da Sergio Bernardini | Giu 4, 2017 | CASE STUDY
Nell’ era dei social media dove la comunicazione e le politiche di branding passano inevitabilmente su queste piattaforme, dove tutto viene definito più o meno appropriatamente storytelling, che tipo di narrazioni creano le aziende dei servizi di energia per i loro followers?
Questa volta la mia attenzione sarà rivolta alle aziende del settore energetico che commercializzano luce e gas per le utenze domestiche, un settore che non pochi problemi ha riservato (e riserva!) ai cittadini per trasparenza nel servizio, nei costi e nella stipula di nuovi contratti con la clientela.
Utilizzerò le pagine Facebook di queste aziende per analizzare che tipo di comunicazione realizzano e quali sono le reazioni e la qualità delle interazioni dei propri “followers”.
La modalità di analisi adottata va a individuare il posizionamento di un brand che si determina attraverso i messaggi postati su Facebook, ne va a valutare gli indici di “engagement rate” e ne considera qualità e grado di coinvolgimento delle interazioni.
In questa analisi sono stati considerati sei operatori, due su scala regionale, due di livello interregionale e due di livello nazionale.
Sono stati presi in considerazione soltanto i post delle rispettive pagine Facebook in un arco temporale che va dal 16 aprile al 15 maggio, un tempo relativamente breve ma sufficiente per capire quali sono le scelte comunicative e gli atteggiamenti del pubblico a cui sono indirizzate.
Quello che viene valutato è esclusivamente ciò che appare ad un qualunque utente di Facebook e pertanto per certi versi ne descrive la possibile percezione, non potendo disporre né dei dati di insight né di orientamenti e obiettivi delle singole aziende.
Il procedimento di categorizzazione dei vari post attraverso un sistema di mapping, esprime il posizionamento dello “storytelling” di un’azienda, rappresentato graficamente così da metterne in luce le caratteristiche e le differenze in confronto alle altre.
Il metodo di mapping utilizzato
Il metodo di mapping1, di cui ho altre volte parlato in questo blog, si basa su quattro polarizzazioni tali da poter comprendere e racchiudere l’intera area semantico-discorsiva sviluppabile nella comunicazione.
La mappa scaturisce dalla collocazione su due assi cartesiani di quattro tipologie di narrazioni:
- Narrazioni utopiche;
- Narrazioni ludiche;
- Narrazioni pratiche;
- Narrazioni performative;
Poiché un posizionamento concepito a cavallo di uno dei quattro assi diverrebbe di per sé troppo rigido, il principio del mapping prevede di definire i quattro quadranti che scaturiscono dall’intersezione degli assi e che consentono di trovare una varietà di posizionamenti dei contenuti a seconda le loro proprietà semantiche.
Pertanto i quattro quadranti che ne risultano descritti sono:
- Discorsi ideali (o contemplativi): quadrante definito dall’intersezione dell’asse delle narrazioni utopiche e delle narrazioni ludiche che comprende i discorsi sull’essere, sugli ideali, sull’identità, sui valori e sugli aspetti socialmente condivisi;
- Discorsi pratici: quadrante definito dall’intersezione dell’asse delle narrazioni ludiche e delle narrazioni pratiche che contempla i discorsi sui vantaggi, sulle comodità, sulla soddisfazione del possesso e sulla sua valorizzazione;
- Discorsi performativi: quadrante definito dall’intersezione tra l’asse delle narrazioni pratiche e quello delle narrazioni performative, caratterizzato dai discorsi del fare e del saper fare, dei risultati, della capacità e della tecnica;
- Discorsi emancipativi: quadrante definito dall’intersezione delle narrazioni performative e delle narrazioni utopiche e che include i discorsi sulla dimensione del sé, sul divenire, sul futuro, sulla crescita e sullo sviluppo.
Tuttavia anche l’area discorsiva coperta da un quadrante risultava uno spazio un po’ troppo vasto per collocare con precisione i numerosi argomenti che questa può comprendere, per cui per dare maggior accuratezza al posizionamento dei vari post, questi sono stati ulteriormente categorizzati in una serie di tematizzazioni generali nella quale potevano venire inclusi.

Le varie tematizzazioni definite, sono state collocate nei quadranti determinando una serie di posizioni intermedie a seconda la vicinanza semantica con gli assi principali di riferimento.
Le rispettive frequenze con cui questi temi sono stati toccati, sono state trasformate in spazi di grandezza proporzionale che sono stati uniti in modo da offrire una rappresentazione visiva della discorsività sviluppata senza elementi di discontinuità.
Le forme grafiche riportate nelle tabelle costituiscono dunque la rappresentazione del posizionamento realizzato dalle varie aziende nella loro comunicazione sulla pagina Facebook.
Qualità delle interazioni e feedback dei followers
L’ esame delle interazioni e del tipo di feedback espresso dai followers, completa l’analisi del posizionamento perché indica il gradimento e le reazioni dei destinatari della comunicazione.
In questo caso però il coefficiente di engagement rate è stato calcolato ponderando il totale di like, condivisioni e commenti ottenuti mediante l’attribuzione di un indice basato sul diverso grado di coinvolgimento richiesto per esprimerli, applicando poi delle decurtazioni nei casi di “reaction” o commenti negativi e/o critici.
Ai like è stato quindi attribuito un coefficiente di 0.1 punti, alle condivisioni di 0.3 e ai commenti di 1; le reaction negative sono state successivamente decurtate applicando un coefficiente di 0.2 mentre per i commenti negativi decurtati il coefficiente è stato di 2 punti. I valori sono poi stati espressi in percentuale per favorire il confronto tra i vari operatori.
La formula applicata pertanto è stata:

Per ogni azienda un istogramma riporta anche i valori di engagement rate ottenuti per ogni tipologia di discorso con il fine di ottenere una indicazione, sia pure suscettibile di essere riverificata nel corso del tempo, del gradimento espresso dal pubblico, mentre in una tabella riassuntiva è possibile anche confrontare i dati relativi al post che ha ottenuto il miglior risultato nel periodo considerato.
Di seguito i risultati e un breve commento relativo alle varie aziende monitorate.
Prometeo
La comunicazione social di Prometeo predilige chiaramente il discorso ideale, in special modo usando tematizzazioni che esprimono il “radicamento territoriale”, senza trascurare tuttavia il discorso pratico realizzato con una certa frequenza sui temi “educativo-pedagogico”.
La ripartizione dei like tra i vari discorsi non deve comunque trarre in inganno in merito alle preferenze dei followers; si noti infatti negli istogrammi che il discorso pratico e il discorso performativo conseguono un indice di engagement rate superiore a quello globale nonostante tali aree siano state calcate con minore frequenza.


Gruppo Iren
La comunicazione social del Gruppo IREN si orienta decisamente verso il discorso performativo con tematizzazioni legate al “contributo alla sostenibilità ambientale” con il chiaro intento di accreditarsi come azienda con un’alta cognizione della responsabilità sociale. In tal senso infatti anche la marcata presenza sul discorso pratico con i temi “educativo-pedagogico”, tutto sommato persegue lo stesso fine.
In questo caso non soltanto il totale dei like, ma anche l’indice di engagement rate del discorso performativo sembrano confermare le scelte dell’azienda in termini di gradimento del pubblico, perché quest’ultimo è superiore all’indice globale.
Non dello stesso tenore invece i dati relativi al discorso pratico, mentre il discorso emancipativo con il tema del “mecenatismo”, ancorché poco sfruttato, mostra indici di engagement rate tutto sommato interessanti.


Sorgenia
La comunicazione social di Sorgenia punta decisamente sul discorso ideale con tematizzazioni legate all’ “attualità-intrattenimento” anche con il chiaro e preciso intento di sfruttare sinergicamente la positiva immagine del testimonial prescelto nella figura di Beatrice Vio.
Il testimonial è il referente della metafora «più energia», in qualche caso anche chiaramente citata nei post, e riscuote il favore e la simpatia del pubblico in virtù dei successi sportivi ottenuti a dispetto del suo handicap.
Infatti sia like che engagement rate hanno indici di assoluta preminenza che si riscontrano particolarmente in coincidenza dei post che usano argomenti ed immagini legati al testimonial. Rilevanti sono infatti i risultati, in particolare del post che ritrae la ragazza con i tacchi, simbolo della femminilità, con indici ampiamente superiori rispetto a tutte le altre aziende del settore.
Tuttavia non si può non rilevare che quando per forza di cose il discorso deve spaziare su altri temi, i risultati, come si vede nei grafici, sono di tutt’altro tenore, il che deve fornire più di un motivo di riflessione.


