da Sergio Bernardini | Set 14, 2015 | IMPERDIBILI, MEDIA E SOCIETA'
Quali le configurazioni discorsive riprodotte dai titoli di alcuni tra i più diffusi quotidiani nazionali relativamente ad un soggetto politico di primissimo piano. Alcuni risultati emergenti da un’analisi condotta su quasi 2.000 prime pagine
2° parte
Nella prima parte di qualche giorno fa ho mostrato alcuni dati quantitativi che in qualche modo hanno messo in luce l’atteggiamento di alcuni tra i quotidiani nazionali più diffusi verso il soggetto di analisi rappresentato dall’ attuale Premier, monitorando i tre termini Renzi, Premier e governo. La diversa frequenza con cui i giornali hanno parlato del soggetto e la tendenza a dedicargli i titoli di maggiore impatto, forniscono delle indicazioni sicuramente interessanti che tuttavia prese isolatamente non sembrano essere in grado di offrire un dato determinante senza utilizzare ulteriori parametri di analisi.
Con una certa sorpresa neanche attraverso l’analisi di contenuto, con la quale sono state isolate le prime 30 parole significative, sono emersi riscontri interessanti, e pur nella relativa povertà lessicale dei titoli si è registrata una evidente similarità di tutte le testate nell’uso di certi termini chiave, per cui necessariamente occorre cercare nella costruzione del discorso quegli effetti di senso che costituiscono l’elemento differenziante dei vari giornali.
I criteri cui ho accennato nel precedente post, di cui illustrerò ora il fondamento disciplinare, costituiranno l’elemento con cui categorizzare qualitativamente il discorso prodotto da ogni quotidiano.
1. Il primo criterio prende in esame il “punto di vista” del quotidiano sul soggetto e ispirandosi ai principi di Austin sugli atti linguistici, ne riprende le due modalità fondamentali dell’enunciazione: quella constatativa e quella performativa1. Premesso che nella comunicazione attraverso i media l’enunciazione avviene attraverso il testo e non mediante lo scambio interazionale, nel testo sono comunque proiettabili i simulacri enunciativi del narratore e per certi versi l’interpretazione del destinatario, per cui la tassonomia di Austin mantiene una sua validità di fondo anche nella valutazione del titolo giornalistico.
Nella modalità constativa, si riscontra qualcosa in merito al tema di cui si parla, si effettua una sintesi descrittiva di una situazione o evento in cui il soggetto poteva non necessariamente avere o esercitare un ruolo attivo o determinante (es. “Colle e politica estera: confronto Renzi-Prodi” – il Corriere della Sera – 17 dic. 14).
Nella performatività invece il soggetto del discorso, chiaramente identificato, ha realizzato un’azione o è impegnato in un fare o comunque promette di fare, sta performando qualcosa destinato a cambiare lo stato di fatto delle cose di cui si parla ed in quanto tale si caratterizza anche patemicamente2 (es.”Renzi sfida la vecchia guardia” – il Corriere della sera -22 set. 14; “Renzi vuole tagli per 6 miliardi” – il Corriere della sera – 9 apr. 14). Una deroga è stata usata nel caso di alcune modalità ottative3 come nel secondo esempio che, esprimendo una volitività del soggetto su qualcosa, sono state comunque classificate come enunciati performativi considerando la modalità del “poter fare” in capo al soggetto del discorso.
In questa dicotomia la posizione del quotidiano, prescindendo da allusioni e ironie, non è certo neutra nei confronti del soggetto del discorso, il quale può far parte di una scena che lo include e a volte lo sovrasta (modalità constatativa), oppure essere inquadrato come protagonista, positivo o negativo, di una situazione che può modificare in qualche modo (modalità performativa) e dalla quale ne può risultare valorizzato o svalorizzato nel merito e nella rappresentazione.

2. Il secondo criterio considera il punto di vista del quotidiano sul discorso e si sofferma sulla costruzione del titolo, individuando nella dicotomia tra il discorso diretto riportato e il discorso indiretto narrativizzato la chiave di classificazione.
Nel primo caso il quotidiano-narratore si serve del cosiddetto discorso diretto riportando le parole pronunciate dal soggetto ed operando in tal modo una presa di distanza da quanto affermato da questi; sono le frasi riportate tra virgolette e/o dopo i due punti (per particolari licenze giornalistiche questi elementi della punteggiatura possono anche essere omessi), in ogni caso parole attribuibili senza dubbio al soggetto (es. “Renzi: niente nuove tasse ma sforbiciate alla spesa” – Corriere della Sera – 23 ago. 14).
In questa modalità il giornale non entra nel merito della veridizione4 che rimane in capo al soggetto, tantomeno in apparenza opera un giudizio di valore sul contenuto, concretizzando con ciò la presa di distanza dai fatti riportati.
Nel secondo caso invece la costruzione narrativizzata del titolo consiste in una riformulazione o riassunto delle parole pronunciate dal soggetto, fatta anche in modo arbitrario ad opera del narratore (es. Renzi svela le spese pazze della ditta – il Giornale – 13 dic. 14); in questo modo reinterpretando ed in qualche modo ricontestualizzando le parole del soggetto all’interno del proprio sistema di valori, se ne produce una modalità narrativa più o meno caratterizzante. Ancorché ci siano molte similarità con le procedure semiotico-discorsive di debrayage/embrayage5, non mi sono sembrate particolarmente attinenti al contesto vista la particolarità delle modalità e strategie del titolo, per cui ho deciso di tralasciarne la discussione.

3. Il terzo criterio valuta le scelte del quotidiano sulle modalità narrative indirizzate al lettore e scaturisce da due approcci teorici complementari. Il primo pone a base la teoria di R. Barthes sull’esistenza di un’informazione doppia della costruzione giornalistica: il fatto vero e proprio così come viene raccontato, e lo sfondo circostanziale da cui tale fatto origina, dedotto per implicazione dal lettore stesso, da cui scaturiscono le condizioni per la produzione della notizia. Il secondo invece proposto da Volli, si basa sulla categorizzazione della costruzione giornalistica6 della notizia e contempla:
- la costruzione antagonistica;
- la componente narrativa;
- il difetto di razionale connessione logica;
- l’anomalia rispetto all’ordine comune delle cose.
In questa ricerca, trattandosi di politica, troveremo pressoché totalmente titoli/enunciato basati sulla costruzione antagonistica oppure connotati da una componente narrativa. Nel primo caso il soggetto citato o chiaramente presupposto per implicazione, è descritto in conflittualità diretta con un anti-soggetto rappresentato da uno o più attori opponenti che concorreranno, nell’ambito della costruzione giornalistica, a valorizzarne o svalorizzarne la figura e/o le azioni (es. “il Premier attacca CGIL e mezzo PD: un museo delle cere – il Giornale – 29 set. 14). Nel secondo caso invece la componente conflittuale, comunque presente in ogni struttura narrativa, appare più sfumata, dissimulata in una composizione dai toni meno accesi, meno intensa nelle sue componenti passionali perché destinata a comporsi all’interno di una fabula più ampia, ove la costruzione antagonistica non si esaurisce nel singolo titolo (es. “Renzi: lavoro, si a nuove regole – la Stampa – 13 ago. 14).

Ovviamente, soprattutto in quest’ultima classificazione, diversi titoli potevano avere una certa compatibilità con entrambe le polarità delle dicotomie descritte per cui la discriminante è stata la loro valutazione rispetto al soggetto di analisi e non viceversa rispetto a criteri generali. D’altronde anche nel caso di qualche classificazione opinabile o di eventuali sviste, per la legge dei grandi numeri ciò non modificherebbe significativamente i risultati ottenuti.
Ulteriori elementi di interesse nel ricostruire visivamente il posizionamento dei giornali sono state ottenute analizzando le diverse combinazioni ottenibili attraverso i tre criteri descritti che hanno dato vita a 8 possibili configurazioni discorsive, dal quale sono scaturite delle aree discorsive di caratterizzazione che sono illustrate graficamente.
Il Corriere della Sera
Il Corriere della sera su 404 giorni considerati ha nominato il soggetto di analisi in 278 occasioni, il 40,3% delle volte in posizione di rilevanza (1° o 2° titolo principale). Il nome Renzi è riportato 186 volte mentre in 23 casi di discorso riportato il termine è chiaramente presupposto, Matteo 2 volte, 51 volte l’appellativo di Premier (o Presidente del Consiglio) e solo 25 volte la parola governo. Forte appare lo stacco tra la personalità di Renzi che catalizza le attenzioni dei media, e il governo come organo collegiale che mostra un’identità abbastanza labile. Non è detto che questa sovraesposizione paghi positivamente e che si traduca in un vantaggio per il Premier, anzi. Relativamente ai criteri di classificazione del discorso si può notare la prevalenza del regime della constatazione (59,7%) su quello della performatività (40,3%), la prevalenza del discorso indiretto (56,1%) su quello riportato (43,9%), mentre la costruzione spiccatamente antagonistica ricorre circa un quarto delle volte (24,1%).
Le configurazioni discorsive ottenute combinando i tre criteri mostrano una chiara tendenza verso le modalità constatative del discorso con netta prevalenza della modalità indiretto/narrativa (32%), mentre nel discorso performativo che comunque mostra un certo picco (20,5%), si preferisce optare per la modalità del discorso riportato/narrativo, prendendo in tal modo le distanze dall’onere di veridizione in capo al soggetto e dalle conflittualità sullo sfondo, la cui ricostruzione rimane nella facoltà interpretativa del lettore. Le modalità conflittuali sono mediamente presenti e mostrano un picco (10,4%) nella configurazione constatativo/indiretto a conferma di un ruolo di osservatore e descrittore della scena a cui il quotidiano non vuole rinunciare, e che peraltro non può e non vuole sottacere alle tensioni presenti sullo scenario. L’antagonismo dunque non è prodotto direttamente dall’enunciazione del soggetto politico, ulteriore presa di distanza, ma connaturato alla situazione.

