I TITOLI DEI GIORNALI: NARRAZIONE O PLAGIO? 2° PARTE

I TITOLI DEI GIORNALI: NARRAZIONE O PLAGIO? 2° PARTE

Quali le configurazioni discorsive riprodotte dai titoli di alcuni tra i più diffusi quotidiani nazionali relativamente ad un soggetto politico di primissimo piano. Alcuni risultati emergenti da   un’analisi condotta   su quasi 2.000 prime pagine

 2° parte

Nella prima parte di qualche giorno fa ho mostrato alcuni dati quantitativi che in qualche modo hanno messo in luce l’atteggiamento di alcuni tra i quotidiani nazionali più diffusi verso il soggetto di analisi rappresentato dall’ attuale Premier, monitorando i tre termini Renzi, Premier e governo. La diversa frequenza con cui i giornali hanno parlato del soggetto e la tendenza a dedicargli i titoli di maggiore impatto, forniscono delle indicazioni sicuramente interessanti che tuttavia prese isolatamente non sembrano essere in grado di offrire un dato determinante senza utilizzare ulteriori parametri di analisi.

Con una certa sorpresa neanche attraverso l’analisi di contenuto, con la quale sono state isolate le prime 30 parole significative, sono emersi riscontri interessanti, e pur nella relativa povertà lessicale dei titoli si è registrata una evidente similarità di tutte le testate nell’uso di certi termini chiave, per cui necessariamente occorre cercare nella costruzione del discorso quegli effetti di senso che costituiscono l’elemento differenziante dei vari giornali.

I criteri cui ho accennato nel precedente post, di cui illustrerò ora il fondamento disciplinare, costituiranno l’elemento con cui categorizzare qualitativamente il discorso prodotto da ogni quotidiano.

1. Il primo criterio prende in esame il “punto di vista” del quotidiano sul soggetto e ispirandosi ai principi di Austin sugli atti linguistici, ne riprende le due modalità fondamentali dell’enunciazione: quella constatativa e quella performativa1. Premesso che nella comunicazione attraverso i media l’enunciazione avviene attraverso il testo e non mediante lo scambio interazionale, nel testo sono comunque proiettabili i simulacri enunciativi del narratore e per certi versi l’interpretazione del destinatario, per cui la tassonomia di Austin mantiene una sua validità di fondo anche nella valutazione del titolo giornalistico.

Nella modalità constativa, si riscontra qualcosa in merito al tema di cui si parla, si effettua una sintesi descrittiva di una situazione o evento in cui il soggetto poteva non necessariamente avere o esercitare un ruolo attivo o determinante (es. “Colle e politica estera: confronto Renzi-Prodi” – il Corriere della Sera – 17 dic. 14).
Nella performatività invece il soggetto del discorso, chiaramente identificato, ha realizzato un’azione o è impegnato in un fare o comunque promette di fare, sta performando qualcosa destinato a cambiare lo stato di fatto delle cose di cui si parla ed in quanto tale si caratterizza anche patemicamente2 (es.”Renzi sfida la vecchia guardia” – il Corriere della sera -22 set. 14; “Renzi vuole tagli per 6 miliardi” – il Corriere della sera – 9 apr. 14). Una deroga è stata usata nel caso di alcune modalità ottative3 come nel secondo esempio che, esprimendo una volitività del soggetto su qualcosa, sono state comunque classificate come enunciati performativi considerando la modalità del “poter fare” in capo al soggetto del discorso.

In questa dicotomia la posizione del quotidiano, prescindendo da allusioni e ironie, non è certo neutra nei confronti del soggetto del discorso, il quale può far parte di una scena che lo include e a volte lo sovrasta (modalità constatativa), oppure essere inquadrato come protagonista, positivo o negativo, di una situazione che può modificare in qualche modo (modalità performativa) e dalla quale ne può risultare valorizzato o svalorizzato nel merito e nella rappresentazione.
constatativo_performativo

2. Il secondo criterio considera il punto di vista del quotidiano sul discorso e si sofferma sulla costruzione del titolo, individuando nella dicotomia tra il discorso diretto riportato e il discorso indiretto narrativizzato la chiave di classificazione.

Nel primo caso il quotidiano-narratore si serve del cosiddetto discorso diretto riportando le parole pronunciate dal soggetto ed operando in tal modo una presa di distanza da quanto affermato da questi; sono le frasi riportate tra virgolette e/o dopo i due punti (per particolari licenze giornalistiche questi elementi della punteggiatura possono anche essere omessi), in ogni caso parole attribuibili senza dubbio al soggetto (es. “Renzi: niente nuove tasse ma sforbiciate alla spesa” – Corriere della Sera – 23 ago. 14).
In questa modalità il giornale non entra nel merito della veridizione4 che rimane in capo al soggetto, tantomeno in apparenza opera un giudizio di valore sul contenuto, concretizzando con ciò la presa di distanza dai fatti riportati.

Nel secondo caso invece la costruzione narrativizzata del titolo consiste in una riformulazione o riassunto delle parole pronunciate dal soggetto, fatta anche in modo arbitrario ad opera del narratore (es. Renzi svela le spese pazze della ditta – il Giornale – 13 dic. 14); in questo modo reinterpretando ed in qualche modo ricontestualizzando le parole del soggetto all’interno del proprio sistema di valori, se ne produce una modalità narrativa più o meno caratterizzante. Ancorché ci siano molte similarità con le procedure semiotico-discorsive di debrayage/embrayage5, non mi sono sembrate particolarmente attinenti al contesto vista la particolarità delle modalità e strategie del titolo, per cui ho deciso di tralasciarne la discussione.
riportato_indiretto

3. Il terzo criterio valuta le scelte del quotidiano sulle modalità narrative indirizzate al lettore e scaturisce da due approcci teorici complementari. Il primo pone a base la teoria di R. Barthes sull’esistenza di un’informazione doppia della costruzione giornalistica: il fatto vero e proprio così come viene raccontato, e lo sfondo circostanziale da cui tale fatto origina, dedotto per implicazione dal lettore stesso, da cui scaturiscono le condizioni per la produzione della notizia. Il secondo invece proposto da Volli, si basa sulla categorizzazione della costruzione giornalistica6 della notizia e contempla:

  • la costruzione antagonistica;
  • la componente narrativa;
  • il difetto di razionale connessione logica;
  • l’anomalia rispetto all’ordine comune delle cose.

In questa ricerca, trattandosi di politica, troveremo pressoché totalmente titoli/enunciato basati sulla costruzione antagonistica oppure connotati da una componente narrativa. Nel primo caso il soggetto citato o chiaramente presupposto per implicazione, è descritto in conflittualità diretta con un anti-soggetto rappresentato da uno o più attori opponenti che concorreranno, nell’ambito della costruzione giornalistica, a valorizzarne o svalorizzarne la figura e/o le azioni (es. “il Premier attacca CGIL e mezzo PD: un museo delle cere – il Giornale – 29 set. 14). Nel secondo caso invece la componente conflittuale, comunque presente in ogni struttura narrativa, appare più sfumata, dissimulata in una composizione dai toni meno accesi, meno intensa nelle sue componenti passionali perché destinata a comporsi all’interno di una fabula più ampia, ove la costruzione antagonistica non si esaurisce nel singolo titolo (es. “Renzi: lavoro, si a nuove regole – la Stampa – 13 ago. 14).
narrativo_antagonist

Ovviamente, soprattutto in quest’ultima classificazione, diversi titoli potevano avere una certa compatibilità con entrambe le polarità delle dicotomie descritte per cui la discriminante è stata la loro valutazione rispetto al soggetto di analisi e non viceversa rispetto a criteri generali. D’altronde anche nel caso di qualche classificazione opinabile o di eventuali sviste, per la legge dei grandi numeri ciò non modificherebbe significativamente i risultati ottenuti.