Eni Gas&Luce
La comunicazione social di Eni Gas&Luce è quella che più delle altre ha cercato di spaziare in più aree discorsive con diverse tematizzazioni.
Si è riscontrata una leggera prevalenza nel discorso pratico con i temi “educativo-pedagogico” e di “servizio al consumatore”; anche i temi legati ai “consigli virtuosi” nel discorso performativo hanno avuto un certo peso, così come i temi dell’”attualità-intrattenimento” nel discorso ideale.
In termini di gradimento, il totale dei like e l’engagement rate registrano valori più alti nel discorso pratico, indicandolo come preferito per i followers. Da rilevare comunque dati contrastanti nei singoli post: mentre alcuni ottengono interazioni ed indici molto interessanti specie nel discorso pratico, da contro oltre il 25% dei commenti è stato negativo, riferito soprattutto al servizio amministrativo dell’azienda.


Acea
La comunicazione social di Acea presenta due aree di polarizzazione marcate: a cavallo dell’asse delle narrazioni pratiche si collocano i temi dei “consigli virtuosi” e del “servizio al consumatore”, mentre altra polarità rilevante è nell’area del discorso ideale con i temi legati ad “attualità e intrattenimento”.
In termini di gradimento, l’area del discorso ideale ottiene i risultati migliori in termini di like e di engagement rate, ma anche il discorso pratico da buoni risultati.
Da rilevare comunque che quasi la metà dei commenti sono stati di carattere negativo, legati a varie disfunzioni nei servizi amministrativi, un indicatore negativo molto importante che nei toni ha mostrato come il pubblico non sia affatto incline a sorvolare né a farsi addomesticare da una comunicazione che è sembrata, in questi casi, abbastanza evasiva.


Enel Energia
Situazione particolare per Enel, ex monopolista dell’energia elettrica, e mattatore nei social con oltre 400.000 followers, è stato osservato e poi non considerato nel confronto perché durante la fase di osservazione era in corso di svolgimento il Giro d’Italia; poiché Enel è stata azienda sponsor del Giro ed ha dedicato uno spazio molto ampio a questo evento nella propria pagina Facebook, qualsiasi lettura di posizionamento ed analisi delle interazioni operata in questo frangente avrebbe completamente falsato i risultati ottenuti e i termini del confronto. Tuttavia verificando il contenuto e le interazioni ricevute in alcuni post di routine, sia il genere di contenuti, sia le tematizzazioni prescelte, sia l’engagement rate non sembravano mostrare significative differenze rispetto alle altre aziende; tutto sommato anche i post dedicati al giro d’Italia, pur generando un maggior numero di interazioni, non è che abbiano raggiunto risultati entusiasmanti sotto questo punto di vista.
Conclusioni
Questa analisi sul posizionamento della comunicazione nei social media delle aziende di servizi ci offre senza dubbio elementi di riflessione, alcuni di carattere generale, altri riferibili allo specifico settore.
Sugli aspetti di carattere generale va sicuramente annoverato l’utilità e l’opportunità di mettere a punto un metodo che consente di “visualizzare” la posizione della propria comunicazione, il poterla confrontare con quella dei concorrenti, e poter scoprire gli “spazi” lasciati liberi.
La seconda considerazione, analizzando il feedback dei propri follower, offre la possibilità di comprendere se le scelte fatte sono gradite e se vanno nella giusta direzione, oppure se è il caso di trovare nuove strade.
Nello specifico settore invece è stato possibile notare come tutte le aziende del settore abbiano optato per orientare buona parte della propria comunicazione nei quadranti del discorso ideale e del discorso pratico, solo in parte verso il discorso performativo, mentre assai sporadicamente hanno utilizzato il discorso emancipativo.
Anche nelle tematizzazioni adottate si sono riscontrate diverse analogie, similarità emerse anche nella stilistica dei messaggi, il cosiddetto “tone of voice”.
I temi “ludici” e comunque legati all’intrattenimento sono frequenti, anche troppo, ma non è assolutamente certo che l’apparente atteggiamento favorevole del proprio pubblico sia estendibile per antonomasia anche all’emittente.
È il caso di Sorgenia che con il suo testimonial, Beatrice Vio, riesce ad ottenere lusinghieri risultati di engagement, ma non è sicuro che tali risultati possano essere riferibili anche al brand.
D’altronde l’accostamento con la tenacia e l’energia del testimonial appare metaforicamente debole, come si nota infatti leggendo i commenti, che sono perlopiù indirizzati al testimonial.
Le aziende considerate in generale tendono a tenersi lontano da discorsi e temi riferibili alle proprie performance, forse sperando di evitare eventuali commenti e reazioni negative dovute alla propria condotta di mercato, più o meno discutibile a seconda i casi.
Parimenti trascurati i temi che affrontano la loro identità, la loro storia, la loro filosofia di impresa o la loro mission, ed il dubbio sul motivo di tali scelte rimane.


In realtà, dalla lettura dei commenti, gli utenti dimostrano di non lasciarsi distrarre tanto facilmente dalle argomentazioni delle pagine e non perdono occasione di rimarcare carenze e mancanze commesse nel servizio.
È questo il caso di Eni e soprattutto di Acea che vengono abbastanza frequentemente bacchettate per le loro mancanze verso i propri clienti.
In definitiva, si può asserire che non è certo la comunicazione social che può “imbonire” un cliente arrabbiato e che la customer satisfaction si può mitigare ma non si può costruire solo con la comunicazione.
Forse, specialmente nel caso degli operatori di minori dimensioni, sarebbe opportuno avere più coraggio nell’adottare una comunicazione più diretta, che parli del brand, che ne definisca l’identità e ne illustri la performance se si vuole in prospettiva fare un “branding” più forte connotando l’azienda in modo più preciso e concreto.
Questo anche al costo di subire commenti negativi che tuttavia rappresentano la cartina al tornasole della propria attività e suggeriscono poi dove intervenire, e che in fondo è uno dei maggiori vantaggi della comunicazione social.
Infine anche le irregolarità più o meno marcate delle forme grafiche di posizionamento per certi aspetti denotano qualche disomogeneità e discontinuità nella strategia di comunicazione (fattore suscettibile di analisi proiettate in tempi più lunghi), mentre forme più omogenee in linea di massima offrirebbero al consumatore una percezione del brand più solida e strutturata su un range ben preciso di concetti.
1 Questo metodo di mapping è il risultato su cui convergono numerosi autori ai quali rinvio per approfondimenti che in ordine cronologico sono J.M. Floch, A. Semprini, G. Marrone, A. Fontana. In particolare sul testo Storyselling di Fontana si trova specifico riferimento al modello illustrato.
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da Sergio Bernardini | Nov 15, 2016 | CASE STUDY
Quale storytelling stanno proponendo le banche sulle loro pagine Facebook considerato il buon numero di fan ottenuti, e che tipo di interazioni e risposte ricevono da questi ultimi? Analisi e considerazioni in merito
Negli ultimi anni le banche sono state spesso oggetto di aspre critiche per la loro condotta e ritenute in buona parte responsabili della crisi economica del sistema e dei suoi squilibri, un pensiero condiviso abbastanza diffuso che incide fortemente sulla percezione dei loro brand.
Non a caso riporto nel riquadro uno stralcio di una ricerca fatta da IPSOS in aprile.