Il Giornale
Il Giornale su 336 giorni considerati ha nominato il soggetto in 248 occasioni, il 36% delle volte in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). La parola Renzi è stata usata 167 volte mentre in 2 casi era chiaramente implicato dal discorso riportato, Matteo 9 volte, 48 volte Premier e solo 20 volte quella di governo.
In merito alla classificazione del discorso prevale nettamente il regime della constatazione (71,8%) su quello della performatività (28,2%), parimenti accentuata la prevalenza del discorso indiretto (87,5%) su quello riportato, mentre la costruzione spiccatamente antagonistica (33,9%) rappresenta il valore più elevato tra tutti i quotidiani considerati.
Le configurazioni discorsive registrate, disegnano nel grafico una singolare forma a quattro cuspidi dove tutte le forme di discorso riportato sono usate in modo assai limitato, prevale in modo molto netto la configurazione constatativo/indiretto/narrativo (44,8%), due picchi nel discorso constatativo/indiretto/antagonistico (19%) e performativo/indiretto/narrativo (15,3%), ed infine una non trascurabile configurazione performativo/indiretto/antagonistico (8,5%). Da rilevare oltretutto che 14 volte su 20 il discorso riportato non appartiene a Renzi ma a personaggi antagonisti.
Scelte di campo che testimoniano sia la scelta di concedere limitatamente la “parola” al soggetto, sia di evidenziarne le inclinazioni alla conflittualità nelle situazioni di performatività, sia uno stile complessivo del quotidiano di proporsi non semplice cronista ma narratore della scena che preferisce appunto reinterpretare narrativamente.
La rilevanza della frequenza del soggetto Renzi non deve dunque trarre in inganno, in quanto sembra emergere un soggetto raccontato in rapporto antagonistico con l’ambiente circostante, la cui volitività è notevolmente ridimensionata.

Il Messaggero
Il Messaggero su 404 giorni considerati ha citato il soggetto in 384 occasioni risultando il quotidiano con il più alto numero di menzioni, di cui il 47,1% delle volte in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). Nel complesso la parola Renzi ricorre 242 volte mentre in 14 casi il nome è chiaramente presupposto nei casi di discorso riportato, Matteo 4 volte, 83 volte l’appellativo di Premier e 59 volte quella di governo. Relativamente alle modalità discorsive appare un quasi equilibrio tra il regime della constatazione (52.9%) e quello della performatività (47.1%), una prevalenza del discorso riportato (57%) rispetto a quello indiretto, una costruzione antagonistica assai limitata (12.2%) che fa registrare il valore più basso tra le altre testate.
Nel grafico delle configurazioni discorsive rilevante è la cuspide della modalità performativo/riportato/narrativo (29,4%) e comunque tutta l’area della narratività è assai utilizzata, a discapito della polarità antagonistica, evidenziando quindi una scelta di campo ben precisa.
Il Quotidiano dunque rimane in buon equilibrio nel suo ruolo di narratore della scena, usa il discorso riportato quando la responsabilità della veridizione deve ricadere nella sfera del soggetto, ne riporta la performatività o ne constata la sua presenza nella situazione con equa frequenza, rinuncia all’enfasi dello scontro anche a costo di penalizzare la propria identità.
Una testata che sceglie quindi un basso profilo, rimane nel suo ruolo di informatore e sicuramente non maltratta il soggetto che ne risulta si volitivo, non incline solo al conflitto con altri soggetti ma semmai contro il problema.

La Repubblica
La Repubblica su 404 giorni considerati ha citato il soggetto 370 volte di cui il 60.4% in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). Nel complesso la parola Renzi ricorre 249 volte mentre in 27 casi il nome è chiaramente presupposto nei casi di discorso riportato, Matteo 11 volte, 79 volte l’appellativo di Premier e solo 20 volte quella di governo. Relativamente ai criteri di classificazione del discorso si può notare la prevalenza del regime della della performatività (56.2%), una prevalenza consistente del discorso riportato (63.5%), mentre la costruzione antagonistica (23.2%) ha un coefficiente abbastanza marcato.
Nelle configurazioni discorsive, emerge nettamente la cuspide della modalità performativo/riportato/narrativo (34,3%) ed un’area della constazione equamente divisa tra discorso riportato/narrativo e discorso indiretto/narrativo (16,5%). Una certa rilevanza comunque anche nell’area della costruzione antagonistica nelle due modalità performativo/riportato (9,8%) e constatativo/indiretto (7,3%), segno di un identità polemica certamente non sopita. In generale dunque una testata che cerca di rimanere in equilibrio sul soggetto, che accetta di riportarne la performatività pur senza farsene carico mediante il discorso riportato, che privilegia la narratività pur senza abbandonare l’uso di una costruzione antagonistica nel quale tenta di trovare un equilibrio tra il ruolo di descrittore della scena e le responsabilità da porre in capo al soggetto riportandone le affermazioni.
La Stampa
La Stampa su 393 giorni considerati ha riportato il soggetto in 352 occasioni di cui il 56.1% delle volte in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). Nel complesso la parola Renzi ricorre 235 volte mentre in 20 casi il nome è chiaramente presupposto nei casi di discorso riportato, poi Matteo 5 volte, 67 volte Premier e 37 volte governo. In merito alla classificazione del discorso si può notare la prevalenza del regime della constatazione (54%) su quello della performatività (46%), la leggera prevalenza del discorso indiretto (52.3%) su quello riportato, l’uso della costruzione antagonistica il 20.2% delle volte rispetto alla modalità narrativa.
Le configurazioni discorsive che ne derivano, vedono l’area della costruzione narrativa più o meno equamente distribuita nelle quattro modalità possibili, mentre nell’area della costruzione antagonistica una cuspide di una certa importanza si riscontra nella configurazione constatativo/indiretto/antagonistico (11,6%). Da notare che altre due configurazioni del discorso antagonistico, quella performativa (2,6%) e quella del discorso riportato (2,3%) registrano valori assai limitati, quasi a sollevare il soggetto dalle responsabilità dei conflitti.
Una testata dunque che anche in questo caso sceglie il versante della narratività per operare come descrittore della scena, evita i conflitti se non quando il suo ruolo di informatore glielo impone, soggetto neutro che utilizza con equilibrio sia la dicotomia del discorso riportato/indiretto, sia quella della performatività/constatazione, un profilo che certamente non nuoce al soggetto e che consente di mutare le scelte di campo senza intaccarne la credibilità agli occhi dei suoi lettori.

