BRAND POSITIONING E PAY OFF – UN  CONFRONTO IN UN VIAGGIO LUNGO 30 ANNI

BRAND POSITIONING E PAY OFF – UN CONFRONTO IN UN VIAGGIO LUNGO 30 ANNI

Un paragone a cavallo del tempo tra le pubblicità di due marchi storici, un breve viaggio ove scorgere nelle immagini di qualche anno fa la pseudo realtà ed i miti del momento.

Uno degli obiettivi fondamentali della comunicazione pubblicitaria di norma dovrebbe essere la costruzione di un posizionamento ben definito e strutturato nella mente del consumatore, al fine di rappresentare per quest’ultimo un riferimento immediato ed attraente da seguire per un’esperienza di consumo, aspetto al quale il marketing attuale attribuisce notevole importanza almeno al pari del semplice atto di acquisto di un prodotto.

A volte uno degli elementi fondamentali che concorrono al posizionamento di una brand consiste proprio nella scelta di un pay off ben concepito, quella breve frase che chiude un messaggio pubblicitario, spesso filo conduttore tra una campagna e l’altra, che ha il compito di sintetizzare in pochissime parole l’identità o il sistema di valori a cui la marca fa riferimento.

Ci sono stati pay off capaci di durare decenni sino a diventare un vero e proprio mantra della marca, che in alcuni casi sono entrati nel linguaggio comune travalicando persino i confini della marca (chi non ricorda per esempio il celebre claim della Lavazza “più lo mandi giù, più ti tira su”?), altre volte invece il pay off viene cambiato più spesso per varie cause che possono riguardare strategie comunicative, scarso favore del consumatore, mutate condizioni di consumo o della realtà sociale cui si riferiscono.

In questa sede vorrei proporre il confronto della pubblicità di due noti marchi, Averna e Ramazzotti, appartenenti allo stesso settore di mercato, compiendo idealmente un piccolo viaggio nel tempo e recuperando alcuni spot diventati famosi realizzati dalla metà degli anni ’80 in poi, un’esperienza vintage che consente di rivedere alcuni frangenti della quotidianità idealizzata di quegli anni, una peculiarità della pubblicità, del suo essere situata, strettamente riferita al tempo a cui appartiene.

Pertanto di seguito si riporta un breve riassunto degli spot insieme al link ove osservarli sulla piattaforma youtube da cui sono stati tratti, a beneficio di nostalgici e curiosi.

 Ramazzotti “Milano da bere” (anno 87) 
Una campagna famosa anche per questo pay off un po’ provocatorio che nasce alla meta degli anni ’80 nel periodo dello “yuppismo”, dei giovani rampanti in carriera; uno spot da 30 secondi con tagli di scena rapidissimi che racconta la giornata di una città dinamica, che lavora, dove si vedono studenti di fretta, operai in cantiere, colletti bianchi, taxi, metro, dove la parodia del consumo si celebra nella parte finale dello spot: un uomo e una donna che denotano un certo status al ristorante con un cameriere in papillon che serve il Ramazzotti; è qui che il pay off “Milano da bere” opera un posizionamento “alto” mediante la metonimia delle immagini. Si celebra il momento di consumo in un luogo esclusivo riservato a persone di successo al di là del racconto di una città che lavora. Un posizionamento che ricevette anche diverse critiche per la sua scelta di legare la marca alla città della finanza per antonomasia.

 Ramazzotti “giovane amaro” (anno 94) 
Un pay off diverso per questo breve spot di metà anni 90 (20’), che tuttavia nelle immagini conferma le icone dei protagonisti, giovani eleganti, uomini e donne di successo, dove va in scena persino l’emulazione della scelta del Ramazzotti, ma il consumo è sempre lì, in un ristorante esclusivo, un posto pubblico, un prodotto per una certa classe di persone.
http://youtu.be/y7HTGgIA-lo
 Ramazzotti “Amaro positivo”(anno 99) 
una clip molto breve (15’), dalla scena di un matrimonio, ad un uomo in bici, al consumo del Ramazzotti in un ambiente indistinto ma privato, ancora un uomo all’aperto ed infine un bel volto femminile per richiamare (sovrascritta!) la passione, il liquore che fluisce in un bicchiere annuncia il pay off finale “da che mondo è mondo .. amaro Ramazzotti, amaro positivo”. Cambia molto in questo spot, cambia la tipologia di personaggi ma soprattutto cambia il momento di consumo, cambia l’esperienza che ne viene richiamata.