Sempre in questi anni si è verificata la straordinaria diffusione dei social media, diventati di fatto un imprescindibile canale di comunicazione sociale che le aziende, specialmente i brand più affermati, non possono più evitare di includere nei loro canali di comunicazione a prescindere dal settore di attività.
Le piattaforme social non rappresentano solo un canale di comunicazione ma sono uno strumento molto efficace per ascoltare opinioni e punti di vista del proprio pubblico, per raccogliere il feed-back sui propri prodotti/servizi, per monitorare la percezione del proprio brand.
Ho voluto pertanto basare su Facebook, la piattaforma social più nota e diffusa, l’analisi dei contenuti comunicativi pubblicati da alcune banche per capire quale tipo di narrazione stiano realizzando e quali reazioni stanno suscitando nell’audience.
Nello scorso mese su alcuni blog tra cui Blogmeter, sono apparsi degli articoli che hanno preso in esame il settore stilando una classifica delle 10 migliori banche nel mese di settembre, esaminate principalmente dal punto di vista del numero di fan e dalla loro capacità di fare “engagement” di nuovi followers.
Questo lavoro invece si basa su criteri un po’ diversi e più che sulla quantità dei dati cerca di interpretarne alcuni aspetti qualitativi.
Sono stati scelte quattro tra le più note banche del sistema italiano selezionate non soltanto per numero di fan, e Poste Italiane che negli ultimi anni sta compiendo un grosso sforzo di riposizionamento sia per la sua offerta di servizi, sia per la sua immagine complessiva, collocandosi di fatto come uno dei “player” del sistema creditizio.
Di questi brand ho preso in considerazione gli ultimi 30 post pubblicati sulle rispettive pagine Facebook classificandone i temi proposti, rilevandone numero di condivisioni, like e commenti ottenuti in questi post rapportandoli al numero di fan rilevati da Soldiweb in data 11 ottobre, ed infine ho esaminato come hanno usato i link, se indirizzati alla/e proprie landing page ovvero verso siti esterni.
Premesso che senza i privilegi di amministrazione delle pagine non si dispone dei dati di “insight”, né di strumenti per calcolare la “reach” potenziale sviluppata dalle condivisioni, pertanto ogni risultato dipende dal materiale osservabile.
Stesso discorso anche per i commenti poiché non ho la certezza che non ci siano state rimozioni, magari di quelli meno ortodossi, per cui nella valutazione di questi ho usato molta cautela.
Non mi sono basato sulle tradizionali formule di “engagement rate” che ho ritenuto troppo sbilanciate su meri dati numerici e poco indicative invece del tipo di narrazione emergente, del posizionamento che ne deriva e della valutazione delle risposte del target audience in merito.
Quindi ancorché si tratti di dati ottenuti da un campione numericamente limitato, se ne possono trarre indicazioni descrittive abbastanza fondate in merito alla strategia narrativa adottata e rappresentano comunque un metodo di approccio al problema della valutazione dei contenuti pubblicati che difficilmente può provenire da procedure automatiche.
Il risultato è una rappresentazione grafica del posizionamento che cerca di definire delle aree discorsive formate dai contenuti pubblicati, piuttosto che delimitarli troppo rigidamente con dei valori collocati su assi cartesiani.
I tempi in cui questi contenuti sono stati rilevati variano in base alla frequenza di pubblicazione dei post adottata da ogni banca e spaziano tra i 25 e i 70 giorni.
Posizionare lo Storytelling
Per un’impresa la comunicazione sui social media, specificamente su Facebook, è sostanzialmente diversa dalla comunicazione pubblicitaria tradizionale perché non può restringersi ad una mera proposta d’acquisto ma deve saper spaziare su più temi, deve rappresentare un discorso quotidiano che sappia cogliere interessi e gusti del suo lettore.
In tal senso la comunicazione sui social diventa per sua natura una narrazione in cui l’intreccio narrativo è formato dai differenti temi che sono di volta in volta trattati nei vari post.
Parlare di posizionamento significa definire che tipo di storytelling il soggetto sta portando avanti.
In questo caso per definire una categorizzazione degli argomenti di volta in volta pubblicati, ho adottato un sistema di mapping1 che si basa su quattro polarizzazioni tali da poter comprendere e racchiudere le varie tematizzazioni di volta in volta proposte dalle banche.

Le quattro tipologie adottate sono:
- Discorso esistenziale: è un tipo di tematizzazione che si indirizza alla cosiddetta “cultura alta” come mostre d’arte e di pittura, di musei e di musica lirica, che tende ad enfatizzare la valorizzazione del patrimonio culturale, la sua identità, i valori estetici, ed al tempo stesso valorizza coloro che sono sensibili al suo fascino. È un tipo di argomenti che sembra rivolgersi ad un target maturo di alto profilo culturale e con uno status sociale di prestigio che si riconosce in questi valori.
- Discorso ludico: è il genere di temi che parla della società, delle sue espressioni contemporanee e dei trend in atto in quel momento; parla di sport e di concerti, di mostre o eventi ma anche di solidarietà civile, proponendo in tal modo un discorso basato non solo su aspetti ludici ma anche sui vincoli della responsabilità sociale. Sembra un discorso rivolto ad un target giovane ma culturalmente impegnato e molto coinvolto nella società in cui vive.
- Discorso pratico: è un tipo di discorso che tratta temi affini al campo di attività della banca, quindi aspetti economici e del fare impresa, storie di successo o di opportunità di business. È comunque un discorso orientato al pragmatismo, che indirettamente vuole affermare la competenza della banca nell’ambito delle attività economiche e ne legittima il suo ruolo di partnership nell’attività di impresa. In questo caso il target di riferimento è relativamente giovane, attento alla sostanza delle cose e al pragmatismo che ci si attende da chi deve operare in certi settori senza troppi fronzoli.
- Discorso performativo: è il genere di temi finalizzato a promuovere direttamente i servizi della banca, i suoi risultati, le sue promozioni, o anche le abilità e le competenze del suo personale, a volte sconfinando anche in un’autoreferenzialità più o meno marcata. È comunque un discorso che lancia una proposta diretta al suo pubblico, il quale potrebbe identificarsi in un target maturo di status medio-alto, incline a considerare prima di tutto gli aspetti pratici che derivano da un suo rapporto con la banca.
Ovviamente nessuna banca nel periodo considerato ha utilizzato un solo tipo di “discorso”, per cui si è cercato di rilevarne le tendenze più marcate e di costruirne un’area che in qualche modo rappresenti la totalità delle argomentazioni coperte da ogni brand.
Invito ad osservare le differenze discorsive evidenziate in modo assai speditivo dalle rappresentazioni grafiche sottostanti.
Appare subito evidente la forte differenza esistente tra il posizionamento di banca Intesa e quello di Mediolanum, che nel periodo considerato hanno adottato narrazioni articolate tra due polarizzazioni opposte; la prima assegna prevalenza alla cultura, al discorso esistenziale, la seconda contraddistinta da un discorso spiccatamente pratico-performativo.


Il posizionamento di Unicredit assegna una prevalenza al discorso “ludico”, consegue una consistente presenza nel discorso pratico senza tuttavia tralasciare neanche le altre varianti, quasi a voler realizzare un discorso in equilibrio tra le varie aree che forse appare poco caratterizzato e non esalta il suo pubblico stando alle interazioni ricevute.

Quasi completamente appiattito sull’asse performativo-ludico il discorso di Che Banca, dove prevale nettamente il parlare di sé, e vedremo come per certi versi questo sembri premiare la banca.

Si nota altresì con chiarezza lo sforzo di riposizionamento in atto in Poste Italiane, con un’area discorsiva quasi completamente inclusa tra il discorso ludico ed il discorso esistenziale, evidente quindi la ricerca di un target giovane.

Questi risultati sono stati poi confrontati con il totale delle varie interazioni quali condivisioni, like e commenti, ricevute nei vari post (tot.interaz. x 1.000 / n. fan page), ricavandone degli indici riferiti sia al totale dell’interazione, sia al parziale suddiviso tra i vari discorsi categorizzati, come si può vedere nelle tabelle riepilogative di ogni banca. Questi indici in un certo senso rappresentano il feed-back che i fan danno in merito al gradimento dei temi proposti nella pagina.