Ci sono molte considerazioni da fare ancora, ma ritengo sia il caso di chiudere e lasciare una pausa di riposo al lettore prima di passare alle conclusioni per le quali do appuntamento tra qualche giorno.
la prima immagine è tratta da:
http://i630.photobucket.com/albums/uu29/climalteranti/giornale.jpg
(vai alla prima parte)
1 Per una trattazione più approfondita della performanza e della constatazione, dell’enunciazione per gli atti linguistici vedi anche M. Sbisa – Gli atti linguistici – Feltrinelli,1978, – J.L. Austin – Come fare cose con le parole – Marietti, 1987
2 Termine in uso in semiotica delle passioni che attiene a sentimenti, emozioni, passioni. Alcuni autori di riferimento: A.J. Greimas, J. Fontanille, P. Fabbri, I. Pezzini, F. Marsciani.
3 Le modalità ottative esprimono desiderio o potenzialità, quindi non sono direttamente riferibili ad una azione in corso o compiuta.
4 Termine coniato da M. Foucault che identifica il processo del dichiarare il vero di qualcosa secondo la visione del mondo di un particolare soggetto, piuttosto che l’oggettivazione del vero di quel qualcosa.
5 Per una esposizione più ampia della nozione di debrayage / embrayage e della teoria dell’enunciazione vedi U. Volli – Manuale di semiotica –Laterza 2000 – per la formulazione della teoria dell’enunciazione vedi anche A.J. Greimas – Semiotica, dizionario ragionato della teoria del linguaggio – 1979
6 Per una trattazione più ampia dei concetti si veda U. Volli – Manuale di semiotica –Laterza 2000 – G. Marrone – Corpi sociali _Einaudi 2001 – U. Volli – Il nuovo libro della comunicazione – Il saggiatore 2007
da Sergio Bernardini | Set 9, 2015 | IMPERDIBILI, MEDIA E SOCIETA'
Un’analisi effettuata su oltre un anno di titoli delle prime pagine del Corriere della Sera, il Messaggero, il Giornale, la Repubblica, la Stampa; alla ricerca di un metodo oggettivo per definire l’atteggiamento dei giornali prendendo a spunto il soggetto politico del momento
Esiste una consapevolezza assai diffusa anche nella gente comune che i media hanno un ruolo importante sulla scena e possono influenzare l’opinione pubblica, tuttavia eccezion fatta per gli esperti di mediologia, non sembrano essere altrettanto chiari modi e tecniche per farlo, cosicché assai frequentemente il lettore attribuisce ad un media una generica appartenenza all’uno o all’altro schieramento basandosi più su convinzioni soggettive che non su metodi oggettivi.
Pertanto l’obiettivo che mi sono posto in questo lavoro è stato quello di individuare un metodo di analisi che potesse definire in modo oggettivo e tangibile l’atteggiamento tenuto dai giornali in merito ad un determinato tema, proiettandolo su una corposa e lunga ricerca che ha riguardato la valutazione di oltre un anno di prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali.
Ho cercato pertanto di individuare degli strumenti relativamente semplici che comunque potessero fornire dei riscontri oggettivi all’obiettivo di partenza, anche se ovviamente non azzardo la pretesa dell’esaustività.
Ho indirizzato il campo d’indagine sui titoli delle prime pagine perché la considerazione fondamentale è stata che l’overload informativo a cui siamo sottoposti e i ritmi delle pratiche quotidiane ci costringono (e ci abituano) a cercare un’informazione breve ed immediata, fatto che determina una crescente efficacia dei titoli, soprattutto di prima pagina, di tracciare i framing dell’informazione in virtù della loro posizione predominante; conseguentemente cresce la loro capacità di influenzare i discorsi sociali trasformandosi in idee, luoghi comuni e stereotipi.
L’analisi è stata effettuata sui titoli delle prime pagine di cinque tra i maggiori quotidiani nazionali, Il Corriere della sera, Il Messaggero, Il Giornale, la Repubblica, la Stampa, per il periodo di tempo compreso tra l’inizio di febbraio 2014 e l’11 marzo 2015, selezionando solo quelli che riportassero il nome di Matteo Renzi, personaggio del momento nel bene e nel male, o il riferimento alla sua carica (Premier, Presidente del Consiglio), ovvero dove fosse riportata la parola “governo” e che di seguito definirò come “soggetto di analisi”.
Ho considerato separatamente gli elementi occhiello, titolo e sottotitolo, includendoli singolarmente nel campo d’analisi a condizione che riportassero i termini sopradetti, viceversa escludendo quelli che non avevano questa proprietà. Ho altresì incluso i titoli dove il soggetto Renzi, ancorché omesso, fosse inequivocabilmente implicato, specialmente nel discorso riportato. Questo ha comportato pertanto che in un solo giorno poteva esserci anche più di un titolo contenente le parole cercate.

Segue ora una prima parte di dati di carattere quantitativo che sono il risultato di 1.632 titoli tratti da 1.941 prime pagine, che danno una panoramica abbastanza ampia; seguirà poi una classificazione basata su dei criteri qualitativi, di cui parlerò nel dettaglio successivamente, dai quali trarre un quadro abbastanza particolareggiato sulle modalità narrative dei giornali presi in esame sul tema considerato.
I risultati
La tabella sottostante riporta il riepilogo di alcuni dati: una prima osservazione si può fare per quanto riguarda l’indice di frequenza che si ricava dal rapporto tra il numero di titoli contenenti le parole chiave cercate e il numero di prime pagine analizzate per ogni quotidiano, che già fornisce una prima comparazione dello spazio riservato al soggetto di analisi dalle varie testate.

Una prima evidente differenza di valori tra le due testate romane, il Messaggero e la Repubblica, e le due testate milanesi, il Corriere della Sera e il Giornale. Si noti anche il dato della Stampa di Torino, non molto dissimile da quello di Repubblica, che sembrano testimoniare una situazione in cui il “peso” di Renzi nella formazione dell’agenda setting dei tre quotidiani è molto simile mentre per le altre due si può desumere un posizionamento un po’ diverso.

Se nel caso del Corriere, il risultato sembra essere in linea con strategie editoriali che privilegiano scenari informativi più ampi e senza eccessive focalizzazioni su un ridotto numero di attori politici, lo stesso non si può dire del Giornale, molto attento alle vicende politiche nazionali, per cui il pensiero inevitabilmente va a logiche di schieramento (che ovviamente avranno una qualche influenza, questo è normale); poiché mi sono ripromesso di evitare nei limiti del possibile valutazioni che potessero ricondursi a giudizi di valore personali, eviterò questo tipo di deduzioni, oltre a suggerire di non trarre ancora conclusioni affrettate.
Ulteriore elemento di valutazione è stato tratto dalla presenza delle parole target nelle varie tipologie di titoli. Poiché negli ultimi anni quasi tutti i giornali hanno iniziato ad adeguare l’impostazione grafica della prima pagina ai particolarismi della quotidianità, non sarebbe stato aderente all’obiettivo classificare i titoli in base ai canoni classici del giornalismo (apertura, taglio alto, medio, etc.), per cui il criterio seguito ha tenuto conto della presumibile percezione di rilevanza del lettore basata sull’impatto visivo (dimensione del carattere, ingombro del titolo) ispirandosi quindi ai principi della semiotica visiva, per cui distinguerò un titolo principale, un 2° titolo principale, i sottotitoli (dei precedenti), altri titoli minori.
D’altronde giornalisticamente si sa come un qualunque soggetto possa essere valorizzabile o meno a seconda della sua collocazione. Ad esempio parlare nel titolo principale di un evento o situazione e riportare nel sottotitolo l’attore (politico!) che in qualche modo lo deve affrontare, presumibilmente non ha la stessa forza di quando nel titolo principale compaiono le azioni/soluzioni che l’attore performa verso la situazione stessa di fatto dominandola, per cui era opportuno distinguere i vari risultati.

Il dato sulla presenza nei titoli principali mostra una sostanziosa differenza tra la Repubblica e la Stampa rispetto al Corriere della sera e al Giornale, con risultati diametralmente opposti, mentre per quanto attiene il secondo titolo principale, i dati risultanti dalle cinque testate sono molto più vicini tra loro.
Ho preso in esame anche i trend del titolo principale nell’arco del periodo considerato, e graficamente si possono notare differenze ed alcuni elementi di curiosità.

Infatti anche se le spezzate presentano alcune similarità nella forma e nell’andamento pur considerando le differenze di valori, sono degni di nota il picco registrato a ottobre da Repubblica che si stacca nettamente dagli altri in coincidenza dello scottante tema dell’art.18., così come il particolare degli ultimi due mesi del periodo considerato che mostra l’intersezione della linea del Giornale, in ascesa, segno di una maggiore attenzione che dovrà quantomeno essere decifrata, e della Stampa che invece registra un netto crollo di attenzione, anche in questo caso da interpretare.
Per il resto i picchi si registrano sia all’inizio del mandato, sia nel periodo autunnale in concomitanza con la spinosa faccenda del jobs act e con le delicate questioni della legge finanziaria, per cui sotto questo punto di vista non si registrano particolari sorprese.
Infine invito a soffermare l’attenzione sulle infografiche dei word cloud ottenuti sulle prime 30 parole significative (sono state scartate quindi preposizioni, pronomi, deittici che non avevano alcun interesse per la natura di questa analisi).

