VISUAL STORYTELLING E TURISMO – LA NARRAZIONE DELL’ESPERIENZA TURISTICA ATTRAVERSO I SOCIAL MEDIA

VISUAL STORYTELLING E TURISMO – LA NARRAZIONE DELL’ESPERIENZA TURISTICA ATTRAVERSO I SOCIAL MEDIA

Sicuramente i social media costituiscono una piazza virtuale dove si può costruire il racconto (o la promessa) dell’esperienza turistica, a condizione che ci siano narratori che vogliano creare e rendere disponibili queste narrazioni. Uno sguardo ai professionisti del settore con qualche sorpresa sullo sfondo

Il settore turistico è sicuramente uno dei settori in cui la componente visiva della comunicazione ha un’importanza fondamentale per trasmettere emozioni.
Uso non casualmente “trasmettere emozioni” anziché per esempio “mostrare la bellezza dei luoghi”, perché aldilà della relazione di implicazione tra queste due forme, diversa è la filosofia di fondo che le contraddistingue.

Se il mostrare la bellezza di qualcosa implica una relazione con l’estetica, il trasmettere emozioni è un atto che persegue una performatività nel richiamare o nel promettere un’esperienza di vita, che tende a stimolare una risposta cognitiva più complessa ma al tempo stesso più intensa e coinvolgente.

D’altronde la rete consente a qualunque navigatore di trovare immagini praticamente di qualsiasi parte del mondo, consente di visitare i siti di hotel, di osservare luoghi mozzafiato, per cui per un tour operator la pratica di mettere in mostra delle belle immagini per allettare un cliente e convincerlo ad aderire alla proposta di un pacchetto di per sé potrebbe non essere più sufficiente. Ne è possibile pensare che con l’ abbondanza di immagini disponibili, si possa essere nella condizione di poter esercitare una supremazia “estetica”; occorre puntare su altri elementi.

Tradizionalmente siamo abituati alle immagini più o meno seducenti contenute prima nei cataloghi poi nei siti web dell’era di internet 1.0 , strumenti che forse stanno perdendo parte della loro efficacia perché incalzati dalle potenzialità dei nuovi mezzi a disposizione, primi fra tutti i social media.

D’altronde le nuove tendenze nel marketing mettono al primo posto l’esperienza, ci parlano del viral marketing come strategia che magnifica il tradizionale passaparola, ci dicono che nell’ambito della comunicazione niente è più efficace dello storytelling e pertanto dell’esigenza di disporre di una buona strategia narrativa. E come appena detto niente sembra essere più efficace delle piattaforme di social media esistenti a condizione di utilizzarle secondo le loro potenzialità.

Sarebbe pertanto logico attendersi che i tour operator siano i più attivi e pervicaci utilizzatori delle potenzialità dei social media, sia per arginare l’erosione del volume d’affari provocata dal turismo fai da te e dai siti di prenotazioni on-line, sia per il fatto di operare in un settore così sensibile all’uso delle immagini, fatto che dovrebbe averne affinato la capacità di sfruttare i mezzi disponibili. Ma le cose non stanno esattamente così.

Immagine1Una ricerca condotta sulla presenza e sui modi di sfruttare i social media da parte dei più noti tour operator, ha mostrato che nel settore esistono alcune carenze più o meno accentuate e che destano una certa sorpresa, segno che c’è ancora da lavorare nella comunicazione visiva. Vediamo in sintesi che cosa è emerso.

l’approccio social 
Quasi tutti i principali tour operator dispongono di una pagina Facebook e/o di una pagina su Google+, e pur considerando il formato imposto da queste piattaforme, non si notano sostanziali differenze di impostazione. Troppo spesso i post pubblicati ricordano nel formato grafico le pubblicità che di norma vengono fatte su carta stampata o su riviste: la foto invitante di un posto e l’invito ad approfittare di un’eventuale offerta per acquistare un pacchetto di viaggio, spesso la foto di copertina dei cataloghi, standard che non esaltano la fantasia.

Poco usati i link che rinviano a volte ai propri portali, altre volte a video sulla cui fattura sorge qualche perplessità. Anche l’invito alla conversazione non è molto forte, infatti oltre ai like e alle condivisioni, i commenti sono generalmente pochi, ed in tal senso il coinvolgimento sembra abbastanza limitato.

Immagine8In generale non emergono segnali nitidi che mostrino la scelta di un posizionamento di brand ben delineato da parte dei vari operatori, ovvero la scelta di narrarsi in un determinato modo, si intravede una sorta di appiattimento e forse è anche per questo che il coinvolgimento social non sembra così forte almeno in termini di commenti.
Soltanto I Viaggi dell’Elefante (su Google+), I Grandi Viaggi (su Facebook) e Eden Viaggi (su Facebook) provano a “staccarsi” dalla media mostrando una comunicazione più vivace e uscendo dalla logica del catalogo virtuale.

Su Youtube alcuni operatori come Veratour, Eden viaggi, i Viaggi dell’Elefante e Francorosso hanno creato un loro account ufficiale sui quali si trovano vari video, alcuni dei quali anche con una buona caratterizzazione narrativa. Ovviamente le caratteristiche di un video, potendo sfruttare meglio le dimensioni spazio e tempo, meglio si prestano alla configurazione narrativa.

Tuttavia dalle clip aventi più o meno la durata di uno spot, a quelle in formato documentario, c’è uno spazio di differenza che meriterebbe forse una più accurata valutazione basata sulla “user experience”. Sorprende comunque che altri operatori di non secondaria importanza (es. Alpitour) siano presenti senza un loro account ufficiale, o addirittura assenti.

In tal senso un paragone fatto con gli account di Costa Crociere e MSC Crociere svela sin da subito il diverso approccio seguito da questi ultimi nel raccontare in video l’esperienza di viaggio, e con ciò il numero di visualizzazioni medie registrate la dice lunga sul gradimento degli utenti.

Immagine2La piattaforma Pinterest invece, un social in forte crescita che ha una spiccata caratterizzazione visiva, che offre la possibilità di organizzare nei suoi board sequenze di immagini tematizzabili opportunamente e che consentono di costruire efficaci strategie di visual storytelling, non sembra affatto adeguatamente valorizzato e sfruttato.
Infatti la possibilità di assemblare le diverse immagini in modo da rappresentare una suggestiva narrazione dell’esperienza turistica è una possibilità che il mezzo offre, mentre invece in linea di massima i risultati sono abbastanza deludenti.

Soltanto tre tour operator che dispongono di account degni di nota sono stati rintracciati.
Nell’ordine I viaggi dell’Elefante (17 board, 2.273 pin, 1.415 like, 530 followers), Veratour (11 board, 409 pin, 0 like, 64 followers) e Eden viaggi (6 board, 164 pin, 27 like, 232 followers) sono presenti in modo strutturato, anche se il numero dei followers e l’organizzazione dei board risultano in definitiva non esaltanti.

La proposta di board che con nomi simili tematizzano natura, spiagge, cibo, hotel e resort, compaiono nella pagina di tutti e tre gli operatori. Soltanto i Viaggi dell’Elefante con le bacheche “fantasticare” e “foto spettacolo” e Veratour con la bacheca “facce da Veratour”, provano a percorrere strade diverse in un panorama che appare un po’ privo di fantasia e dove forse manca un po’ di coraggio nel percorrere strade alternative.