Sarebbe stato molto interessante poter confrontare i risultati ottenuti con gli obiettivi prefissati dalle varie banche, ma purtroppo senza le loro pianificazioni strategiche questo non è possibile.
Il profilo emergente delle varie banche
Banca Intesa (dal 13 agosto al 21 ottobre)

La comunicazione di Banca Intesa si orienta prevalentemente ad un discorso esistenziale che tocca i temi della cultura alta, anche se sia il discorso ludico che quello performativo vengono utilizzati con una certa frequenza.
Si tiene altresì alla lontana dal discorso pratico del “fare impresa”, ma i motivi possono solo essere supposti.
È una comunicazione che sembra indirizzarsi ad un target di livello medio-alto e che non dimentica di richiamare un certo radicamento territoriale con la città di Torino.
Dimostra, nel confronto con le altre banche, una buona capacità di generare interazioni e soprattutto sembra riscuotere il gradimento del suo pubblico verso i contenuti pubblicati stando agli indici calcolati (vedi tabella), anche in virtù della qualità dei materiali visivi postati che riscuotono un buon numero di visualizzazioni.
I commenti non sembrano offrire materiale pregiato di analisi ed anche quelli negativi, perlopiù originati da disfunzioni nei servizi, sono quantitativamente abbastanza limitati se confrontati con il numero di fan della pagina, mentre commenti negativi sulle connotazioni del brand o sull’immagine del soggetto banca in generale sono assai rari.
Unicredit (dal 3 al 25 ottobre)

La comunicazione di Unicredit tenta di coprire tutte le polarità del discorso anche se il suo orientamento maggiore è rivolto verso il discorso ludico e a seguire con una certa frequenza anche il discorso pratico.
È una discorsività che parla spesso dello sport come espressione sociale e del fare impresa con successo, perciò sembra mirare ad un target giovane e dinamico.
È un tipo di comunicazione che sembra essere in linea con le preferenze del suo pubblico stando agli indici rilevati, tuttavia non sembra coinvolgere più di tanto la sua audience visto che gli stessi indici sono i più bassi tra i soggetti presi a confronto.
Sia reaction che commenti negativi sono comunque limitati, per cui un’interpretazione possibile è che la banca realizzi uno stile “low profile” che non fa emergere forti coinvolgimenti né in positivo né in negativo, o anche che nonostante l’elevato numero di fan, un riposizionamento del brand sia in qualche modo in corso o in prospettiva.
Poste Italiane (dal 3 al 26 ottobre)

La comunicazione di Poste Italiane predilige marcatamente il discorso ludico a cui fa seguire una buona presenza anche sul discorso esistenziale che curiosamente verte molto spesso sugli aspetti storico-culturali delle strutture architettoniche di alcune sue sedi, realizzando in tal modo una sorta di “in-bound marketing”.
È noto che Poste Italiane stia perseguendo negli ultimi anni un sostanzioso riposizionamento da ente pubblico del servizio postale a soggetto attivo ed efficace nell’esercizio del credito.
Le scelte editoriali vanno pertanto in questa direzione e sembrano dirette a raggiungere un pubblico giovane e dinamico.
Il discorso di poste Italiane genera un volume di interazioni tutto sommato modesto e i suoi lettori sembrano preferire contenuti di tipo performativo, a dimostrazione che la strada da percorrere nel riposizionarsi è ancora abbastanza lunga.
Prova ne sia che i commenti negativi rilevati, peraltro in quantità modesta, sono in prevalenza originati da disservizi nella consegna di pacchi o raccomandate e non riguardano i servizi di tipo bancario, segnale da interpretare positivamente.
Che Banca! (dall’8 settembre al 25 ottobre)

Che Banca produce uno Storytelling spiccatamente orientato al discorso performativo, a cui fa da contraltare un apprezzabile inclinazione verso il discorso ludico, quantomeno per intervallare un parlare di sé che rischia di peccare di autoreferenzialità.
È tuttavia un discorso realizzato con una tecnica molto “cool”, moderno e dinamico, che sembra puntare decisamente ad una clientela fatta di giovani orientati alla concretezza che si aspettano che una banca parli di ciò che attiene la sua effettiva sfera di attività.
La sua capacità di generare interazione è abbastanza alta nel confronto con gli altri soggetti e il pubblico sembra apprezzare la sostanza del suo discorso, soprattutto quella del versante ludico.
Per quanto riguarda i commenti invece, anche se quantitativamente si rimane su valori abbastanza contenuti, il fatto di aver ricevuto il maggior numero di commenti negativi e di ottenere l’indice più alto deve accendere qualche campanello di allarme perché le critiche vertono proprio nello specifico dei servizi offerti e soprattutto dei prezzi praticati dalla banca, includendo propositi più o meno espliciti di voler “cambiare aria”.
Banca Mediolanum (dal 7 al 26 ottobre)