 Ramazzotti “200 anni da bere” (anno 2014) 
Una clip molto breve (10’), una bottiglia al centro della scena e un mondo che simbolicamente gira intorno mostrando cronologicamente persone e costumi che richiamano i 200 anni di tradizione come spiegato dalla voce narrante, che chiude con il pay off “200 anni da bere”; gli abiti, almeno quelli dei giorni nostri, sono informali, non si ostenta esclusività, ma il momento di consumo è tornato in uno spazio pubblico, in un luogo di relazione.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anni ’80) 
un giovane regista dirige le prove di coreografia di una scena, un uomo maturo osserva, il giovane lo nota esprimendo sorpresa e gioia, i due si abbracciano, è probabilmente l’incontro tra padre e figlio, è il momento della pausa e i due uomini gustano insieme amaro Averna mentre la voce narrante canta “Amaro Averna scalda il cuore .. il gusto pieno della vita”.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 99) 
Una festa in casa e giovani vestiti in modo informale bevono Averna, in parallelo una bella ragazza cammina in strada e nel cambio di scena il suo volto è nella copertina di un magazine, cade una goccia di Averna sulle labbra ritratte in copertina e nel nuovo cambio di scena dal vivo la ragazza pare riassaporare con le labbra il gusto dell’amaro, quasi a richiamare alla mente il ricordo del sapore; la voce narrante che dice “gusto chiama gusto, Averna il gusto pieno della vita”.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 2008) 
Il jingle inizia “Dimmi quand’è…”, una macchina in fila, un giovane ben vestito che nota un cane abbandonato e scende dall’auto per accarezzarlo, un abbraccio tra padre e figlio, due fidanzati che discutono e lei che improvvisamente ferma l’auto in mezzo alla strada e scende prima accigliata poi abbozzando tra sé e sé una sorta di sorriso complice, una coppia sorridente che in ambiente domestico consuma l’amaro, il testo del jingle che in modo estremamente appropriato scandisce e descrive le scene e conclude con le parole “dimmi quand’è che hai vissuto le piccole cose con il gusto pieno della vita” enfatizzando in tal modo il valore speciale di aspetti della quotidianità e del privato tra le quali il consumo dell’amaro si propone in entimema.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 2014) 
Il jingle che inizia “Ci son momenti che ….”, tre giovani su un tetto, cambio di scena ed altri che costruiscono un castello di carte mentre bevono amaro Averna, poi l’abbraccio tra padre e figlio, un falò in spiaggia tra giovani, una giovane coppia che nella propria casa sembra aver messo a dormire i bambini e si gode un attimo di serenità gustando l’ amaro, ancora una volta lo scandire preciso ed appropriato del jingle che conclude dicendo “…se ci pensi un po’ su niente conta di più, l’emozione che c’è quando scopri le cose più vere Averna il gusto pieno della vita”, magnificando anche in questo caso il valore delle piccole cose della quotidianità a cui amaro Averna sembra appartenere.
http://youtu.be/dMuUtXoCHR8

Due mondi possibili (A. Semprini – 1993) ben diversi quelli descritti e rappresentati dalle due marche, ognuna delle quali propone le sue storie facendo riferimento a sistemi di valori differenti a tratti persino in opposizione tra di loro.

Il Ramazzotti, pur avendo adottato una discontinuità nei vari pay off, prima Milano da bere, poi giovane amaro, poi amaro positivo infine 200 anni da bere, attraverso la sintassi delle immagini, carte di credito, il sole 24 ore, camerieri in papillon, ristoranti d’elite, protagonisti vestiti in modo ricercato, adotta regimi discorsivi che tracciano un mondo possibile caratterizzato dall’ espressione di un io idealizzato che connota prestigio, successo, status, seduzione.