Ulteriori elementi di interesse nel ricostruire visivamente il posizionamento dei giornali sono state ottenute analizzando le diverse combinazioni ottenibili attraverso i tre criteri descritti che hanno dato vita a 8 possibili configurazioni discorsive, dal quale sono scaturite delle aree discorsive di caratterizzazione che sono illustrate graficamente.

Il Corriere della Sera 

Il Corriere della sera su 404 giorni considerati ha nominato il soggetto di analisi in 278 occasioni, il 40,3% delle volte in posizione di rilevanza (1° o 2° titolo principale). Il nome Renzi è riportato 186 volte mentre in 23 casi di discorso riportato il termine è chiaramente presupposto, Matteo 2 volte, 51 volte l’appellativo di Premier (o Presidente del Consiglio) e solo 25 volte la parola governo. Forte appare lo stacco tra la personalità di Renzi che catalizza le attenzioni dei media, e il governo come organo collegiale che mostra un’identità abbastanza labile. Non è detto che questa sovraesposizione paghi positivamente e che si traduca in un vantaggio per il Premier, anzi. Relativamente ai criteri di classificazione del discorso si può notare la prevalenza del regime della constatazione (59,7%) su quello della performatività (40,3%), la prevalenza del discorso indiretto (56,1%) su quello riportato (43,9%), mentre la costruzione spiccatamente antagonistica ricorre circa un quarto delle volte (24,1%).

Le configurazioni discorsive ottenute combinando i tre criteri mostrano una chiara tendenza verso le modalità constatative del discorso con netta prevalenza della modalità indiretto/narrativa (32%), mentre nel discorso performativo che comunque mostra un certo picco (20,5%), si preferisce optare per la modalità del discorso riportato/narrativo, prendendo in tal modo le distanze dall’onere di veridizione in capo al soggetto e dalle conflittualità sullo sfondo, la cui ricostruzione rimane nella facoltà interpretativa del lettore. Le modalità conflittuali sono mediamente presenti e mostrano un picco (10,4%) nella configurazione constatativo/indiretto a conferma di un ruolo di osservatore e descrittore della scena a cui il quotidiano non vuole rinunciare, e che peraltro non può e non vuole sottacere alle tensioni presenti sullo scenario. L’antagonismo dunque non è prodotto direttamente dall’enunciazione del soggetto politico, ulteriore presa di distanza, ma connaturato alla situazione.
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Il Giornale 

Il Giornale su 336 giorni considerati ha nominato il soggetto in 248 occasioni, il 36% delle volte in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). La parola Renzi è stata usata 167 volte mentre in 2 casi era chiaramente implicato dal discorso riportato, Matteo 9 volte, 48 volte Premier e solo 20 volte quella di governo.
In merito alla classificazione del discorso prevale nettamente il regime della constatazione (71,8%) su quello della performatività (28,2%), parimenti accentuata la prevalenza del discorso indiretto (87,5%) su quello riportato, mentre la costruzione spiccatamente antagonistica (33,9%) rappresenta il valore più elevato tra tutti i quotidiani considerati.

Le configurazioni discorsive registrate, disegnano nel grafico una singolare forma a quattro cuspidi dove tutte le forme di discorso riportato sono usate in modo assai limitato, prevale in modo molto netto la configurazione constatativo/indiretto/narrativo (44,8%), due picchi nel discorso constatativo/indiretto/antagonistico (19%) e performativo/indiretto/narrativo (15,3%), ed infine una non trascurabile configurazione performativo/indiretto/antagonistico (8,5%). Da rilevare oltretutto che 14 volte su 20 il discorso riportato non appartiene a Renzi ma a personaggi antagonisti.
Scelte di campo che testimoniano sia la scelta di concedere limitatamente la “parola” al soggetto, sia di evidenziarne le inclinazioni alla conflittualità nelle situazioni di performatività, sia uno stile complessivo del quotidiano di proporsi non semplice cronista ma narratore della scena che preferisce appunto reinterpretare narrativamente.
La rilevanza della frequenza del soggetto Renzi non deve dunque trarre in inganno, in quanto sembra emergere un soggetto raccontato in rapporto antagonistico con l’ambiente circostante, la cui volitività è notevolmente ridimensionata.
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Il Messaggero 

Il Messaggero su 404 giorni considerati ha citato il soggetto in 384 occasioni risultando il quotidiano con il più alto numero di menzioni, di cui il 47,1% delle volte in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). Nel complesso la parola Renzi ricorre 242 volte mentre in 14 casi il nome è chiaramente presupposto nei casi di discorso riportato, Matteo 4 volte, 83 volte l’appellativo di Premier e 59 volte quella di governo. Relativamente alle modalità discorsive appare un quasi equilibrio tra il regime della constatazione (52.9%) e quello della performatività (47.1%), una prevalenza del discorso riportato (57%) rispetto a quello indiretto, una costruzione antagonistica assai limitata (12.2%) che fa registrare il valore più basso tra le altre testate.

Nel grafico delle configurazioni discorsive rilevante è la cuspide della modalità performativo/riportato/narrativo (29,4%) e comunque tutta l’area della narratività è assai utilizzata, a discapito della polarità antagonistica, evidenziando quindi una scelta di campo ben precisa.
Il Quotidiano dunque rimane in buon equilibrio nel suo ruolo di narratore della scena, usa il discorso riportato quando la responsabilità della veridizione deve ricadere nella sfera del soggetto, ne riporta la performatività o ne constata la sua presenza nella situazione con equa frequenza, rinuncia all’enfasi dello scontro anche a costo di penalizzare la propria identità.
Una testata che sceglie quindi un basso profilo, rimane nel suo ruolo di informatore e sicuramente non maltratta il soggetto che ne risulta si volitivo, non incline solo al conflitto con altri soggetti ma semmai contro il problema.
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La Repubblica 

La Repubblica su 404 giorni considerati ha citato il soggetto 370 volte di cui il 60.4% in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). Nel complesso la parola Renzi ricorre 249 volte mentre in 27 casi il nome è chiaramente presupposto nei casi di discorso riportato, Matteo 11 volte, 79 volte l’appellativo di Premier e solo 20 volte quella di governo. Relativamente ai criteri di classificazione del discorso si può notare la prevalenza del regime della della performatività (56.2%), una prevalenza consistente del discorso riportato (63.5%), mentre la costruzione antagonistica (23.2%) ha un coefficiente abbastanza marcato.

Nelle configurazioni discorsive, emerge nettamente la cuspide della modalità performativo/riportato/narrativo (34,3%) ed un’area della constazione equamente divisa tra discorso riportato/narrativo e discorso indiretto/narrativo (16,5%). Una certa rilevanza comunque anche nell’area della costruzione antagonistica nelle due modalità performativo/riportato (9,8%) e constatativo/indiretto (7,3%), segno di un identità polemica certamente non sopita. In generale dunque una testata che cerca di rimanere in equilibrio sul soggetto, che accetta di riportarne la performatività pur senza farsene carico mediante il discorso riportato, che privilegia la narratività pur senza abbandonare l’uso di una costruzione antagonistica nel quale tenta di trovare un equilibrio tra il ruolo di descrittore della scena e le responsabilità da porre in capo al soggetto riportandone le affermazioni.config_disc_repubblica

La Stampa 

La Stampa su 393 giorni considerati ha riportato il soggetto in 352 occasioni di cui il 56.1% delle volte in posizione di rilevanza (1° e 2° titolo principale). Nel complesso la parola Renzi ricorre 235 volte mentre in 20 casi il nome è chiaramente presupposto nei casi di discorso riportato, poi Matteo 5 volte, 67 volte Premier e 37 volte governo. In merito alla classificazione del discorso si può notare la prevalenza del regime della constatazione (54%) su quello della performatività (46%), la leggera prevalenza del discorso indiretto (52.3%) su quello riportato, l’uso della costruzione antagonistica il 20.2% delle volte rispetto alla modalità narrativa.

