I soggetti della politica sulle pagine di Facebook – Quale narrazione dalla prospettiva dei numeri

I soggetti della politica sulle pagine di Facebook – Quale narrazione dalla prospettiva dei numeri

Un angolo visuale alternativo che attraverso i numeri più comuni delle pagine Facebook dei soggetti di primo piano offre un frame della narrazione politica in atto

Un sintetico monitoraggio operato sugli indicatori numerici più comuni delle pagine fb ufficiali dei soggetti politici più in voga nel momento, a partire da quella di Matteo Renzi, quella del Partito Democratico, quella di Forza Italia e del Movimento 5 Stelle; alla data del 9 gennaio, sono stati riscontrati i “mi piace”, il numero di post pubblicati in un intervallo di tempo, e su questi sono stati considerati il numero di condivisioni, i “mi piace” e il numero di commenti pubblicati calcolandone le medie. Sono ovviamente dati non esaustivi che hanno lo scopo di mostrare in modo sintetico una prospettiva su cui riflettere.

Preciso che non ho intenzione di aggiungermi alla folta schiera di commentatori di politica visto che oggi in rete lo fanno tutti, troppi, magari invece mettere in luce aspetti che possono destare curiosità da cui trarre qualche considerazione oggettiva. All’ eventuale lettore trarne le proprie personali conclusioni.

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Partendo dalla pagina fb dell’uomo politico del momento, quel tale Matteo Renzi, il 9 gennaio si contavano 534.190 “mi piace” e 45.159 “ne parlano”; nella settimana precedente ha pubblicato 4 post: sulle proposte fatte per una nuova legge elettorale – 630 condivisioni, 6.246 “mi piace”, 1.868 commenti; su “l’Italia cambia verso ….” – 3.039 condivisioni, 17.577 “mi piace”, 5.882 commenti; sulle iniziative sviluppate a Firenze – 628 condivisioni, 6.850 “mi piace”, 1.605 commenti; sul tentativo di coinvolgere tutti i soggetti politici per fare le riforme – 675 condivisioni, 6.877 “mi piace”, 1.812 commenti.

La pagina ufficiale del Partito Democratico invece il 9 gennaio si attestava a 105.326 “mi piace” e 17.155 “ne parlano”; nella settimana precedente c’è stata la pubblicazione di 14 post per i quali si sono verificate medie di 396 condivisioni, 984 “mi piace” e 348 commenti, con rispettivamente un picco di 2.532 – 7.037 e 1.393 nel post pubblicato in coincidenza del grave malore che colpì Bersani. Se ci si sofferma su questi numeri, sembrerebbe emergere uno stacco tra la personalità emergente del nuovo leader e le difficoltà identitarie di un partito che, per altri aspetti, si intravedevano anche nei risultati di un’analisi fatta in un precedente post sulle narrazioni di Twitter.

La pagina ufficiale di Forza Italia, sempre nella stessa data, conta 55.362 “mi piace” e 5.171 “ne parlano”; nella settimana precedente sono stati pubblicati 29 post per i quali si rilevano medie di 68 condivisioni, 275 “mi piace” e 37 commenti, con rispettivamente picchi di 136 – 1.612 e 211 per il post pubblicato per l’evento Bersani, e 1.001 – 410 – 148 per il post relativo alla seconda rata dell’IMU. In questo caso quindi una più intensa attività di “content management”, a fronte del quale si è osservato un coinvolgimento più modesto a parte tematizzazioni particolari a carattere emotivo che hanno fatto registrare delle impennate negli indicatori considerati.

Infine i dati della pagina ufficiale del Movimento 5 Stelle: 380.723 “mi piace” e 14.510 “ne parlano”; ben 58 post sono stati pubblicati nel giro di due soli giorni per il quali si verificano medie di 84 condivisioni, 174 “mi piace” e 16 commenti, con un picco di 1.041 condivisioni per un post riguardante Matteo Renzi, 1.530 “mi piace” e 91 commenti in un’altro post critico sul PD. Prima dei commenti finali ancora qualche numero aggiornato al 13 febbraio.

La classifica dei “mi piace” vede Renzi a quota 563.023 con un incremento del 5,4%, il PD arriva a quota 107.652 con un incremento del 2,2%, Forza Italia a 57.511 con un incremento del 3,9%, ed infine il movimento 5 Stelle a quota 388.977 con un incremento del 2,2%.

 Chi vincerà? 

È dunque Renzi il momentaneo campione della gara dei numeri? All’apparenza sì, ma dando un’occhiata ai commenti la situazione è un po’ più complessa di quanto i numeri non dicano, ma su quest’aspetto che sto approfondendo mi riprometto di tornare successivamente. Sicuramente il coinvolgimento che i post di Renzi provocano è elevatissimo, sia per le condivisioni che per il numero e il fervore dei commenti.

Risultati diversi per la pagina del Movimento 5 Stelle caratterizzata dal gran numero di post pubblicati, molti dei quali linkano a pagine di notizie che, a dire il vero, si ripetono più volte per il fatto di riportare fatti diversi, ma pur sempre la stessa pagina; il motivo affidato alle intuizioni del lettore ovviamente. I numeri sembrano tuttavia dire che a tale prolificità di content management, non corrisponda un pari livello di interazione dei lettori in fatto di condivisioni, “mi piace” e commenti, almeno nel confronto con le altre pagine considerate. Si osserva comunque che numerosissimi sono i commenti di “supporters” del Movimento 5 stelle postati nelle pagine di altri soggetti politici, alcuni dei quali ripetuti più volte.

Va senz’altro considerato che il peso dei mi piace è da prendere un po’ con le molle, visto che spesso viene concesso anche con una certa “magnanimità”, anche se è probabile che il tipo di coinvolgimento per il discorso politico faccia sì che questo consenso venga dato in modo più ponderato, mentre le condivisioni implicano sicuramente un’adesione ad affermazioni o valori che coinvolge chi lo fa nella sua dimensione individuale e di identità rispetto ai suoi contatti, quindi una partecipazione sicuramente maggiore.

Altresì, lo “spammare” di commenti le pagine degli avversari sembra essere una pratica assai consolidata, visto che un fenomeno di questo tipo si può rintracciare abbastanza facilmente senza l’aiuto di software specifici, pratica che tuttavia finisce per “intorbidire” la profilatura del livello di consenso, e non è detto che non realizzi una qualche influenza nella percezione della situazione da parte di un qualunque visitatore, qualunque sia il suo punto di vista politico.