L’amaro Averna invece sceglie un mondo privato fatto di piccole cose, quelle che in fondo sono veramente importanti, il gusto pieno della vita, un claim che dura da 30 anni e che mostra lo spazio degli affetti, dell’amore, delle piccole grandi emozioni della quotidianità e dell’intimità, dove Averna si candida discretamente ad esserne testimone. È un pay off che si afferma, costante e sicuro nel tempo, sempre allo stesso modo pur in una società che cambia nelle sue forme esteriori.
averna

Sono pertanto due brand che portano avanti due narrazioni in potenziale opposizione tra di loro come si può osservare nel mapping semiotico rappresentato in figura1, che ancorché appartenenti alla tipologia di narrazioni utopiche, visto il genere merceologico, scelgono di farlo adottando due sfere di valori assai diverse; mentre Ramazzotti deve adeguare il suo pay off al momento biografico dell’audience (A. Fontana) avendo optato per il mondo sociale, Averna può mantenerlo inalterato avendo puntato sulla sfera privata.
Immagine1
Ci sarebbe da precisare tuttavia che all’epoca il successo del claim “Milano da bere” suscito, per la verità, diverse critiche in quanto capace di alimentare polarizzazioni opposte tra chi apprezzava quella proiezione del sé, e chi invece mal digeriva quella connotazione definita un po’ “spocchiosa”.

Non ho disponibili dati di marketing recenti affidabili, anche se sembra che verso la fine degli anni ’80 l’amaro Averna risultava come il più venduto con una quota di mercato del 24%, seguito a ruota dall’ Amaro Montenegro (22%), e poi da Ramazzotti (13,5%). Non si può quindi verificare che una strategia di comunicazione sia vincente rispetto all’altra anche perché ci sono molti altri fattori di marketing dei gruppi cui appartengono le due marche che possono influenzare le quote di mercato.

Occorrerebbero ricerche mirate e specifiche per determinare che tipo di posizionamento ne è scaturito nella mente dei consumatori e la sua efficacia nell’influenzare le vendite al di là poi del gusto vero e proprio del prodotto.
Tuttavia questa sorta di viaggio nel tempo dei due marchi, oltre magari a richiamare nel lettore nostalgie di momenti passati, mostra in modo ancor più netto, qualora ce ne fosse bisogno, di come ogni elemento che fa parte delle strategie comunicative dirette a definire l’identità e l’immagine di una marca, rivesta un ruolo importante e mai banale.

1 Il modello è tratto da A. Fontana – Storyselling – 2010, ed è a sua volta una rielaborazione tratta da A. Semprini – Marche e mondi possibili – 1993. Per il concetto di mapping vedi anche G. Marrone – Corpi sociali – 2001.
Dal “think different al “miglioriamo la vita” – cosa cambia aldilà del messaggio pubblicitario?

Dal “think different al “miglioriamo la vita” – cosa cambia aldilà del messaggio pubblicitario?

“Questo film lo dedichiamo ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti, e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli, perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.”

Recitava così il testo dello spot realizzato nel 1997 per conto di Apple che si chiudeva con il pay-off “think different” in evidenza, un messaggio che nel corso degli anni successivi è diventato un vero e proprio mantra per l’azienda.
Eppure solo l’anno precedente, Apple computer sembrava un’azienda in crisi con una tecnologia hardware e software ormai obsoleta; il cambiamento al vertice dell’azienda con l’avvento di Steve Jobs, oltre ai cambiamenti alla struttura interna, non visibili, si espresse con una nuova strategia produttiva che rompeva con il passato.

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I volti di personaggi del calibro di Albert Einstein, Bob Dylan, Martin Luther King, John Lennon, Thomas Edison, Muhammad Ali, Mahatma Gandhi, Picasso per citare i più noti ben si prestavano a veicolare il concetto di rottura degli schemi ed alla costruzione della mitografia del “Think Different” che cominciò ad essere più di un semplice slogan pubblicitario, trasformandosi di fatto in “mission” aziendale ed al tempo stesso aspirazione e autogratificazione di un cliente idealizzato.