Le configurazioni discorsive che ne derivano, vedono l’area della costruzione narrativa più o meno equamente distribuita nelle quattro modalità possibili, mentre nell’area della costruzione antagonistica una cuspide di una certa importanza si riscontra nella configurazione constatativo/indiretto/antagonistico (11,6%). Da notare che altre due configurazioni del discorso antagonistico, quella performativa (2,6%) e quella del discorso riportato (2,3%) registrano valori assai limitati, quasi a sollevare il soggetto dalle responsabilità dei conflitti.
Una testata dunque che anche in questo caso sceglie il versante della narratività per operare come descrittore della scena, evita i conflitti se non quando il suo ruolo di informatore glielo impone, soggetto neutro che utilizza con equilibrio sia la dicotomia del discorso riportato/indiretto, sia quella della performatività/constatazione, un profilo che certamente non nuoce al soggetto e che consente di mutare le scelte di campo senza intaccarne la credibilità agli occhi dei suoi lettori.
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Ci sono molte considerazioni da fare ancora, ma ritengo sia il caso di chiudere e lasciare una pausa di riposo al lettore prima di passare alle conclusioni per le quali do appuntamento tra qualche giorno.

la prima immagine è tratta da:
http://i630.photobucket.com/albums/uu29/climalteranti/giornale.jpg

(vai alla prima parte)

1 Per una trattazione più approfondita della performanza e della constatazione, dell’enunciazione per gli atti linguistici vedi anche M. Sbisa – Gli atti linguistici – Feltrinelli,1978, – J.L. Austin – Come fare cose con le parole – Marietti, 1987
2 Termine in uso in semiotica delle passioni che attiene a sentimenti, emozioni, passioni. Alcuni autori di riferimento: A.J. Greimas, J. Fontanille, P. Fabbri, I. Pezzini, F. Marsciani.
3 Le modalità ottative esprimono desiderio o potenzialità, quindi non sono direttamente riferibili ad una azione in corso o compiuta.
4 Termine coniato da M. Foucault che identifica il processo del dichiarare il vero di qualcosa secondo la visione del mondo di un particolare soggetto, piuttosto che l’oggettivazione del vero di quel qualcosa.
5 Per una esposizione più ampia della nozione di debrayage / embrayage e della teoria dell’enunciazione vedi U. Volli – Manuale di semiotica –Laterza 2000 – per la formulazione della teoria dell’enunciazione vedi anche A.J. Greimas – Semiotica, dizionario ragionato della teoria del linguaggio – 1979
6 Per una trattazione più ampia dei concetti si veda U. Volli – Manuale di semiotica –Laterza 2000 – G. Marrone – Corpi sociali _Einaudi 2001 – U. Volli – Il nuovo libro della comunicazione – Il saggiatore 2007
I TITOLI DEI GIORNALI: NARRAZIONE O PLAGIO?

I TITOLI DEI GIORNALI: NARRAZIONE O PLAGIO?

Un’analisi effettuata su oltre un anno di titoli delle prime pagine del Corriere della Sera, il Messaggero, il Giornale, la Repubblica, la Stampa; alla ricerca di un metodo oggettivo per definire l’atteggiamento dei giornali prendendo a spunto il soggetto politico del momento

Esiste una consapevolezza assai diffusa anche nella gente comune che i media hanno un ruolo importante sulla scena e possono influenzare l’opinione pubblica, tuttavia eccezion fatta per gli esperti di mediologia, non sembrano essere altrettanto chiari modi e tecniche per farlo, cosicché assai frequentemente il lettore attribuisce ad un media una generica appartenenza all’uno o all’altro schieramento basandosi più su convinzioni soggettive che non su metodi oggettivi.

Pertanto l’obiettivo che mi sono posto in questo lavoro è stato quello di individuare un metodo di analisi che potesse definire in modo oggettivo e tangibile l’atteggiamento tenuto dai giornali in merito ad un determinato tema, proiettandolo su una corposa e lunga ricerca che ha riguardato la valutazione di oltre un anno di prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali.
Ho cercato pertanto di individuare degli strumenti relativamente semplici che comunque potessero fornire dei riscontri oggettivi all’obiettivo di partenza, anche se ovviamente non azzardo la pretesa dell’esaustività.

Ho indirizzato il campo d’indagine sui titoli delle prime pagine perché la considerazione fondamentale è stata che l’overload informativo a cui siamo sottoposti e i ritmi delle pratiche quotidiane ci costringono (e ci abituano) a cercare un’informazione breve ed immediata, fatto che determina una crescente efficacia dei titoli, soprattutto di prima pagina, di tracciare i framing dell’informazione in virtù della loro posizione predominante; conseguentemente cresce la loro capacità di influenzare i discorsi sociali trasformandosi in idee, luoghi comuni e stereotipi.

L’analisi è stata effettuata sui titoli delle prime pagine di cinque tra i maggiori quotidiani nazionali, Il Corriere della sera, Il Messaggero, Il Giornale, la Repubblica, la Stampa, per il periodo di tempo compreso tra l’inizio di febbraio 2014 e l’11 marzo 2015, selezionando solo quelli che riportassero il nome di Matteo Renzi, personaggio del momento nel bene e nel male, o il riferimento alla sua carica (Premier, Presidente del Consiglio), ovvero dove fosse riportata la parola “governo” e che di seguito definirò come “soggetto di analisi”.
Ho considerato separatamente gli elementi occhiello, titolo e sottotitolo, includendoli singolarmente nel campo d’analisi a condizione che riportassero i termini sopradetti, viceversa escludendo quelli che non avevano questa proprietà. Ho altresì incluso i titoli dove il soggetto Renzi, ancorché omesso, fosse inequivocabilmente implicato, specialmente nel discorso riportato. Questo ha comportato pertanto che in un solo giorno poteva esserci anche più di un titolo contenente le parole cercate.

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Segue ora una prima parte di dati di carattere quantitativo che sono il risultato di 1.632 titoli tratti da 1.941 prime pagine, che danno una panoramica abbastanza ampia; seguirà poi una classificazione basata su dei criteri qualitativi, di cui parlerò nel dettaglio successivamente, dai quali trarre un quadro abbastanza particolareggiato sulle modalità narrative dei giornali presi in esame sul tema considerato.

I risultati 

La tabella sottostante riporta il riepilogo di alcuni dati: una prima osservazione si può fare per quanto riguarda l’indice di frequenza che si ricava dal rapporto tra il numero di titoli contenenti le parole chiave cercate e il numero di prime pagine analizzate per ogni quotidiano, che già fornisce una prima comparazione dello spazio riservato al soggetto di analisi dalle varie testate.

tabella riepilogo
Una prima evidente differenza di valori tra le due testate romane, il Messaggero e la Repubblica, e le due testate milanesi, il Corriere della Sera e il Giornale. Si noti anche il dato della Stampa di Torino, non molto dissimile da quello di Repubblica, che sembrano testimoniare una situazione in cui il “peso” di Renzi nella formazione dell’agenda setting dei tre quotidiani è molto simile mentre per le altre due si può desumere un posizionamento un po’ diverso.

indice frequenza
Se nel caso del Corriere, il risultato sembra essere in linea con strategie editoriali che privilegiano scenari informativi più ampi e senza eccessive focalizzazioni su un ridotto numero di attori politici, lo stesso non si può dire del Giornale, molto attento alle vicende politiche nazionali, per cui il pensiero inevitabilmente va a logiche di schieramento (che ovviamente avranno una qualche influenza, questo è normale); poiché mi sono ripromesso di evitare nei limiti del possibile valutazioni che potessero ricondursi a giudizi di valore personali, eviterò questo tipo di deduzioni, oltre a suggerire di non trarre ancora conclusioni affrettate.