Vale anche la pena di considerare che tipo di “piega” prende un certo discorso perché indica il nervo scoperto dell’opinione pubblica; capita di frequente infatti che i commenti non si restringano soltanto al favore o all’avversità su un aspetto specifico, ma che viceversa tendano a spaziare anche su temi contigui a quello principale del post. In questo genere di discorsi infatti, una semplice attribuzione di un giudizio favorevole o sfavorevole ad un commento spesso non descrive chiaramente le sfumature degli umori sociali del momento.

Pertanto gli indicatori puramente quantitativi delle pagine non devono trarre in inganno, perché una lettura necessariamente attenta e ponderata dei commenti, offre altre prospettive e, vista la particolarità del discorso politico, pone diversi problemi in termini di categorizzazione e/o di polarizzazione del “sentiment”.

Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?

Comunicazione di crisi – Che tipo di storia è mai questa?

La narrazione di una crisi è di per sé la storia di un problema: dramma, fatalità, ambiguità, cinismo; cosa emergerà?

………il pensiero sociale fa un uso estensivo di sospetti che ci mettono sulle tracce della causalità. (S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)

Nel mio precedente post avevo già introdotto il tema di come la narrazione d una crisi incorpori normalmente le caratteristiche di una storia, ovvero una struttura che ne facilita la comprensione e il ricordo nella mente della gente. Riflettendo sulla citazione di Moscovici (in corsivo), l’aspetto più delicato si rivela essere la presenza di processi mentali che implicano il formarsi di dubbi e sospetti in risposta a qualsiasi ambiguità e una fervida attività di deduzione logica mirata ad individuare le responsabilità personali.

A conferma di questo, nel video sottostante che racconta i recenti e tragici fatti dell’alluvione in Sardegna, si nota come al termine del resoconto giornalistico si manifesti subito la volontà di individuare responsabilità.

Una spiegazione in merito ai motivi di questi atteggiamenti va cercata riflettendo sugli studi di psicologia sociale di A. Smorti (Psicologia culturale – 2003), il quale propone una categorizzazione delle storie che presenta molti riferimenti applicabili alla comunicazione di crisi.

In questa classificazione troviamo:
a) storie senza problemi: sono storie auto evidenti e auto esplicative come una testimonianza o ricordi autobiografici, perché hanno un significato non ambiguo e culturalmente determinato, discorsive, coerenti e spesso scarsamente interessanti;
b) storie con un problema che presenta soluzione: sono storie ove tipicamente la figura dell’eroe affronta un ostacolo, una difficoltà che comunque è resa evidente, e qualunque sia poi il risultato finale, il problema viene comunque esplicitato nella sua causa senza ambiguità;
c) storie con problema che non ha soluzione: sono le storie problematiche che non presentano soluzione, ed a questo genere si possono associare per esempio tutti quei casi giudiziari che rimangono irrisolti, ma anche casi della vita o fatti che rimangono inspiegabili; sono queste le storie che generano la tipologia seguente;
d) storie che tentano di interpretare le storie senza soluzione (storie ipotesi): in questa tipologia di storie si fa largo ricorso alle ipotesi che fanno riferimento all’ esperienza, al cosiddetto mondo possibile, agli antecedenti per trovare spiegazioni altrimenti non esplicitate (es. Tizio ha una violenta lite con Caio; Caio viene ritrovato morto dopo poco tempo, Tizio è sospettato di essere l’assassino).

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Considerata la particolare natura con cui si presentano a noi, le situazioni di crisi in linea di massima si collocano nella tipologia di storie senza risposta, almeno nella loro fase iniziale. Da questa caratteristica scaturiscono spesso sequenze di storie ipotesi, ove si tenta di ricostruire un nesso causale ai fatti avvenuti e alle conseguenze che ne derivano con una retorica discorsiva improntata al “pathos”.
Attingendo alla nostra memoria infatti troveremo senz’altro la storia di un fatto che, pur permanendo sullo sfondo, ha dato origine ad una sorta di racconto ulteriore interamente focalizzato sulla ricostruzione delle cause, sull’ identificazione delle responsabilità, sulla personificazione di ruoli tematici stereotipati da cui ci si aspetta che qualcuno indossi i panni dell’eroe, e di qualcuno che invece dovrà calzare quelli dell’antieroe calamitando i disvalori emersi nel racconto.

 Categorizzare gli eventi 

Pertanto il saper prevenire sin dall’inizio le reazioni emotive del pubblico, quali saranno le implicazioni provocate da eventuali reticenze, omissioni e ambiguità, è un essenziale punto di partenza se non per disinnescare, quantomeno per limitare danni ed effetti di una crisi.
Non devono esserci dubbi sul fatto che ogni carenza informativa, ogni dubbio, l’opinione pubblica provvederà a colmarlo attingendo alle proprie esperienze, agli antecedenti in materia, alle idee comuni e alle pratiche contemporanee.

Se ad una attenta analisi, le reazioni dell’opinione pubblica di fronte a certi fatti e situazioni possono essere in qualche modo prevedibili, il miglior modo di organizzarsi è individuare gli scenari di rischio potenzialmente possibili e sulla scorta di questi calibrare una strategia di risposte pianificate e soprattutto mirate a rispondere al bisogno di tempestività, a prevenire eventuali carenze, a ridurre gli effetti provocati dalle criticità della situazione.
Un criterio guida che può facilitare questo lavoro presuppone di operare una categorizzazione dei fatti critici più frequenti al fine di delinearne gli elementi comuni:

    • Eventi critici provocati da situazioni ambientali che coinvolgono una collettività di persone tra i quali ad esempio il terremoto che ha colpito l’Aquila o quello che in Giappone ha provocato il disastro nucleare di Fukushima, l’alluvione che ha colpito Genova un paio d’anni fa o i recenti e tragici fatti dell’alluvione in Sardegna di pochi giorni fa. Questa tipologia di eventi è contraddistinta dall’imponderabilità dei fatti e dall’incontrollabile forza della natura nei confronti dell’uomo: ma l’ineluttabilità degli avvenimenti lascia rapidamente il posto alla ricerca di responsabilità, per non aver saputo prevedere, per non aver limitato i danni, per la lentezza o l’inadeguatezza dei soccorsi tanto per citare alcune delle derive più frequenti. La causalità della tragedia passa assai presto dal fatalismo alla ricerca dei responsabili delle conseguenze. Pur essendo eventi che rientrano nella categoria di storie senza soluzione, la mente umana nel tentativo costante di attribuire significati plausibili ai fatti, si servirà di storie ipotesi che hanno la funzione di ridurre l’incertezza e rendere il mondo meno inconoscibile e più prevedibile; da qui l’esigenza di individuare responsabilità che in qualche modo consentano di ridurre la paura dell’ignoto e dell’incontrollabile.
    • Eventi critici tra istituzioni e collettività, dove atti e azioni delle istituzioni, o meglio di uomini delle istituzioni, provocano dei danni o delle conseguenze a singoli individui o gruppi di individui. Tanto per fare qualche esempio va ricordato il grave incidente in cui rimase ucciso Gabriele Sandri, oppure i gravissimi disordini nella manifestazione degli indignati di qualche tempo fa, o magari anche situazioni meno traumatiche ma comunque importanti tipo le cartelle esattoriali pazze di cui di tanto in tanto si sente parlare o situazioni di riconoscimento di diritti che arrivano dopo anni o ancora inadempienze nei pubblici doveri e così via. Sono fatti comunque importanti che coinvolgono pesantemente la credibilità e l’immagine delle istituzioni, e il loro sviluppo è in grado di influenzare sensibilmente la lettura di avvenimenti che dovessero ripresentarsi in forma simile nel tempo a venire. In questa tipologia di crisi, qualsiasi forma di titubanza o di reticenza ha l’effetto di stimolare nei media la tendenza a completare, magari a livello ipotetico, tutto ciò che manca come informazione, e questo aspetto non fa che acuire gli effetti destabilizzanti, incidendo pesantemente sulla credibilità delle istituzioni coinvolte. Questi eventi si incanalano nelle storie ipotesi perché comunque si tratta di azioni da codificare, perché spesso il sospetto guida la formazione delle convinzioni, perché si pensa sulla scorta delle esperienze precedenti, ed in tal senso le idee comuni presenti in una società in un determinato momento rappresentano una chiave di lettura che a volte costituisce un ostacolo insormontabile da sfatare.
    • Eventi critici che coinvolgono aziende, organizzazioni private o gruppi di persone, la cui rilevanza è direttamente proporzionale al numero di soggetti coinvolti, e dove è in gioco l’immagine e la credibilità del soggetto potenzialmente responsabile dei fatti; possiamo annoverare in questa categoria attività illegali compiute da un’azienda a danno dei consumatori, ovvero violazioni delle norme che procurano danni alla gente, episodi di coercizione di vario tipo, ma anche fatti che vedono scontri tra gruppi di persone, tipici i disordini tra tifoserie. Sono episodi riconducibili a quella che può definirsi come causalità degradata1, l’espressione deteriore della realtà, dove prevale la mancanza di valori morali del soggetto ritenuto responsabile, dove la gente mostra una certa sfiducia figlia delle esperienze passate; i soggetti coinvolti in tali situazioni quindi dovranno comunicare in modo trasparente, senza indugio e senza resistenze, per allontanare nei limiti del possibile sospetti che si traducono in una condanna morale da parte del pubblico. In queste situazioni spesso lo spettatore tende a schierarsi da una parte o dall’altra, e lo fa sulla scorta delle proprie convinzioni personali o delle proprie esperienze passate che costituiscono gli antecedenti a cui fa riferimento. Questi eventi possono più facilmente essere ricondotti a storie del secondo tipo, e quindi depotenziate, qualora si concretizzi in qualche modo una certa linearità nella ricostruzione dei fatti. L’aspetto a cui bisogna dare importanza ricade sempre sull’attribuzione di responsabilità. Occorre pertanto evitare gap informativi, dove lo spazio delle ipotesi venga riempito da convinzioni basate sui precedenti, ed al tempo stesso avviare l’intervento riparatore su binari certi e prevedibili, influenzando in qualche modo la lettura delle responsabilità.

Ecco quindi lo scopo del modello riportato nel mio precedente post che illustrava gli elementi strutturali di una storia; è certo che la mente sociale percorrerà quella strada, per cui è necessario sviluppare un flusso di informazioni che dia risposte credibili e non ambigue e che riempia tutti gli elementi necessari alla costruzione narrativa del fatto nella mente della gente. Quando questo non accade, non ci si deve stupire se, come successo in numerosi casi, l’informazione ufficiale non sia stata ritenuta credibile e viceversa siano invece prevalse le indiscrezioni come nel caso descritto nel mio post precedente.

 I protagonisti della storia 

Per completare questo argomento sulle strutture narrative delle crisi, pur tralasciando per sintesi un discorso sulle strutture profonde della semiotica generativa, sia pure in modo sintetico è necessario spendere qualche parola sul concetto di tema e sui ruoli tematici che ne derivano. I primi costituiscono le grandi “configurazioni discorsive” di una narrazione (giustizia e ingiustizia, il gesto eroico, il cinismo, la sopraffazione …..), ed hanno forma astratta fino a che non si materializzano nelle forme di volta in volta utilizzate dal racconto.

I ruoli tematici invece sono definibili come funzioni altamente stereotipate, concetti generali tipici che si definiscono mediante le iconografie diffuse nelle singole culture (l’eroe, il malvagio, la vittima, il potentato, etc.), hanno forma astratta fino a che non saranno soggetti ad un processo di personificazione nei protagonisti di un racconto.
Infatti nel ricordo di un fatto, come di una storia, noi abbiamo bisogno di raffigurare alcuni ruoli chiave come quello dell’eroe giusto le cui gesta saranno qualificate da una figura avversa, un oppositore che incorporerà i disvalori, avremo spesso bisogno di qualcuno che ricopra il ruolo della vittima, di un debole che subisce le conseguenze dei fatti e così via.

Dovrà poi essere in qualche modo categorizzato l’agire umano, e da qui inizierà il processo di riconoscimento di colui a cui attribuire il grande gesto da raccontare, l’esecuzione della prova qualificante, al quale si opporranno l’indifferenza, la fuga o la menzogna, ci sarà il danneggiamento di qualcuno o qualcosa.
Poi saranno in qualche modo figurativizzati, ovvero assumendo sostanza osservabile nei comportamenti, valori tra i quali il coraggio, l’onestà, l’impegno o la giustizia, al quale verranno contrapposti dei disvalori tipo la codardia, il cinismo, la negligenza, la malvagità. Avremo infine bisogno di definire la fine della storia, la sanzione finale che pacifica la nostra coscienza e che vede giustizia fatta, le responsabilità riconosciute e punite, i gesti ed i valori positivi dell’eroe ricompensati.