Ultimo, ma non meno importante aspetto notato, la mancanza quasi totale di una reale sincronia tra le diverse piattaforme utilizzate; ogni operatore utilizza l’account di una piattaforma social con pochissimi rimandi ai suoi stessi account presenti in altre piattaforme, con ciò limitando fortemente un discorso sincretico che valorizzi la navigazione social degli utenti.

Esperienza turistica 
Che cosa si intende dunque per esperienza turistica? È lecito pensare che il miglior modo sia partire da una valutazione introspettiva nel richiamarsi ad una esperienza passata e riflettere su come si compone questo ricordo. Non sarà difficile ritrovare nella memoria una traccia narrativa che si articola attraverso alcuni elementi basilari e che di fatto costituisce uno script sul quale si andrà a costruire il progetto per un’esperienza futura.

Innanzitutto le motivazioni all’origine della scelta di un’esperienza turistica che variano non solo a seconda delle persone, ma anche in funzione del loro particolare momento di vita. Senza la pretesa di esaustività in questa sede, certamente motivazioni quali la gratificazione del sé, l’ostentazione, il desiderio di “alterità”, l’essere in linea con i trend, la voglia di fuga, il relax, le conferme al proprio immaginario, la libertà di fare, il sogno, l’istinto, sono alcune delle motivazioni a premessa dell’esperienza turistica e che in qualche modo una proposta deve saper abilmente richiamare ed in qualche modo promettere.
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Poi l’esperienza vissuta (o ancora da vivere) che nel racconto contempla inevitabilmente una serie di unità semantiche fondamentali, strutture definibili come turistemi, tra i quali frequentemente si rintracciano natura e paesaggio, cultura e arte, mito, avventura, clima, cibo, qualità servizi, aspetto ludico ed altri ancora. Sono unità tematiche che fanno parte della nostra esperienza del viaggio ma che al tempo stesso saranno ricercate nel progetto di un nuovo tour, e che quindi dovranno essere adeguatamente figurativizzate e messe in discorso in una qualunque proposta.

Poi aspetti strettamente connessi alle emozioni, ai momenti topici quali l’attesa, il viaggio stesso, la conferma delle aspettative, le interazioni con le persone e l’esperienza con culture altre, l’acquisizione dei totem di viaggio, oggetti o fotografie, cibi e bevande, l’adrenalina dell’avventura, le sensazioni di appagamento nel relax o nell’evasione.
Sono questi gli elementi su cui si fonda l’ esperienza di viaggio, ciò che raccontiamo ai nostri amici al ritorno, ed al tempo stesso i punti di riferimento su cui basare il progetto di una nuova esperienza.

Se ne deduce quindi che la combinazione ideale tra motivazioni, turistemi ed emozioni costituisca il mix più efficace di un esperienza indimenticabile, e che con tutta probabilità una narrazione visiva idealtipica di una esperienza possa costituire la promessa migliore ed il modo più valido per sfruttare al meglio le possibilità offerte dalla tecnologia e dalle piattaforme social esistenti.

Conclusioni

In conclusione, da quanto osservato sembrerebbe che gli operatori del settore non abbiano ancora pienamente recepito come sfruttare l’ambiente 2.0, visto che tranne qualche eccezione emergono situazioni che denotano un uso dei social media alquanto approssimativo.

Altro aspetto importante è la sensazione che nell’uso di questi mezzi siano ancora utilizzate modalità simili all’uso personale dei profili social media, mentre invece sono necessarie per questi strumenti logiche professionali che richiedono una accuratezza e un processo di pianificazione strategica ben calibrata al pari degli altri strumenti di marketing o di comunicazione pubblicitaria.
Ovvio che in tale contesto parlare di storytelling dell’esperienza di viaggio sembra abbastanza prematuro.

È sorprendente notare che, come detto, in un settore nel quale il turismo fai da te attraverso internet consente a chiunque di costruire il proprio viaggio, diventando con ciò il più potente concorrente dei tour operator, i segnali di una risposta organica a questa minaccia sembrano assai timidi.

Il detto di una pubblicità Alpitour di una ventina di anni fa, “turista fai da te? Ahi, ahi ahi” sembra vacillare pericolosamente, per cui gli operatori del settore dovranno cominciare a chiedersi dove possa essere il plus della loro offerta, che non può limitarsi certamente alle sole immagini.

Non si conoscono i risultati commerciali che magari potranno anche essere soddisfacenti, tuttavia non guasta mai siano ancora migliori, ne d’altro canto farebbe danno operare un posizionamento del brand ben saldo nelle sue promesse anziché viceversa porsi semplicemente come un marchio che genericamente opera nel turismo. In tal senso si è dell’avviso che una strategia e una pianificazione adeguata anche e soprattutto nell’utilizzo dei social media, potrebbe portare nel medio periodo risultati sia dal punto di vista commerciale, sia dal punto di vista della web reputation.

 

 

Le immagini sono state volutamente rese anonime rispetto ai profili dove sono state pubblicate.  Qualora l’operatore le riconosca e ne desideri la riconoscibilità, è pregato di comunicarlo all’autore.
BRAND POSITIONING E PAY OFF – UN  CONFRONTO IN UN VIAGGIO LUNGO 30 ANNI

BRAND POSITIONING E PAY OFF – UN CONFRONTO IN UN VIAGGIO LUNGO 30 ANNI

Un paragone a cavallo del tempo tra le pubblicità di due marchi storici, un breve viaggio ove scorgere nelle immagini di qualche anno fa la pseudo realtà ed i miti del momento.

Uno degli obiettivi fondamentali della comunicazione pubblicitaria di norma dovrebbe essere la costruzione di un posizionamento ben definito e strutturato nella mente del consumatore, al fine di rappresentare per quest’ultimo un riferimento immediato ed attraente da seguire per un’esperienza di consumo, aspetto al quale il marketing attuale attribuisce notevole importanza almeno al pari del semplice atto di acquisto di un prodotto.

A volte uno degli elementi fondamentali che concorrono al posizionamento di una brand consiste proprio nella scelta di un pay off ben concepito, quella breve frase che chiude un messaggio pubblicitario, spesso filo conduttore tra una campagna e l’altra, che ha il compito di sintetizzare in pochissime parole l’identità o il sistema di valori a cui la marca fa riferimento.

Ci sono stati pay off capaci di durare decenni sino a diventare un vero e proprio mantra della marca, che in alcuni casi sono entrati nel linguaggio comune travalicando persino i confini della marca (chi non ricorda per esempio il celebre claim della Lavazza “più lo mandi giù, più ti tira su”?), altre volte invece il pay off viene cambiato più spesso per varie cause che possono riguardare strategie comunicative, scarso favore del consumatore, mutate condizioni di consumo o della realtà sociale cui si riferiscono.

In questa sede vorrei proporre il confronto della pubblicità di due noti marchi, Averna e Ramazzotti, appartenenti allo stesso settore di mercato, compiendo idealmente un piccolo viaggio nel tempo e recuperando alcuni spot diventati famosi realizzati dalla metà degli anni ’80 in poi, un’esperienza vintage che consente di rivedere alcuni frangenti della quotidianità idealizzata di quegli anni, una peculiarità della pubblicità, del suo essere situata, strettamente riferita al tempo a cui appartiene.