Come si può vedere, a prima vista non emergono sostanziali differenze, la parola Renzi è ovviamente la più gettonata seguita dalla parola Premier, mentre la parola governo si alterna con PD (il Giornale e la Repubblica) ma siamo già scesi al di sotto dell’ 1% di frequenza relativa. Per il resto notevoli sono le similitudini tra cui si ritrovano le parole Unione Europea, sfida, riforme, Berlusconi.
Quindi neanche l’analisi di contenuto ha fornito particolari elementi di differenziazione nella frequenza delle parole più importanti o che comunque possono avere maggiore rilevanza nel determinare gli orientamenti discorsivi dell’una o dell’altra testata.
Pertanto per evidenziare delle differenze non rimane che analizzare la produzione del significato fatta dai vari quotidiani nella costruzione discorsiva, mediante l’individuazione di tre criteri che si basano su delle dicotomie che in sintesi sono rappresentate da:
- 1. un primo criterio valuta e classifica il “punto di vista” del quotidiano sul soggetto mediante il regime della constatazione/performatività;
- 2. un secondo criterio considera il punto di vista del quotidiano sul fatto/situazione e valuta le procedure di costruzione del titolo individuando nella dicotomia tra il discorso diretto riportato e il discorso indiretto narrativizzato la chiave di classificazione;
- 3. il terzo criterio valuta il punto di vista del quotidiano sulle modalità narrative indirizzate al lettore operando la distinzione tra la costruzione antagonistica e la componente narrativa.
Nella seconda parte del post tra qualche giorno (faccio affidamento sulla pazienza del lettore), illustrerò più in dettaglio spirito e origini dei criteri prescelti, in modo che si potrà vedere quali sono state le modalità discorsive di ogni quotidiano e le differenze esistenti.
Affermo in anticipo che i risultati emersi sembrano testimoniare la validità del metodo nell’inquadrare la strategia discorsiva di un quotidiano, a conferma di sensazioni avute nel corso di osservazioni effettuate nel tempo, e che pertanto il metodo stesso si presta ad essere applicato anche in relazione a soggetti di analisi diversi da quello da me utilizzato.
Termino dicendo che la multidisciplinarità della materia implica l’esistenza di numerosi fondamenti teorici utilizzabili in questo tipo di analisi, ma considerata l’esigenza di sintesi imposta dal contesto, alcuni di questi non potevano essere sviluppati adeguatamente, per cui sia pure con rammarico, al momento ho tralasciato l’analisi di forme retoriche, linguistiche e di alcuni importanti principi di semiotica dai quali poter trarre numerosi spunti.
Aggiungo che mi sono anche volutamente tenuto lontano dalla dissertazione di elementi che inevitabilmente comportassero soggettività nell’analisi e che avrebbero magari dato l’impressione di rintracciare miei giudizi di valore dai quali invece voglio assolutamente astenermi.
(segue)

Le immagini sono state tratte da:
http://i.res.24o.it/images2010/Migrazione/IlSole24Ore-Web/_Immagini/Notizie/Italia/2011/04/giornali-quotidiani-marka–258×258.jpg?uuid=c5236894-65e1-11e0-ad93-858d8ca0d7c3
http://image.webmasterpoint.org/news/original/un-giornale-su-tablet-pc38261.jpg
http://giornalaio.files.wordpress.com/2009/07/giornali-galleggiano.jpg
da Sergio Bernardini | Giu 15, 2015 | SOCIAL MEDIA, IMPERDIBILI
Tweet, following e follower, tre numeri che definiscono la nostra “posizione sociale”, una collocazione che attribuisce valore alla quantità più che alla qualità della relazione.
Twitter ci suggerisce anche le tendenze, frutto di un algoritmo basato sul numero di mentions, dove si spazia indifferentemente tra politica, sport, gossip o cronaca. L’agenda setting di Twitter è così democratica oppure altro si affaccia tra le sue righe?
2° parte
Se ci soffermiamo a riflettere un po’ sulla struttura della home page di Twitter, possiamo intuire abbastanza rapidamente la sostanza di ciò che conta effettivamente su questa piattaforma e di quali siano le sue pratiche d’uso.

Sotto il nome del nostro account troviamo subito il numero di tweet prodotti, i following e i follower, tre numeri che un po’ aridamente “quantificano” la nostra “posizione sociale” in termini di interazioni virtuali, ovvero la frequenza con la quale ci relazioniamo con il nostro gruppo virtuale di riferimento, una collocazione che attribuisce valore alla quantità più che alla qualità della relazione.
Poi da sinistra a destra troviamo prima le tendenze suggerite, una proposta eterogenea di parole (o hashtags) che rinviano ad argomenti i quali spaziano indifferentemente tra politica, sport, gossip o cronaca, frutto di un algoritmo che probabilmente è basato in buona parte sul numero di mentions in cui tale termine compare, per certi versi una sorta di agenda setting di Twitter.
Al centro i tweet pubblicati dai nostri following, una lista in continuo aggiornamento, tanto più rapidamente quanto più numerosi e/o prolifici saranno gli account che abbiamo scelto di seguire.
Ne consegue che mentre osserviamo il nostro schermo, al massimo 4 o 5 tweet, dopo pochi secondi un piccolo pop-up ci avvisa di nuovi tweet, quasi a voler suggerire che ciò che stiamo leggendo è già superato, un click e tutto quello che avevamo di fronte sparisce dalla vista, scivola in una sorta di oblio virtuale che possiamo “contrastare” solo attraverso lunghe e pazienti azioni di scrolling.
A destra il suggerimento di nuovi account da seguire, a volte accompagnato dall’avviso che alcuni nostri follower già seguono quell’account; anche in questo caso un particolare algoritmo si associa ad un meccanismo che induce all’adesione facendo leva sul principio di appartenenza, affinità e/o condivisione di valori che alcune volte abbiamo con i nostri contatti.
È ovviamente una proprietà della piattaforma tendente a stimolare le pratiche di relazione e di engagement.
Infatti più following significa ricevere nell’unità di tempo un maggior numero di tweet, poter disporre di più notizie, più curiosità, più apparente conoscenza del mondo.
Twitter è comunque un mezzo in evoluzione, per cui se il suo ruolo nella formazione dell’agenda setting dell’opinione pubblica, come abbiamo visto, può essere al più sussidiario, per quanto riguarda le pratiche di framing le cose potrebbero essere leggermente diverse. Per framing possiamo intendere “la selezione (operata da un soggetto idoneo) di alcuni aspetti di una realtà percepita allo scopo di renderli più salienti in un testo comunicativo, in modo da promuovere una particolare definizione del problema, interpretazione causale, valutazione morale e/o indicazione del trattamento per l’elemento descritto (Entman – 1993).
Forse non è un caso, ma nello specifico della comunicazione politica mi è capitato di osservare una situazione quantomeno interessante, ovvero l’utilizzo di una tecnica che potrebbe di fatto generare una sorta di framing, anche se non ho la certezza che il tentativo sia frutto di scelta strategica o sia stato creato casualmente.
Infatti su uno specifico fatto/personaggio politico, attraverso l’esecuzione di una serie di retweet concentrata in un breve lasso di tempo e circoscritta ad un hashtag, si è creata una specie di “cloud” di messaggi connotati da declinazioni discorsive che esprimevano critiche, ironia, sarcasmo. Questa aggregazione di una ridondanza di punti di vista simili in sequenza, crea la sensazione di un sentimento diffuso e condiviso, di fatto conferendo un effetto di rilevanza più marcato rispetto a quanto si percepisce con la tendenza puntiforme dei contenuti di cui ho parlato nella prima parte.

Per ovvie ragioni evito di dire chi fosse il soggetto politico (non quello della figura dunque), ma poiché nel mio precedente post di aprile mi ero già interrogato sulle modalità di utilizzo del retweeting, mi sembra di poter dire che sia già in itinere il tentativo da parte dei media tradizionali, di mantenere ben salda la loro funzione di costruttori dei framing sociali anche sulle piattaforme social.
Ancora due ulteriori osservazioni che è interessante riportare e che riguardano due casi che hanno riscosso una notevole attenzione nei giorni scorsi, temi suggeriti come tendenza dalla home page che sono caduti nell’oblio nel giro di pochissimo tempo.
Il primo riguarda il caso dell’arresto del marocchino #Touil, accusato di essere un complice dell’attentato al museo Bardo di Tunisi di un paio di mesi fa; l’hashtags collegato al suo nome #Touil ha registrato questo andamento: 12 tweet il 20 maggio, 2.576 il 21, 903 il 22, 193 il 23, 59 il 24, solo 58 negli ultimi 7 giorni e soltanto 2 il 31 maggio, usato insieme ad altri hashtags per un tema di rilevante importanza come il terrorismo. Siamo sicuri che tra qualche giorno qualcuno si ricordi ancora del fatto?

Ancora un’altra curiosità per l’hashtags #Heysel, ben 13514 tweet la settimana precedente il 31 maggio e addirittura 12.419 nei giorni compresi tra il 26 e il 30 maggio, ma appena 63 il 31 maggio, un picco fortissimo che poi decresce altrettanto rapidamente per rientrare nell’oblio. Questo, tranne un limitato numero di casi, sembra essere il destino prevalente della maggior parte degli hashtags, messaggeri troppo numerosi e multiformi di temi che rimangono sulla scena per tempi molto, troppo brevi.

