifestazione degli indignati di qualche tempo fa, o magari anche situazioni meno traumatiche ma comunque importanti tipo le cartelle esattoriali pazze di cui di tanto in tanto si sente parlare o situazioni di riconoscimento di diritti che arrivano dopo anni o ancora inadempienze nei pubblici doveri e così via. Sono fatti comunque importanti che coinvolgono pesantemente la credibilità e l’immagine delle istituzioni, e il loro sviluppo è in grado di influenzare sensibilmente la lettura di avvenimenti che dovessero ripresentarsi in forma simile nel tempo a venire. In questa tipologia di crisi, qualsiasi forma di titubanza o di reticenza ha l’effetto di stimolare nei media la tendenza a completare, magari a livello ipotetico, tutto ciò che manca come informazione, e questo aspetto non fa che acuire gli effetti destabilizzanti, incidendo pesantemente sulla credibilità delle istituzioni coinvolte. Questi eventi si incanalano nelle storie ipotesi perché comunque si tratta di azioni da codificare, perché spesso il sospetto guida la formazione delle convinzioni, perché si pensa sulla scorta delle esperienze precedenti, ed in tal senso le idee comuni presenti in una società in un determinato momento rappresentano una chiave di lettura che a volte costituisce un ostacolo insormontabile da sfatare.
    • Eventi critici che coinvolgono aziende, organizzazioni private o gruppi di persone, la cui rilevanza è direttamente proporzionale al numero di soggetti coinvolti, e dove è in gioco l’immagine e la credibilità del soggetto potenzialmente responsabile dei fatti; possiamo annoverare in questa categoria attività illegali compiute da un’azienda a danno dei consumatori, ovvero violazioni delle norme che procurano danni alla gente, episodi di coercizione di vario tipo, ma anche fatti che vedono scontri tra gruppi di persone, tipici i disordini tra tifoserie. Sono episodi riconducibili a quella che può definirsi come causalità degradata1, l’espressione deteriore della realtà, dove prevale la mancanza di valori morali del soggetto ritenuto responsabile, dove la gente mostra una certa sfiducia figlia delle esperienze passate; i soggetti coinvolti in tali situazioni quindi dovranno comunicare in modo trasparente, senza indugio e senza resistenze, per allontanare nei limiti del possibile sospetti che si traducono in una condanna morale da parte del pubblico. In queste situazioni spesso lo spettatore tende a schierarsi da una parte o dall’altra, e lo fa sulla scorta delle proprie convinzioni personali o delle proprie esperienze passate che costituiscono gli antecedenti a cui fa riferimento. Questi eventi possono più facilmente essere ricondotti a storie del secondo tipo, e quindi depotenziate, qualora si concretizzi in qualche modo una certa linearità nella ricostruzione dei fatti. L’aspetto a cui bisogna dare importanza ricade sempre sull’attribuzione di responsabilità. Occorre pertanto evitare gap informativi, dove lo spazio delle ipotesi venga riempito da convinzioni basate sui precedenti, ed al tempo stesso avviare l’intervento riparatore su binari certi e prevedibili, influenzando in qualche modo la lettura delle responsabilità.

Ecco quindi lo scopo del modello riportato nel mio precedente post che illustrava gli elementi strutturali di una storia; è certo che la mente sociale percorrerà quella strada, per cui è necessario sviluppare un flusso di informazioni che dia risposte credibili e non ambigue e che riempia tutti gli elementi necessari alla costruzione narrativa del fatto nella mente della gente. Quando questo non accade, non ci si deve stupire se, come successo in numerosi casi, l’informazione ufficiale non sia stata ritenuta credibile e viceversa siano invece prevalse le indiscrezioni come nel caso descritto nel mio post precedente.

 I protagonisti della storia 

Per completare questo argomento sulle strutture narrative delle crisi, pur tralasciando per sintesi un discorso sulle strutture profonde della semiotica generativa, sia pure in modo sintetico è necessario spendere qualche parola sul concetto di tema e sui ruoli tematici che ne derivano. I primi costituiscono le grandi “configurazioni discorsive” di una narrazione (giustizia e ingiustizia, il gesto eroico, il cinismo, la sopraffazione …..), ed hanno forma astratta fino a che non si materializzano nelle forme di volta in volta utilizzate dal racconto.