La comunicazione di Banca Mediolanum è marcatamente concreta, il suo storytelling vede prevalere il discorso performativo oltre ad una certa frequenza del discorso pratico.
Abbastanza singolare peraltro il fatto di promuovere eventi (presentazione di libri, convegni etc.) che vedono protagonisti i suoi dirigenti, un modo per affermare le proprie competenze attraverso quelle dei suoi uomini di punta.
La frequenza di temi relativi alla consulenza finanziaria ed agli investimenti chiarisce presto a quale clientela la banca stia mirando, un cliente che dà molta attenzione alla competenza di chi gestisce le sue risorse di risparmio o di business.
La capacità di generare interazioni è tutto sommato assai modesta, eccezion fatta per la tendenza alla condivisione che risulta essere la più marcata, mentre il pubblico dimostra di essere in sintonia con il tipo di discorso proposto dalla banca stessa.
Conclusioni
Il risultato dell’indagine dell’IPSOS di aprile 2016, ci racconta che la reputazione complessiva del settore banche è molto bassa, influenzata anche dai recenti e gravi casi che hanno coinvolto i risparmiatori in pesanti perdite.
Quindi in tal senso, i risultati osservati in queste pagine sono persino al di sopra delle aspettative, anche se certamente le banche non rappresentano dei “lovemarks”.
Ovvio che non si possa confondere la reputazione settoriale con quella di un singolo brand, però è normale che una certa influenza si verifichi comunque quando l’umore collettivo è negativo.
Chiaramente per qualunque impresa di un certo livello, nascondersi sulla rete non significa evitare che se ne parli, implica soltanto non sapere e non controllare cosa si dice, per cui la scelta di essere presenti sui social media era pressoché ineludibile.
Tuttavia gli effetti di questo gap di reputazione permangono sullo sfondo perché il discorso complessivo che le banche realizzano sembra mascherare una certa “insicurezza”, un girare al largo dagli argomenti a loro più consoni ma allo stesso tempo anche più scottanti.
Penso che non debbano trarre in inganno i dati più che lusinghieri sull’incremento del numero di fan e forse sono da prendere con le molle anche le modalità di interazione osservate.
Infatti, fino a che il discorso si mantiene su argomenti di carattere generale le reazioni sono globalmente positive, ma quando questo si sposta sul “fare banca”, sembrano riaffiorare elementi di criticità.
Ovvio quindi che proporre un discorso “soft” basato su valori etici e sociali miri a riconquistare simpatie e ristabilire un clima di fiducia, ma la strada è ancora lunga ed in tal senso il livello abbastanza ridotto di interazioni, specialmente condivisioni e commenti, ci dirà molto in merito.
In conclusione è una presenza sui social che ha bisogno di rinsaldarsi con una proposta argomentativa anche più coraggiosa, al costo di incassare un maggior numero di commenti negativi.
Non sembra infatti che i fan disdegnino di interessarsi e di interagire quando la banca parla della sua attività, anzi in fondo e ciò che vogliono per poi magari giudicare anche negativamente.
Al momento infatti, analizzando i commenti leggibili nelle loro pagine, si farebbe una certa fatica a trarre indicazioni probanti sul livello di percezione del loro brand e sul gradimento dei loro servizi.
1 Pur dovendo adottare degli aggiustamenti il concetto deriva da quanto pubblicato da A. Fontana in Storyselling (2010) e da G. Marrone in Corpi Sociali (2001)
da Sergio Bernardini | Apr 5, 2016 | MEDIA E SOCIETA'
Come ragionano le persone che davanti ad un video postano commenti sui social? Quali sono i loro punti di vista e la loro visione del mondo? Fino a che punto sono influenzabili dai contenuti pubblicati? È possibile raggrupparli in target audience relativamente omogenei?
Domande frequenti in chi opera nel mondo dei social sia perché dietro un commento non si sa mai chi c’è realmente, sia perché questi media rappresentano un fenomeno ancora troppo giovane per poter disporre di riferimenti sociologici consolidati sui loro effetti, così da poter costituire sicuro riferimento.
Se per i media tradizionali è stata in più occasioni dimostrata e descritta la loro capacità di influenzare gli atteggiamenti del pubblico, la stessa cosa non si può ancora affermare con pari certezza riguardo i social media.
Tuttavia sembra che Facebook abbia compiuto delle ricerche in tal senso, isolando due gruppi omogenei di persone ed esponendoli per un certo periodo di tempo a contenuti diversi; i risultati dimostrarono che gli atteggiamenti dei due gruppi verso certi elementi erano diversi in relazione al tipo di contenuti a cui erano stati esposti.
Certo questa ricerca, peraltro poco pubblicizzata, non costituisce prova definitiva, ma comunque rappresenta un punto importante su cui cercare ulteriori conferme empiriche.
Nella frequentazione delle cosiddette piazze virtuali, una persona trova delle fonti dalle quali attinge spesso per costruire le proprie conoscenze sui fatti sociali, cerca conferme alle proprie opinioni, trae spesso la convinzione in merito alla accettabilità e alla condivisione dei propri punti di vista.
Non ingannino le conversazioni “furibonde” che alcune volte si scatenano sui social perché in ogni caso si tratta spesso di polarizzazioni che appartengono allo stesso frame, e capita che un qualsiasi utente possa fare una breve escursione in “territori ostili”, ma riflettendo introspettivamente è logico pensare che quando si è liberi di scegliere, si preferisca frequentare luoghi e persone con le quali si ha una certa affinità di pensiero, per cui è verosimile che questo accada anche nelle cosiddette piazze virtuali.
In tal senso, ho effettuato una sintetica ricerca sulle pagine Facebook di due quotidiani assai diffusi come il Corriere della Sera e il Giornale, selezionando i post pubblicati relativi a un caso che ha occupato le prime pagine di tutti i media e ho analizzato i commenti che sono stati aggiunti, con lo scopo di mettere in luce quali siano state le prese di posizione sul caso e quali fossero le idee comuni emergenti più diffuse, con uno sguardo anche alle modalità lessicali utilizzate per veicolare tali punti di vista.
La scelta è ricaduta su questi due quotidiani perché pur avendo posizioni diverse su vari aspetti di carattere sociale e politico non si collocano su poli estremi, fatto che avrebbe reso relativamente scontate le differenze rintracciate.
Le modalità di ricerca
La ricerca è stata effettuata sulle pagine dei due giornali il giorno 10 marzo, prendendo a campione il caso dell’omicidio Varani ed effettuando la rilevazione dei commenti pubblicati alle ore 15.00 circa.
I commenti sono stati analizzati leggendoli uno ad uno perché l’obiettivo era quello di disvelare le opinioni comuni sullo sfondo aldilà delle parole usate per esprimerle, si trattava quindi di operare un “sentiment analisys” assai poco automatizzabile e molto artigianale perché diretto a decodificare sottintesi, toni ironici o espressioni gergali utilizzate (es. “metteteli in galera e buttate via la chiave”).
Privilegiato quindi l’aspetto qualitativo anche perché il numero di commenti disponibili non era elevatissimo, per cui un’analisi quantitativa su un campione numericamente non adeguato sarebbe tacciabile di scarsa significatività. Ciò nonostante, numeri e dati che comunque riporto, aldilà della significatività statistica, hanno l’obiettivo di descrivere per grandi linee una dimensione del fenomeno osservato.
Considerata l’efferatezza dell’omicidio di Luca Varani, nei commenti si sono riversate tensioni emotive che ovviamente hanno condizionato buona parte dei commenti specialmente per quanto riguarda il lessico utilizzato e le posizioni espresse sulla vicenda, tuttavia per quanto riguarda le opinioni più o meno dissimulate nelle parole, sono emersi aspetti interessanti circa la diffusione di certi punti di vista non solo verso la questione giustizia, ma anche verso questioni sociali di una certa rilevanza.
Sono stati considerati 194 commenti inseriti nel post del Corriere della sera e 173 commenti apparsi in 4 differenti post pubblicati dal Giornale, mentre il numero di commenti risultati indecifrabili in entrambe le testate è stato abbastanza basso. Ogni commento considerato poteva contenere sia una presa di posizione sul caso, sia palesare una o più convinzioni.
Il Corriere della sera ha pubblicato un unico post alle ore 6.45 utilizzando una immagine sbiadita del volto di uno dei responsabili, quasi a voler simulare i famosi manifesti “wanted” della filmografia western, operando in tal modo una sorta di disumanizzazione del soggetto, cercando di sbiadire i tratti da ragazzo perbene di colui che si è macchiato di un crimine efferato. Il titolo si incentra su una procedura giudiziaria, gli interrogatori, e su un aspetto ormai abbastanza frequente nei casi giudiziari che è divenuto un’antecedente nella memoria collettiva, ovvero lo scambio di accuse tra i due colpevoli. All’ora della rilevazione i commenti erano di poco superiori a 200.
Il Giornale invece ha pubblicato 4 post, alle ore 10.35, alle 11.10, alle 12.25 e alle 14.30, utilizzando immagini che ritraggono l’altro colpevole, mostrando in primo piano un volto ogni volta in posa per lo scatto, quattro foto differenti di altrettanti momenti dove la composizione fotografica evoca i tratti del narcisismo e della personalità multipla del colpevole. Nei titoli i temi cavalcati sono stati il tentativo degli avvocati di appellarsi a incapacità parziali dei colpevoli, il tentativo di confondere l’accusa, l’efferatezza del delitto compiuto e l’espressione deteriore dell’omosessualità quale concausa dell’omicidio.
I commenti ricevuti nei quattro post sono stati complessivamente 178 e ancorché pubblicati su post diversi sono apparsi abbastanza omogenei, per cui potevano essere analizzati globalmente allo scopo di ricavare una fotografia degli atteggiamenti espressi.

In entrambi i casi invece non sono state prese in considerazione le risposte ai vari commenti.
I risultati emersi
I contenuti dei commenti ai post sono stati analizzati definendo due categorie di informazioni: la prima relativa alle varie prese di posizione che il pubblico ha assunto sul caso riguardo la colpevolezza degli accusati e la pena da infliggere; la seconda ricavando ed etichettando gli “schemi mentali” (vds. Polmonari, Cavazza, Rubini – Psicologia Sociale) attraverso i quali vengono costruiti i processi di ancoraggio ai nessi causali del fatto; infine è stato operato un confronto tra alcune delle unità lessicali dotate di significatività più utilizzate.
Una breve digressione a margine del poliforme concetto di schemi mentali, per rinviare alle pregevoli elaborazioni del concetto di Rappresentazioni sociali di Moscovici, della definizione di senso comune che proviene tra gli altri da Clifford Geertz e Pierre Bourdieu, ma anche del più datato, ma sempre interessante, concetto di idee comuni di Gustav Flaubert; ovviamente le definizioni da me utilizzate in questo lavoro tengono conto di un certo legame di sinonimia di questi concetti.
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- La tipologia di prese di posizione sul caso ha rivelato molte similarità, anche se espresse in modi e lessico diverso, evidenziando una maggiore predisposizione dei followers del Corriere a prendere posizione (202 volte) in confronto ai followers del Giornale (112volte); tali posizioni sono state:
– favorevoli all’ergastolo o comunque a situazioni di carcere duro e senza sconti di pena (76 Corriere, 29 il Giornale);
– favorevoli alla pena di morte o comunque raffigurando modi di espiazione della pena in rapporto di sinonimia con la morte, espresse lasciando trasparire un forte senso di sdegno e di vendetta (42 Corriere, 26 il Giornale);
– il senso di orrore per quanto commesso dai due e la convinzione che siano entrambi colpevoli allo stesso modo (38 Corriere, 22 il Giornale);
– la convinzione che i due colpevoli, con l’aiuto di famiglie e avvocati, metteranno in atto la tattica di rimpallarsi le responsabilità per eludere la pena (35 Corriere, 10 il Giornale);
– la convinzione che gli avvocati proveranno ad utilizzare le astuzie processuali per far eludere o limitare la giusta pena ai colpevoli (11 Corriere, 25 il Giornale).
Per operare un confronto i dati sono esposti in percentuale nei grafici sottostanti.
Da questa infografica possiamo notare come per alcune posizioni non emergano forti differenze, tuttavia si vede come il pubblico del Corriere esprima una forte propensione all’ergastolo quale giusta condanna e la convinzione che i due colpevoli tenteranno qualche escamotage per eludere la pena, mentre nei followers del Giornale emerge l’indignazione, prevedendo il susseguirsi delle astuzie degli avvocati finalizzate ad evitare la giusta punizione ai colpevoli, in quasi un quarto delle posizioni espresse, oltre all’aumento dei fautori della pena capitale.
- Gli schemi mentali riconducibili alle convinzioni sia sulle concause probabili, sia sul futuro decorso della giustizia invece fanno registrare differenze nel tipo di opnioni e nella diffusione delle stesse, così come schematizzato nella tabella sottostante:
Su questo piano le differenze come si può vedere sono abbastanza rilevanti e possono risalire sia a diversità socio-culturali tra le due tipologie di followers, sia al tipo di framing che viene più o meno palesemente richiamato dai titoli dei post.Infatti, mentre sul Corriere lo scambio di accuse è la tematizzazione di riferimento, fatto quindi che ispira nei lettori della pagina una presa di posizione sul tema (202 volte), nel Giornale la combinazione dei 4 post ed i rispettivi titoli, tendono a richiamare i frame dell’omosessualità e del decadimento morale e sociale che molto probabilmente ispirano più l’espressione del senso comune, nel tentativo di trovare spiegazioni al verificarsi di eventi così efferati.Difatti nel caso del Giornale circa un terzo delle convinzioni riscontrate, indica nell’omosessualità e nella degradazione che ad essa idealmente si collega un nesso causale più o meno strettamente collegato al caso, mentre le responsabilità educative indotte da genitori benestanti che nel Corriere era stata riscontrata in oltre un terzo delle idee emerse, nel Giornale cala sensibilmente.Infine appare degno di nota richiamare l’attenzione sulle percentuali in merito alle convinzioni rilevate sui giudici e sulla giustizia in genere, perché mentre nel Corriere sembra predominante il riferimento alla giustizia come soggetto astratto che palesa delle lacune nell’assicurare la meritata condanna, nel Giornale il concetto viene oggettivato e la maggiore responsabilità viene attribuita alla persona del giudice quale attore che non applica bene la legge.
- Ne consegue che il lessico è abbastanza in linea con posizioni manifestate e idee emerse, così che mentre nel Corsera le parole più frequenti sono mostri, figli, padre, ergastolo, galera, droga, nel Giornale emergono schifo, avvocati, assassini, gay, giudici, e nella lista delle 15 parole più utilizzate, solo 5 sono comuni ad entrambe ma con rango e indici di frequenza assai diversi. Da riportare invece singolari espressioni come “metterli in galera e buttare la chiave” quale raffigurazione che sembra dare una parvenza di maggiore concretezza della privazione della libertà a vita piuttosto che la parola ergastolo.