Ulteriore elemento di valutazione è stato tratto dalla presenza delle parole target nelle varie tipologie di titoli. Poiché negli ultimi anni quasi tutti i giornali hanno iniziato ad adeguare l’impostazione grafica della prima pagina ai particolarismi della quotidianità, non sarebbe stato aderente all’obiettivo classificare i titoli in base ai canoni classici del giornalismo (apertura, taglio alto, medio, etc.), per cui il criterio seguito ha tenuto conto della presumibile percezione di rilevanza del lettore basata sull’impatto visivo (dimensione del carattere, ingombro del titolo) ispirandosi quindi ai principi della semiotica visiva, per cui distinguerò un titolo principale, un 2° titolo principale, i sottotitoli (dei precedenti), altri titoli minori.
D’altronde giornalisticamente si sa come un qualunque soggetto possa essere valorizzabile o meno a seconda della sua collocazione. Ad esempio parlare nel titolo principale di un evento o situazione e riportare nel sottotitolo l’attore (politico!) che in qualche modo lo deve affrontare, presumibilmente non ha la stessa forza di quando nel titolo principale compaiono le azioni/soluzioni che l’attore performa verso la situazione stessa di fatto dominandola, per cui era opportuno distinguere i vari risultati.

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Il dato sulla presenza nei titoli principali mostra una sostanziosa differenza tra la Repubblica e la Stampa rispetto al Corriere della sera e al Giornale, con risultati diametralmente opposti, mentre per quanto attiene il secondo titolo principale, i dati risultanti dalle cinque testate sono molto più vicini tra loro.
Ho preso in esame anche i trend del titolo principale nell’arco del periodo considerato, e graficamente si possono notare differenze ed alcuni elementi di curiosità.

trend
Infatti anche se le spezzate presentano alcune similarità nella forma e nell’andamento pur considerando le differenze di valori, sono degni di nota il picco registrato a ottobre da Repubblica che si stacca nettamente dagli altri in coincidenza dello scottante tema dell’art.18., così come il particolare degli ultimi due mesi del periodo considerato che mostra l’intersezione della linea del Giornale, in ascesa, segno di una maggiore attenzione che dovrà quantomeno essere decifrata, e della Stampa che invece registra un netto crollo di attenzione, anche in questo caso da interpretare.
Per il resto i picchi si registrano sia all’inizio del mandato, sia nel periodo autunnale in concomitanza con la spinosa faccenda del jobs act e con le delicate questioni della legge finanziaria, per cui sotto questo punto di vista non si registrano particolari sorprese.

Infine invito a soffermare l’attenzione sulle infografiche dei word cloud ottenuti sulle prime 30 parole significative (sono state scartate quindi preposizioni, pronomi, deittici che non avevano alcun interesse per la natura di questa analisi).

cloud
Come si può vedere, a prima vista non emergono sostanziali differenze, la parola Renzi è ovviamente la più gettonata seguita dalla parola Premier, mentre la parola governo si alterna con PD (il Giornale e la Repubblica) ma siamo già scesi al di sotto dell’ 1% di frequenza relativa. Per il resto notevoli sono le similitudini tra cui si ritrovano le parole Unione Europea, sfida, riforme, Berlusconi.
Quindi neanche l’analisi di contenuto ha fornito particolari elementi di differenziazione nella frequenza delle parole più importanti o che comunque possono avere maggiore rilevanza nel determinare gli orientamenti discorsivi dell’una o dell’altra testata.

Pertanto per evidenziare delle differenze non rimane che analizzare la produzione del significato fatta dai vari quotidiani nella costruzione discorsiva, mediante l’individuazione di tre criteri che si basano su delle dicotomie che in sintesi sono rappresentate da:

  • 1. un primo criterio valuta e classifica il “punto di vista” del quotidiano sul soggetto mediante il regime della constatazione/performatività;
  • 2. un secondo criterio considera il punto di vista del quotidiano sul fatto/situazione e valuta le procedure di costruzione del titolo individuando nella dicotomia tra il discorso diretto riportato e il discorso indiretto narrativizzato la chiave di classificazione;
  • 3. il terzo criterio valuta il punto di vista del quotidiano sulle modalità narrative indirizzate al lettore operando la distinzione tra la costruzione antagonistica e la componente narrativa.

Nella seconda parte del post tra qualche giorno (faccio affidamento sulla pazienza del lettore), illustrerò più in dettaglio spirito e origini dei criteri prescelti, in modo che si potrà vedere quali sono state le modalità discorsive di ogni quotidiano e le differenze esistenti.

Affermo in anticipo che i risultati emersi sembrano testimoniare la validità del metodo nell’inquadrare la strategia discorsiva di un quotidiano, a conferma di sensazioni avute nel corso di osservazioni effettuate nel tempo, e che pertanto il metodo stesso si presta ad essere applicato anche in relazione a soggetti di analisi diversi da quello da me utilizzato.
Termino dicendo che la multidisciplinarità della materia implica l’esistenza di numerosi fondamenti teorici utilizzabili in questo tipo di analisi, ma considerata l’esigenza di sintesi imposta dal contesto, alcuni di questi non potevano essere sviluppati adeguatamente, per cui sia pure con rammarico, al momento ho tralasciato l’analisi di forme retoriche, linguistiche e di alcuni importanti principi di semiotica dai quali poter trarre numerosi spunti.
Aggiungo che mi sono anche volutamente tenuto lontano dalla dissertazione di elementi che inevitabilmente comportassero soggettività nell’analisi e che avrebbero magari dato l’impressione di rintracciare miei giudizi di valore dai quali invece voglio assolutamente astenermi.

(segue)

giornali-galleggiano

Le immagini sono state tratte da:
http://i.res.24o.it/images2010/Migrazione/IlSole24Ore-Web/_Immagini/Notizie/Italia/2011/04/giornali-quotidiani-marka–258×258.jpg?uuid=c5236894-65e1-11e0-ad93-858d8ca0d7c3
http://image.webmasterpoint.org/news/original/un-giornale-su-tablet-pc38261.jpg
http://giornalaio.files.wordpress.com/2009/07/giornali-galleggiano.jpg
I QUOTIDIANI SU TWITTER –  QUALE USO E QUALI LE EVOLUZIONI IN ATTO

I QUOTIDIANI SU TWITTER – QUALE USO E QUALI LE EVOLUZIONI IN ATTO

Twitter sta diventando una sorta di hub la cui vitalità dipende dalle pratiche della trans-medialità e dalla logica dell’ipertesto ed al tempo stesso riveste un ruolo nel processo di formazione dei discorsi sociali. Quali dunque i modi di utilizzo dei principali quotidiani nazionali.

Nel mio post di settembre 2013 mi posi l’interrogativo se attraverso Twitter si costruissero narrazioni, compiendo pertanto una breve analisi su quali fossero le modalità di utilizzo di questo social media da parte di alcune tra le più note testate giornalistiche.
Esaminando oggi le home page degli stessi giornali e confrontandole con i risultati (e con i tweet) di quel momento, sembra essere trascorsa un’era perché il cambiamento appare evidente.