I ruoli tematici invece sono definibili come funzioni altamente stereotipate, concetti generali tipici che si definiscono mediante le iconografie diffuse nelle singole culture (l’eroe, il malvagio, la vittima, il potentato, etc.), hanno forma astratta fino a che non saranno soggetti ad un processo di personificazione nei protagonisti di un racconto.
Infatti nel ricordo di un fatto, come di una storia, noi abbiamo bisogno di raffigurare alcuni ruoli chiave come quello dell’eroe giusto le cui gesta saranno qualificate da una figura avversa, un oppositore che incorporerà i disvalori, avremo spesso bisogno di qualcuno che ricopra il ruolo della vittima, di un debole che subisce le conseguenze dei fatti e così via.

Dovrà poi essere in qualche modo categorizzato l’agire umano, e da qui inizierà il processo di riconoscimento di colui a cui attribuire il grande gesto da raccontare, l’esecuzione della prova qualificante, al quale si opporranno l’indifferenza, la fuga o la menzogna, ci sarà il danneggiamento di qualcuno o qualcosa.
Poi saranno in qualche modo figurativizzati, ovvero assumendo sostanza osservabile nei comportamenti, valori tra i quali il coraggio, l’onestà, l’impegno o la giustizia, al quale verranno contrapposti dei disvalori tipo la codardia, il cinismo, la negligenza, la malvagità. Avremo infine bisogno di definire la fine della storia, la sanzione finale che pacifica la nostra coscienza e che vede giustizia fatta, le responsabilità riconosciute e punite, i gesti ed i valori positivi dell’eroe ricompensati.

E’ questo il modo in cui la nostra mente opera tra gli eventi, li cataloga e li mette in ordine nella nostra memoria, e non possiamo certo sottrarci a questa modalità del pensiero umano.
Avendo per certi aspetti definito almeno i principali elementi che agiscono nel categorizzare i fatti che in qualche modo entreranno a far parte della memoria biografica della gente, ne consegue di fatto la possibilità di definire anche una struttura di base a cui la comunicazione delle situazioni di crisi dovrebbe idealmente ed in modo più o meno esplicito far riferimento, ovvero una traccia da seguire per fare in modo che tutti gli interrogativi potenziali siano soddisfatti, e che pertanto l’opinione pubblica non vada alla ricerca di ulteriori informazioni che sfuggirebbero a qualsiasi tipo di controllo.

“il pensiero umano è mosso dall’esigenza di fondo di interpretare il mondo e di attribuire
significati plausibili che lo aiutino a fare delle previsioni e che per far questo ricorra alle storie”
(A. Smorti – Narrazioni – 2007)

1 La definizione è di Ugo Volli

La comunicazione di crisi – Notizia o Narrazione

La comunicazione di crisi – Notizia o Narrazione

La comunicazione di crisi è il racconto di un evento, è una narrazione, e come tale è soggetta a certe caratteristiche che ne regolano il funzionamento nella mente della gente.

Gestire la comunicazione in presenza di situazioni di crisi è senza dubbio una delle attività più complesse a causa della presenza di condizioni di incertezza e di dinamiche non controllabili, ma anche perché a volte si scelgono strategie difensive nelle quali si finisce per avvitarsi in una spirale di errori sempre più gravi e con una risonanza pubblica crescente.

Esiste un’ampia tipologia di crisi possibili, per la diversità di eventi, per la variabilità di attori causali, per quantità e qualità dei soggetti coinvolti, per la gravità di effetti o conseguenze provocate, per cui non si può far riferimento ad un metodo univoco di risposta, anzi in certi casi ricette preconfezionate sul cosa fare in queste situazioni potrebbero persino provocare danni maggiori.
Tuttavia in rete si possono rintracciare documenti, pubblicazioni e “check list” sul Crisis Communication Management, in buona parte provenienti da oltreoceano, che possono costituire un buon riferimento per evitare di trovarsi completamente impreparati di fronte a fatti di questo genere.

Il punto critico è sempre la scelta del momento in cui cominciare a comunicare con il modo esterno, che cosa dire (o non dire!), perché il principio di non fare dichiarazioni che possano poi rivelarsi infondate si scontra con le necessità informative di una realtà che è fortemente condizionata dall’onda emotiva. Quindi come si può affrontare il problema? Certamente un’ analisi critica degli eventi passati, di come si è operato, ed al tempo stesso un piano di comunicazione che consenta risposte tempestive alle situazioni di crisi più prevedibili nonché la preparazione del management sul cosa fare, possono costituire un valido aiuto.

