La narrazione di una crisi è di per sé la storia di un problema: dramma, fatalità, ambiguità, cinismo; cosa emergerà?
………il pensiero sociale fa un uso estensivo di sospetti che ci mettono sulle tracce della causalità. (S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)
Nel mio precedente post avevo già introdotto il tema di come la narrazione d una crisi incorpori normalmente le caratteristiche di una storia, ovvero una struttura che ne facilita la comprensione e il ricordo nella mente della gente. Riflettendo sulla citazione di Moscovici (in corsivo), l’aspetto più delicato si rivela essere la presenza di processi mentali che implicano il formarsi di dubbi e sospetti in risposta a qualsiasi ambiguità e una fervida attività di deduzione logica mirata ad individuare le responsabilità personali.
A conferma di questo, nel video sottostante che racconta i recenti e tragici fatti dell’alluvione in Sardegna, si nota come al termine del resoconto giornalistico si manifesti subito la volontà di individuare responsabilità.
Una spiegazione in merito ai motivi di questi atteggiamenti va cercata riflettendo sugli studi di psicologia sociale di A. Smorti (Psicologia culturale – 2003), il quale propone una categorizzazione delle storie che presenta molti riferimenti applicabili alla comunicazione di crisi.
In questa classificazione troviamo:
a) storie senza problemi: sono storie auto evidenti e auto esplicative come una testimonianza o ricordi autobiografici, perché hanno un significato non ambiguo e culturalmente determinato, discorsive, coerenti e spesso scarsamente interessanti;
b) storie con un problema che presenta soluzione: sono storie ove tipicamente la figura dell’eroe affronta un ostacolo, una difficoltà che comunque è resa evidente, e qualunque sia poi il risultato finale, il problema viene comunque esplicitato nella sua causa senza ambiguità;
c) storie con problema che non ha soluzione: sono le storie problematiche che non presentano soluzione, ed a questo genere si possono associare per esempio tutti quei casi giudiziari che rimangono irrisolti, ma anche casi della vita o fatti che rimangono inspiegabili; sono queste le storie che generano la tipologia seguente;
d) storie che tentano di interpretare le storie senza soluzione (storie ipotesi): in questa tipologia di storie si fa largo ricorso alle ipotesi che fanno riferimento all’ esperienza, al cosiddetto mondo possibile, agli antecedenti per trovare spiegazioni altrimenti non esplicitate (es. Tizio ha una violenta lite con Caio; Caio viene ritrovato morto dopo poco tempo, Tizio è sospettato di essere l’assassino).
Considerata la particolare natura con cui si presentano a noi, le situazioni di crisi in linea di massima si collocano nella tipologia di storie senza risposta, almeno nella loro fase iniziale. Da questa caratteristica scaturiscono spesso sequenze di storie ipotesi, ove si tenta di ricostruire un nesso causale ai fatti avvenuti e alle conseguenze che ne derivano con una retorica discorsiva improntata al “pathos”.
Attingendo alla nostra memoria infatti troveremo senz’altro la storia di un fatto che, pur permanendo sullo sfondo, ha dato origine ad una sorta di racconto ulteriore interamente focalizzato sulla ricostruzione delle cause, sull’ identificazione delle responsabilità, sulla personificazione di ruoli tematici stereotipati da cui ci si aspetta che qualcuno indossi i panni dell’eroe, e di qualcuno che invece dovrà calzare quelli dell’antieroe calamitando i disvalori emersi nel racconto.
Categorizzare gli eventi
Pertanto il saper prevenire sin dall’inizio le reazioni emotive del pubblico, quali saranno le implicazioni provocate da eventuali reticenze, omissioni e ambiguità, è un essenziale punto di partenza se non per disinnescare, quantomeno per limitare danni ed effetti di una crisi.
Non devono esserci dubbi sul fatto che ogni carenza informativa, ogni dubbio, l’opinione pubblica provvederà a colmarlo attingendo alle proprie esperienze, agli antecedenti in materia, alle idee comuni e alle pratiche contemporanee.
Se ad una attenta analisi, le reazioni dell’opinione pubblica di fronte a certi fatti e situazioni possono essere in qualche modo prevedibili, il miglior modo di organizzarsi è individuare gli scenari di rischio potenzialmente possibili e sulla scorta di questi calibrare una strategia di risposte pianificate e soprattutto mirate a rispondere al bisogno di tempestività, a prevenire eventuali carenze, a ridurre gli effetti provocati dalle criticità della situazione.