In sintesi due parole quasi magiche, mitiche è giusto definirle, che sono state in grado di fondere la visione di un leader, la filosofia aziendale che ne è scaturita, la creatività dei suoi specialisti, la capacità di immedesimazione del consumatore, l’alone mitico di cui ogni prodotto ha bisogno.

La saldatura tra questo mantra e altri messaggi dell’azienda è sempre stata coerente nei significati profondi come per esempio è osservabile nei comunicati stampa di quel periodo dove nella parte finale si riproponevano spesso queste parole:
“Apple ha dato il via alla rivoluzione dei personal computer, negli anni ‘70, con Apple II, e ha proseguito su questa strada, reinventando il personal computer, un decennio più tardi, con l’introduzione di Macintosh. Ancora oggi Apple continua a guidare l’innovazione del mercato con gli innovativi e pluripremiati computer desktop e portatili Mac, il sistema operativo Mac OS X, le applicazioni per il digital lifestyle di iLife e quelle professionali. Apple sta inoltre guidando la rivoluzione della musica digitale con la linea di player musicali portatili iPod, leader di mercato, e con il negozio di musica online iTunes.”

Rivoluzione, reinvenzione, innovazione, ancora tre parole di rottura, perfettamente in sintonia con il concetto di think different e con le varie costruzioni discorsive utilizzate nelle pubblicità che seguiranno in quegli anni.
Quello che è successo negli anni successivi è quasi storia, ma quel che è certo ora è che il think different non è stato un semplice messaggio pubblicitario, è stato prima di tutto una “mission” aziendale che ha guidato la strategia di prodotto.

Pubblicità ipod

Pubblicità ipod

I risultati che possiamo osservare oggi non hanno bisogno di commento, ma sicuramente dovrebbero ispirare una riflessione sulla comunicazione d’impresa; certi messaggi, se scelti con attenzione, adeguati al contesto, condivisi anche all’interno dell’organizzazione, possono assumere un effetto trainante, una forza quasi trascendente altrimenti impensabile in altre situazioni.
È lecito chiedersi quante volte un messaggio pubblicitario consegua certi risultati pur senza dover ricorrere ad effetti speciali o spettacolarizzazioni costosissime e non viceversa veicolare un posizionamento adeguato e credibile nei fatti, nella mente del consumatore.

Anno 2013:
È questo. Quello che importa è questo.
L’esperienza di un prodotto. Come vivi un prodotto.
Come ti farà sentire
renderà la vita migliore?
Merita di esistere?
Dedichiamo tanto tempo a poche cose,
Grandi cose.
Perchè ogni idea che abbiamo migliora ogni vita che incontra.
Siamo ingegneri e artisti, artigiani e inventori. E firmiamo il nostro lavoro … 
Lo sentirai sempre.
Questa è la nostra firma.
E significa tutto.

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Una nuova campagna, il dopo Steve Jobs, un nuovo manifesto ed una nuova filosofia.
Ciò che conta è l’esperienza di un prodotto, è uno dei “must” del marketing attuale, “Ogni idea che abbiamo migliora ogni vita che incontra”;

cosa potrà ispirare questo slogan nel futuro, in che modo potrà influenzare le strategie dell’azienda?
È stimolante riflettere e confrontare i valori indotti dal pensare in modo differente e il migliorare ogni vita con ogni idea, per capire se questo cambiamento del messaggio potrà implicare anche cambiamenti nella filosofia dell’azienda.
Il pensare differente è pensiero laterale, è la ricerca costante di andare fuori dagli schemi, è distinzione ed esclusività per il consumatore che aderisce a questa valorizzazione, per questo ci si deve chiedere se, senza questa filosofia di pensiero, la Apple avrebbe creato i prodotti che ha fatto.

Anche dopo la fine della fortunata campagna del think different, l’azienda di Cupertino nel corso del tempo ha lanciato non solo l’iMac, ma soprattutto l’iPod, l’iPhone e l’iPad in ordine di tempo, prodotti ai quali è arrivata prima degli altri costringendo i competitor ad inseguire.