E’ questo il modo in cui la nostra mente opera tra gli eventi, li cataloga e li mette in ordine nella nostra memoria, e non possiamo certo sottrarci a questa modalità del pensiero umano.
Avendo per certi aspetti definito almeno i principali elementi che agiscono nel categorizzare i fatti che in qualche modo entreranno a far parte della memoria biografica della gente, ne consegue di fatto la possibilità di definire anche una struttura di base a cui la comunicazione delle situazioni di crisi dovrebbe idealmente ed in modo più o meno esplicito far riferimento, ovvero una traccia da seguire per fare in modo che tutti gli interrogativi potenziali siano soddisfatti, e che pertanto l’opinione pubblica non vada alla ricerca di ulteriori informazioni che sfuggirebbero a qualsiasi tipo di controllo.

“il pensiero umano è mosso dall’esigenza di fondo di interpretare il mondo e di attribuire
significati plausibili che lo aiutino a fare delle previsioni e che per far questo ricorra alle storie”
(A. Smorti – Narrazioni – 2007)

1 La definizione è di Ugo Volli

La comunicazione di crisi – Notizia o Narrazione

La comunicazione di crisi – Notizia o Narrazione

La comunicazione di crisi è il racconto di un evento, è una narrazione, e come tale è soggetta a certe caratteristiche che ne regolano il funzionamento nella mente della gente.

Gestire la comunicazione in presenza di situazioni di crisi è senza dubbio una delle attività più complesse a causa della presenza di condizioni di incertezza e di dinamiche non controllabili, ma anche perché a volte si scelgono strategie difensive nelle quali si finisce per avvitarsi in una spirale di errori sempre più gravi e con una risonanza pubblica crescente.

Esiste un’ampia tipologia di crisi possibili, per la diversità di eventi, per la variabilità di attori causali, per quantità e qualità dei soggetti coinvolti, per la gravità di effetti o conseguenze provocate, per cui non si può far riferimento ad un metodo univoco di risposta, anzi in certi casi ricette preconfezionate sul cosa fare in queste situazioni potrebbero persino provocare danni maggiori.
Tuttavia in rete si possono rintracciare documenti, pubblicazioni e “check list” sul Crisis Communication Management, in buona parte provenienti da oltreoceano, che possono costituire un buon riferimento per evitare di trovarsi completamente impreparati di fronte a fatti di questo genere.

Il punto critico è sempre la scelta del momento in cui cominciare a comunicare con il modo esterno, che cosa dire (o non dire!), perché il principio di non fare dichiarazioni che possano poi rivelarsi infondate si scontra con le necessità informative di una realtà che è fortemente condizionata dall’onda emotiva. Quindi come si può affrontare il problema? Certamente un’ analisi critica degli eventi passati, di come si è operato, ed al tempo stesso un piano di comunicazione che consenta risposte tempestive alle situazioni di crisi più prevedibili nonché la preparazione del management sul cosa fare, possono costituire un valido aiuto.

D’altronde le incertezze che inizialmente esistono sulle cause e sulle conseguenze di un evento, l’accertamento di responsabilità e la disponibilità di informazioni attendibili, richiedono oggettivamente tempi incompatibili con le reazioni emotive del pubblico.

Tra i molteplici aspetti che rendono difficile la gestione della comunicazione nelle crisi vanno considerati senz’altro:
la criticità o la drammaticità di fatti che per i loro effetti provocano stati emotivi e tensivi molto forti in un numero più o meno ampio di persone;
– la difficoltà a fornire i media di informazioni verificate, la cui disponibilità si rivela costantemente in ritardo con le esigenze e il fabbisogno informativo imposti dalla crisi;
– l’impossibilità di avere un qualunque controllo sulle necessità informative dettate dalle conseguenze dell’evento che sono scarsamente o per nulla controllabili, ed il rischio che ogni tentativo di controllo venga scambiato per ambiguità o peggio per menzogna;
– il rischio che notizie date tempestivamente risultino poi infondate inficiando la credibilità di chi informa;
– l’influenzamento reciproco tra i soggetti coinvolti in qualche modo negli effetti di un evento critico che producono trascinamenti emotivi tipici della folla;
– le informazioni che arrivano per forza di cose dopo un evento, a tentare di spiegare i fatti, e che trovano abbastanza spesso un pubblico prevenuto e diffidente;
– la presenza nella mente della gente di esperienze precedenti che orientino una lettura precostituita di cause e responsabilità in mancanza di informazioni complete e tempestive;
– il ruolo giocato dai media che, nella loro funzione di informatori, debbono guadagnarsi un loro spazio di visibilità, ma che così facendo a volte amplificano la risonanza di un evento.

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Ognuno degli aspetti sopra detti meriterebbe un approfondimento fatto sulla scorta di eventi passati, ma in questa sede vorrei soffermarmi sulla possibile lettura precostituita da parte del pubblico di cause o conseguenze all’origine di una crisi, anche prescindendo dal flusso di comunicazioni ufficiali.

Prendiamo spunto da un fatto, un infuocato derby calcistico tra Roma e Lazio che doveva giocarsi il 21 marzo 2004 e che fu sospeso all’inizio del secondo tempo a causa delle pressioni esercitate dai tifosi. Prima della partita c’erano state le consuete intemperanze ma tutto sembrava sotto il controllo della robusta cornice di forze dell’ordine, quando a partita iniziata cominciò a diffondersi la notizia che un mezzo della polizia avesse investito e ucciso un bambino. Tale indiscrezione, non contrastata, iniziò ad incendiare gli animi della tifoseria al punto che questi arrivarono a minacciare i giocatori di gravi conseguenze se non avessero interrotto subito la partita. A nulla valsero le smentite ufficiali dell’allora capo della Polizia.

Un esempio eclatante quindi di come esperienze passate e un rapporto conflittuale tra tifosi e Polizia di vecchia data, con il semplice verificarsi di episodi di scarsa gravità, avessero generato in quel tipo di platea la convinzione che si fosse verificato un fatto tragico sulla scorta di semplici indiscrezioni, a cui nulla valsero le dichiarazioni ufficiali, forse tardive, di chi rappresentava l’istituzione.

 Che domande porsi? 

Ricordando questa storia, o magari frugando nella nostra testa alla ricerca di ricordi di qualche altra crisi, bisogna comprendere che tipo di interrogativi si pone il pubblico, per cui è fondamentale per chi debba gestire la comunicazione in situazioni critiche porsi certe domande:

– cosa si sta chiedendo il pubblico? Conosce sufficientemente e nel modo voluto come si sono svolti i fatti e le conseguenze?
– trova risposte nella attribuzione di responsabilità? Può pensare che si stia coprendo un colpevole?
– le informazioni disponibili possono generare nell’immaginario collettivo l’idea che ci sia la presenza di un giusto (la vittima) e di un ingiusto (il colpevole)?
– può farsi strada l’idea che il fatto era evitabile? Che si sarebbe dovuto fare di più prima del fatto o durante i soccorsi alle vittime?
– hanno già un idea delle colpevolezze? Di chi “espierà” la colpa?
– quali “alleanze” o solidarietà possono nascere tra pubblici direttamente o indirettamente coinvolti nei fatti?