Pertanto di seguito si riporta un breve riassunto degli spot insieme al link ove osservarli sulla piattaforma youtube da cui sono stati tratti, a beneficio di nostalgici e curiosi.

 Ramazzotti “Milano da bere” (anno 87) 
Una campagna famosa anche per questo pay off un po’ provocatorio che nasce alla meta degli anni ’80 nel periodo dello “yuppismo”, dei giovani rampanti in carriera; uno spot da 30 secondi con tagli di scena rapidissimi che racconta la giornata di una città dinamica, che lavora, dove si vedono studenti di fretta, operai in cantiere, colletti bianchi, taxi, metro, dove la parodia del consumo si celebra nella parte finale dello spot: un uomo e una donna che denotano un certo status al ristorante con un cameriere in papillon che serve il Ramazzotti; è qui che il pay off “Milano da bere” opera un posizionamento “alto” mediante la metonimia delle immagini. Si celebra il momento di consumo in un luogo esclusivo riservato a persone di successo al di là del racconto di una città che lavora. Un posizionamento che ricevette anche diverse critiche per la sua scelta di legare la marca alla città della finanza per antonomasia.

 Ramazzotti “giovane amaro” (anno 94) 
Un pay off diverso per questo breve spot di metà anni 90 (20’), che tuttavia nelle immagini conferma le icone dei protagonisti, giovani eleganti, uomini e donne di successo, dove va in scena persino l’emulazione della scelta del Ramazzotti, ma il consumo è sempre lì, in un ristorante esclusivo, un posto pubblico, un prodotto per una certa classe di persone.
http://youtu.be/y7HTGgIA-lo
 Ramazzotti “Amaro positivo”(anno 99) 
una clip molto breve (15’), dalla scena di un matrimonio, ad un uomo in bici, al consumo del Ramazzotti in un ambiente indistinto ma privato, ancora un uomo all’aperto ed infine un bel volto femminile per richiamare (sovrascritta!) la passione, il liquore che fluisce in un bicchiere annuncia il pay off finale “da che mondo è mondo .. amaro Ramazzotti, amaro positivo”. Cambia molto in questo spot, cambia la tipologia di personaggi ma soprattutto cambia il momento di consumo, cambia l’esperienza che ne viene richiamata.

 Ramazzotti “200 anni da bere” (anno 2014) 
Una clip molto breve (10’), una bottiglia al centro della scena e un mondo che simbolicamente gira intorno mostrando cronologicamente persone e costumi che richiamano i 200 anni di tradizione come spiegato dalla voce narrante, che chiude con il pay off “200 anni da bere”; gli abiti, almeno quelli dei giorni nostri, sono informali, non si ostenta esclusività, ma il momento di consumo è tornato in uno spazio pubblico, in un luogo di relazione.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anni ’80) 
un giovane regista dirige le prove di coreografia di una scena, un uomo maturo osserva, il giovane lo nota esprimendo sorpresa e gioia, i due si abbracciano, è probabilmente l’incontro tra padre e figlio, è il momento della pausa e i due uomini gustano insieme amaro Averna mentre la voce narrante canta “Amaro Averna scalda il cuore .. il gusto pieno della vita”.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 99) 
Una festa in casa e giovani vestiti in modo informale bevono Averna, in parallelo una bella ragazza cammina in strada e nel cambio di scena il suo volto è nella copertina di un magazine, cade una goccia di Averna sulle labbra ritratte in copertina e nel nuovo cambio di scena dal vivo la ragazza pare riassaporare con le labbra il gusto dell’amaro, quasi a richiamare alla mente il ricordo del sapore; la voce narrante che dice “gusto chiama gusto, Averna il gusto pieno della vita”.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 2008) 
Il jingle inizia “Dimmi quand’è…”, una macchina in fila, un giovane ben vestito che nota un cane abbandonato e scende dall’auto per accarezzarlo, un abbraccio tra padre e figlio, due fidanzati che discutono e lei che improvvisamente ferma l’auto in mezzo alla strada e scende prima accigliata poi abbozzando tra sé e sé una sorta di sorriso complice, una coppia sorridente che in ambiente domestico consuma l’amaro, il testo del jingle che in modo estremamente appropriato scandisce e descrive le scene e conclude con le parole “dimmi quand’è che hai vissuto le piccole cose con il gusto pieno della vita” enfatizzando in tal modo il valore speciale di aspetti della quotidianità e del privato tra le quali il consumo dell’amaro si propone in entimema.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 2014) 
Il jingle che inizia “Ci son momenti che ….”, tre giovani su un tetto, cambio di scena ed altri che costruiscono un castello di carte mentre bevono amaro Averna, poi l’abbraccio tra padre e figlio, un falò in spiaggia tra giovani, una giovane coppia che nella propria casa sembra aver messo a dormire i bambini e si gode un attimo di serenità gustando l’ amaro, ancora una volta lo scandire preciso ed appropriato del jingle che conclude dicendo “…se ci pensi un po’ su niente conta di più, l’emozione che c’è quando scopri le cose più vere Averna il gusto pieno della vita”, magnificando anche in questo caso il valore delle piccole cose della quotidianità a cui amaro Averna sembra appartenere.
http://youtu.be/dMuUtXoCHR8

Due mondi possibili (A. Semprini – 1993) ben diversi quelli descritti e rappresentati dalle due marche, ognuna delle quali propone le sue storie facendo riferimento a sistemi di valori differenti a tratti persino in opposizione tra di loro.

Il Ramazzotti, pur avendo adottato una discontinuità nei vari pay off, prima Milano da bere, poi giovane amaro, poi amaro positivo infine 200 anni da bere, attraverso la sintassi delle immagini, carte di credito, il sole 24 ore, camerieri in papillon, ristoranti d’elite, protagonisti vestiti in modo ricercato, adotta regimi discorsivi che tracciano un mondo possibile caratterizzato dall’ espressione di un io idealizzato che connota prestigio, successo, status, seduzione.

L’amaro Averna invece sceglie un mondo privato fatto di piccole cose, quelle che in fondo sono veramente importanti, il gusto pieno della vita, un claim che dura da 30 anni e che mostra lo spazio degli affetti, dell’amore, delle piccole grandi emozioni della quotidianità e dell’intimità, dove Averna si candida discretamente ad esserne testimone. È un pay off che si afferma, costante e sicuro nel tempo, sempre allo stesso modo pur in una società che cambia nelle sue forme esteriori.
averna

Sono pertanto due brand che portano avanti due narrazioni in potenziale opposizione tra di loro come si può osservare nel mapping semiotico rappresentato in figura1, che ancorché appartenenti alla tipologia di narrazioni utopiche, visto il genere merceologico, scelgono di farlo adottando due sfere di valori assai diverse; mentre Ramazzotti deve adeguare il suo pay off al momento biografico dell’audience (A. Fontana) avendo optato per il mondo sociale, Averna può mantenerlo inalterato avendo puntato sulla sfera privata.
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Ci sarebbe da precisare tuttavia che all’epoca il successo del claim “Milano da bere” suscito, per la verità, diverse critiche in quanto capace di alimentare polarizzazioni opposte tra chi apprezzava quella proiezione del sé, e chi invece mal digeriva quella connotazione definita un po’ “spocchiosa”.