D’altronde le incertezze che inizialmente esistono sulle cause e sulle conseguenze di un evento, l’accertamento di responsabilità e la disponibilità di informazioni attendibili, richiedono oggettivamente tempi incompatibili con le reazioni emotive del pubblico.

Tra i molteplici aspetti che rendono difficile la gestione della comunicazione nelle crisi vanno considerati senz’altro:
la criticità o la drammaticità di fatti che per i loro effetti provocano stati emotivi e tensivi molto forti in un numero più o meno ampio di persone;
– la difficoltà a fornire i media di informazioni verificate, la cui disponibilità si rivela costantemente in ritardo con le esigenze e il fabbisogno informativo imposti dalla crisi;
– l’impossibilità di avere un qualunque controllo sulle necessità informative dettate dalle conseguenze dell’evento che sono scarsamente o per nulla controllabili, ed il rischio che ogni tentativo di controllo venga scambiato per ambiguità o peggio per menzogna;
– il rischio che notizie date tempestivamente risultino poi infondate inficiando la credibilità di chi informa;
– l’influenzamento reciproco tra i soggetti coinvolti in qualche modo negli effetti di un evento critico che producono trascinamenti emotivi tipici della folla;
– le informazioni che arrivano per forza di cose dopo un evento, a tentare di spiegare i fatti, e che trovano abbastanza spesso un pubblico prevenuto e diffidente;
– la presenza nella mente della gente di esperienze precedenti che orientino una lettura precostituita di cause e responsabilità in mancanza di informazioni complete e tempestive;
– il ruolo giocato dai media che, nella loro funzione di informatori, debbono guadagnarsi un loro spazio di visibilità, ma che così facendo a volte amplificano la risonanza di un evento.

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Ognuno degli aspetti sopra detti meriterebbe un approfondimento fatto sulla scorta di eventi passati, ma in questa sede vorrei soffermarmi sulla possibile lettura precostituita da parte del pubblico di cause o conseguenze all’origine di una crisi, anche prescindendo dal flusso di comunicazioni ufficiali.

Prendiamo spunto da un fatto, un infuocato derby calcistico tra Roma e Lazio che doveva giocarsi il 21 marzo 2004 e che fu sospeso all’inizio del secondo tempo a causa delle pressioni esercitate dai tifosi. Prima della partita c’erano state le consuete intemperanze ma tutto sembrava sotto il controllo della robusta cornice di forze dell’ordine, quando a partita iniziata cominciò a diffondersi la notizia che un mezzo della polizia avesse investito e ucciso un bambino. Tale indiscrezione, non contrastata, iniziò ad incendiare gli animi della tifoseria al punto che questi arrivarono a minacciare i giocatori di gravi conseguenze se non avessero interrotto subito la partita. A nulla valsero le smentite ufficiali dell’allora capo della Polizia.

Un esempio eclatante quindi di come esperienze passate e un rapporto conflittuale tra tifosi e Polizia di vecchia data, con il semplice verificarsi di episodi di scarsa gravità, avessero generato in quel tipo di platea la convinzione che si fosse verificato un fatto tragico sulla scorta di semplici indiscrezioni, a cui nulla valsero le dichiarazioni ufficiali, forse tardive, di chi rappresentava l’istituzione.

 Che domande porsi? 

Ricordando questa storia, o magari frugando nella nostra testa alla ricerca di ricordi di qualche altra crisi, bisogna comprendere che tipo di interrogativi si pone il pubblico, per cui è fondamentale per chi debba gestire la comunicazione in situazioni critiche porsi certe domande:

– cosa si sta chiedendo il pubblico? Conosce sufficientemente e nel modo voluto come si sono svolti i fatti e le conseguenze?
– trova risposte nella attribuzione di responsabilità? Può pensare che si stia coprendo un colpevole?
– le informazioni disponibili possono generare nell’immaginario collettivo l’idea che ci sia la presenza di un giusto (la vittima) e di un ingiusto (il colpevole)?
– può farsi strada l’idea che il fatto era evitabile? Che si sarebbe dovuto fare di più prima del fatto o durante i soccorsi alle vittime?
– hanno già un idea delle colpevolezze? Di chi “espierà” la colpa?
– quali “alleanze” o solidarietà possono nascere tra pubblici direttamente o indirettamente coinvolti nei fatti?