Non c’è soltanto un uso pianificato di hashtags, ma anche la frequentissima presenza di immagini e/o video (anche in più del 90% dei tweet) e la sistematica inclusione di link che rinviano altrove a dare subito l’impressione del cambiamento. Anche per questo la stessa sintassi dei tweet, ancora più sacrificata nel suo limite di 140 caratteri, assume forme troppo frammentate e povere di predicati verbali e/o di aggettivi che possano conferire una capacità performativa autonoma ai vari tweet pubblicati, soprattutto considerando che nella home page di un qualsiasi utente, i tweet di una testata compaiono in mezzo a quelli degli altri account seguiti e che la persistenza di questi messaggi in una schermata si esaurisce nel giro di pochi minuti.
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Twitter si è quindi trasformato in una sorta di hub la cui vitalità dipende dalla trans-medialità, dalla possibilità di rimandare ad altre web-page, ed in tal senso la capacità di fare “engagement” ovvero di attirare un potenziale lettore e rinviarlo ad una propria pagina, è affidato a pochi elementi: la forza di impatto dell’immagine utilizzata, l’uso di hashtags, pochissime parole che nel tweet possano far leva su ambiguità o su significanti mirati spesso alle fobie sociali in modo da creare pathos o curiosità o anche operando una “spettacolarizzazione” dell’informazione.

 La prospettiva dei quotidiani nazionali 

Vediamo adesso che cosa è emerso da una ricerca effettuata dalla fine del mese di marzo alla prima metà di aprile di quest’anno, attraverso l’analisi di cinque tra le più note testate giornalistiche nazionali quali la Repubblica, il Corriere della Sera, La Stampa, il Messaggero, il Giornale.

Una prima serie di dati inclusi nella tabella sottostante fornisce il numero di followers (dati tratti da Socialbakers.com) di ogni testata aggiornati a distanza di due settimane e misura l’incremento percentuale di questi. Considerando che l’ incremento si riferisce ad un periodo di 2 settimane, qualora si mantengano questi ritmi in un anno la crescita di followers per tutte le testate sarebbe assai sostenuta, con percentuali che andrebbero da un minimo del 25% fino a performance di oltre il 50%. Incrementi di questo tenore pertanto dimostrano che lo sviluppo di questa piattaforma social non ha ancora raggiunto la sua fase di maturità.
tabella
Altro oggetto di osservazione ha riguardato la struttura data ai tweet dalle varie testate. È stato analizzato un campione rilevato a ritroso dal 12 aprile sugli ultimi 171 tweet pubblicati; oggetto di indagine la percentuale di immagini o video, il numero di link inclusi, la frequenza di retweet utilizzata. Repubblica e Corriere della sera utilizzano con molta frequenza sia le immagini che i link in misura anche superiore al 90%, segno evidente che tale struttura costituisce una scelta editoriale pianificata e non casuale.
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L’uso di immagini ha una frequenza minore sia per la Stampa che per il Giornale, il primo usa i link praticamente nella totalità dei casi, mentre il Giornale usa di meno i link forse per sfruttare anche quegli spazi per l’uso di retoriche “vibranti” peraltro di un certo interesse dal punto di vista semiotico e linguistico, e che segnano comunque in modo chiaro un posizionamento ben preciso e l’idea di un “lettore modello” ben identificato.

Scelte diverse anche per il Messaggero che include sempre i link, ma non usa praticamente mai le immagini. Difficile capire i motivi di questa scelta controcorrente, visto che l’uso di immagini da parte dei produttori di informazione professionali è diventato quasi la regola. Considerata la data di iscrizione a Twitter (e considerati anche i dati di tiratura della versione stampata) lascio al lettore fare le proprie personali deduzioni sulla scorta dei dati della tabella inserita in precedenza.

Per quanto riguarda il retweeting, oltre alle percentuali visibili nel grafico, a fattor comune questa pratica appare abbastanza legata al networking di account satelliti e non sembra emergere al momento nessuna particolare strategia legata al loro uso.

Attraverso i dati dell’API Topsy.com, si può trarre la cosiddetta social influence delle testate considerate, ovvero il numero di tweet o retweet in cui il loro nome (es. @corriereit) compare e che rappresenta per certi aspetti la capacità di diffondersi dei propri contenuti.
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Nel grafico sono riportati i valori rilevati al 12 aprile e riferiti agli ultimi 30 giorni, e per certi aspetti questo è un indicatore di un certo interesse; si può ulteriormente tentare di approfondire mettendo in rapporto questi dati con il numero di followers di ogni testata, rendendole in tal modo comparabili ed ottenendo per ognuna un indice percentuale che in linea di massima indica la propensione avuta dai propri followers a diffonderne i contenuti.

Sono emersi coefficienti simili ad eccezion fatta per La Stampa che registra una percentuale doppia rispetto agli altri, tendenza confermata in un’ulteriore prova. È sicuramente presto per trarne un dato che, se confermato in altre verifiche ed in tempi diversi, indicherebbe che questa testata avrebbe una efficacia di “social influence” molto più marcata rispetto agli altri, fattore che può derivarle o per credibilità, o per qualità dei contenuti, o per tipologia di followers.
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Infine una sommaria analisi del contenuto su alcuni campioni di tweet delle varie testate di entità variabile tra i 140 e i 170 eseguita dal 9 all’11 aprile (per il Giornale, in virtù del minor numero di tweet, il periodo è stato dal 3 all’ 11 aprile).

Pur in presenza di un campione limitato, a mio giudizio emergono risultati non particolarmente interessanti. In questo frangente, dominato dal tragico fatto accaduto al Tribunale di Milano, le parole più frequenti, comuni a tutte le testate, sono state ovviamente palazzo di giustizia, tribunale, Milano, strage, con percentuali rispetto alle forme lessicali utilizzate comprese tra l’1 e il 2%.

Una frammentazione elevata dunque, ed è in parte sorprendente anche il fatto che per tutte e cinque le testate non emergono significative frequenze ne di predicati verbali (escluso il verbo essere) ne di aggettivi, visto che per quelli più “frequenti” si è nell’ordine di percentuali inferiori allo 0,5%; non sono pertanto evidenti ridondanze degne di nota che palesino l’uso di particolari strategie discorsive.

In conclusione emerge una struttura dei tweet assai asettica nelle sue forme verbali, o per meglio dire povera di strutture discorsive.
L’esigenza di adoperare hashtags per inserirsi in tematizzazioni facilmente rintracciabili, nonché la scelta di inserire foto e link con costanza, fanno sì che chi usa questa piattaforma di fatto rinvii ad altre pagine la vera struttura del suo messaggio e per certi versi questo provoca un impoverimento dei tweet che non hanno più l’esigenza di veicolare un’ informazione strutturata.

È evidente quindi che le testate giornalistiche esaminate abbiano modificato in modo marcato l’uso di questa piattaforma, indice di una maggiore consapevolezza del possibile uso del mezzo o quantomeno di un’evoluzione che risulta essere in linea con i trend attuali. È possibile dedurre che, considerato l’ampio numero di followers, questa evoluzione sia diventata patrimonio condiviso per tutta quella fascia non pioneristica di utenti, siano essi soggetti professionali o anonimi frequentatori dei social media.

 Sociologia minima di Twitter 

Da questi risultati si possono trarre una serie di riflessioni, molte delle quali magari non inedite ma che non farà peccato replicare.
Un rapido passaggio dalle origini ricordando che Twitter è un social media e che tale definizione deriva dal fatto di essere prima di tutto uno strumento di comunicazione, un media, e che il termine social in sintesi esprime il rovesciamento del concetto uno a molti dei media tradizionali con quello di molti a molti proprio dei social media, una proprietà basilare su cui ragionare.

In tal senso sono assai perplesso da un buon numero di testi che circolano (in rete!) e che trattano l’argomento sulla scorta di ricette che non mi sembrano seguire un minimo rigore disciplinare;
in quanto media non disdegnerei di mantenere sullo sfondo la teoria delle comunicazioni di massa dalla quale evolvono, ma di cui bisogna tenere in considerazione alcuni principi basilari per valutarne gli effetti.