Per di più bisogna tenere nella debita considerazione alcuni fattori che in certi casi possono giocare un ruolo persino più importante degli stessi soggetti coinvolti che in sintesi sono identificabili in:
– i media, narratori per antonomasia che, mossi dai loro obiettivi, danno ampia risonanza ai fatti;
– i ben informati, i depositari delle verità scomode che gli organi ufficiali spesso omettono, e che esercitano la loro influenza sulla scorta dei pregiudizi fondati sulle esperienze passate;
– le vittime dell’ingiustizia, un abbinamento che quando si concretizza nell’immaginario collettivo è in grado di produrre effetti dirompenti;
– le “solidarietà identitarie”, alleanze atipiche che possono generarsi quando ci si riconosce in un ruolo contro un comune nemico (il caso Sandri per esempio fu un altro caso emblematico di alleanze tra tifoserie opposte contro la polizia).

Tutti questi aspetti danno sostanza ai presupposti di apertura di questo scritto per il quale la comunicazione di crisi è in fondo il racconto di un evento, e come tale è una narrazione che soggiace alle sue proprietà costitutive che ne determinano il funzionamento nella mente della gente.

In tal senso mi sembra assai pertinente riportare sinteticamente quanto uno degli autori, che ha trattato approfonditamente la nozione di storie come Andrea Smorti (Narrazioni 2007), ci dice in merito alla struttura delle narrazioni, una struttura che si articola nella nostra mente in:
a) uno stato iniziale ove una situazione in equilibrio sia in qualche modo contestualizzata;
(il fatto non si è ancora verificato e il pubblico possiede già esperienze antecedenti)
b) l’avvento di un problema, ovvero il verificarsi di qualche fatto che rompa l’equilibrio iniziale;
(l’evento si verifica e il pubblico ne viene a conoscenza in qualche modo)
c) i tentativi di soluzione, uno o più fatti/azioni concretizzati da qualche soggetto che tenti in qualche modo e/o con l’ausilio di altri mezzi o aiutanti di risolvere il problema e ristabilire l’equilibrio iniziale;
(il dopo, dichiarazioni, smentite, illazioni, conseguenze, responsabili, riparazione del danno)
d) stato iniziale ricostruito o un nuovo stato, sono le situazioni al quale ci si aspetta si pervenga dopo i tentativi messi in atto da un soggetto di fronte ad un problema;
(le soluzioni, attori positivi o negativi, la verità dei fatti)
e) stato sanzionatorio (finale) equivale all’aspetto sanzionatorio, alla morale, al riconoscimento del ruolo del soggetto, all’attribuzione del premio (o della punizione).
(giustizia è fatta! Colpevoli ed eroi sono identificati, premi e sanzioni sono assicurati)

In parentesi i brevi commenti con l’obiettivo di avvicinare lo schema ad una sua contestualizzazione. Mi piace inoltre continuare nell’omaggio ai contributi teorici esistenti in materia, riportando due citazioni importanti nel delineare una filosofia di approccio al problema:

“.. tutti i sistemi di classificazione, tutte le immagini e tutte le descrizioni che circolano nell’ambito di una società, persino quelle scientifiche implicano un legame con sistemi e immagini precedenti”. (S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)

“Ogni particolare narrazione di una violazione dalla norma, fonda una tradizione e
diventa il nucleo di un genere narrativo sul come il mondo è.”
(A. Amsterdam & J. Bruner 2000 – Smorti – Psicologia culturale 2004).

 Conclusioni 

In conclusione sembra proprio che le esperienze precedenti costituiscano lo script1 attraverso il quale in presenza di dubbi, la mente comincia ad elaborare risposte attingendo agli antecedenti, alle situazioni del passato, operando delle deduzioni che saranno tanto più corpose quanto più la carenza di informazioni soddisfacenti sarà accentuata.
La riflessione finale è proprio in questo punto, che laddove ci fosse un difetto di notizie appare ineluttabile che la gente provveda in proprio a darsi delle risposte, e pertanto coloro che a vario titolo dovessero trovarsi nella scomoda posizione di dover comunicare in situazioni di crisi devono sapere che tutto ciò che non verrà detto o non sarà chiarito sufficientemente, sarà generato e aggiunto dagli altri, senza alcun controllo, quindi…

1 A. Smorti – Psicologia culturale – ed. Carocci 2003

Dal “think different al “miglioriamo la vita” – cosa cambia aldilà del messaggio pubblicitario?

Dal “think different al “miglioriamo la vita” – cosa cambia aldilà del messaggio pubblicitario?

“Questo film lo dedichiamo ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti, e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli, perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.”

Recitava così il testo dello spot realizzato nel 1997 per conto di Apple che si chiudeva con il pay-off “think different” in evidenza, un messaggio che nel corso degli anni successivi è diventato un vero e proprio mantra per l’azienda.
Eppure solo l’anno precedente, Apple computer sembrava un’azienda in crisi con una tecnologia hardware e software ormai obsoleta; il cambiamento al vertice dell’azienda con l’avvento di Steve Jobs, oltre ai cambiamenti alla struttura interna, non visibili, si espresse con una nuova strategia produttiva che rompeva con il passato.

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I volti di personaggi del calibro di Albert Einstein, Bob Dylan, Martin Luther King, John Lennon, Thomas Edison, Muhammad Ali, Mahatma Gandhi, Picasso per citare i più noti ben si prestavano a veicolare il concetto di rottura degli schemi ed alla costruzione della mitografia del “Think Different” che cominciò ad essere più di un semplice slogan pubblicitario, trasformandosi di fatto in “mission” aziendale ed al tempo stesso aspirazione e autogratificazione di un cliente idealizzato.

In sintesi due parole quasi magiche, mitiche è giusto definirle, che sono state in grado di fondere la visione di un leader, la filosofia aziendale che ne è scaturita, la creatività dei suoi specialisti, la capacità di immedesimazione del consumatore, l’alone mitico di cui ogni prodotto ha bisogno.