Non ho disponibili dati di marketing recenti affidabili, anche se sembra che verso la fine degli anni ’80 l’amaro Averna risultava come il più venduto con una quota di mercato del 24%, seguito a ruota dall’ Amaro Montenegro (22%), e poi da Ramazzotti (13,5%). Non si può quindi verificare che una strategia di comunicazione sia vincente rispetto all’altra anche perché ci sono molti altri fattori di marketing dei gruppi cui appartengono le due marche che possono influenzare le quote di mercato.

Occorrerebbero ricerche mirate e specifiche per determinare che tipo di posizionamento ne è scaturito nella mente dei consumatori e la sua efficacia nell’influenzare le vendite al di là poi del gusto vero e proprio del prodotto.
Tuttavia questa sorta di viaggio nel tempo dei due marchi, oltre magari a richiamare nel lettore nostalgie di momenti passati, mostra in modo ancor più netto, qualora ce ne fosse bisogno, di come ogni elemento che fa parte delle strategie comunicative dirette a definire l’identità e l’immagine di una marca, rivesta un ruolo importante e mai banale.

1 Il modello è tratto da A. Fontana – Storyselling – 2010, ed è a sua volta una rielaborazione tratta da A. Semprini – Marche e mondi possibili – 1993. Per il concetto di mapping vedi anche G. Marrone – Corpi sociali – 2001.
USER GENERATED CONTENT E INTERAZIONI VIRTUALI – IDENTITA’, ISTINTI E PSEUDO NARRAZIONI NELLE CONVERSAZIONI DELLA RETE

USER GENERATED CONTENT E INTERAZIONI VIRTUALI – IDENTITA’, ISTINTI E PSEUDO NARRAZIONI NELLE CONVERSAZIONI DELLA RETE

Le conversazioni nei social media sono sempre più specchio della società, forme di interazione virtuale che ripropongono nei formati propri della rete, la parodia di atteggiamenti ed istanze della quotidianità; isterie, superficialità, narcisismo, intolleranza, insulti, sono alcuni degli ingredienti che costituiscono  discorsi sociali, idee comuni e narrazioni collettive.

Uno degli aspetti più rilevanti nei social media è che attraverso la lettura dei commenti si può ottenere uno spaccato dei discorsi sociali, delle idee comuni e delle modalità di interazione dei frequentatori della rete.
Pur avendo già parlato di questa peculiarità in precedenti articoli, la particolarità delle conversazioni createsi su due post pubblicati a fine dicembre hanno rappresentato una tentazione troppo forte per tornare sull’argomento, specialmente per i toni usati nei contenuti, elementi di un fenomeno che si fa fatica ad inquadrare se preoccupante o a tratti addirittura esilarante.

Cosa ci può essere di meglio se non due post originati da fatti pseudo calcistici sui quali un buon numero di persone ha cercato di tirare fuori il meglio di sé? Come non meravigliarsi per coloro che professandosi scandalizzati da tali fatti, si sono espressi contro i responsabili degli episodi e contro gli autori di commenti di tono diverso dal loro con termini che definire forti in alcuni casi rischia di diventare un eufemismo?
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Gli argomenti in questione riguardano un post del Corriere della sera in merito al pestaggio di un tassinaro per una divergenza di opinioni calcistiche, e uno di Repubblica relativo ai cori beceri di una partita di squadre giovanili tra tifosi torinisti e juventini.

Ritengo interessante mostrare un piccolo campionario di “aforismi”, scusandomi idealmente per averne esclusi tanti altri comunque “meritevoli” che non hanno trovato spazio per ragioni di sintesi, e soprattutto mi scuso con gli autori al quale ho preferito non fare pubblicità.
Non entrerò nel merito dei fatti, entrambi deprecabili, se non con poche parole più avanti, mentre viceversa vale la pena fare qualche sintetica riflessione su alcuni aspetti particolari indotti dai social media:
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  • Interazioni virtuali

L’avvento della cosiddetta “Computer-Mediated Communication” (CMC), forma di comunicazione mediata dal computer, contraddistinta dalla natura ibrida del linguaggio utilizzato, una forma originale con un lessico a meta strada tra oralità e scrittura, una sorta di simulazione della comunicazione faccia a faccia che però non contempla l’interazione materiale dei partecipanti nello stesso ambiente.

Queste forme di interazione virtuale, gran parte delle quali basate su legami sociali deboli ed estremamente disomogenei, caratterizzati dall’assenza di vincoli formali, a differenza invece di quanto accade nelle interazioni quotidiane della propria sfera sociale, e da una reciprocità di status “virtuale”, favoriscono una discussione “disinibita”, libera dal dover dire cose “socialmente accettabili” al di fuori degli schemi di relazione del gruppo di appartenenza.
Il risultato è l’espressione di sentimenti viscerali, senza la mediazione del proprio io socializzato, favoriti dal non dover esporre la propria faccia, compartecipi in tal modo di un flusso di pensiero collettivo basato sugli istinti ed inevitabilmente tendente a forme di radicalismo.
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  • Narcisismo digitale

La realtà generata dal fenomeno degli “User Generated Content”, ovvero la possibilità offerta praticamente a tutti dalla tecnologia, di trasformarsi da spettatori a produttori dell’informazione, una tendenza al mediattivismo1 in cui certe forme di produzione mediale diventano pratica quotidiana, e che l’avvento dei social media ha finito per dilatare a dismisura.

Il cambiamento da oggetto a soggetto della conversazione, con la voglia di lasciare il proprio segno, di essere protagonisti di questi eventi comunicativi, il pensiero che passa dall’interiorità all’ espressione sociale con la possibilità di osservarne l’effetto attraverso i “like”, le condivisioni, i commenti, genera una tendenza all’ auto riflessività, alla possibilità di rispecchiarsi nell’esperienza social e tende a produrre forme di narcisismo digitale che troppo spesso, prive delle modalità di controllo proprie dell’interazione diretta, tendono a degenerare.

  • Regressione psichica

Così come E. Bernays e G. Le Bon sostenevano gli effetti regressivi a livello psichico dell’individuo in mezzo alla folla, provocandone in tal modo la fuga dalle responsabilità e la sua tendenza a dare sfogo alle proprie pulsioni istintive, allo stesso modo gli eventi comunicativi e relazionali sui social network sembrano caratterizzarsi per effetti similari;
la possibilità di produrre contenuti spesso senza dover mettere in gioco la propria identità o comunque senza dover soggiacere a certi filtri moderatori tipici dell’interazione faccia a faccia, sembra facilitare la fuga dalle responsabilità delle proprie parole abbassando di molto i freni inibitori.

Nemmeno le spinte narcisiste anzidette sembrano mitigare le modalità di espressione che troppo spesso degenerano in insulti oppure trascendono in forme di integralismo, dove persino chi si scandalizza e vorrebbe deplorare certi atteggiamenti, finisce per essere risucchiato nel vortice dell’intolleranza e degli improperi; nelle figure se ne possono osservare alcuni esempi.