Un criterio guida che può facilitare questo lavoro presuppone di operare una categorizzazione dei fatti critici più frequenti al fine di delinearne gli elementi comuni:
Eventi critici provocati da situazioni ambientali che coinvolgono una collettività di persone tra i quali ad esempio il terremoto che ha colpito l’Aquila o quello che in Giappone ha provocato il disastro nucleare di Fukushima, l’alluvione che ha colpito Genova un paio d’anni fa o i recenti e tragici fatti dell’alluvione in Sardegna di pochi giorni fa. Questa tipologia di eventi è contraddistinta dall’imponderabilità dei fatti e dall’incontrollabile forza della natura nei confronti dell’uomo: ma l’ineluttabilità degli avvenimenti lascia rapidamente il posto alla ricerca di responsabilità, per non aver saputo prevedere, per non aver limitato i danni, per la lentezza o l’inadeguatezza dei soccorsi tanto per citare alcune delle derive più frequenti. La causalità della tragedia passa assai presto dal fatalismo alla ricerca dei responsabili delle conseguenze. Pur essendo eventi che rientrano nella categoria di storie senza soluzione, la mente umana nel tentativo costante di attribuire significati plausibili ai fatti, si servirà di storie ipotesi che hanno la funzione di ridurre l’incertezza e rendere il mondo meno inconoscibile e più prevedibile; da qui l’esigenza di individuare responsabilità che in qualche modo consentano di ridurre la paura dell’ignoto e dell’incontrollabile.
Eventi critici tra istituzioni e collettività, dove atti e azioni delle istituzioni, o meglio di uomini delle istituzioni, provocano dei danni o delle conseguenze a singoli individui o gruppi di individui. Tanto per fare qualche esempio va ricordato il grave incidente in cui rimase ucciso Gabriele Sandri, oppure i gravissimi disordini nella manifestazione degli indignati di qualche tempo fa, o magari anche situazioni meno traumatiche ma comunque importanti tipo le cartelle esattoriali pazze di cui di tanto in tanto si sente parlare o situazioni di riconoscimento di diritti che arrivano dopo anni o ancora inadempienze nei pubblici doveri e così via. Sono fatti comunque importanti che coinvolgono pesantemente la credibilità e l’immagine delle istituzioni, e il loro sviluppo è in grado di influenzare sensibilmente la lettura di avvenimenti che dovessero ripresentarsi in forma simile nel tempo a venire. In questa tipologia di crisi, qualsiasi forma di titubanza o di reticenza ha l’effetto di stimolare nei media la tendenza a completare, magari a livello ipotetico, tutto ciò che manca come informazione, e questo aspetto non fa che acuire gli effetti destabilizzanti, incidendo pesantemente sulla credibilità delle istituzioni coinvolte. Questi eventi si incanalano nelle storie ipotesi perché comunque si tratta di azioni da codificare, perché spesso il sospetto guida la formazione delle convinzioni, perché si pensa sulla scorta delle esperienze precedenti, ed in tal senso le idee comuni presenti in una società in un determinato momento rappresentano una chiave di lettura che a volte costituisce un ostacolo insormontabile da sfatare.
Eventi critici che coinvolgono aziende, organizzazioni private o gruppi di persone, la cui rilevanza è direttamente proporzionale al numero di soggetti coinvolti, e dove è in gioco l’immagine e la credibilità del soggetto potenzialmente responsabile dei fatti; possiamo annoverare in questa categoria attività illegali compiute da un’azienda a danno dei consumatori, ovvero violazioni delle norme che procurano danni alla gente, episodi di coercizione di vario tipo, ma anche fatti che vedono scontri tra gruppi di persone, tipici i disordini tra tifoserie. Sono episodi riconducibili a quella che può definirsi come causalità degradata1, l’espressione deteriore della realtà, dove prevale la mancanza di valori morali del soggetto ritenuto responsabile, dove la gente mostra una certa sfiducia figlia delle esperienze passate; i soggetti coinvolti in tali situazioni quindi dovranno comunicare in modo trasparente, senza indugio e senza resistenze, per allontanare nei limiti del possibile sospetti che si traducono in una condanna morale da parte del pubblico. In queste situazioni spesso lo spettatore tende a schierarsi da una parte o dall’altra, e lo fa sulla scorta delle proprie convinzioni personali o delle proprie esperienze passate che costituiscono gli antecedenti a cui fa riferimento. Questi eventi possono più facilmente essere ricondotti a storie del secondo tipo, e quindi depotenziate, qualora si concretizzi in qualche modo una certa linearità nella ricostruzione dei fatti. L’aspetto a cui bisogna dare importanza ricade sempre sull’attribuzione di responsabilità. Occorre pertanto evitare gap informativi, dove lo spazio delle ipotesi venga riempito da convinzioni basate sui precedenti, ed al tempo stesso avviare l’intervento riparatore su binari certi e prevedibili, influenzando in qualche modo la lettura delle responsabilità.