Conclusioni
Se ci si sofferma con attenzione sui titoli dei post, le differenze emerse nel tenore dei commenti sembrano avere una correlazione con gli stessi abbastanza evidente, per cui è verosimile pensare che le tematizzazioni utilizzate nei post abbiano un ruolo non secondario nell’ispirare certi principi e nell’orientare il tipo di conversazione che ne scaturisce.
Il quadro che emerge da questi risultati sembra offrire una piccola ma ulteriore conferma; anche i social media sono in grado di influenzare gli atteggiamenti, e questo accade attraverso una duplice azione: da una parte la notizia che proviene dal mainstream informativo dei media; dall’altra il framing operato da ogni singola testata o pagina che influenza il tipo di conversazione che si produce in questa piazza virtuale e che finisce per stimolare reciproche influenze nei partecipanti, ma anche per persuadere coloro che passivamente leggono questi commenti nella convinzione che siano socialmente approvati e diffusi.
A riprova di ciò sono state abbastanza frequenti espressioni gergali pressoché identiche.
Chiaramente il risultato di questo lavoro costituisce un’istantanea su un aspetto perché ovviamente i sistemi di rappresentazioni sociali e di visione del mondo, più o meno omogenei, si sedimentano con il tempo e finiscono poi per orientare valori ed atteggiamenti.
Appare perciò quantomeno verosimile affermare che siamo di fronte non solo alla democrazia della rete, come entusiasticamente sostenuto da alcuni, ma all’uso più o meno consapevole di nuove e più sofisticate forme di influenza delle opinioni nel panorama sociale dei media di cui anche i social, lo ripeto ancora, fanno prima di tutto parte.
Infografiche realizzate da Manuel G. Bernardini
manuelg.bernardini@gmail.com
da Sergio Bernardini | Ott 19, 2015 | CASE STUDY
La ricorrente difficoltà a gestire la comunicazione nelle situazioni di crisi sembra aver colpito anche un gruppo delle dimensioni di Volkswagen. Molti segnali, rilevati anche sui social media, ci delineano un’azienda esitante di fronte al problema ed incline a nascondere la faccia.
Il management della comunicazione in situazioni di crisi è uno degli aspetti più complessi che un’azienda può dover affrontare a causa di diversi fattori quali condizioni di incertezza, processi sommari dell’opinione pubblica, forme più o meno scontate di ostracismo ambientale e dei media.
Come avevo già rilevato in precedenza (Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?), troppo spesso ci si rifugia in atteggiamenti difensivi mirati a limitare i danni finendo così per trincerarsi in comunicazioni scarne, in ambiguità o silenzi che non fanno altro che aumentare la presunzione di colpevolezza dell’azienda agli occhi del pubblico.
Il gigante di Wolfsburg, pienamente coinvolto nel soprannominato “Volkswagen-gate” non sembra al momento fare eccezione avendo mostrato un forte imbarazzo nel dover affrontare questa situazione, ulteriore conferma della difficoltà a governare le situazioni di crisi nella prospettiva di ingenti perdite non soltanto economiche ma anche di reputazione ed immagine.
Il caso
A partire dalle accuse formalizzate dall’EPA lo scorso 18 settembre, dilagate poi su TV e giornali dal 22 settembre, l’azienda si è limitata a caricare sul proprio sito un videomessaggio del CEO il 22 settembre, a comunicati stampa contenenti generiche spiegazioni il 23 settembre, ad annunciare un cambio al vertice dell’azienda il 25 settembre, scarni e sporadici comunicati contenenti generiche rassicurazioni ai clienti sulla sicurezza (!?) delle vetture, sul loro futuro impegno a riguadagnare la fiducia (senza specificare come!), a generiche promesse sull’impegno dell’azienda a risolvere il problema senza chiarire in che modo. In sostanza sono stati persi quattro giorni preziosi, dove l’azienda anziché prendere l’iniziativa ha aspettato che il problema deflagrasse sui media prima di rispondere.