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Cosa dire invece del migliorare la vita e migliorare l’esperienza della gente? Che in fondo è l’essenza stessa della tecnologia quella di migliorare la vita, per cui non sembrerebbe esserci nulla di inedito in questa affermazione se non la conferma del core business dell’azienda.

Ma per estensione il migliorare la vita si può fare in tanti modi, anche costruendo prodotti con caratteristiche più limitate a prezzi più abbordabili. Il pensare differente invece no, è altra cosa.
Ora Apple che lancia sul mercato l’iPad da 7 pollici ad un prezzo più abbordabile del fratello maggiore, che commercializza modelli di iPhone con caratteristiche lievemente inferiori al 5s a prezzi più abbordabili, continua a migliorare la vita? Sta cercando di farlo per un numero di persone più ampio? Persegue sempre la stessa ricerca dell’esclusività?
È troppo presto per fare affermazioni, tuttavia l’interrogativo sulle strategie di Apple, sulle scelte che intraprenderà, su quali saranno i risultati è sicuramente stimolante.
Chiudo lasciando aperti questi interrogativi ai quali ognuno potrà dare la propria risposta, anche se dovremo aspettare un po’ di tempo per valutare a posteriori i risultati e capire se era meglio “think different” o “migliorare la vita”.

 

 

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Pubblicità simulacro dell’identità – eserciti in azione

Pubblicità simulacro dell’identità – eserciti in azione

Questo scritto prende origine da un’analisi di vari spot pubblicitari rintracciati su youtube che promuovono più o meno apertamente il “recruitment” nelle forze armate di varie nazioni.

Pur essendo un discorso pubblicitario riferito ad una “nicchia”, l’istituzione di cui si parla è spesso   referente dei simulacri identitari più o meno evidenti dei paesi di origine; in questi spot emergono spesso le impronte culturali di queste nazioni.

Come è noto la comunicazione pubblicitaria nasce per sua natura ed in modo esplicito con fini persuasivi peraltro noti ed accettati dall’audience cui tale messaggio è destinato, ed in estrema sintesi le strategie attuate si basano nel produrre un messaggio breve nel quale siano condensati i migliori valori, materiali o immateriali, di un qualcosa, comunicati attraverso l’uso di retoriche più o meno complesse.
Deve quindi esprimere la raffigurazione ideale del soggetto possibilmente cogliendo i punti chiave dell’immaginario del pubblico cui è diretta, al limite anche amplificandone i confini di realtà.

Nel caso di cui si parla, la caratteristica della pubblicità di poter essere un referente di aspetti culturali, trova un principio di validità per il fatto che gli specialisti pubblicitari che ricevono il compito di promuovere l’istituzione, realizzeranno il proprio lavoro studiando da una parte le caratteristiche del pubblico cui la pubblicità è rivolta, dall’altra individuando gli obiettivi espliciti o latenti del committente; la sintesi tra la creatività ritenuta più efficace per il pubblico e gli eventuali aggiustamenti dovuti al pragmatismo organizzativo del committente, rappresentano per certi aspetti la mediazione ideale per mostrare oggetti culturali1 del paese.

È logico supporre infatti che l’instaurarsi di un filo conduttore tra le esigenze di una forza armata e le istanze della società civile costituite anche dalle tendenze del mercato del lavoro, facilitino il ricorso ad una discorsività situata nel sociale, ed è quanto si vuol fare emergere in questo lavoro.
Attraverso questa tipologia di discorso sociale, si possono scorgere alcune valorizzazioni culturali appartenenti ai pubblici di riferimento, i loro riferimenti mitici, stereotipi ed idee comuni, a tratti anche il loro modo di rispecchiarsi nella realtà.

Sia nei casi in cui la tentazione di autoreferenzialità dell’istituzione sembra prevalere sugli obiettivi di “recruitment”, nel tentativo di promuovere la propria immagine o la propria visibilità politica, sia quando il messaggio sembra rivolgersi più direttamente alle risorse umane da attirare, si possono intuire i legami con la situazione sociale nel paese.
C’è anche un’altro aspetto che desta interesse, ovvero il fatto che pur spaziando tra nazioni notevolmente diverse per cultura, emergono elementi comuni tra i vari eserciti che ci si potrebbe azzardare a definire come i simulacri di “universali culturali” propri di ogni forza armata, qualunque ne sia la provenienza geografica.