Pertanto quali sono gli elementi chiave di Twitter?

  • Il produttore dell’informazione, nel linguaggio social il titolare dell’account, che può essere un privato cittadino, una persona famosa, una società o organizzazione di persone, un’istituzione, soggetti molto diversi che dispongono di una pagina la cui struttura, ancorché personalizzabile, è uguale per tutti e attraverso la quale produrranno contenuti, i tweet. C’è una differenza fondamentale tra i vari account, ovvero la notorietà sociale che gli deriva dal proprio status o settore di attività, la presumibile importanza attribuita ai loro contenuti, la loro autorevolezza o credibilità sociale, la curiosità che possono destare, altrimenti sarebbe difficile capire come mai in soli tre anni e mezzo il Corriere della Sera dispone di oltre un milione di followers e addirittura la cantante pop Lady Gaga di quasi 46 milioni di followers.Innegabile quindi che la collocazione sociale del soggetto-account, organizzazione o persona che sia, influisca in modo fondamentale sulla sua diffusione e che pertanto tale piattaforma non altera di fatto le dinamiche sociali dei ruoli e tutto ciò che ne consegue, anzi a queste dimostra di plasmarsi nel corso del tempo. Pertanto la possibilità di attirare followers attraverso i contenuti esiste, ma la sua realizzazione attraverso complesse strategie e tecniche di engagement richiede tempi lunghi e un grande sforzo per dare risultati mai proporzionali a quelli forniti dalla notorietà sociale.
  • Il tweet, un cinguettio in 140 caratteri, un messaggio da produrre con esigenze di sintesi a volte troppo stringenti per spiegare nel minimo indispensabile un concetto. Difficile quindi definire informazione (dare forma alle idee) nella sua etimologia originaria un tweet; meglio piuttosto pensare che il “cinguettio” ci “avvisa” dell’esistenza di qualcosa dandoci il suo indirizzo/URL. Assolutamente normale quindi l’uso diffuso di link, visto che un tweet è una sorta di trailer del contenuto e che rinvia ad altra parte.Poi l’introduzione dell’uso di immagini, straordinario elemento della comunicazione nella loro capacità testimoniale, nella loro proprietà di supportare “la cognizione” 1 rapidamente e senza fatica, in un mondo in cui la fruibilità dell’informazione è spesso affidata agli smartphone, quindi con tempi e modi di consultazione assai compressi. La conseguenza che ne deriva, anche per farsi scorgere meglio nella grande quantità di tweet postati, è quella di spettacolarizzare l’informazione, di fare sensazionalismo promettendo contenuti esplosivi, quindi riproponendo tendenze in atto già da tempo nei media tradizionali; è una tecnica irresistibile per fare “engagement” ma c’è da chiedersi come trasformerà e dove trascinerà questo social media.  Probabilmente sarò presto smentito dal tweet della star di turno che annuncia il divorzio su questo mezzo (ogni riferimento …) ma anche su questi aspetti ci sarebbe da ragionare sopra.
  • L’Hashtag, il fatidico “cancelletto” # che precede una o più parole unite, diventato un mito nel giro di pochissimo tempo, al punto da pensare che molti utilizzatori non sappiano esattamente a cosa serva. In fondo è uno strumento tecnico che consente di raggruppare e visualizzare in sequenza cronologica tutti i tweet contrassegnati da uno stesso hashtags, una raccolta argomentativa che rimane comunque assai discontinua e frammentata (ecco perché non la definirei tematizzazione). In un certo senso serve a dare più “stabilità” al messaggio collocandolo in una argomentazione dove può farsi trovare più facilmente dai propri followers. D’altronde dati recenti dicono che ogni minuto vengono pubblicati nel mondo 278.000 tweets, pertanto l’impersistenza del messaggio è uno dei limiti di questo mezzo.In sintesi le modalità di fruizione di Twitter per gli utenti si sostanziano oltre ai metodi di notifica degli aggiornamenti, nello sfogliare la propria home page personale, oppure nella scansione di uno specifico hashtags, mentre è meno frequente (se non in casi particolari) la visione della pagina di uno specifico account, e questo è un punto da tenere nella debita considerazione.

In definitiva quindi pur considerata la volatilità e la frammentazione dei messaggi veicolati da questa piattaforma, non si può dire che essa sia estranea a quel processo di formazione dei discorsi sociali, anzi per le sue caratteristiche tende ad essere il primo anello della catena, e le sue fortune risiedono nella logica dell’ipertesto e nella pratica della trans-medialità.

C’è ancora bisogno di riflettere su altri concetti basilari riguardo al ruolo di Twitter nella formazione dell’agenda setting o nel fare framing, ovvero quale sia il peso, se esiste, dei gatekeepers e quali i criteri di newsmaking, quale sia il ruolo nella formazione delle rappresentazioni sociali visto che magari non sembra essere il mezzo più adatto per la formazione di narrazioni. Non si poteva liquidare l’argomento in poche parole per cui per ragioni di opportunità chiudo con il proposito di tornare su questi specifici aspetti a breve scadenza.

1 Una descrizione molto interessante del fenomeno dell’ Homo videns che ha sostituito l’Homo sapiens e contenuta nel libro di G. Sartori Homo Videns – Laterza 1999.
Le immagini sono tratte da:

https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSaos3R9qmtpHDwhDwn4_dsiDID1jZuW-loYchtSGdnoaOoQgjL

http://cdn1.tnwcdn.com/wp-content/blogs.dir/1/files/2014/11/1120_twitter.jpg

BRAND POSITIONING E PAY OFF – UN  CONFRONTO IN UN VIAGGIO LUNGO 30 ANNI

BRAND POSITIONING E PAY OFF – UN CONFRONTO IN UN VIAGGIO LUNGO 30 ANNI

Un paragone a cavallo del tempo tra le pubblicità di due marchi storici, un breve viaggio ove scorgere nelle immagini di qualche anno fa la pseudo realtà ed i miti del momento.

Uno degli obiettivi fondamentali della comunicazione pubblicitaria di norma dovrebbe essere la costruzione di un posizionamento ben definito e strutturato nella mente del consumatore, al fine di rappresentare per quest’ultimo un riferimento immediato ed attraente da seguire per un’esperienza di consumo, aspetto al quale il marketing attuale attribuisce notevole importanza almeno al pari del semplice atto di acquisto di un prodotto.

A volte uno degli elementi fondamentali che concorrono al posizionamento di una brand consiste proprio nella scelta di un pay off ben concepito, quella breve frase che chiude un messaggio pubblicitario, spesso filo conduttore tra una campagna e l’altra, che ha il compito di sintetizzare in pochissime parole l’identità o il sistema di valori a cui la marca fa riferimento.

Ci sono stati pay off capaci di durare decenni sino a diventare un vero e proprio mantra della marca, che in alcuni casi sono entrati nel linguaggio comune travalicando persino i confini della marca (chi non ricorda per esempio il celebre claim della Lavazza “più lo mandi giù, più ti tira su”?), altre volte invece il pay off viene cambiato più spesso per varie cause che possono riguardare strategie comunicative, scarso favore del consumatore, mutate condizioni di consumo o della realtà sociale cui si riferiscono.

In questa sede vorrei proporre il confronto della pubblicità di due noti marchi, Averna e Ramazzotti, appartenenti allo stesso settore di mercato, compiendo idealmente un piccolo viaggio nel tempo e recuperando alcuni spot diventati famosi realizzati dalla metà degli anni ’80 in poi, un’esperienza vintage che consente di rivedere alcuni frangenti della quotidianità idealizzata di quegli anni, una peculiarità della pubblicità, del suo essere situata, strettamente riferita al tempo a cui appartiene.