  • Rappresentazioni sociali e narrazioni

il prodotto dell’esperienza dei social media attraverso i commenti istintivi, disvela il pensiero interiore, libero dalla sua maschera di accettabilità sociale, mostra le visioni del mondo e i modi di interpretare gli eventi. Nel caso in questione non è osservabile solo l’aberrazione del credo calcistico, ma va considerato che le proiezioni interiori dei partecipanti vanno a costituire delle aggregazioni di contenuto capaci di alimentare le rappresentazioni non di gruppi sociali strutturati nella loro capacità di mediazione dei significati condivisi, ma quelle di individui il cui comun denominatore sarà rappresentato da frammenti di convinzioni alla rinfusa, sulle quali basare l’interpretazione dei fatti a venire e le proprie narrazioni individuali.

A titolo di esempio, soprattutto in una (..gobbo-comunista..), appare la sintesi della costruzione della demonizzazione dell’altro fondendo metafora calcistica, handicap fisico e credo politico, costruendo così un muro invalicabile di incomunicabilità e di conflitto tra diverse tifoserie, che troppo facilmente conduce allo scontro appena si esca dal territorio della virtualità.

Logica conseguenza è dunque un discorso sociale dove la violenza verbale sta prendendo il sopravvento come anche in altre occasioni osservabile, ed è una modalità che si manifesta nei confronti di chi la pensa diversamente, che traspare e si manifesta persino in chi vorrebbe prendere le distanze da certi atteggiamenti.
L’intolleranza è dunque il sentimento in ascesa, perché con buona pace di tanti sbandierati principi, la capacità di accettare chi la pensa diversamente è sempre molto difficile.

Conclusioni 

Tornando brevemente ai fenomeni calcistici, come non ricordare, per chi ha qualche primavera, delle partitelle tra ragazzi nei campetti di periferia, un quartiere contro un’altro, autentiche battaglie, dove non raramente volava qualche sberla? Il calcio (spesso anche altri sport di squadra) ha un profondo radicamento con l’identità e le relazioni nei e tra i gruppi, diventa inevitabilmente fenomeno sociale e quando si verificano o si creano artatamente particolari condizioni, i comportamenti degenerano irrimediabilmente, ne più ne meno come accade nei conflitti di altra natura; questo tanti autorevoli commentatori da talk show e giornalisti dovrebbero saperlo.
Non è questa la sede per approfondire il discorso ma è certo che per disinnescare certe degenerazioni ci sarebbe bisogno di un’ analisi competente e seria a cui far seguire comportamenti e assunzioni di responsabilità oltre a misure adeguate che non siano solo repressive.

Concluderei riportando due commenti che dicono cose interessanti e che testualmente recitano:
“episodio ignobile, che dimostra come il fanatismo calcistico non abbia niente da invidiare al terrorismo in nome del fondamentalismo religioso”
“Non è solo il calcio, purtroppo. basta vedere il linguaggio usato da certi politici e da buona parte dei naviganti. Violenza verbale gratuita che trova sempre qualcuno pronto a metterla in pratica.”
Per cui tornando al fenomeno delle interazioni virtuali si può concludere dicendo che queste in fondo registrano e ripropongono nell’ambiente che le accoglie e nei formati possibili, la riedizione di atteggiamenti ed istanze sociali della quotidianità.

Isteria, violenza verbale, superficialità, narcisismo, intolleranza, conformismo, sono alcuni dei costituenti che si rintracciano nelle parole, che svelano le idee comuni e le narrazioni collettive, qualunque sia la tematizzazione sulla quale queste interazioni si realizzano.
Fino a che non ci si emanciperà dalle proprie debolezze, oserei dire di ordine cognitivo, non credo che ci si debba sorprendere più di tanto di quanto accade.

1 Per un’ ampia e completa trattazione di questa parte si veda in G. Boccia Artieri – Stati di Connessione – Ed. Franco Angeli 2012
STORYTELLING ATTRAVERSO LE IMMAGINI – LE NARRAZIONI PARALLELE DEI GIORNALI LIBANESI

STORYTELLING ATTRAVERSO LE IMMAGINI – LE NARRAZIONI PARALLELE DEI GIORNALI LIBANESI

Le immagini dei quotidiani, mondi apparentemente uguali ma al tempo stesso profondamente diversi, creatori di narrazioni parallele, ancorché costruite sulla stessa terra, destinate a persone diverse. Alla scoperta delle tendenze emergenti di alcune raffigurazioni che andranno poi a popolare gli immaginari collettivi dei lettori.

Dopo aver parlato di una possibile tassonomia delle immagini sui giornali e di come queste possano tradursi in uno strumento di interpretazione dei processi identitari e culturali di un paese (n.d.r. Kosovo), in questa sede voglio affrontarne un altro aspetto che pur originato in un ambito culturale diverso, dimostra la forte e raffinata capacità che le immagini possono avere nell’influenzare le visioni del mondo dei loro lettori.

L’analisi è tratta da ricerche, esperienze e osservazioni a più riprese effettuate sul Libano, un paese al cui interno vivono in equilibrio precario diverse identità risultanti dall’intreccio tra più confessioni religiose e numerose correnti politiche, in un mosaico assai complesso da decifrare.

Non parlerò, se non minimamente, di schieramenti e legami politici che avrebbero rischiato di essere fuorvianti nell’ interpretazione semiotica dei significati percepibili dall’osservazione delle immagini.

Non esistono, come in nessuna realtà giornalistica, limitazioni esplicite a qualsivoglia tipologia di immagini, ma è sulla loro “sintassi” e sulla presenza di certe ridondanze che questa analisi si indirizza, sintetizzando le tendenze emergenti di alcune raffigurazioni che presumibilmente andranno a popolare gli immaginari collettivi dei lettori.

Al Akhbar 

Al Akhbar - 18 agosto

Al Akhbar – 18 agosto

      • Al Akhbar è uno tra i cinque giornali più popolari a Beirut e nel sud del Libano, fondato nel 2006 e dichiarandosi indipendente e progressista, impegnato nel sostegno a valori come indipendenza, libertà e giustizia sociale, è ritenuto abbastanza vicino alle posizioni di Hizbollah ed ha una impostazione grafica che ne denota una sua ben precisa identità editoriale; la prima pagina normalmente riporta immagini a “tutta pagina”, foto di grande impatto visivo che spesso non si limitano a documentare un evento quanto piuttosto mirano a far leva sulle emozioni del lettore;
      • si rileva l’iconografia del principio di autorità tradizionale attraverso immagini che mostrano leaders religiosi, mostrandone perlopiù i volti; una raffigurazione di autorità che richiama archetipi ancestrali che non possono essere messi in discussione e che pertanto implicano una sorta di lealtà cieca;
      • le immagini di uomini che impugnano armi, che non appartengono a forze regolari e che indossano i copricapo tipici delle fazioni di appartenenza, sono l’emblema della militanza armata, la riproposizione di una realtà del recente passato radicata nel paese che viene quasi legittimata attraverso la sua collocazione nella quotidianità;
Al Akhbar - 31 luglio e 1 agosto