Un aspetto trans-culturale emergenti mostrano correntemente attraverso le immagini il rapporto protesico tra l’uomo e la “macchina” in senso lato, rappresentato da militari che maneggiano armi, che conducono mezzi e sistemi complessi come carri armati, elicotteri, aerei, o apparecchiature tecnologiche come radar e computer.
Altro aspetto trans-culturale è l’ardire dell’uomo incorporato nella figura del soldato, vera e propria celebrazione di pratiche espresse da militari che compiono esercizi duri o mentre eseguono attività temerarie, e che in tal modo modellano l’immaginario collettivo di figure che denotano la mascolinità, la prestanza fisica, il coraggio e l’ audacia, l’ abilità e l’ eroismo.

In sintesi viene messo in scena il sottile fascino dell’eroe avventuroso che esercita sempre un forte potere di seduzione e di attrattiva in entrambi i sessi sia pure per ragioni ed istinti diversi.
Tornando alla ricerca, il lavoro di analisi si è soffermato su pubblicità prodotta alcuni anni fa negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Canada, India, Svezia, Repubblica Ceca, Russia, Ucraina, Libano ed infine in Italia, e in tutti i casi è stato possibile osservare elementi sia delle identità culturali, sia di quelli che potrebbero definire elementi salienti di un brand.
La visione dei vari filmati non potrà che arricchire la descrizione di queste poche righe.

 La mitografia della forza e dell’individualismo 


Lo spot è stato realizzato da Mc Cann – Ericsson nel 2006 per l’esercito americano, una clip di quasi un minuto che lavora oltre che con le immagini anche con il registro sonoro; all’ iconografia tipica del soldato americano, quella del guerriero che si addestra fisicamente, che sfoggia temerarietà e preparazione in azione, si sovrappone la voce narrante che indugia molto nei termini “strong” e “strenght”, una sorta di onomatopea fonetica della forza che si declina nel comandare, nell’obbedire, nel cameratismo, nel superare ostacoli, nel saper superare i propri limiti.

Oltre alle parole la celebrazione dell’individualismo avviene quando la macchina da presa indugiando sulle targhette portanome dei soldati, vagamente richiamando una multi etnicità, in realtà esprime la forza di singoli che avendo la capacità di superare se stessi, formano un esercito che non ha rivali.

 Tecnologia e dinamismo 


Una clip di 30 secondi che mostra armi, strumentazioni tecnologiche, soldati in azione, che vuol rafforzare il suo messaggio con una scansione dei tempi molto sostenuta creata in post produzione con tagli e cambi di scena molto rapidi; la voce narrante sottolinea che non si tratta di un lavoro come altri, che significa tecnologia, opportunità, azione, sfide in giro per il mondo. Un segno all’identità di genere è veicolato mostrando una donna soldato impegnata in un attività limitatamente cinetica, non partecipa alle sequenze di azione più temerarie, mentre la voce narrante, in questo caso femminile, pronuncia la parola tecnologia.

Nel pay off finale vengono proposti due termini, la forza e l’orgoglio mentre le inquadrature indugiano nel mostrare dispositivi di alta tecnologia.
Confrontando questa clip con quella dell’esercito americano, notiamo come il Canada, considerando che dispone di forze armate di dimensioni più contenute, tende a sottolineare l’elemento tecnologico come valorizzazione chiave, mentre l’elemento umano viene a collocarsi in secondo piano.