Pertanto di seguito si riporta un breve riassunto degli spot insieme al link ove osservarli sulla piattaforma youtube da cui sono stati tratti, a beneficio di nostalgici e curiosi.

 Ramazzotti “Milano da bere” (anno 87) 
Una campagna famosa anche per questo pay off un po’ provocatorio che nasce alla meta degli anni ’80 nel periodo dello “yuppismo”, dei giovani rampanti in carriera; uno spot da 30 secondi con tagli di scena rapidissimi che racconta la giornata di una città dinamica, che lavora, dove si vedono studenti di fretta, operai in cantiere, colletti bianchi, taxi, metro, dove la parodia del consumo si celebra nella parte finale dello spot: un uomo e una donna che denotano un certo status al ristorante con un cameriere in papillon che serve il Ramazzotti; è qui che il pay off “Milano da bere” opera un posizionamento “alto” mediante la metonimia delle immagini. Si celebra il momento di consumo in un luogo esclusivo riservato a persone di successo al di là del racconto di una città che lavora. Un posizionamento che ricevette anche diverse critiche per la sua scelta di legare la marca alla città della finanza per antonomasia.

 Ramazzotti “giovane amaro” (anno 94) 
Un pay off diverso per questo breve spot di metà anni 90 (20’), che tuttavia nelle immagini conferma le icone dei protagonisti, giovani eleganti, uomini e donne di successo, dove va in scena persino l’emulazione della scelta del Ramazzotti, ma il consumo è sempre lì, in un ristorante esclusivo, un posto pubblico, un prodotto per una certa classe di persone.
http://youtu.be/y7HTGgIA-lo
 Ramazzotti “Amaro positivo”(anno 99) 
una clip molto breve (15’), dalla scena di un matrimonio, ad un uomo in bici, al consumo del Ramazzotti in un ambiente indistinto ma privato, ancora un uomo all’aperto ed infine un bel volto femminile per richiamare (sovrascritta!) la passione, il liquore che fluisce in un bicchiere annuncia il pay off finale “da che mondo è mondo .. amaro Ramazzotti, amaro positivo”. Cambia molto in questo spot, cambia la tipologia di personaggi ma soprattutto cambia il momento di consumo, cambia l’esperienza che ne viene richiamata.

 Ramazzotti “200 anni da bere” (anno 2014) 
Una clip molto breve (10’), una bottiglia al centro della scena e un mondo che simbolicamente gira intorno mostrando cronologicamente persone e costumi che richiamano i 200 anni di tradizione come spiegato dalla voce narrante, che chiude con il pay off “200 anni da bere”; gli abiti, almeno quelli dei giorni nostri, sono informali, non si ostenta esclusività, ma il momento di consumo è tornato in uno spazio pubblico, in un luogo di relazione.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anni ’80) 
un giovane regista dirige le prove di coreografia di una scena, un uomo maturo osserva, il giovane lo nota esprimendo sorpresa e gioia, i due si abbracciano, è probabilmente l’incontro tra padre e figlio, è il momento della pausa e i due uomini gustano insieme amaro Averna mentre la voce narrante canta “Amaro Averna scalda il cuore .. il gusto pieno della vita”.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 99) 
Una festa in casa e giovani vestiti in modo informale bevono Averna, in parallelo una bella ragazza cammina in strada e nel cambio di scena il suo volto è nella copertina di un magazine, cade una goccia di Averna sulle labbra ritratte in copertina e nel nuovo cambio di scena dal vivo la ragazza pare riassaporare con le labbra il gusto dell’amaro, quasi a richiamare alla mente il ricordo del sapore; la voce narrante che dice “gusto chiama gusto, Averna il gusto pieno della vita”.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 2008) 
Il jingle inizia “Dimmi quand’è…”, una macchina in fila, un giovane ben vestito che nota un cane abbandonato e scende dall’auto per accarezzarlo, un abbraccio tra padre e figlio, due fidanzati che discutono e lei che improvvisamente ferma l’auto in mezzo alla strada e scende prima accigliata poi abbozzando tra sé e sé una sorta di sorriso complice, una coppia sorridente che in ambiente domestico consuma l’amaro, il testo del jingle che in modo estremamente appropriato scandisce e descrive le scene e conclude con le parole “dimmi quand’è che hai vissuto le piccole cose con il gusto pieno della vita” enfatizzando in tal modo il valore speciale di aspetti della quotidianità e del privato tra le quali il consumo dell’amaro si propone in entimema.

 Amaro Averna “Il gusto pieno della vita” (anno 2014) 
Il jingle che inizia “Ci son momenti che ….”, tre giovani su un tetto, cambio di scena ed altri che costruiscono un castello di carte mentre bevono amaro Averna, poi l’abbraccio tra padre e figlio, un falò in spiaggia tra giovani, una giovane coppia che nella propria casa sembra aver messo a dormire i bambini e si gode un attimo di serenità gustando l’ amaro, ancora una volta lo scandire preciso ed appropriato del jingle che conclude dicendo “…se ci pensi un po’ su niente conta di più, l’emozione che c’è quando scopri le cose più vere Averna il gusto pieno della vita”, magnificando anche in questo caso il valore delle piccole cose della quotidianità a cui amaro Averna sembra appartenere.
http://youtu.be/dMuUtXoCHR8

Due mondi possibili (A. Semprini – 1993) ben diversi quelli descritti e rappresentati dalle due marche, ognuna delle quali propone le sue storie facendo riferimento a sistemi di valori differenti a tratti persino in opposizione tra di loro.

Il Ramazzotti, pur avendo adottato una discontinuità nei vari pay off, prima Milano da bere, poi giovane amaro, poi amaro positivo infine 200 anni da bere, attraverso la sintassi delle immagini, carte di credito, il sole 24 ore, camerieri in papillon, ristoranti d’elite, protagonisti vestiti in modo ricercato, adotta regimi discorsivi che tracciano un mondo possibile caratterizzato dall’ espressione di un io idealizzato che connota prestigio, successo, status, seduzione.

L’amaro Averna invece sceglie un mondo privato fatto di piccole cose, quelle che in fondo sono veramente importanti, il gusto pieno della vita, un claim che dura da 30 anni e che mostra lo spazio degli affetti, dell’amore, delle piccole grandi emozioni della quotidianità e dell’intimità, dove Averna si candida discretamente ad esserne testimone. È un pay off che si afferma, costante e sicuro nel tempo, sempre allo stesso modo pur in una società che cambia nelle sue forme esteriori.
averna

Sono pertanto due brand che portano avanti due narrazioni in potenziale opposizione tra di loro come si può osservare nel mapping semiotico rappresentato in figura1, che ancorché appartenenti alla tipologia di narrazioni utopiche, visto il genere merceologico, scelgono di farlo adottando due sfere di valori assai diverse; mentre Ramazzotti deve adeguare il suo pay off al momento biografico dell’audience (A. Fontana) avendo optato per il mondo sociale, Averna può mantenerlo inalterato avendo puntato sulla sfera privata.
Immagine1
Ci sarebbe da precisare tuttavia che all’epoca il successo del claim “Milano da bere” suscito, per la verità, diverse critiche in quanto capace di alimentare polarizzazioni opposte tra chi apprezzava quella proiezione del sé, e chi invece mal digeriva quella connotazione definita un po’ “spocchiosa”.

Non ho disponibili dati di marketing recenti affidabili, anche se sembra che verso la fine degli anni ’80 l’amaro Averna risultava come il più venduto con una quota di mercato del 24%, seguito a ruota dall’ Amaro Montenegro (22%), e poi da Ramazzotti (13,5%). Non si può quindi verificare che una strategia di comunicazione sia vincente rispetto all’altra anche perché ci sono molti altri fattori di marketing dei gruppi cui appartengono le due marche che possono influenzare le quote di mercato.