Al Akhbar – 31 luglio e 1 agosto

      • viene raffigurata la sofferenza, specialmente in prima pagina, non limitandosi a documentare gli eventi tragici che spesso popolano la quotidianità di questo paese, ma ne viene ritratto con dovizia il dolore, la disperazione, il pianto che attanaglia i volti della gente comune e delle donne e che esercita una forte carica patemica nel lettore, suscitandone sentimenti di pietà e solidarietà misti a rabbia come si può immaginare;
Al Akhbar - 1° pag. 31 luglio

Al Akhbar – 1° pag. 31 luglio

    • sono spesso mostrati bambini, vittime delle sofferenze, che si aggirano nei luoghi delle rovine, scenario della loro quotidianità, e che talvolta appena adolescenti già imbracciano le armi, quasi una profezia del loro futuro;
    • edifici distrutti o semidistrutti, rappresentazione di una tragica ciclicità degli eventi che mostra come gli effetti delle guerre e delle lotte intestine costituiscano la realtà di buona parte di questa gente;
    • le manifestazioni di protesta in strada, folle di gente che esprime la sua anima, altra pratica abbastanza radicata nella quotidianità della popolazione.

Annahar 

      • Questo giornale, fondato nel 1933, è il più anziano tra i giornali considerati, assai diffuso in Libano con una circolazione stimata di 45.000 copie, è una testata che si accredita a principi liberali, pluralisti ed in parte di centro-sinistra;
      • la prima pagina normalmente propone due immagini che documentano gli eventi principali della giornata con uno spazio normalmente inferiore a metà pagina, e che denotano in linea di massima valore testimoniale ai fatti raccontati;
Annahar - 9 maggio

Annahar – 9 maggio

      • l’autorità rappresentata attraverso le immagini è un’autorità laica di tipo legittimo che si manifesta nei luoghi “di produzione” come gli incontri di vertice, anche se viene comunque espressa senza disdegnare i tratti del carisma e del rango di appartenenza;
      • le armi sono rappresentate ma detenute dalle forze regolari, dall’esercito ovvero dall’istituzione legittimata ad utilizzarle nel bisogno;
Annahar - 1 agosto

Annahar – 1 agosto

      • gli spazi di aggregazione sociale, locali, edifici e spazi urbani trovano una presenza adeguata nel mostrare l’aspetto della normalità quotidiana e del vivere sociale;
Annahar - 26 aprile

Annahar – 26 aprile

      • distruzioni e rovine sono mostrate così come la gente coinvolta in questi drammi, ma la sintassi di queste raffigurazioni assume valore testimoniale, se ne percepisce la gravità senza che se ne enfatizzi il dolore e la disperazione.
Annahar - 1° pag. 31 luglio

Annahar – 1° pag. 31 luglio

The Daily Star 

      • Il Daily Star è stato fondato nel 1952 e nacque all’origine con lo scopo di informare il cospicuo numero di espatriati a causa della nascente industria petrolifera nei paesi del golfo, divenendo in breve tempo il primo giornale in lingua inglese del Medio oriente. Accreditato di circa 30.000 copie, dalla sua stilistica complessiva si percepisce ben presto come questa testata miri ad altro tipo di audience in termini di cultura e di status sociale;
Annahar - 26 aprile e 10 maggio

Annahar – 26 aprile e 10 maggio

      • nella prima pagina di norma appare una foto che occupa il 25-30 % della pagina ed esercita un certo impatto nell’attribuire risonanza al fatto del giorno e che in linea di massima tende ad assumere valore documentale;
The Daily star - 1° pagina 28 luglio

The Daily star – 1° pagina 28 luglio

      • immagini di catene di produzione, di impianti industriali, di aziende, di banche, la presenza di infografica relativa ai mercati finanziari, costituiscono la rappresentazione del mondo degli affari, mostrano pezzi di realtà locale e popolano l’immaginario collettivo di una fascia di popolazione che vive un altro tipo di quotidianità;
The Daily Star - 22 marzo e 7 aprile

The Daily Star – 22 marzo e 7 aprile

    • la ricorrenza in varie modalità dell’iconografia femminile, uno spazio per la moda, ma anche immagini che mostrano soldi, descrivono un mondo dei consumi e raccontano l’esistenza di uno spazio esistenziale di ben altro genere rispetto a quello spesso mostrato da Al Akhbar;
    • le proteste di piazza compaiono con una certa frequenza, segno inequivocabile dell’appartenenza alle pratiche quotidiane di questo paese;
    • le immagini che mostrano edifici, a volte anche dal basso verso l’alto, che rappresentano un significante semiotico di un certo modo di pensare il futuro;
    • armi e rovine non possono mancare, ma compaiono in misura inferiore, denotano una valorizzazione testimoniale e non emotiva, sono elementi di un fatto non la normalità quotidiana.

L’Orient Le Jour 

      • L’Orient le Jour è stato fondato nel 1970 dall’unione di due quotidiani libanesi in lingua francese e denota alcune caratterizzazioni tipiche dei giornali occidentali; è una testata attenta a finanza, economia e allo scenario internazionale, ospita spazi glamour e di cultura, ed appare indirizzarsi ad un certo tipo di elite sociale, a tratti persino snob, rappresentata dai suoi lettori modello, appartenenti in prevalenza alla parte cristiana che si richiama alle impronte della cultura francese;
      • la prima pagina riporta più immagini di dimensioni contenute che accompagnano i titoli principali; non c’è quindi l’enfasi sul solo titolo di testa, ma la descrizione di una scena poliedrica, quasi a dare la sensazione di saper guardare il mondo nella sua interezza e non solo circoscritto al territorio libanese, un richiamo esplicito a chi ha questa cultura;
      • il giornale fa maggior uso del colore rispetto ad altre testate, sia nelle immagini, sia utilizzando fondini colorati all’interno delle sue pagine, stilistica che ricalca l’impronta di modernità dei giornali più “giovani” rispetto a quelli di più lunga tradizione;
      • le immagini che riportano personalità di spicco, come nella tradizione libanese, sono abbastanza frequenti, ma anche in questo caso il potere è rappresentato “in giacca e cravatta”, è un potere che si concretizza in incontri più esclusivi, più ristretti rispetto a quanto di norma rappresentato sul Daily;
L'Orient le jour - 16 maggio e 28 aprile

L’Orient le jour – 16 maggio e 28 aprile

      • le rovine non sono ignorate, ma sono documentate, non “gridate”, così come le proteste di piazza o le armi, meno frequenti, meno pervasive nel rappresentare una realtà libanese che vuole mostrare anche altre facce;
L'Orient le jour - 1° pagina 31 luglio

L’Orient le jour – 1° pagina 31 luglio

      • il vivere sociale nei luoghi della cultura o del tempo libero trova un suo spazio, così come la cronaca di fatti di costume, un mondo che appartiene presumibilmente ai suoi lettori;
      • l’uso di caricature denota la capacità di saper fare ironia sui fatti e sui personaggi, forse un modo meno isterico ma comunque efficace di veicolare il proprio punto di vista sulla scena, il punto di vista espresso da una elite culturale che non si affida alla violenza;
      • la pubblicità prevalente mostra prodotti e beni di status symbol come orologi esclusivi, accessori e alta moda griffata, auto di alta gamma.
L'Orient le jour - 28 luglio e 16 maggio

L’Orient le jour – 28 luglio e 16 maggio

Considerazioni 

Ad una osservazione sbrigativa, tutti gli elementi peculiari della quotidianità libanese sono rappresentati nelle immagini: le rovine delle guerre, le sofferenze della popolazione, la circolazione delle armi, i decisori politici in azione, per cui sembrerebbe che tutti i giornali svolgano la loro azione informativa salvo poi declinare attraverso le parole il loro orientamento ideologico, ma questo fatto è noto, risaputo e sostanzialmente decodificato dalla maggior parte dei lettori.