Per di più bisogna tenere nella debita considerazione alcuni fattori che in certi casi possono giocare un ruolo persino più importante degli stessi soggetti coinvolti che in sintesi sono identificabili in:
– i media, narratori per antonomasia che, mossi dai loro obiettivi, danno ampia risonanza ai fatti;
– i ben informati, i depositari delle verità scomode che gli organi ufficiali spesso omettono, e che esercitano la loro influenza sulla scorta dei pregiudizi fondati sulle esperienze passate;
– le vittime dell’ingiustizia, un abbinamento che quando si concretizza nell’immaginario collettivo è in grado di produrre effetti dirompenti;
– le “solidarietà identitarie”, alleanze atipiche che possono generarsi quando ci si riconosce in un ruolo contro un comune nemico (il caso Sandri per esempio fu un altro caso emblematico di alleanze tra tifoserie opposte contro la polizia).

Tutti questi aspetti danno sostanza ai presupposti di apertura di questo scritto per il quale la comunicazione di crisi è in fondo il racconto di un evento, e come tale è una narrazione che soggiace alle sue proprietà costitutive che ne determinano il funzionamento nella mente della gente.

In tal senso mi sembra assai pertinente riportare sinteticamente quanto uno degli autori, che ha trattato approfonditamente la nozione di storie come Andrea Smorti (Narrazioni 2007), ci dice in merito alla struttura delle narrazioni, una struttura che si articola nella nostra mente in:
a) uno stato iniziale ove una situazione in equilibrio sia in qualche modo contestualizzata;
(il fatto non si è ancora verificato e il pubblico possiede già esperienze antecedenti)
b) l’avvento di un problema, ovvero il verificarsi di qualche fatto che rompa l’equilibrio iniziale;
(l’evento si verifica e il pubblico ne viene a conoscenza in qualche modo)
c) i tentativi di soluzione, uno o più fatti/azioni concretizzati da qualche soggetto che tenti in qualche modo e/o con l’ausilio di altri mezzi o aiutanti di risolvere il problema e ristabilire l’equilibrio iniziale;
(il dopo, dichiarazioni, smentite, illazioni, conseguenze, responsabili, riparazione del danno)
d) stato iniziale ricostruito o un nuovo stato, sono le situazioni al quale ci si aspetta si pervenga dopo i tentativi messi in atto da un soggetto di fronte ad un problema;
(le soluzioni, attori positivi o negativi, la verità dei fatti)
e) stato sanzionatorio (finale) equivale all’aspetto sanzionatorio, alla morale, al riconoscimento del ruolo del soggetto, all’attribuzione del premio (o della punizione).
(giustizia è fatta! Colpevoli ed eroi sono identificati, premi e sanzioni sono assicurati)

In parentesi i brevi commenti con l’obiettivo di avvicinare lo schema ad una sua contestualizzazione. Mi piace inoltre continuare nell’omaggio ai contributi teorici esistenti in materia, riportando due citazioni importanti nel delineare una filosofia di approccio al problema:

“.. tutti i sistemi di classificazione, tutte le immagini e tutte le descrizioni che circolano nell’ambito di una società, persino quelle scientifiche implicano un legame con sistemi e immagini precedenti”. (S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)

“Ogni particolare narrazione di una violazione dalla norma, fonda una tradizione e
diventa il nucleo di un genere narrativo sul come il mondo è.”
(A. Amsterdam & J. Bruner 2000 – Smorti – Psicologia culturale 2004).

 Conclusioni 

In conclusione sembra proprio che le esperienze precedenti costituiscano lo script1 attraverso il quale in presenza di dubbi, la mente comincia ad elaborare risposte attingendo agli antecedenti, alle situazioni del passato, operando delle deduzioni che saranno tanto più corpose quanto più la carenza di informazioni soddisfacenti sarà accentuata.
La riflessione finale è proprio in questo punto, che laddove ci fosse un difetto di notizie appare ineluttabile che la gente provveda in proprio a darsi delle risposte, e pertanto coloro che a vario titolo dovessero trovarsi nella scomoda posizione di dover comunicare in situazioni di crisi devono sapere che tutto ciò che non verrà detto o non sarà chiarito sufficientemente, sarà generato e aggiunto dagli altri, senza alcun controllo, quindi…

1 A. Smorti – Psicologia culturale – ed. Carocci 2003