Occorrerebbero ricerche mirate e specifiche per determinare che tipo di posizionamento ne è scaturito nella mente dei consumatori e la sua efficacia nell’influenzare le vendite al di là poi del gusto vero e proprio del prodotto.
Tuttavia questa sorta di viaggio nel tempo dei due marchi, oltre magari a richiamare nel lettore nostalgie di momenti passati, mostra in modo ancor più netto, qualora ce ne fosse bisogno, di come ogni elemento che fa parte delle strategie comunicative dirette a definire l’identità e l’immagine di una marca, rivesta un ruolo importante e mai banale.

1 Il modello è tratto da A. Fontana – Storyselling – 2010, ed è a sua volta una rielaborazione tratta da A. Semprini – Marche e mondi possibili – 1993. Per il concetto di mapping vedi anche G. Marrone – Corpi sociali – 2001.
Dal “think different al “miglioriamo la vita” – cosa cambia aldilà del messaggio pubblicitario?

Dal “think different al “miglioriamo la vita” – cosa cambia aldilà del messaggio pubblicitario?

“Questo film lo dedichiamo ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti, e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli, perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.”

Recitava così il testo dello spot realizzato nel 1997 per conto di Apple che si chiudeva con il pay-off “think different” in evidenza, un messaggio che nel corso degli anni successivi è diventato un vero e proprio mantra per l’azienda.
Eppure solo l’anno precedente, Apple computer sembrava un’azienda in crisi con una tecnologia hardware e software ormai obsoleta; il cambiamento al vertice dell’azienda con l’avvento di Steve Jobs, oltre ai cambiamenti alla struttura interna, non visibili, si espresse con una nuova strategia produttiva che rompeva con il passato.

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I volti di personaggi del calibro di Albert Einstein, Bob Dylan, Martin Luther King, John Lennon, Thomas Edison, Muhammad Ali, Mahatma Gandhi, Picasso per citare i più noti ben si prestavano a veicolare il concetto di rottura degli schemi ed alla costruzione della mitografia del “Think Different” che cominciò ad essere più di un semplice slogan pubblicitario, trasformandosi di fatto in “mission” aziendale ed al tempo stesso aspirazione e autogratificazione di un cliente idealizzato.

In sintesi due parole quasi magiche, mitiche è giusto definirle, che sono state in grado di fondere la visione di un leader, la filosofia aziendale che ne è scaturita, la creatività dei suoi specialisti, la capacità di immedesimazione del consumatore, l’alone mitico di cui ogni prodotto ha bisogno.

La saldatura tra questo mantra e altri messaggi dell’azienda è sempre stata coerente nei significati profondi come per esempio è osservabile nei comunicati stampa di quel periodo dove nella parte finale si riproponevano spesso queste parole:
“Apple ha dato il via alla rivoluzione dei personal computer, negli anni ‘70, con Apple II, e ha proseguito su questa strada, reinventando il personal computer, un decennio più tardi, con l’introduzione di Macintosh. Ancora oggi Apple continua a guidare l’innovazione del mercato con gli innovativi e pluripremiati computer desktop e portatili Mac, il sistema operativo Mac OS X, le applicazioni per il digital lifestyle di iLife e quelle professionali. Apple sta inoltre guidando la rivoluzione della musica digitale con la linea di player musicali portatili iPod, leader di mercato, e con il negozio di musica online iTunes.”

Rivoluzione, reinvenzione, innovazione, ancora tre parole di rottura, perfettamente in sintonia con il concetto di think different e con le varie costruzioni discorsive utilizzate nelle pubblicità che seguiranno in quegli anni.
Quello che è successo negli anni successivi è quasi storia, ma quel che è certo ora è che il think different non è stato un semplice messaggio pubblicitario, è stato prima di tutto una “mission” aziendale che ha guidato la strategia di prodotto.

Pubblicità ipod

Pubblicità ipod

I risultati che possiamo osservare oggi non hanno bisogno di commento, ma sicuramente dovrebbero ispirare una riflessione sulla comunicazione d’impresa; certi messaggi, se scelti con attenzione, adeguati al contesto, condivisi anche all’interno dell’organizzazione, possono assumere un effetto trainante, una forza quasi trascendente altrimenti impensabile in altre situazioni.
È lecito chiedersi quante volte un messaggio pubblicitario consegua certi risultati pur senza dover ricorrere ad effetti speciali o spettacolarizzazioni costosissime e non viceversa veicolare un posizionamento adeguato e credibile nei fatti, nella mente del consumatore.

Anno 2013:
È questo. Quello che importa è questo.
L’esperienza di un prodotto. Come vivi un prodotto.
Come ti farà sentire
renderà la vita migliore?
Merita di esistere?
Dedichiamo tanto tempo a poche cose,
Grandi cose.
Perchè ogni idea che abbiamo migliora ogni vita che incontra.
Siamo ingegneri e artisti, artigiani e inventori. E firmiamo il nostro lavoro … 
Lo sentirai sempre.
Questa è la nostra firma.
E significa tutto.

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Una nuova campagna, il dopo Steve Jobs, un nuovo manifesto ed una nuova filosofia.
Ciò che conta è l’esperienza di un prodotto, è uno dei “must” del marketing attuale, “Ogni idea che abbiamo migliora ogni vita che incontra”;

cosa potrà ispirare questo slogan nel futuro, in che modo potrà influenzare le strategie dell’azienda?
È stimolante riflettere e confrontare i valori indotti dal pensare in modo differente e il migliorare ogni vita con ogni idea, per capire se questo cambiamento del messaggio potrà implicare anche cambiamenti nella filosofia dell’azienda.
Il pensare differente è pensiero laterale, è la ricerca costante di andare fuori dagli schemi, è distinzione ed esclusività per il consumatore che aderisce a questa valorizzazione, per questo ci si deve chiedere se, senza questa filosofia di pensiero, la Apple avrebbe creato i prodotti che ha fatto.

Anche dopo la fine della fortunata campagna del think different, l’azienda di Cupertino nel corso del tempo ha lanciato non solo l’iMac, ma soprattutto l’iPod, l’iPhone e l’iPad in ordine di tempo, prodotti ai quali è arrivata prima degli altri costringendo i competitor ad inseguire.

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Cosa dire invece del migliorare la vita e migliorare l’esperienza della gente? Che in fondo è l’essenza stessa della tecnologia quella di migliorare la vita, per cui non sembrerebbe esserci nulla di inedito in questa affermazione se non la conferma del core business dell’azienda.

Ma per estensione il migliorare la vita si può fare in tanti modi, anche costruendo prodotti con caratteristiche più limitate a prezzi più abbordabili. Il pensare differente invece no, è altra cosa.
Ora Apple che lancia sul mercato l’iPad da 7 pollici ad un prezzo più abbordabile del fratello maggiore, che commercializza modelli di iPhone con caratteristiche lievemente inferiori al 5s a prezzi più abbordabili, continua a migliorare la vita? Sta cercando di farlo per un numero di persone più ampio? Persegue sempre la stessa ricerca dell’esclusività?
È troppo presto per fare affermazioni, tuttavia l’interrogativo sulle strategie di Apple, sulle scelte che intraprenderà, su quali saranno i risultati è sicuramente stimolante.
Chiudo lasciando aperti questi interrogativi ai quali ognuno potrà dare la propria risposta, anche se dovremo aspettare un po’ di tempo per valutare a posteriori i risultati e capire se era meglio “think different” o “migliorare la vita”.

 

 

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