È nel potere di veridicità attribuito alle immagini, alla loro forza testimoniale che si deve la produzione di immaginari collettivi da cui percepiamo valori e dai quali creiamo narrazioni, anche se a volte il nostro osservare quasi distrattamente la scena non ci dà questa consapevolezza.
Focalizzando l’attenzione sulle differenze invece, emergono aspetti che a mio giudizio hanno più importanza di quanta non gliene venga attribuita.

Se consideriamo le tendenze emerse in Al Akhbar, le tipologie di immagini che ho evidenziato possono assimilarsi alle tessere di un puzzle che ripropone lo schema narrativo canonico di Greimas: la rottura dell’equilibrio (gli eventi di distruzione), le sofferenze e le umiliazioni del debole (le rovine, la disperazione), il destinante che da la sua investitura (l’iconografia della leadership), l’acquisizione della competenza (adolescenti con le armi), la lotta (militanti in armi), la folla in strada (in attesa di celebrare il ritorno dell’eroe?), costituiscono una sequenza a cui forse in termini di immagini manca solo il “ritorno dell’eroe dopo aver sconfitto il drago”, una sanzione finale che può essere immaginata e incasellata nelle narrazioni collettive anche senza mostrarne l’evidenza.

Se consideriamo le immagini con le armi, per esempio, mentre in Al Akhbar il detentore era la figura del miliziano o dei gruppi armati, in Annahar queste sono nella disponibilità di reparti regolari in armi, dell’istituzione a ciò deputata, e questo nonostante entrambe le testate si dichiarino ispirate a valori liberali e progressisti.

Le immagini delle rovine sono presenti in tutte le testate considerate, ma mentre in Al Akhbar a volte sono un aspetto totalizzante occupando magari un’intera prima pagina, in The Daily Star o in L’Orient le Jour sono una parte del mondo, perché immagini e notizia compaiono a fianco di altri temi, e già variando lo spazio delle immagini, se ne modifica la risonanza e il peso percepito.

La rappresentazione stessa dell’autorità nelle immagini di persone importanti, assume le sembianze degli affari (Daily Star), del potere (L’Orient le Jour), delle istituzioni (Annahar), del carisma (Al Akhbar), espressioni diverse dello stesso concetto che è uno dei pilastri fondamentali del modo di interpretare la propria realtà sociale.

Persino la pubblicità, rappresentazione dei desideri o proiezione del proprio modo di vedersi nel mondo, assume forme distinte, diverse da quel mondo francese di charme mostrato da L’Orient le Jour.

Tanti mondi apparentemente uguali, ma al tempo stesso profondamente diversi, creatori di narrazioni parallele, ancorché costruite sulla stessa terra, destinate a persone diverse.

Descrivendo la realtà dei quotidiani libanesi, ho preso spunto da questo stato così ricco di aspetti e di contraddizioni, per far emergere il valore peculiare di certe sottili differenze che si celano nella sintassi delle immagini, capaci di influenzare le nostre visioni del mondo.

È in base a ciò che vediamo e che ricordiamo nella nostra testa che edifichiamo le nostre rappresentazioni del mondo, i nostri script sulla scorta dei quali procediamo a decodificare poi le nuove informazioni in ingresso ed andiamo ad aggiornare le nostre personali narrazioni quotidiane.

Ma siamo certi che gli artefici della costruzione siamo noi?

La caduta del muro: un simbolo per tante narrazioni e visioni del mondo

La caduta del muro: un simbolo per tante narrazioni e visioni del mondo

Dopo 25 anni la caduta del muro costituisce ancora un evento simbolo, fondamento di una rappresentazione sociale che genera l’antecedente attraverso il quale molti fatti successivi sono stati interpretati, dando vita a tante storie, diverse visioni del mondo in grado di orientare gli atteggiamenti della gente comune.

Oltre 1300 condivisioni in un giorno dimostrano la “viralità” dell’argomento ricordato da Repubblica.it attraverso un post sulla propria pagina Facebook, ma è sui commenti, quasi 300, che ne fanno uno di quei temi che non si possono tralasciare perché probabili rivelatori di interessanti risvolti del pensiero sociale della gente.

In sintesi la caduta del muro di per sé non è solo un evento storico, ma rappresenta un oggetto sociale al quale l’opinione pubblica ha collegato la caduta del comunismo come nucleo centrale di una rappresentazione sociale1. A questo tema la gente ha collegato fatti ed esperienze diverse creando l’ancoraggio per la costruzione di una serie di stereotipi e di atteggiamenti che hanno costituito una base per catalogare e mettere in relazione avvenimenti successivi.

muro_porta brandeburgo

Pertanto, a distanza di 25 anni la capacità di questo evento di influenzare la decodifica dei fatti più recenti è indubbia, per cui è stimolante saperne di più circa la sua forte carica simbolica e quali siano oggi gli stati d’animo tra chi c’era e chi ne ha soltanto sentito parlare.

Anche questa volta ho letto con pazienza e curiosità tutti i commenti e le opinioni espresse tra coloro che si sono coinvolti in questo dibattito virtuale, e il risultato è la scoperta di uno spaccato che svela vecchi stereotipi e idee comuni, storie passate e nuove credenze.

Tra i vari commenti e le risposte sono emersi diversi modi di vedere il mondo e di leggere ed interpretare i fatti della quotidianità, e pur considerando le diverse forme di espressione individuale, ne sono scaturite dieci categorie aventi ognuna un proprio nucleo di senso strutturale.
Vediamo in sintesi chi sono e cosa sentono i vari gruppi individuati.

I disillusi sono il gruppo più numeroso (28%), buona parte dei quali avevano riposto probabilmente tante speranze sul futuro dopo la caduta del muro, speranze che la storia degli anni successivi ha frustrato, sono rimasti delusi, annichiliti dalle promesse a loro dire non mantenute dal capitalismo, ed i loro sentimenti si potrebbero sintetizzare in due frasi emblema: “il sogno di un mondo giusto che sembrava a portata di mano è stato infranto dal cinismo del capitalismo”-“ la caduta del muro ha segnato il sopravvento della finanza internazionale che ci sta riducendo in miseria”; tra le varie tematizzazioni espresse a giustificare la delusione sono da citare il venir meno del ruolo di “contrappeso” che il comunismo aveva nei confronti del capitalismo, l’invasione di immigrati, l’aumento della corruzione, un certo timore verso la rinascita di una Germania egemonica, globalizzazione e falsa democrazia, un ruolo non proprio trasparente giocato dal papa dell’epoca.

infografica

 

Gli idealisti sono il secondo gruppo (24%), coloro che intravedevano e continuano a vedere le grandi opportunità che quell’evento ha rappresentato soprattutto in termini simbolici, la caduta di un ostacolo alla libertà e all’unità dei popoli; sono gli ottimisti, coloro che non creano alcuna relazione con la crisi odierna, sono quelli che pensano “via tutti i muri e le divisioni che ostacolano la libertà dei popoli”,” un evento che rimane vivo nella memoria e che ha cambiato la storia dell’Europa”.
In parte ostentano ancora la nostalgia di quelle emozioni, rilanciano le stesse speranze di superare le divisioni, di abbattere i muri ancora in piedi, di costruire ponti, non legano i problemi attuali a quel fatto storico e pensano che sia comunque meglio ora di prima.