Carente e criticabile anche l’azione sui social media:
– su Twitter, nell’account USA due soli tweet il 24 e il 27 settembre, in quello italiano due tweet il 24/9 e il 2/10, in quello inglese tre tweet dal 23/9, in quello francese nove tweet di cui solo due dedicati al fatto mentre gli altri addirittura promuovono i propri modelli, negli account @Volkswagen e @vwgroup_en rispettivamente 8 e 11 tweet dedicati perlopiù al cambio al vertice e a notizie sulla governance mentre soltanto 2 tweet erano mirati a rispondere agli interrogativi della clientela;
– Su Facebook nella pagina americana un post di generiche scuse il 25/9 (7.339 commenti), informazioni ai consumatori il 27/9 (4.646 commenti), sulla pagina tedesca un post di informazioni il 2/10 (?) seguito da un manifesto condiviso il giorno dopo (3.000 commenti e 6.800 condivisioni), sulla pagina francese si evita l’argomento postando la promozione dei propri modelli, sulla pagina italiana un post di scuse il 24/9 (1.301 commenti), poi a partire dall’8/10 vari post di promozione dei propri modelli, sulla pagina del gruppo sei post con i contenuti generici già detti, solo il 3/10 un aggiornamento informazioni per i consumatori e il 12/10 l’assicurazione che non ci sono rischi per la salute, addirittura il 22 settembre un post con la presentazione di una APP!
Quello che ha indispettito anche i giornali tedeschi e che è stato stigmatizzato anche dalla FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) è che in un evento di tale portata in aggiunta alla carenza di spiegazioni, sono stati caricati in rete messaggi, video e tweet di promozione di nuovi prodotti mettendo in mostra così un senso di indifferenza alle domande e ai dubbi dell’opinione pubblica e dei clienti.
Il sentimento della gente
È stata interessante la lettura dei commenti sulla pagina Fb di VW Italia nel post del 24 settembre, dove il “sentiment” rilevato poteva essere categorizzabile in cinque tipi di atteggiamenti che ho denominato in:
– adoratori (48%): clienti che possiedono e dichiarano il loro amore per la marca, non sono praticamente toccati dall’ accaduto e difendono il marchio come se parlassero di una squadra di calcio, alcuni adducendo addirittura l’ipotesi di complotti;
– possibilisti (4%): soddisfatti dell’esperienza con la Volkswagen, relativamente consapevoli della gravità del fatto, dalle loro parole si deduce che sono disposti ad accordare un’altra chance alla marca;
– dubbiosi (9%): sono i clienti confusi, quelli che possiedono un modello e non sanno come si devono comportare, che temono gli effetti del problema, e che di fatto potrebbero diventare clienti persi;
– delusi (11%): sono clienti delusi o dal prodotto o dal fatto commesso dall’azienda, sono quelli che dichiarano mai più Vw, in definitiva clienti persi;
– sarcastici e arrabbiati (28%): in linea di massima non sono e non diventeranno clienti VW, attribuiscono grande importanza al fatto accaduto, esprimono la loro sfiducia e la loro condanna al marchio e ai suoi modelli passando dall’ ironia, al sarcasmo, alla rabbia.
L’approfondimento del contenuto dei commenti sarebbe tema interessante per altri discorsi stante l’essenza di lovemark del brand Vw, visto che si rintracciano molto frequentemente espressioni da tifo calcistico, ma questo è un argomento da trattare in altra sede.
Tuttavia gli atteggiamenti rilevati nei commenti, all’apparenza abbastanza positivi, non debbono trarre in inganno prima di tutto perché espressi in larga parte da frequentatori della pagina Volkswagen, buona parte dei quali rientrano tra gli adoratori, pertanto il campione potrebbe essere poco rappresentativo e le percentuali poco attendibili. Ciò nonostante un buon 11% di clienti sembrerebbe perso e un altro 9 % è fortemente a rischio. Tra l’altro, dando una rapida occhiata a qualche commento nelle pagine Fb di altri paesi, sembrerebbero grosso modo riproporsi le stesse tendenze della pagina italiana.

Quando però si esce da questo alveo le cose sono differenti e ben altro è il tipo di risonanza che si diffonde. Effettuando una ricerca su Twitter dell’hashtags #VWgate emerge l’esistenza di un discorso parallelo alle fonti ufficiali della marca che, come si vede nei grafici riportati, a distanza di un mese mantiene ancora una forte presenza sui discorsi dei social, sviluppa derivazioni semantiche tipiche dell’ambiente social, offre lo spunto per coniare fraseologie e iconografie ironiche in grado di incidere negativamente per lungo tempo sull’immagine della marca.

In sostanza la Volkswagen non è sembrata affatto pronta ad affrontare e gestire una situazione che, sapendo di agire in violazione di norme, doveva essere sicuramente contemplata nel risk management e prevedere un piano di risposte sia sul piano giuridico economico, sia sul piano emotivo, tempestivo, ben articolato e senza incertezze.
La scelta di low profile adottata dall’azienda pertanto non sembra affatto pagante visto che la notizia non si è sgonfiata dopo pochi giorni ma continua a mantenere la scena sui media a quasi un mese dalla sua uscita.


Le soluzioni al problema
Per pianificare azioni adeguate è necessario prima di tutto porsi una serie di domande le cui risposte possano soddisfare i potenziali interrogativi dell’audience (la comunicazione di crisi – notizia o narrazione):
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- Cosa si sta chiedendo il pubblico? Conosce sufficientemente e nel modo voluto come si sono svolti i fatti e le conseguenze?
- Trova risposte nell’ attribuzione di responsabilità? Può pensare che si stia coprendo un colpevole?
- Le informazioni rese disponibili fino ad ora sono coerenti con i requisiti e l’immagine del brand, ovvero possono incidere negativamente sulla percezione di questo nella mente del pubblico?
- Chi pagherà per i fatti accaduti, e quale sarà la giusta pena per i colpevoli?
Inevitabilmente nella formulazione delle risposte dovranno esistere dei passaggi obbligati che ricadono sempre sull’attribuzione di responsabilità, perché come prevede la struttura narrativa da costruire intorno ad un evento critico, ci si aspetta che sia fatta giustizia e che il responsabile venga identificato e paghi la giusta colpa.
Qualsiasi carenza nella comunicazione di questi aspetti offre uno spazio che può essere riempito da ipotesi, congetture o peggio dal pessimismo di esperienze precedenti, pertanto ogni intervento deve tendere a fare chiarezza senza reticenze e senza fughe dalle responsabilità che finiscono per indispettire ancor di più l’opinione pubblica.
Volendo dissezionare questa crisi si possono rintracciare fattori rilevanti che possono diventare criteri generalizzabili in una qualsiasi pianificazione delle risposte:
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- la rilevanza del danno economico in questo caso a centinaia di migliaia se non milioni di clienti, provocando in questi incertezza e rabbia;
- le dimensioni del brand e la gravità del fatto lasciavano prevedere che i media ne avrebbero fatto un caso, pertanto bisognava essere pronti e senza ritardi a spiegare che cosa era successo, cosa comportava per i consumatori, chi erano i responsabili e quindi le teste da sacrificare, cosa intendeva fare l’azienda per scusarsi e riparare i danni;
- la carenza e il ritardo nel fornire delucidazioni sta creando la sensazione diffusa che siano in atto tentativi di nascondere la verità e viene percepito come ambiguità, intaccando ancor di più la credibilità dell’azienda;
- i ritardi comunicativi incoraggiano l’influenza reciproca tra i soggetti coinvolti che trova terreno fertile nei social media producendo “trascinamenti” nel tempo sotto forma di luoghi comuni, di forme di satira o di critica incontrollabili che erodono l’immagine del brand nel lungo termine;
- il riaffiorare nella mente della gente di schemi precostituiti di precedenti situazioni di crisi dove i responsabili hanno tentato di nascondersi nell’ambiguità o in affermazioni rivelatisi poi false;
- il ruolo giocato dai social media che, nella loro funzione di condivisione delle informazioni, si stanno trasformando sempre più in casse di risonanza degli eventi di maggior popolarità.
In conclusione, pur non essendoci vittime, la gravità del fatto sta sia nel gran numero di soggetti coinvolti, sia nel profondo contrasto emerso tra una condotta truffaldina più o meno diffusa nel mondo economico e l’immagine solida e scrupolosa costruita nel tempo dall’azienda, affidabile anche oltre la tradizionale attendibilità tedesca, contrasto che ha contribuito a generare un’enorme risonanza del fatto persino superiore agli effetti che, come detto, non hanno provocato effetti letali, almeno nell’immediato.
Inoltre non deve venir meno la considerazione che questo fatto non coinvolge solo e soltanto i consumatori, ma anche diverse categorie di stakeholders come fornitori, dipendenti dell’azienda e dell’indotto, risparmiatori, azionisiti e attori del mercato finanziario, persino alcune frange del livello politico.
La scoperta della mancanza di valori morali dell’azienda è un fattore che può produrre effetti nel lungo periodo che riguardano la percezione del brand riflettendosi su tutti gli aspetti dell’attività e non soltanto sulle vendite.
In conclusione si deve tenere sempre presente che, laddove ci fosse un difetto di informazioni, è ineluttabile che la gente provveda in proprio a darsi delle risposte, pertanto coloro che a vario titolo dovessero trovarsi nella scomoda posizione di dover comunicare in situazioni di crisi devono sapere che tutto ciò che non verrà detto o non sarà chiarito sufficientemente, sarà generato e aggiunto dagli altri senza alcuna possibilità di controllo.
Le rappresentazioni sono basate sul detto “non c’è fumo senza fuoco” ….. per scoprire da dove viene il fumo andiamo alla ricerca del fuoco..
(S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)

da Sergio Bernardini | Giu 15, 2015 | SOCIAL MEDIA, IMPERDIBILI
Tweet, following e follower, tre numeri che definiscono la nostra “posizione sociale”, una collocazione che attribuisce valore alla quantità più che alla qualità della relazione.
Twitter ci suggerisce anche le tendenze, frutto di un algoritmo basato sul numero di mentions, dove si spazia indifferentemente tra politica, sport, gossip o cronaca. L’agenda setting di Twitter è così democratica oppure altro si affaccia tra le sue righe?
2° parte
Se ci soffermiamo a riflettere un po’ sulla struttura della home page di Twitter, possiamo intuire abbastanza rapidamente la sostanza di ciò che conta effettivamente su questa piattaforma e di quali siano le sue pratiche d’uso.