Conclusioni
Alcuni aspetti si delineano con sufficiente chiarezza nel definire che tipo di informazione emani da questa piattaforma:
- la già menzionata riduzione del ciclo di vita della notizia stessa, come abbiamo visto nell’esempio riportato, eccezion fatta per alcuni grandi temi che rimangono sullo sfondo per periodi di tempo anche abbastanza lunghi, fatto possibile solo a condizione che nell’ hashtag/ tema si innestino con una certa continuità fatti nuovi pur in presenza di scarso sviluppo sia dei nessi di causalità, sia di una certa costruzione narrativa. Il tema può così esporsi con una certa continuità ma in modo evanescente, lasciando tracce confuse e superficiali nella memoria condivisa della società.
- Gli stili discorsivi che i tweet normalmente tendono ad assumere, aspetto suscettibile di creare effetti significativi ai fini della costruzione simbolica dell’informazione proveniente da questa piattaforma. Infatti oltre allo stile tipicamente divulgativo, secco e asciutto dell’enunciazione di un fatto, si affiancano altre stilistiche di rilevante interesse che vertono nella critica, nell’ironia, nel sarcasmo, nella protesta. La contemporanea presenza di più stili, può contribuire in un modo abbastanza efficace, anche se sbrigativo, alla costruzione di una rappresentazione del senso comune dell’opinione pubblica “virtuale”su un qualcosa.
- Il sistema dei media tradizionali presenti sulla piattaforma che non riesce a fornire le priorità ma solo un ordine cronologico, la mancanza di una traccia che concorra a dare salienza ai vari fatti che rischia di banalizzare il tutto in una sorta di melting pot indistinto.
Paradossalmente attributi puramente visuali legati alle immagini incluse, potrebbero indurre maggiore curiosità, una sorta di engagement appunto, spostando l’interesse di parte dell’opinione pubblica su temi assolutamente di scarso interesse.
Queste logiche indotte dalle caratteristiche dei nuovi media tendono pertanto a esaltare contenuti diretti a massimizzare l’appeal più che ad assicurare un’informazione esaustiva e comprensibile (Entman 1993). Tutto ciò porta alla distorsione del panorama informativo a favore di un’eccessiva semplificazione e decontestualizzazione delle issue (Franklin 1997; Delli Carpini e William 2001), perlopiù provocando preferenze su contenuti che operino una accentuazione degli aspetti più sensazionali e conflittuali (Esser 1999, Wessler 2008).
A tal proposito, come non meditare sulle straordinarie intuizioni degli studiosi citati, perfettamente compatibili anche per i social media, quando questi non erano ancora entrati sulla scena.
(vai alla 1° parte)
da Sergio Bernardini | Giu 15, 2015 | SOCIAL MEDIA, IMPERDIBILI
Twitter azzera i tempi di “trasporto” della notizia dal luogo di “produzione” al fruitore dell’informazione, ma fa fatica a comunicare effetti di senso ridondanti rispetto a quanto permesso dai 140 caratteri.
Così reticenza, paradosso, allusione, ironia sono alcune delle armi retoriche che possono essere utilizzate nei brevi testi di Twitter, al pari della tecnica del retroscena, una promessa che pizzica le corde della curiosità…
1° parte
Twitter oltre che un social media è anche un mezzo di comunicazione di massa, per cui che tipo di influenza può avere nella formazione dell’agenda setting dell’opinione pubblica? Questo in sostanza l’interrogativo di chiusura del mio post precedente.
Parliamo di una piattaforma che è sicuramente una protagonista delle pratiche discorsive della società, caratterizzata da una forte trans-medialità, che sempre più spesso riesce a modificare ritmi e forme della comunicazione sociale e che possiede caratteristiche che implicano senz’altro sostanziose differenze rispetto alle teorie classiche di agenda setting.
La continua crescita di account, l’enorme numero di tweet diffusi, l’affermarsi di specifiche competenze tecniche nella produzione dei contenuti, fanno di Twitter un protagonista della formazione dei discorsi sociali, tale da porsi molto spesso come il primo anello della catena informativa che, pertanto, richiede di acquisire l’abilità di maneggiare Hashtags, retweeting, gestione di immagini e video, ma non solo, anche la capacità di saper comunicare effetti di senso ridondanti rispetto a quanto permesso dai 140 caratteri.
Per collegarmi alla domanda iniziale, riporto in estrema sintesi alcuni punti fondamentali degli studi condotti sulla teoria dell’agenda setting (Shaw 1979, McClure-Patterson 1976, Mc Combs 1976 per citarne alcuni)1 che asserivano la capacità dei media di massa, principalmente giornali e televisione, di fornire una agenda dei temi sui quali discutere e formarsi opinioni, di fatto escludendo gli altri. Già Cohen (1963) sosteneva che la stampa non può dire alla gente cosa pensare, mentre è sorprendentemente capace di dire ai propri lettori su quali temi pensare qualcosa.
In sintesi, si sostiene, l’effetto dell’agenda sul pubblico si estrinseca in un processo complesso che si articola in più fasi:
a) focalizzazione ed enfatizzazione dei temi in primo piano;
b) analisi dei nessi causali del problema e loro interpretazione (Framing);
c) collegamento tra l’oggetto inquadrato e il sistema simbolico del pubblico, fino a far integrare l’oggetto e il suo potenziale simbolico nel sistema sociale.

Le caratteristiche dei vari media costituiscono le condizioni con il quale ognuno di questi suggerisce la rilevanza dei vari temi: mentre i giornali tradizionali sfruttano la grandezza dei titoli e la posizione nella pagina molto efficacemente per affermare la salienza dei vari fatti, la televisione, meno efficace in questo, può far affidamento soltanto sull’esposizione cronologica delle notizie e sulla spettacolarizzazione delle immagini.
Twitter ha dalla sua parte la velocità del mezzo, che praticamente azzera i tempi di “trasporto” della notizia dal luogo di “produzione” al fruitore dell’informazione, però non può organizzarne le sequenze e fa molta fatica ad aggiungere risalto (al di là di quello intrinseco che alcuni fatti di per sé possiedono più di altri!) con le sue caratteristiche strutturali.
Così reticenza, paradosso, allusione, ironia sono alcune delle armi retoriche che possono essere utilizzate nei brevi testi di Twitter, magari includendo immagini e video più o meno ammalianti, per ottenere comunque il rinvio del lettore ad un’ altro mezzo.

C’è anche la possibilità di usare la tecnica del retroscena, in tal modo ammiccando al lettore e stimolandone l’aspettativa di trovare l’informazione altrimenti esclusa dai contenitori dei notiziari tradizionali, quindi spingendolo a seguire i link inclusi; ma il concetto di salienza, di rilevanza, non può manifestarsi con questi strumenti.
Per verificare empiricamente alcuni degli aspetti sopra descritti, con l’ausilio di Social Bakers è stata costruita una lista di 35 account scelti tra quelli aventi il maggior numero o comunque un numero significativo di followers, che appartenessero a diverse categorie così da rappresentare uno pseudo-mondo di informazione di un qualunque utente generico. È stata quindi formata una lista avente 7 account del mondo dello sport, 4 della politica, 4 dello spettacolo, 5 tra i media, 5 di intrattenimento, 5 brand di aziende di diversi settori e 5 di viaggi e turismo. È stata poi simulata in giorni ed orari diversi la possibile lettura da uno smartphone “scorrendo” un numero di tweet che coprissero un intervallo temporale di circa 2 ore ogni volta, e verificando poi alcuni aspetti qualitativi e quantitativi relativi agli argomenti.

Per ogni intervallo si sono registrate serie di tweet comprese tra le 100 e le 200 unità, che hanno offerto un quadro informativo frammentato di notizie di vario genere, quasi alla rinfusa, alcune con immagini, altre no, dalle breaking news politiche alle notizie di sport, dai fatti delle crisi internazionali al gossip, dal caso di cronaca alle esternazioni di una qualche notorietà.
Nessuna traccia di struttura dunque, una serie puntiforme di tematizzazioni di cui è assai arduo organizzarne un senso generale, al contrario invece di quanto spontaneamente succede sui media di massa tradizionali.
Conseguentemente, un aspetto suscettibile di essere fortemente influenzato è la difficoltà ad accumulare il senso delle varie “quotidianità”, ciò che poi costituisce nel pubblico il patrimonio degli antecedenti, fattore fondamentale nel sistema di decodifica di fatti successivi del quale non siano certe le soluzioni (A. Smorti – Psicologia culturale 2003).