La saldatura tra questo mantra e altri messaggi dell’azienda è sempre stata coerente nei significati profondi come per esempio è osservabile nei comunicati stampa di quel periodo dove nella parte finale si riproponevano spesso queste parole:
“Apple ha dato il via alla rivoluzione dei personal computer, negli anni ‘70, con Apple II, e ha proseguito su questa strada, reinventando il personal computer, un decennio più tardi, con l’introduzione di Macintosh. Ancora oggi Apple continua a guidare l’innovazione del mercato con gli innovativi e pluripremiati computer desktop e portatili Mac, il sistema operativo Mac OS X, le applicazioni per il digital lifestyle di iLife e quelle professionali. Apple sta inoltre guidando la rivoluzione della musica digitale con la linea di player musicali portatili iPod, leader di mercato, e con il negozio di musica online iTunes.”

Rivoluzione, reinvenzione, innovazione, ancora tre parole di rottura, perfettamente in sintonia con il concetto di think different e con le varie costruzioni discorsive utilizzate nelle pubblicità che seguiranno in quegli anni.
Quello che è successo negli anni successivi è quasi storia, ma quel che è certo ora è che il think different non è stato un semplice messaggio pubblicitario, è stato prima di tutto una “mission” aziendale che ha guidato la strategia di prodotto.

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I risultati che possiamo osservare oggi non hanno bisogno di commento, ma sicuramente dovrebbero ispirare una riflessione sulla comunicazione d’impresa; certi messaggi, se scelti con attenzione, adeguati al contesto, condivisi anche all’interno dell’organizzazione, possono assumere un effetto trainante, una forza quasi trascendente altrimenti impensabile in altre situazioni.
È lecito chiedersi quante volte un messaggio pubblicitario consegua certi risultati pur senza dover ricorrere ad effetti speciali o spettacolarizzazioni costosissime e non viceversa veicolare un posizionamento adeguato e credibile nei fatti, nella mente del consumatore.

Anno 2013:
È questo. Quello che importa è questo.
L’esperienza di un prodotto. Come vivi un prodotto.
Come ti farà sentire
renderà la vita migliore?
Merita di esistere?
Dedichiamo tanto tempo a poche cose,
Grandi cose.
Perchè ogni idea che abbiamo migliora ogni vita che incontra.
Siamo ingegneri e artisti, artigiani e inventori. E firmiamo il nostro lavoro … 
Lo sentirai sempre.
Questa è la nostra firma.
E significa tutto.

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Una nuova campagna, il dopo Steve Jobs, un nuovo manifesto ed una nuova filosofia.
Ciò che conta è l’esperienza di un prodotto, è uno dei “must” del marketing attuale, “Ogni idea che abbiamo migliora ogni vita che incontra”;

cosa potrà ispirare questo slogan nel futuro, in che modo potrà influenzare le strategie dell’azienda?
È stimolante riflettere e confrontare i valori indotti dal pensare in modo differente e il migliorare ogni vita con ogni idea, per capire se questo cambiamento del messaggio potrà implicare anche cambiamenti nella filosofia dell’azienda.
Il pensare differente è pensiero laterale, è la ricerca costante di andare fuori dagli schemi, è distinzione ed esclusività per il consumatore che aderisce a questa valorizzazione, per questo ci si deve chiedere se, senza questa filosofia di pensiero, la Apple avrebbe creato i prodotti che ha fatto.

Anche dopo la fine della fortunata campagna del think different, l’azienda di Cupertino nel corso del tempo ha lanciato non solo l’iMac, ma soprattutto l’iPod, l’iPhone e l’iPad in ordine di tempo, prodotti ai quali è arrivata prima degli altri costringendo i competitor ad inseguire.

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Cosa dire invece del migliorare la vita e migliorare l’esperienza della gente? Che in fondo è l’essenza stessa della tecnologia quella di migliorare la vita, per cui non sembrerebbe esserci nulla di inedito in questa affermazione se non la conferma del core business dell’azienda.

Ma per estensione il migliorare la vita si può fare in tanti modi, anche costruendo prodotti con caratteristiche più limitate a prezzi più abbordabili. Il pensare differente invece no, è altra cosa.
Ora Apple che lancia sul mercato l’iPad da 7 pollici ad un prezzo più abbordabile del fratello maggiore, che commercializza modelli di iPhone con caratteristiche lievemente inferiori al 5s a prezzi più abbordabili, continua a migliorare la vita? Sta cercando di farlo per un numero di persone più ampio? Persegue sempre la stessa ricerca dell’esclusività?
È troppo presto per fare affermazioni, tuttavia l’interrogativo sulle strategie di Apple, sulle scelte che intraprenderà, su quali saranno i risultati è sicuramente stimolante.
Chiudo lasciando aperti questi interrogativi ai quali ognuno potrà dare la propria risposta, anche se dovremo aspettare un po’ di tempo per valutare a posteriori i risultati e capire se era meglio “think different” o “migliorare la vita”.

 

 

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Ma su Twitter si costruiscono narrazioni?

Ma su Twitter si costruiscono narrazioni?

Una riflessione sulle narrazioni contemporanee oggi non può prescindere dal porsi alcuni interrogativi su quello che è il ruolo dei social media (SM), per cui è lecito chiedersi: nei SM si costruiscono delle narrazioni, e di che tipo?

In questa ricerca la mia attenzione si è focalizzata su Twitter, con lo scopo di verificare empiricamente se su questa piattaforma si generino dei frammenti narrativi1 più o meno strutturati, pur in una esplorazione di portata limitata.

Tra le varie modalità possibili ho ristretto il campo di ricerca all’analisi dei tweet pubblicati da tre testate giornalistiche di diffusione nazionale mediante il monitoraggio dei messaggi “twittati” nell’arco di una settimana, precisamente dal 20 al 26 settembre. Gli account monitorati sono stati il Corriere della Sera (C ), il Giornale (G) e la Repubblica (R) e l’analisi dei loro tweet è stata eseguita con l’ausilio di un software per la “content analysis”.

Tra le numerose variabili che potevano essere considerate, ho indirizzato la mia attenzione su quelle che ho ritenuto potessero dare delle risposte più immediate al quesito di partenza. Le tabelle che compaiono riportano il riepilogo delle variabili considerate e dei dati emersi dai quali sono scaturite le riflessioni che seguiranno.