Gli anti-Germania, una corrente nutrita (8%) che ricorda l’esistenza del muro come inevitabile punizione agli errori tedeschi del passato;“ben gli stava ai tedeschi per il male che hanno fatto agli altri popoli”, chi dalla sua caduta paventa il revanscismo della Germania e dei suoi istinti egemonici,  “vi è già un altro muro molto più lungo, quello costruito dalla Merkel…”, chi si lancia in analisi economico monetarie a dir poco originali e che dimostra, aggiungo, come alcuni titoli di giornale di “epoca recente” siano stati interiorizzati dai lettori.

I mea culpa sono un buon gruppo di persone (6%) che osservando i fatti del mondo, riescono sempre a risemantizzarli come occasioni mancate per l’Italia o come effetti della decadenza politica e morale che pervade la classe dirigente del nostro paese e che trova spesso sponda nella complicità dell’italiano medio; un pensare che in sintesi si traduce “non è colpa dell’Euro o Europa che anzi ci protegge dai furbastri italici con le sue norme ma dei nostri politici”, oppure “se l’ Italia é messa così deve solo ringraziare il popolo italiano che ha permesso ai politici di fare i comodi loro”.

Gli anti-USA, poco rappresentati in questo dibattito (1%) ma che non potevano assolutamente mancare perché sappiamo far parte degli schemi di pensiero nazionali. Dal “..dilagare dell’imperialismo americano, origine di ogni nostro male…” al “la stessa storia dell’ 11 settembre…” lo spazio è breve anche in un limitato numero di commenti, ricostruzioni più o meno azzardate che vengono comunque ricondotte alla cinica influenza esercitata dagli Stati Uniti.

Gli affascinati dalla Germania sono un gruppo poco numeroso (2%) che esprime apprezzamento per quello che “la Germania ha saputo fare anche dopo fino ad oggi”, che constata con ammirazione come la Germania sia riuscita a gestire il processo di riunificazione successiva, giudizi sui quali, ancorché non espressi, non è azzardato pensare che trovino riferimento negativo la nostrana e irrisolta questione meridionale.

Gli io c’ero, un consistente gruppetto (5%) che nel ricordare il fatto enfatizza l’esserne stato testimone diretto, ed è l’aspetto della memoria quello che sembra prevalere sui significati che il fatto ha prodotto, l’emozione rinnovata del dire “io c’ero … me lo ricordo!”;. Un ricordo di questo evento che sembra riportare indietro il profumo di una età verde per coloro che, ormai cinquantenni, si esprimono in tal modo.

muro_porta brandeburgo

I pessimisti, un gruppo consistente (8%) che dalla celebrazione della caduta non trova motivo di gioia continuando a constatare i mali del mondo, le divisioni attuali, i nuovi muri, le nazioni egemoniche, e via dicendo. Abbastanza “gettonati” il muro israelo-palestinese e l’occasione mancata dall’umanità.

Abbastanza numerosi sono gli opinionisti (8%) a cui piace argomentare, quelli pronti a sfruttare qualsiasi spunto per esporre le loro analisi operando collegamenti con altri fatti legati da un qualche nesso consequenziale o di similarità; la caduta del muro nella sua ricchezza di significati da lo spunto per argomentare ovviamente sulla questione israelo-palestinese, sulle oppressioni create dal neo liberismo, sulle miserie del genere umano. Sono abbastanza vicini al gruppo dei pessimisti dal quale però si differenziano per la verve con la quale si esprimono.

I chiassosi sono un’insieme abbastanza consistente di persone (9%) che entra nelle conversazioni social a costo di essere fuori tema, vogliono esserci, esprimersi e soprattutto dissentire, divagano, entrano in contrasto e spesso cedono all’irrefrenabile impulso di insultarsi con qualcuno che la pensa diversamente da loro; sono coloro che si esprimono con giudizi sferzanti ed a volte offensivi come “i Rom c’erano anche prima, torna a guardare la tv che fai solo ridere”, “Commento da ignorante leggi la storia !!!”, Ma che ca..o ne sai te idiota ? Ma sai di che cosa parli ?”; come toni non c’è male direi.

muro_berlino_trabant

 

[tagline]Conclusioni[/tagline]

Sembrerà ripetitivo questo mio riproporre analisi delle conversazioni di Facebook, ma reputo di importanza notevole l’opportunità di scoprire attraverso i commenti, elementi fondamentali che descrivono le rappresentazioni sociali della gente, ovvero i fondamenti delle strutture cognitive attraverso il quale la successione dei fatti in divenire viene poi semantizzata e strutturata in narrazioni.

Ritengo inoltre che sarebbe superficiale etichettare queste forme di espressione per la loro presumibile appartenenza politica essendo apparse sulla pagina di Repubblica.it, mentre è viceversa molto più pagante comprendere che cosa questi commenti raccontano in termini di discorsi sociali.

Anche le percentuali di per sè hanno mero valore orientativo perché possono variare in base al contesto, mentre viceversa il confronto tra schemi di pensiero così diversi ci indica come differenti esperienze di vita abbiano comportato così difformi processi di costruzione della realtà.

In sostanza il creare delle categorie tra i vari commenti espressi da varie persone consiste in realtà in una possibile ricostruzione di altrettante strutture narrative profonde che originano dalla stessa rappresentazione sociale, sulle quali ogni individuo ha poi applicato il proprio processo di figurativizzazione2,  descritto più o meno chiaramente dalle loro convinzioni, dalle loro parole ed anche dal modo di entrare in conflitto con altri individui.

 

 

Le immagini sono state tratte nell’ordine da:
http://cdn1.stbm.it/studenti/gallery/foto/superiori/le-50-date-piu-importanti-della-storia/crollo-muro-di-berlino.jpeg?-3600
http://cultura.biografieonline.it/wp-content/uploads/2012/05/muro-di-berlino-caduta-picconate.jpg
http://blog.zingarate.com/berlino/wp-content/uploads/2012/11/the-Berlin-Wall-761447.jpg
http://www.viaggiovero.com/img/muro_berlino_trabant.jpg


1 Per il concetto di rappresentazioni sociali vedi S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali, il Mulino 2005 e Psicologia sociale – A. Polmonari, N. Cavazza, M. Rubini, il Mulino 2002.
2 Per il concetto di figurativizzazione vedi U. Volli – Manuale di semiotica, Laterza 2006.