Pertanto, la maggiore difficoltà a concatenare gli eventi, che faticano a legarsi in una sorta di sequenza narrativa, attenuano il ricordo e la costruzione di una memoria sociale condivisa (vedi anche: Per una semiotica del quotidiano – E. Landoski in A. Semprini –Lo sguardo semiotico – 1990 e G. Marrone – Corpi sociali -2001).
Se il principio di agenda setting viene quindi a diluirsi a causa della frammentazione delle informazioni e conseguentemente l’ influenza dei media di massa viene a diminuire (forse!) nella formazione dell’opinione pubblica, fatto di per sé non totalmente negativo, c’è da prendere in considerazione che questo fenomeno tendendo a ridurre il ciclo di vita delle notizie, come già detto, al tempo stesso rende più instabile anche la memoria delle vicende che servono alla decodifica dei fatti successivi. Conseguenza possibile e ancora da esplorare nei suoi effetti sul lungo termine é lo sfrangiarsi e l’attenuarsi delle memorie collettive, la possibile disarticolazione tra la realtà percepita e i fatti che la costituiscono, la potenziale attenuazione dei legami di coesione sociale che potrebbero indebolirsi a fronte di una memoria condivisa poco strutturata.
Come possiamo definire dunque la nostra bacheca virtuale? Forse il termine bacheca appare un po’ riduttivo alla luce della bulimia informativa dal quale siamo pervasi, visto che buona parte dei frequentatori di Twitter annoverano un numero di following molto alto, in grado di tweettare un numero di messaggi superiori a quelli che normalmente si è in grado di fruire nel normale scorrere della quotidianità.
È un po’ come trovarsi in un enorme “mercato” virtuale, affollatissimo di “bancarelle” disposte in modo disordinato su cui trovare le notizie più disparate che non avremo mai la certezza di poter osservare completamente, che cambiano la loro “merce” con estenuante rapidità, un’ offerta talmente vasta e variegata che non riusciremo mai ad approfondire, perennemente distratti da nuove merci/notizia che si affollano e si sostituiscono vicendevolmente.
Nel giudizio dobbiamo sempre tenere presenti le modalità di fruizione, sempre meno riconducibili ad un desktop che ci consente certe modalità di navigazione e osservazione dei contenuti, sempre più legate agli smartphone, che in uno schermo di ridotte dimensioni e durante pause di tempo sempre più brevi, consentono di far “scorrere” le informazioni dei vari fatti con impressionante rapidità, che solo raramente si fa sosta su un tweet e se ne segue il link per un articolo on-line che il più delle volte ha una lunghezza inferiore alle 500 parole. Poche sono dunque le possibilità di reale approfondimento di più eventi e dei loro nessi causali, tutto si consuma in tempi sempre più ristretti che finiscono per diventare il foraggio ideale del qualunquismo e del pressappochismo.
(vai alla 2° parte)
1 Per una trattazione estesa dell’argomento ed altri riferimenti bibliografici vedi Wolf Mauro – Teorie delle comunicazioni di massa – Bompiani 1985
da Sergio Bernardini | Dic 10, 2014 | IMMAGINI E VISUAL STORYTELLING, IMPERDIBILI
Le immagini dei quotidiani, mondi apparentemente uguali ma al tempo stesso profondamente diversi, creatori di narrazioni parallele, ancorché costruite sulla stessa terra, destinate a persone diverse. Alla scoperta delle tendenze emergenti di alcune raffigurazioni che andranno poi a popolare gli immaginari collettivi dei lettori.
Dopo aver parlato di una possibile tassonomia delle immagini sui giornali e di come queste possano tradursi in uno strumento di interpretazione dei processi identitari e culturali di un paese (n.d.r. Kosovo), in questa sede voglio affrontarne un altro aspetto che pur originato in un ambito culturale diverso, dimostra la forte e raffinata capacità che le immagini possono avere nell’influenzare le visioni del mondo dei loro lettori.
L’analisi è tratta da ricerche, esperienze e osservazioni a più riprese effettuate sul Libano, un paese al cui interno vivono in equilibrio precario diverse identità risultanti dall’intreccio tra più confessioni religiose e numerose correnti politiche, in un mosaico assai complesso da decifrare.
Non parlerò, se non minimamente, di schieramenti e legami politici che avrebbero rischiato di essere fuorvianti nell’ interpretazione semiotica dei significati percepibili dall’osservazione delle immagini.
Non esistono, come in nessuna realtà giornalistica, limitazioni esplicite a qualsivoglia tipologia di immagini, ma è sulla loro “sintassi” e sulla presenza di certe ridondanze che questa analisi si indirizza, sintetizzando le tendenze emergenti di alcune raffigurazioni che presumibilmente andranno a popolare gli immaginari collettivi dei lettori.
Al Akhbar

Al Akhbar – 18 agosto
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- Al Akhbar è uno tra i cinque giornali più popolari a Beirut e nel sud del Libano, fondato nel 2006 e dichiarandosi indipendente e progressista, impegnato nel sostegno a valori come indipendenza, libertà e giustizia sociale, è ritenuto abbastanza vicino alle posizioni di Hizbollah ed ha una impostazione grafica che ne denota una sua ben precisa identità editoriale; la prima pagina normalmente riporta immagini a “tutta pagina”, foto di grande impatto visivo che spesso non si limitano a documentare un evento quanto piuttosto mirano a far leva sulle emozioni del lettore;
- si rileva l’iconografia del principio di autorità tradizionale attraverso immagini che mostrano leaders religiosi, mostrandone perlopiù i volti; una raffigurazione di autorità che richiama archetipi ancestrali che non possono essere messi in discussione e che pertanto implicano una sorta di lealtà cieca;
- le immagini di uomini che impugnano armi, che non appartengono a forze regolari e che indossano i copricapo tipici delle fazioni di appartenenza, sono l’emblema della militanza armata, la riproposizione di una realtà del recente passato radicata nel paese che viene quasi legittimata attraverso la sua collocazione nella quotidianità;

Al Akhbar – 31 luglio e 1 agosto
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- viene raffigurata la sofferenza, specialmente in prima pagina, non limitandosi a documentare gli eventi tragici che spesso popolano la quotidianità di questo paese, ma ne viene ritratto con dovizia il dolore, la disperazione, il pianto che attanaglia i volti della gente comune e delle donne e che esercita una forte carica patemica nel lettore, suscitandone sentimenti di pietà e solidarietà misti a rabbia come si può immaginare;

Al Akhbar – 1° pag. 31 luglio
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- sono spesso mostrati bambini, vittime delle sofferenze, che si aggirano nei luoghi delle rovine, scenario della loro quotidianità, e che talvolta appena adolescenti già imbracciano le armi, quasi una profezia del loro futuro;
- edifici distrutti o semidistrutti, rappresentazione di una tragica ciclicità degli eventi che mostra come gli effetti delle guerre e delle lotte intestine costituiscano la realtà di buona parte di questa gente;
- le manifestazioni di protesta in strada, folle di gente che esprime la sua anima, altra pratica abbastanza radicata nella quotidianità della popolazione.
Annahar
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- Questo giornale, fondato nel 1933, è il più anziano tra i giornali considerati, assai diffuso in Libano con una circolazione stimata di 45.000 copie, è una testata che si accredita a principi liberali, pluralisti ed in parte di centro-sinistra;
- la prima pagina normalmente propone due immagini che documentano gli eventi principali della giornata con uno spazio normalmente inferiore a metà pagina, e che denotano in linea di massima valore testimoniale ai fatti raccontati;

Annahar – 9 maggio
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- l’autorità rappresentata attraverso le immagini è un’autorità laica di tipo legittimo che si manifesta nei luoghi “di produzione” come gli incontri di vertice, anche se viene comunque espressa senza disdegnare i tratti del carisma e del rango di appartenenza;
- le armi sono rappresentate ma detenute dalle forze regolari, dall’esercito ovvero dall’istituzione legittimata ad utilizzarle nel bisogno;

Annahar – 1 agosto
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- gli spazi di aggregazione sociale, locali, edifici e spazi urbani trovano una presenza adeguata nel mostrare l’aspetto della normalità quotidiana e del vivere sociale;

Annahar – 26 aprile
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- distruzioni e rovine sono mostrate così come la gente coinvolta in questi drammi, ma la sintassi di queste raffigurazioni assume valore testimoniale, se ne percepisce la gravità senza che se ne enfatizzi il dolore e la disperazione.