 Il panorama circostanziale 

Prima di tutto i fatti più dibattuti della settimana in questione, la quale è stata largamente dominata dal tema legato alla decadenza di Berlusconi e quindi la probabile crisi di governo conseguente, poi a seguire la possibile acquisizione della Telecom da parte della spagnola Telefonica, l’aumento dell’IVA e i suoi effetti, l’attacco terroristico al centro commerciale di Nairobi, le elezioni in Germania, e in più riprese gli interventi volti a richiamare calma e senso di responsabilità nella politica fatti dal Capo dello stato Giorgio Napolitano.

Il numero di tweet postati nel periodo è stato sostenuto per il Corriere della Sera (709) e la Repubblica (694), abbastanza limitato per il Giornale (123), fatto questo che comporta una certa problematicità di carattere statistico nell’operare un confronto con le prime due testate. Giova tuttavia considerare che non si va a caccia di indici statistici, bensì di far emergere degli indirizzi di fondo, per cui i dati numerici in sé non rappresentano delle discriminanti di carattere assoluto. È comunque da ricordare che G ha creato altri account (es. il Giornale editoriali) che non sono stati presi in considerazione in questa sede.

 L’analisi dei dati 

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Stante il vincolo dei 140 caratteri e la conseguente brevità dei testi, non ho dato rilevanza al totale delle parole utilizzate mentre invece ho scelto di valutare la varietà di termini utilizzati per osservare se emergevano delle differenze significative. In tal senso, pur considerando possibili imprecisioni nei valori assoluti che il trattamento automatico dei testi comporta (a meno di compiere verifiche manuali di dettaglio assai onerose in termini di tempo), i numeri ottenuti con buona approssimazione ci danno un idea dell’andamento.

Risulta che R ha utilizzato 3539 lemmi diversi, contro i 2990 utilizzati da C e i 1047 di G pur con un numero di tweet che è notevolmente inferiore; rapportando i lemmi con il numero di tweet emessi otteniamo nell’ordine 5,1 – 4,2 – 8,5. Questi indici sembrerebbero suggerire che G utilizzi una varietà di termini maggiore rispetto agli altri, ma la notevole differenza nel numero di messaggi pubblicati suggerisce di rivedere questo confronto, mentre tra le altre due testate sembra esistere una sia pur lieve propensione alla variabilità di lessico da parte di R.

L’uso degli hashtags (importante proprietà di Twitter che consente ad un utente di selezionare tutti i tweet che parlano di uno specifico argomento anteponendo alla parola il simbolo #) é una modalità che un account può sfruttare per operare un “engagement” più efficace su un “lettore modello” orientato alla ricerca di ben determinati argomenti, che gli hashtags rendono più semplice aggregare. In questo si osservano differenze di un certo rilievo; emerge una marcata tendenza di G ad utilizzare questa tecnica (98 volte) quindi R (39), mentre è abbastanza sporadico l’utilizzo che ne fa C (6). Non è possibile sapere se questo corrisponda a specifiche scelte da parte degli editori.

La selezione delle parole utilizzate con maggiore frequenza implicava la possibilità di inquadrare speditivamente le tematizzazioni affrontate, ed al tempo stesso poteva fornire un informazione qualitativa in merito alle ridondanze rintracciate. Come si osserva nelle tabelle, dalle parole più utilizzate da R si può dedurre che siano prevalsi temi relativi al territorio ed ai fatti di carattere nazionale, mentre invece in C notiamo parole che implicano una maggiore insistenza su temi di carattere internazionale, in primo piano i fatti di Nairobi e il tema del terrorismo, così come le citazioni relative alla Merkel confermano un’attenzione sulla Germania non trascurabile. G invece, pur considerando il minor numero globale di parole e quindi il minor numero di frequenze da vagliare, sembra orientato verso una maggiore attenzione ai temi di carattere politico strettamente legati alle perturbazioni degli ultimi giorni.

Da ritenere degno di nota anche l’uso di lemmi di tipo avversativo e/o dubitativo; in questo caso si possono notare similitudini nel comportamento dei tre soggetti che raccontano inevitabilmente della presenza di situazioni di tensione che provengono dallo scontro politico in atto e dalla delicata situazione, aspetto che si palesa con la frequenza comune a tutte e tre le testate nell’uso del termine “contro” e con l’incertezza rivelata da un frequente uso del “se”.  In considerazione della situazione conflittuale della politica in questo particolare frangente, era inevitabile non soffermarsi sull’atteggiamento tenuto dalle tre testate e quindi tentare di fare un confronto tra di esse.

 Il teatrino della politica 

Nelle tabelle dove sono riportate le parole usate con più frequenza, è possibile vedere come ci siano alcune analogie nei soggetti menzionati e forse non poteva essere altrimenti visto il momento, per cui le varie redazioni non potevano differenziarsi troppo da un’agenda pressoché obbligata. Quindi la presenza dei protagonisti citati potrebbe sembrare scontata in virtù delle posizioni editoriali delle testate di cui abbiamo tutti una esperienza abbastanza consolidata.

Tuttavia poiché lo scopo del lavoro era quello di far emergere tracce narrative e non l’eventuale posizione di favore verso un qualunque personaggio, i relativi termini sono stati osservati all’interno dei frammenti di testo in cui comparivano (di frequente corrispondevano più o meno all’intero tweet). Ovviamente la possibilità data dal software di aggregare e mettere in ordine sequenziale tutti i frammenti connessi a un termine, facilita l’osservazione della costruzione discorsiva fatta intorno ad esso e di percepirne la valorizzazione complessiva nella sua interezza. Ed i risultati hanno mostrato qualche aspetto interessante.

I frammenti narrativi che emergono su R in sintesi ci raccontano di un personaggio Berlusconi oggetto della discordia e causa dei problemi, oltre ad apparire attore incline alla violazione delle regole e perciò svalorizzato nel suo complesso, mentre la figura di Napolitano si staglia come entità conciliatrice, ancora depositario di una autorità morale nel richiamare le parti alla saggezza e al senso di responsabilità. Il PD invece viene raccontato come agente in crisi di identità, prigioniero delle sue diatribe interne ed in costante malessere con gli alleati anche nella esposizione della situazione in Sicilia. Il Presidente del Consiglio Letta si delinea come soggetto attivo, combattivo anche se la situazione lo costringe sulla difensiva, accerchiato da situazioni che promette di combattere e da cui vuole uscire.