Sotto il nome del nostro account troviamo subito il numero di tweet prodotti, i following e i follower, tre numeri che un po’ aridamente “quantificano” la nostra “posizione sociale” in termini di interazioni virtuali, ovvero la frequenza con la quale ci relazioniamo con il nostro gruppo virtuale di riferimento, una collocazione che attribuisce valore alla quantità più che alla qualità della relazione.
Poi da sinistra a destra troviamo prima le tendenze suggerite, una proposta eterogenea di parole (o hashtags) che rinviano ad argomenti i quali spaziano indifferentemente tra politica, sport, gossip o cronaca, frutto di un algoritmo che probabilmente è basato in buona parte sul numero di mentions in cui tale termine compare, per certi versi una sorta di agenda setting di Twitter.
Al centro i tweet pubblicati dai nostri following, una lista in continuo aggiornamento, tanto più rapidamente quanto più numerosi e/o prolifici saranno gli account che abbiamo scelto di seguire.
Ne consegue che mentre osserviamo il nostro schermo, al massimo 4 o 5 tweet, dopo pochi secondi un piccolo pop-up ci avvisa di nuovi tweet, quasi a voler suggerire che ciò che stiamo leggendo è già superato, un click e tutto quello che avevamo di fronte sparisce dalla vista, scivola in una sorta di oblio virtuale che possiamo “contrastare” solo attraverso lunghe e pazienti azioni di scrolling.
A destra il suggerimento di nuovi account da seguire, a volte accompagnato dall’avviso che alcuni nostri follower già seguono quell’account; anche in questo caso un particolare algoritmo si associa ad un meccanismo che induce all’adesione facendo leva sul principio di appartenenza, affinità e/o condivisione di valori che alcune volte abbiamo con i nostri contatti.
È ovviamente una proprietà della piattaforma tendente a stimolare le pratiche di relazione e di engagement.
Infatti più following significa ricevere nell’unità di tempo un maggior numero di tweet, poter disporre di più notizie, più curiosità, più apparente conoscenza del mondo.
Twitter è comunque un mezzo in evoluzione, per cui se il suo ruolo nella formazione dell’agenda setting dell’opinione pubblica, come abbiamo visto, può essere al più sussidiario, per quanto riguarda le pratiche di framing le cose potrebbero essere leggermente diverse. Per framing possiamo intendere “la selezione (operata da un soggetto idoneo) di alcuni aspetti di una realtà percepita allo scopo di renderli più salienti in un testo comunicativo, in modo da promuovere una particolare definizione del problema, interpretazione causale, valutazione morale e/o indicazione del trattamento per l’elemento descritto (Entman – 1993).
Forse non è un caso, ma nello specifico della comunicazione politica mi è capitato di osservare una situazione quantomeno interessante, ovvero l’utilizzo di una tecnica che potrebbe di fatto generare una sorta di framing, anche se non ho la certezza che il tentativo sia frutto di scelta strategica o sia stato creato casualmente.
Infatti su uno specifico fatto/personaggio politico, attraverso l’esecuzione di una serie di retweet concentrata in un breve lasso di tempo e circoscritta ad un hashtag, si è creata una specie di “cloud” di messaggi connotati da declinazioni discorsive che esprimevano critiche, ironia, sarcasmo. Questa aggregazione di una ridondanza di punti di vista simili in sequenza, crea la sensazione di un sentimento diffuso e condiviso, di fatto conferendo un effetto di rilevanza più marcato rispetto a quanto si percepisce con la tendenza puntiforme dei contenuti di cui ho parlato nella prima parte.

Per ovvie ragioni evito di dire chi fosse il soggetto politico (non quello della figura dunque), ma poiché nel mio precedente post di aprile mi ero già interrogato sulle modalità di utilizzo del retweeting, mi sembra di poter dire che sia già in itinere il tentativo da parte dei media tradizionali, di mantenere ben salda la loro funzione di costruttori dei framing sociali anche sulle piattaforme social.
Ancora due ulteriori osservazioni che è interessante riportare e che riguardano due casi che hanno riscosso una notevole attenzione nei giorni scorsi, temi suggeriti come tendenza dalla home page che sono caduti nell’oblio nel giro di pochissimo tempo.
Il primo riguarda il caso dell’arresto del marocchino #Touil, accusato di essere un complice dell’attentato al museo Bardo di Tunisi di un paio di mesi fa; l’hashtags collegato al suo nome #Touil ha registrato questo andamento: 12 tweet il 20 maggio, 2.576 il 21, 903 il 22, 193 il 23, 59 il 24, solo 58 negli ultimi 7 giorni e soltanto 2 il 31 maggio, usato insieme ad altri hashtags per un tema di rilevante importanza come il terrorismo. Siamo sicuri che tra qualche giorno qualcuno si ricordi ancora del fatto?

Ancora un’altra curiosità per l’hashtags #Heysel, ben 13514 tweet la settimana precedente il 31 maggio e addirittura 12.419 nei giorni compresi tra il 26 e il 30 maggio, ma appena 63 il 31 maggio, un picco fortissimo che poi decresce altrettanto rapidamente per rientrare nell’oblio. Questo, tranne un limitato numero di casi, sembra essere il destino prevalente della maggior parte degli hashtags, messaggeri troppo numerosi e multiformi di temi che rimangono sulla scena per tempi molto, troppo brevi.

Conclusioni
Alcuni aspetti si delineano con sufficiente chiarezza nel definire che tipo di informazione emani da questa piattaforma:
- la già menzionata riduzione del ciclo di vita della notizia stessa, come abbiamo visto nell’esempio riportato, eccezion fatta per alcuni grandi temi che rimangono sullo sfondo per periodi di tempo anche abbastanza lunghi, fatto possibile solo a condizione che nell’ hashtag/ tema si innestino con una certa continuità fatti nuovi pur in presenza di scarso sviluppo sia dei nessi di causalità, sia di una certa costruzione narrativa. Il tema può così esporsi con una certa continuità ma in modo evanescente, lasciando tracce confuse e superficiali nella memoria condivisa della società.
- Gli stili discorsivi che i tweet normalmente tendono ad assumere, aspetto suscettibile di creare effetti significativi ai fini della costruzione simbolica dell’informazione proveniente da questa piattaforma. Infatti oltre allo stile tipicamente divulgativo, secco e asciutto dell’enunciazione di un fatto, si affiancano altre stilistiche di rilevante interesse che vertono nella critica, nell’ironia, nel sarcasmo, nella protesta. La contemporanea presenza di più stili, può contribuire in un modo abbastanza efficace, anche se sbrigativo, alla costruzione di una rappresentazione del senso comune dell’opinione pubblica “virtuale”su un qualcosa.
- Il sistema dei media tradizionali presenti sulla piattaforma che non riesce a fornire le priorità ma solo un ordine cronologico, la mancanza di una traccia che concorra a dare salienza ai vari fatti che rischia di banalizzare il tutto in una sorta di melting pot indistinto.
Paradossalmente attributi puramente visuali legati alle immagini incluse, potrebbero indurre maggiore curiosità, una sorta di engagement appunto, spostando l’interesse di parte dell’opinione pubblica su temi assolutamente di scarso interesse.
Queste logiche indotte dalle caratteristiche dei nuovi media tendono pertanto a esaltare contenuti diretti a massimizzare l’appeal più che ad assicurare un’informazione esaustiva e comprensibile (Entman 1993). Tutto ciò porta alla distorsione del panorama informativo a favore di un’eccessiva semplificazione e decontestualizzazione delle issue (Franklin 1997; Delli Carpini e William 2001), perlopiù provocando preferenze su contenuti che operino una accentuazione degli aspetti più sensazionali e conflittuali (Esser 1999, Wessler 2008).
A tal proposito, come non meditare sulle straordinarie intuizioni degli studiosi citati, perfettamente compatibili anche per i social media, quando questi non erano ancora entrati sulla scena.
(vai alla 1° parte)