Annahar – 1° pag. 31 luglio
The Daily Star
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- Il Daily Star è stato fondato nel 1952 e nacque all’origine con lo scopo di informare il cospicuo numero di espatriati a causa della nascente industria petrolifera nei paesi del golfo, divenendo in breve tempo il primo giornale in lingua inglese del Medio oriente. Accreditato di circa 30.000 copie, dalla sua stilistica complessiva si percepisce ben presto come questa testata miri ad altro tipo di audience in termini di cultura e di status sociale;

Annahar – 26 aprile e 10 maggio
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- nella prima pagina di norma appare una foto che occupa il 25-30 % della pagina ed esercita un certo impatto nell’attribuire risonanza al fatto del giorno e che in linea di massima tende ad assumere valore documentale;

The Daily star – 1° pagina 28 luglio
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- immagini di catene di produzione, di impianti industriali, di aziende, di banche, la presenza di infografica relativa ai mercati finanziari, costituiscono la rappresentazione del mondo degli affari, mostrano pezzi di realtà locale e popolano l’immaginario collettivo di una fascia di popolazione che vive un altro tipo di quotidianità;

The Daily Star – 22 marzo e 7 aprile
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- la ricorrenza in varie modalità dell’iconografia femminile, uno spazio per la moda, ma anche immagini che mostrano soldi, descrivono un mondo dei consumi e raccontano l’esistenza di uno spazio esistenziale di ben altro genere rispetto a quello spesso mostrato da Al Akhbar;
- le proteste di piazza compaiono con una certa frequenza, segno inequivocabile dell’appartenenza alle pratiche quotidiane di questo paese;
- le immagini che mostrano edifici, a volte anche dal basso verso l’alto, che rappresentano un significante semiotico di un certo modo di pensare il futuro;
- armi e rovine non possono mancare, ma compaiono in misura inferiore, denotano una valorizzazione testimoniale e non emotiva, sono elementi di un fatto non la normalità quotidiana.
L’Orient Le Jour
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- L’Orient le Jour è stato fondato nel 1970 dall’unione di due quotidiani libanesi in lingua francese e denota alcune caratterizzazioni tipiche dei giornali occidentali; è una testata attenta a finanza, economia e allo scenario internazionale, ospita spazi glamour e di cultura, ed appare indirizzarsi ad un certo tipo di elite sociale, a tratti persino snob, rappresentata dai suoi lettori modello, appartenenti in prevalenza alla parte cristiana che si richiama alle impronte della cultura francese;
- la prima pagina riporta più immagini di dimensioni contenute che accompagnano i titoli principali; non c’è quindi l’enfasi sul solo titolo di testa, ma la descrizione di una scena poliedrica, quasi a dare la sensazione di saper guardare il mondo nella sua interezza e non solo circoscritto al territorio libanese, un richiamo esplicito a chi ha questa cultura;
- il giornale fa maggior uso del colore rispetto ad altre testate, sia nelle immagini, sia utilizzando fondini colorati all’interno delle sue pagine, stilistica che ricalca l’impronta di modernità dei giornali più “giovani” rispetto a quelli di più lunga tradizione;
- le immagini che riportano personalità di spicco, come nella tradizione libanese, sono abbastanza frequenti, ma anche in questo caso il potere è rappresentato “in giacca e cravatta”, è un potere che si concretizza in incontri più esclusivi, più ristretti rispetto a quanto di norma rappresentato sul Daily;

L’Orient le jour – 16 maggio e 28 aprile
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- le rovine non sono ignorate, ma sono documentate, non “gridate”, così come le proteste di piazza o le armi, meno frequenti, meno pervasive nel rappresentare una realtà libanese che vuole mostrare anche altre facce;

L’Orient le jour – 1° pagina 31 luglio
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- il vivere sociale nei luoghi della cultura o del tempo libero trova un suo spazio, così come la cronaca di fatti di costume, un mondo che appartiene presumibilmente ai suoi lettori;
- l’uso di caricature denota la capacità di saper fare ironia sui fatti e sui personaggi, forse un modo meno isterico ma comunque efficace di veicolare il proprio punto di vista sulla scena, il punto di vista espresso da una elite culturale che non si affida alla violenza;
- la pubblicità prevalente mostra prodotti e beni di status symbol come orologi esclusivi, accessori e alta moda griffata, auto di alta gamma.

L’Orient le jour – 28 luglio e 16 maggio
Considerazioni
Ad una osservazione sbrigativa, tutti gli elementi peculiari della quotidianità libanese sono rappresentati nelle immagini: le rovine delle guerre, le sofferenze della popolazione, la circolazione delle armi, i decisori politici in azione, per cui sembrerebbe che tutti i giornali svolgano la loro azione informativa salvo poi declinare attraverso le parole il loro orientamento ideologico, ma questo fatto è noto, risaputo e sostanzialmente decodificato dalla maggior parte dei lettori.
È nel potere di veridicità attribuito alle immagini, alla loro forza testimoniale che si deve la produzione di immaginari collettivi da cui percepiamo valori e dai quali creiamo narrazioni, anche se a volte il nostro osservare quasi distrattamente la scena non ci dà questa consapevolezza.
Focalizzando l’attenzione sulle differenze invece, emergono aspetti che a mio giudizio hanno più importanza di quanta non gliene venga attribuita.
Se consideriamo le tendenze emerse in Al Akhbar, le tipologie di immagini che ho evidenziato possono assimilarsi alle tessere di un puzzle che ripropone lo schema narrativo canonico di Greimas: la rottura dell’equilibrio (gli eventi di distruzione), le sofferenze e le umiliazioni del debole (le rovine, la disperazione), il destinante che da la sua investitura (l’iconografia della leadership), l’acquisizione della competenza (adolescenti con le armi), la lotta (militanti in armi), la folla in strada (in attesa di celebrare il ritorno dell’eroe?), costituiscono una sequenza a cui forse in termini di immagini manca solo il “ritorno dell’eroe dopo aver sconfitto il drago”, una sanzione finale che può essere immaginata e incasellata nelle narrazioni collettive anche senza mostrarne l’evidenza.
Se consideriamo le immagini con le armi, per esempio, mentre in Al Akhbar il detentore era la figura del miliziano o dei gruppi armati, in Annahar queste sono nella disponibilità di reparti regolari in armi, dell’istituzione a ciò deputata, e questo nonostante entrambe le testate si dichiarino ispirate a valori liberali e progressisti.
Le immagini delle rovine sono presenti in tutte le testate considerate, ma mentre in Al Akhbar a volte sono un aspetto totalizzante occupando magari un’intera prima pagina, in The Daily Star o in L’Orient le Jour sono una parte del mondo, perché immagini e notizia compaiono a fianco di altri temi, e già variando lo spazio delle immagini, se ne modifica la risonanza e il peso percepito.
La rappresentazione stessa dell’autorità nelle immagini di persone importanti, assume le sembianze degli affari (Daily Star), del potere (L’Orient le Jour), delle istituzioni (Annahar), del carisma (Al Akhbar), espressioni diverse dello stesso concetto che è uno dei pilastri fondamentali del modo di interpretare la propria realtà sociale.
Persino la pubblicità, rappresentazione dei desideri o proiezione del proprio modo di vedersi nel mondo, assume forme distinte, diverse da quel mondo francese di charme mostrato da L’Orient le Jour.
Tanti mondi apparentemente uguali, ma al tempo stesso profondamente diversi, creatori di narrazioni parallele, ancorché costruite sulla stessa terra, destinate a persone diverse.
Descrivendo la realtà dei quotidiani libanesi, ho preso spunto da questo stato così ricco di aspetti e di contraddizioni, per far emergere il valore peculiare di certe sottili differenze che si celano nella sintassi delle immagini, capaci di influenzare le nostre visioni del mondo.
È in base a ciò che vediamo e che ricordiamo nella nostra testa che edifichiamo le nostre rappresentazioni del mondo, i nostri script sulla scorta dei quali procediamo a decodificare poi le nuove informazioni in ingresso ed andiamo ad aggiornare le nostre personali narrazioni quotidiane.
Ma siamo certi che gli artefici della costruzione siamo noi?
da Sergio Bernardini | Set 15, 2014 | IMMAGINI E VISUAL STORYTELLING, IMPERDIBILI
Le immagini sono una parte fondamentale della comunicazione prodotta dai media perché danno immediatezza visiva al racconto dei fatti e contribuiscono in tal modo a formare le visioni del mondo. Un sintetico approfondimento su alcuni meccanismi che sovrintendono alla produzione di significati.
Della capacità delle immagini sui giornali come strumento che rivela persino le forme culturali di un territorio ho già parlato nel post “le narrazioni inscritte nelle immagini”, per cui in questa sede vorrei evidenziare alcuni aspetti legati alla loro performatività in termini emotivi e simbolici.
Il focus sarà rivolto specialmente su ciò che viene pubblicato nella prima pagina dei quotidiani.
Riassumendo in poche righe una teoria sulle comunicazioni di massa, si può dire che i media svolgono un ruolo fondamentale nella creazione e diffusione di significati e valori condivisi, ed al tempo stesso captano le aspettative del pubblico riproducendo con ciò una circolarità e una sorta di processo di auto descrizione della società; non solo, raccontando i discorsi sociali(Volli – id.), i media suggeriscono anche il modo di interpretarli.
Di norma nell’analisi dei media in genere, c’è la tendenza a considerare chi siano i gatekeepers (M.Wolf.- Teorie delle comunicazioni di massa – 1985) ovvero quale sia il gruppo di controllo e a quale schieramento politico faccia riferimento.
In tal modo si finisce per perdere di vista un aspetto che, a mio modo di vedere, è tra i più rilevanti dal punto di vista della capacità di dare forma alla visione del mondo del lettore, ovvero la figurativizzazione (U. Volli – Manuale di semiotica – 2004) del racconto della quotidianità.
Infatti, se un testo scritto richiede capacità di astrazione per essere pienamente compreso, quindi la cooperazione interpretativa del lettore (U. Eco), la sua decodificazione potrà anche incontrare elementi in dissonanza con le credenze del lettore stesso.
Le immagini invece sono dotate della forza conferita dalla presunzione di veridicità e non hanno bisogno di essere comprese, significano in base agli elementi che in esse compaiono.
Barthes, ripeto, diceva che l’effetto di senso della fotografia è spesso il frutto di precise strategie semiotiche, e per spiegare speditivamente questo concetto vorrei rinviare alle esperienze fotografiche di molti di noi, quando ci si rende conto di come la realtà è spesso ben altra cosa, a volte in meglio altre in peggio.
Ma una prospettiva sul quale focalizzare l’attenzione sono gli effetti di senso sovra segmentali (G. Marrone – Corpi Sociali – 2001) che mediante il ricorso a raffinate strategie semiotiche, producono significati ridondanti rispetto alla semplice sintassi denotativa dell’immagine; il tutto è più della somma delle parti.
Uno strumento di analisi di relativa semplicità al quale fare riferimento è il modello di classificazione delle immagini proposto da Lo Russo-Violi (Semiotica del testo giornalistico – Laterza 2004); queste sono articolate in quattro classi: immagini simbolo, immagini documento, immagini emozione ed immagini interpretazione.
Immagini simbolo