Infine il PDL, attore che viene palesato come fautore della linea dura, arroccato sulla incondizionata difesa del suo leader e disposto a buttare all’aria il tavolo della trattativa, una valorizzazione che potrebbe essere letta in modi diametralmente opposti a seconda le inclinazioni e le insoddisfazioni del pubblico.
Su C si racconta un Letta soggetto attivo, che mostra fermezza nel fronteggiare questa situazione di crisi nonostante le difficoltà, mentre Berlusconi da un lato è l’oggetto che provoca lacerazioni per il problema legato alla sua decadenza, evento in grado di sfociare nelle dimissioni dei suoi fedelissimi, dall’altro lato si riappropria di una sfera soggettiva che lo vede impegnato nel tessere la tela e tramare alla ricerca di vie di uscita ai suoi guai.

Ancora un PD diviso e logorato dalle sue contraddizioni interne e dalla mancanza di univocità di fronte ai fatti politici, ancora quindi i contorni di una identità in crisi a cui fa da contraltare un PDL che marcia senza indugi e senza tentennamenti verso i suoi obiettivi, fautore dello scontro con Napolitano e deciso a portare avanti la linea dura. Ancora il personaggio Renzi che si manifesta come soggetto dinamico, critico della scena e degli attori in gioco, mentre la politica come ruolo tematico appare protagonista negativa in perenne conflitto con la giustizia, causa prima delle incertezze e dei problemi della situazione.

Infine il frame dipinto da G dove emerge un Letta dubbioso nelle scelte ed inadempiente nelle azioni, complessivamente svalorizzato, un Berlusconi nel ruolo di vittima degli attacchi dei suoi nemici ma che risorgerà (alle elezioni!), un PDL soggetto dinamico impegnato all’offensiva su tutti i fronti e leale fino in fondo al suo leader. A seguire altri tre personaggi connotati in modo non certo positivo, una Boldrini femminista e attentatrice dei valori familiari, un Renzi regista delle trame contro il governo, istigatore delle divisioni interne al PD, quindi complessivamente svalorizzato ed infine Saccomanni, isolato nel governo, screditato nelle azioni, in un certo modo emblema in declino della categoria dei tecnici che agiscono in politica. Da queste poche righe si potrebbero trarre alcune considerazioni che tuttavia evito di fare per rimanere quanto più possibile vicino all’oggettività dei dati; all’eventuale lettore trarre delle conclusioni.

Verbi come azioni 

I verbi descrivono le azioni e perciò sono un elemento fondante dei dispositivi enunciativi che definiscono i comportamenti dei soggetti e la loro natura. I predicati più utilizzati (essere, avere) non sorprendono in raffronto al linguaggio comune, tuttavia si potrebbe azzardare una differenza tra R e C; nel primo sembrano più frequenti le modalità del fare, dell’azione, mentre nel secondo oltre ai verbi collegabili ai fatti terroristici, sembrano più frequenti predicati di tipo cognitivo (guardare, pensare, chiedere). È un dato questo sul quale bisognerebbe tornare per cercare conferme, perché una modalità di questo tipo, se confermata, implica un diverso modo di raccontare la quotidianità.

Si registra inoltre come l’uso dell’indicativo presente, specialmente se declinato nella terza persona, rappresenti la modalità di gran lunga più utilizzata da tutte e tre le testate. In linea di massima questa è una costruzione linguistica che descrive i fatti senza prese di posizione in prima persona, senza il ricorso a frasi riportate (cosiddetta “enunciazione enunciata”); con beneficio di inventario si potrebbe asserire che questa sia prevalentemente la modalità del fare cronaca, del raccontare il fatto piuttosto che la prassi di costruzione del testo narrativo.

Infatti è da ricordare che nei quotidiani (cartacei) lo stile asetticamente discorsivo del riportare la notizia sta lasciando il posto sempre più a modalità testuali e interpretative che si configurano come narrazioni e che, in quanto tali, sono proiettate in un orizzonte diacronico, implicando in tal modo il ricorso a predicati verbali che articolino sia il passato che il futuro oltre al presente; su Twitter invece sembra emergere che tali modalità non sono ancora utilizzate in modo significativo.

 Considerazioni conclusive 

A questo punto si possono tracciare alcune considerazioni che emergono dall’analisi fatta fino ad ora, aspetti magari da sottoporre a verifica in presenza di un panorama circostanziale differente.
Non si deve dimenticare comunque che Twitter è una piattaforma abbastanza “giovane” e la sua espansione specialmente in Italia è un fatto recente, per cui non si può escludere che a breve scadenza tecniche e modi del suo utilizzo possano evolvere verso forme di maturità scaturite dalla consapevolezza delle sue potenzialità.

In linea di massima sembrerebbe che la particolare natura di questa piattaforma non renda facilmente intelligibili le strutture narrative, e questo è in buona parte dovuto alla brevità del messaggio, fatto che rende senz’altro complicato costituire all’interno di questo le strutture in grado di formare una narrazione. Inoltre bisogna riflettere sulle modalità pratiche di fruizione di Twitter: la diffusione e l’utilità di questa piattaforma come mezzo di informazione viene esaltata dalla proliferazione degli smartphone, strumento per l’informazione “mordi e fuggi” in ogni luogo e momento. Invece è da notare che, specie i media ufficiali, nella maggioranza dei casi inseriscono nel tweet un link che rinvia all’articolo pubblicato nel portale on-line.

Ora se è probabile che l’articolo completo possa contenere gli aspetti narrativi di cui si parla, è da ritenere poco frequente che gli utilizzatori così come sono stati descritti, ricorrano alla lettura dell’articolo completo collegato al tweet, se non in poche occasioni.

Pertanto due considerazioni possono essere fatte: la prima è che comunque, sia pure in modo frammentario, sia possibile la costituzione di frammenti narrativi, come in precedenza osservato nei commenti relativi alla scena politica. Si tratta di frammenti che probabilmente non possono avere vita autonoma ma che comunque possono saldarsi in un ambiente di trans-medialità.

La seconda invece ci porta a pensare che la “gioventù” di questo SM non abbia ancora generato quella scaltrezza comunicativa che si ritrova invece nelle modalità di costruzione dei titoli di prima pagina che, pur essendo più brevi di un tweet, mediante il sapiente uso di artifizi retorici, sono capaci di veicolare frammenti narrativi estremamente densi e ricchi di senso.

Per queste ragioni, almeno fino ad ulteriori conferme, non ho ritenuto opportuno parlare di elementi narrativi come le strutture attanziali2, consapevole di proporre un tema di dibattito con ancora molte ipotesi da verificare.

1 Con il termine “frammento narrativo” per convenzione si deve intendere una parte testuale che per complementarietà sarà suscettibile di unirsi ad altri frammenti presenti nel panorama trans-mediale in modo da comporre una narrazione strutturata.
2 Per questo concetto si vedano gli studi di A. Greimas e della semiotica generativa.