 Una struttura “tosta” 

 http://www.youtube.com/watch?v=pgUOAVolSlo
In questa clip della Repubblica Ceca, aerei, elicotteri d’attacco, carri armati e forze speciali in azione sono gli elementi dominanti evidenziati nel filmato. L’individualità è praticamente senza volto, l’uomo è assimilato ad una macchina da combattimento in azione, un tutto perfettamente coordinato, mentre la colonna sonora si sviluppa in un crescendo di sottile tensività e raggiunge la sua apoteosi appena prima dei frame finali della clip, quando entra in scena la voce narrante. In questa fase riprendendo uno schieramento di truppe, attraverso la camera e gli effetti in post-produzione si crea la percezione di una moltiplicazione delle forze schierate, quasi a dare “quantità” all’ entità di questa forza armata, mentre la voce narrante chiude con tono greve il claim enunciando le forze armate professionali della repubblica Ceca.

 E le donne? 

http://www.youtube.com/watch?v=RvPJ5rlW5gA
Questa clip dell’esercito svedese è assai datata perché è del 1994, ma desta curiosità per un aspetto particolare, ovvero come viene tradotto il concetto di genere, quando probabilmente in quel paese si era agli inizi di quel cambiamento. La struttura narrativa ha diverse similarità con quella della repubblica Ceca, nel senso che vengono mostrati spesso armamenti, mezzi di combattimento e le attività di ardimento dei soldati.

L’elemento di discontinuità si può rintracciare nei modi di mostrare il nuovo ruolo della donna nelle forze armate; in una scena una donna soldato cammina davanti ad un carro (tecnicamente esegue una ricognizione a vista) in un’altra scena è alla guida di un mezzo. Ad una attenta osservazione si nota come queste scene rappresentino delle variazioni di ritmo, quasi un rallentamento all’andamento generale del filmato, un modo, non sappiamo quanto voluto o inconsapevole, di esporre una differenza non cancellabile tra l’ancestrale mascolinità del guerriero ed i nuovi ruoli che solo la modernità e l’evoluzione degli scenari consente alla donna di ricoprire.

 Il meglio per la tua vita: appartenenza, tradizioni, opportunità 


Una promessa assai impegnativa, ma estremamente allettante quella che l’esercito indiano offre agli aspiranti Ufficiali. All’interno di una società dove le caste sono una caratterizzazione culturale estremamente forte ancora oggi, l’esercito indiano offre l’opportunità di appartenere ad una classe privilegiata, e attraverso le immagini la risorsa umana è al centro e viene qualificata da questa appartenenza.

Le immagini infatti ritraggono le figure dei cadetti in addestramento formale, durante le attività addestrative tipiche di combattimento o di atletica, ma anche le immagini di uomini che praticano golf, equitazione, tuffi, vela, attività di una certa esclusività che promettono l’appartenenza ad una elite.
Queste scene vengono poi intramezzate da messaggi su sfondo scuro che accostano il superlativo “the best” a tradizioni, sfide, opportunità, carriera, tempo, in definitiva il meglio per la propria vita.

 Dietro l’addestramento l’uomo, l’amicizia, il cameratismo

 http://www.youtube.com/watch?v=tHmiqmfNLhE&list=TLpIqN5iKlRk4

Per l’esercito russo due clip che costituiscono una unica narrazione, dove armamenti ed azione lasciano anche un certo spazio all’essenza umana; due commilitoni che si salutano e si abbracciano vigorosamente, uno spazio per il protagonista che parla “in macchina” delle sue esperienze e ancora i commilitoni che lo chiamano e lo aspettano sopra un mezzo in partenza. Un modo per veicolare, dietro la potenza di questo esercito, la dimensione umana, l’esistenza e perciò stesso, l’importanza dell’amicizia e dello spirito di cameratismo, di solidarietà che vige nell’ambiente.

 Il senso di appartenenza – Qualità superiori alla qualifica 

http://youtu.be/WstN-rudtvA
Questo spot dell’esercito inglese è quello che maggiormente si differenzia da tutti gli altri e per certi aspetti connota la cultura del paese da cui proviene. Nelle immagini si mostra una situazione tipica delle recenti missioni che si svolgono nelle aree di crisi dove un gruppo di uomini del posto sta partecipando ad una animata discussione che rischia di trasformarsi in rissa.
Nelle vicinanze interviene un ufficiale dell’esercito inglese, che con grande equilibrio e fermezza, soprattutto con grande carisma impone ai litiganti di smetterla, riporta la calma e convince i bellicosi abitanti locali a tornarsene nelle proprie case.