Le immagini simbolo sono costituite spesso da soggetti che non mostrano un legame diretto o evidente con l’evento cui sono collegate, e di frequente può trattarsi di foto d’archivio che possono essere risemantizzate simbolicamente in virtù dell’accostamento a titoli, articoli o altri particolari.
Tali immagini tendono a mitizzare il soggetto che mostrano, a conferirgli un elevato valore simbolico, a fare riferimento ad un repertorio storico della memoria dove i soggetti rappresentati, spesso persone, diventano simboli di significati più ampi, effetto prodotto spesso attraverso la reiterazione dell’immagine stessa.
Per esempio, la prima immagine che ritrae la povera Yara Gambirasio, accompagna un articolo che descrive gli sviluppi del processo di accusa al presunto colpevole, quindi teoricamente non avrebbe attinenza diretta con la notizia in sé. Tuttavia questa immagine ha la capacità di ravvivare la commozione che provocò questo fatto e la sua possibile reiterazione nel corso del tempo ha la capacità di produrne una risemantizzazione quale simbolo di questa categoria di eventi, da usare magari per stimolare un movimento di opinione che spinga per un inasprimento delle pene per certi reati.
La seconda foto invece ritrae il leader di Forza Italia in un atteggiamento quasi “regale” di saluto, un gesto che sembra rivolto ad una folla in tripudio, così come l’inquadratura dal basso del leggio, una sorta di sovrapposizione con il marchio del partito quasi a fondersi con esso, sono elementi di una sintassi semiotica non casuale.
Si realizza in tal modo la mitizzazione del personaggio che attraverso il suo legame con gli elementi simbolici del partito, ne diventa anch’esso elemento imprescindibile; il suo ritratto diventa marchio da utilizzare come simbolo.
Immagini documento

Le immagini documento invece hanno tipicamente valore di testimonianza, sono referenti degli eventi narrati, devono fornire l’evidenza dei fatti e pertanto i loro significati sono attinenti al contenuto cui sono collegate, in linea di massima senza ulteriori rimandi ad altri aspetti.
Questo tipo di immagini di norma non sono repertorizzabili perché riferite ad un evento specifico, tuttavia va sempre considerato che una foto è comunque l’assemblaggio di diversi elementi; queste composizioni, come può facilmente immaginare un appassionato di fotografia, possono risultare più o meno orientate a dare rilevanza a certi aspetti piuttosto che ad altri, di fatto modificando l’impatto sul lettore.
Negli esempi riportati, riferiti il primo al tragico incidente dei due aerei dell’Aeronautica Militare dove si mostra l’istante subito dopo l’impatto, il secondo che mostra le ferite del recente conflitto israelo-palestinese e gli ingenti danni che questo ha provocato, entrambe finalizzate a dare sostanza visiva a quanto i testi scritti descrivono.
Si tratta in questi casi di immagini difficilmente riproponibili a meno ché nel futuro non si debba tornare sull’argomento facendo leva su immagini già presenti nella memoria collettiva.
Immagini emozione

Le immagini emozione sono indirizzate soprattutto a stimolare la sfera emotiva del lettore mediante la rappresentazione di situazioni produttrici di un’elevata carica tensiva e che stimolino una forte impressione nel lettore.
Devono quindi suscitare sentimenti intensi perché cercano di andare oltre i fatti in sé per mostrarne gli effetti, per lasciare intuire le sofferenze, le tragedie, cercano di stimolare la coscienza collettiva andando oltre l’essenza del fatto.
Il loro legame con gli aspetti tensivi e passionali suscitati nel lettore, la drammaticità che richiamano, le arricchisce di una carica comunicativa e le fa diventare a volte icone delle rappresentazioni sociali del momento.
In linea di principio non sarebbero immagini repertorizzabili, anche se la loro intensità fa sì che possano farsi referenti simbolici di emozioni collettive che si intenda richiamare a distanza di tempo.
Le due drammatiche figure riportate incorporano ognuna una carica simbolica molto intensa: nella prima ad esempio il colore arancione della tunica indossata dalla vittima, colore reso tragicamente famoso già dall’ultima guerra in Iraq (2003) che preconizza le atroci sofferenze della vittima; nella seconda invece la disperazione e le sofferenze della gente mostrata nella foto che concorre ad attribuire ad una delle parti in conflitto, quella mostrata, il ruolo di vittima che subisce la prepotenza del più forte, stimolando in tal modo rimandi a mitografie molto potenti.
Immagini interpretazione

Le immagini interpretazione invece raffigurano qualcosa di riconoscibile che in genere non ha un’ evidenza informativa immediata e necessitano appunto di una decodificazione, richiedono la cooperazione interpretativa del lettore che tenderà ad attribuirle senso spesso a seconda il proprio orientamento valoriale.
Questo tipo di figure possiede una capacità di significazione che si produce mediante l’uso di artifizi retorici come l’allusione e l’ironia, portatrici di significati addizionali che, percepiti, non potranno essere oggetto di contestazione da parte di colui che ne è vittima, ma che tuttavia ne operano una svalorizzazione.
In queste immagini si affida al lettore l’interpretazione e la decodifica di significati non apertamente dichiarati, ma che possono essere dedotti sulla scorta delle sue enciclopedie di riferimento.
Vogliamo fare una prova? Bene, iniziamo dalla prima: per gli Euro da spendere in fumo, la forma della sigaretta non ricorda per caso quella di uno spinello? È possibile in tal modo inferire un velato riferimento ad una “certa” cultura attribuita alla sinistra?
Passiamo alla seconda: il premier sempre sorridente di fronte ai gravi problemi del paese, raffigurato mentre con le mani sembra minimizzare qualcosa, fa pensare niente? C’è da stare allegri nella situazione attuale? È quindi lui l’uomo adatto a raddrizzare la baracca o dalle immagini ne esce sottilmente svalorizzato?
Certo non si può escludere che questa lettura così come la decodifica operata da un qualunque lettore rientri nella sfera soggettiva, tuttavia siamo pur sempre in presenza di quegli effetti di senso sovra segmentali di cui abbiamo parlato all’inizio e che concorrono poi a formare una visione del mondo nel lettore modello, una costruzione che avviene anche per effetto della reiterazione di determinate figurativizzazioni.
Conclusioni
In conclusione, si possono fare due considerazioni: la prima è che in alcuni casi è assai difficile classificare rigorosamente un’immagine in una sola categoria perché ognuna di esse possiede caratterizzazioni che possono essere riconducibili anche ad altre; è sulla prevalenza di una di queste che conviene fare riferimento.
Ovviamente la tassonomia presentata ha il pregio di offrire uno schema che possa includere l’intera tipologia di immagini presenti nel testo giornalistico e che comunque non deve costituire una gabbia rigida nell’analisi di queste, bensì costituire un mezzo speditivo per interpretare lo spessore comunicativo a volte latente del quotidiano.
La seconda considerazione è che il modello descritto potrebbe sembrare per certi versi una categorizzazione assai scontata e non particolarmente ricca di indicazioni. In tal caso però è opportuno tenere presente che al di là del limitato numero di esempi presentati, questo modello può porsi come metodo oggettivo per disvelare le strategie comunicative che un giornale usa contribuendo a creare una determinata rappresentazione sociale, e sulla buona fede dei quali si fa una certa fatica a credere.
Mi riprometto di tornare sull’argomento oggettivando proprio certe linee di tendenza.
È con ciò auspicabile che maturi la consapevolezza che l’analisi dei media potrebbe essere condotta con obiettivi diversi rispetto alla semplice descrizione dell’agenda giornaliera di questi.