Il pay-off finale recita “Ufficiale nell’esercito: qualità superiori alla qualifica”; la celebrazione di qualità elevate è quindi il modo per stimolare il desiderio di appartenere a questa classe di persone.
Molto diverso il modo di raffigurare l’ufficiale, non alle prese con le armi, ma padrone della forza del suo carisma e delle sue capacità comunicative, un inno alla persona più che agli strumenti, una connotazione fortemente “culturalizzata” ed esclusiva, anglosassone a tutto tondo.

 Il fascino della divisa…forse troppo 

http://www.youtube.com/watch?v=cH_E6YSQqTo
Questa clip realizzata dall’Ucraina non va troppo per il sottile, e per attrarre il suo target mostra la straordinaria attrazione che un soldato su un blindato esercita su 5 belle ragazze; queste smettono immediatamente di prestare attenzione ad un altro uomo che stavano “circuendo” proprietario di una BMW e si dimostrano subito pronte a seguire il blindato con i soldati a bordo.

Un po’ esagerato, ai limiti del grottesco anche se descrittivo della realtà sociale del paese e di come anche le istituzioni debbano cercare di ammaliare il proprio target per poter esercitare un potere di attrazione.

 Il rispetto della gente 


Un video che per essere pienamente compreso richiede di conoscere la storia recente del Libano. La gran parte dello spot mostra gente che con deferente rispetto ed ammirazione porge il saluto militare; nei cambi di inquadratura si nota un militare dell’esercito libanese che quasi sorpreso ricambia con un cenno di cortesia i segnali di rispetto ricevuti.

Pur nella iper-realtà presentata c’è comunque un segno di verità e rispetto per questa istituzione che, stando alla storia, ha cercato di mantenersi sempre neutrale tra le violente diatribe e la guerra civile che è stata vissuta da quel paese.

 Noi siamo pronti … per far vincere la pace – tecnologia e armi in azione 

 http://www.youtube.com/watch?v=XTyKZXi3_ls;
All’inizio del nuovo millennio, l’esercito italiano decide di raccontare se stesso ai giovani che cerca di attrarre e lo fa con un impulso sicuramente nuovo rispetto alle sue consolidate tradizioni.

È un esercito che comincia a misurarsi con le missioni di pace, che sta progressivamente adottando il modello professionale, che vuole costituire un punto di attrazione per il dinamismo giovanile, così influenzato dai miti americani, e pertanto decide di proporsi con una serie di 5 spot che mettono in scena una organizzazione pronta ad agire, a combattere, che mostra con convinzione armamenti e tecnologie, che mostra uomini pronti a combattere, preparati, con dialoghi costruiti su un codice linguistico tarato per gli addetti ai lavori ma che tradisce un certo fascino “da marines”.

Una serie di sequenze spesso “asciutte”, scevre da passioni, quasi distanti rispetto alla nostra cultura e abitudine, ma che vogliono decisamente rompere con le immagini del passato.
Soltanto in alcune scene, ad esempio dove un militare si gira la fede nel dito, in un’altra uno di essi stringe tra le mani un piccolo pèluche, probabile regalo di un proprio caro, si recupera una dimensione affettiva ed umana dell’ uomo in divisa.


Una narrazione attraverso una serie di spot che sembra un po’ troppo fare il verso ai miti americani penalizzando con ciò l’ identità nazionale, tuttavia emerge evidente la volontà di scrivere un nuovo discorso e di costruirsi una nuova immagine ed una nuova identità.

Di fatto con questa breve rassegna si è cercato di portare alla luce alcuni tratti dell’identità di vari eserciti, alcuni perfettamente in linea con la cultura e la conoscenza che abbiamo dei loro paesi di origine, in altri casi invece in modo inedito e “straniante”, ma comunque messaggi che dimostrano chiaramente come attraverso essi si cerchi di affermare una specifica identità.

1 “Un oggetto culturale può definirsi come un significato condiviso incorporato in una forma” –definizione di W. Griswold (1986)