Ecco quindi lo scopo del modello riportato nel mio precedente post che illustrava gli elementi strutturali di una storia; è certo che la mente sociale percorrerà quella strada, per cui è necessario sviluppare un flusso di informazioni che dia risposte credibili e non ambigue e che riempia tutti gli elementi necessari alla costruzione narrativa del fatto nella mente della gente. Quando questo non accade, non ci si deve stupire se, come successo in numerosi casi, l’informazione ufficiale non sia stata ritenuta credibile e viceversa siano invece prevalse le indiscrezioni come nel caso descritto nel mio post precedente.
I protagonisti della storia
Per completare questo argomento sulle strutture narrative delle crisi, pur tralasciando per sintesi un discorso sulle strutture profonde della semiotica generativa, sia pure in modo sintetico è necessario spendere qualche parola sul concetto di tema e sui ruoli tematici che ne derivano. I primi costituiscono le grandi “configurazioni discorsive” di una narrazione (giustizia e ingiustizia, il gesto eroico, il cinismo, la sopraffazione …..), ed hanno forma astratta fino a che non si materializzano nelle forme di volta in volta utilizzate dal racconto.
I ruoli tematici invece sono definibili come funzioni altamente stereotipate, concetti generali tipici che si definiscono mediante le iconografie diffuse nelle singole culture (l’eroe, il malvagio, la vittima, il potentato, etc.), hanno forma astratta fino a che non saranno soggetti ad un processo di personificazione nei protagonisti di un racconto.
Infatti nel ricordo di un fatto, come di una storia, noi abbiamo bisogno di raffigurare alcuni ruoli chiave come quello dell’eroe giusto le cui gesta saranno qualificate da una figura avversa, un oppositore che incorporerà i disvalori, avremo spesso bisogno di qualcuno che ricopra il ruolo della vittima, di un debole che subisce le conseguenze dei fatti e così via.
Dovrà poi essere in qualche modo categorizzato l’agire umano, e da qui inizierà il processo di riconoscimento di colui a cui attribuire il grande gesto da raccontare, l’esecuzione della prova qualificante, al quale si opporranno l’indifferenza, la fuga o la menzogna, ci sarà il danneggiamento di qualcuno o qualcosa.
Poi saranno in qualche modo figurativizzati, ovvero assumendo sostanza osservabile nei comportamenti, valori tra i quali il coraggio, l’onestà, l’impegno o la giustizia, al quale verranno contrapposti dei disvalori tipo la codardia, il cinismo, la negligenza, la malvagità. Avremo infine bisogno di definire la fine della storia, la sanzione finale che pacifica la nostra coscienza e che vede giustizia fatta, le responsabilità riconosciute e punite, i gesti ed i valori positivi dell’eroe ricompensati.
E’ questo il modo in cui la nostra mente opera tra gli eventi, li cataloga e li mette in ordine nella nostra memoria, e non possiamo certo sottrarci a questa modalità del pensiero umano.
Avendo per certi aspetti definito almeno i principali elementi che agiscono nel categorizzare i fatti che in qualche modo entreranno a far parte della memoria biografica della gente, ne consegue di fatto la possibilità di definire anche una struttura di base a cui la comunicazione delle situazioni di crisi dovrebbe idealmente ed in modo più o meno esplicito far riferimento, ovvero una traccia da seguire per fare in modo che tutti gli interrogativi potenziali siano soddisfatti, e che pertanto l’opinione pubblica non vada alla ricerca di ulteriori informazioni che sfuggirebbero a qualsiasi tipo di controllo.
“il pensiero umano è mosso dall’esigenza di fondo di interpretare il mondo e di attribuire significati plausibili che lo aiutino a fare delle previsioni e che per far questo ricorra alle storie” (A. Smorti – Narrazioni – 2007)
La comunicazione di crisi è il racconto di un evento, è una narrazione, e come tale è soggetta a certe caratteristiche che ne regolano il funzionamento nella mente della gente.
Gestire la comunicazione in presenza di situazioni di crisi è senza dubbio una delle attività più complesse a causa della presenza di condizioni di incertezza e di dinamiche non controllabili, ma anche perché a volte si scelgono strategie difensive nelle quali si finisce per avvitarsi in una spirale di errori sempre più gravi e con una risonanza pubblica crescente.
Esiste un’ampia tipologia di crisi possibili, per la diversità di eventi, per la variabilità di attori causali, per quantità e qualità dei soggetti coinvolti, per la gravità di effetti o conseguenze provocate, per cui non si può far riferimento ad un metodo univoco di risposta, anzi in certi casi ricette preconfezionate sul cosa fare in queste situazioni potrebbero persino provocare danni maggiori.
Tuttavia in rete si possono rintracciare documenti, pubblicazioni e “check list” sul Crisis Communication Management, in buona parte provenienti da oltreoceano, che possono costituire un buon riferimento per evitare di trovarsi completamente impreparati di fronte a fatti di questo genere.
Il punto critico è sempre la scelta del momento in cui cominciare a comunicare con il modo esterno, che cosa dire (o non dire!), perché il principio di non fare dichiarazioni che possano poi rivelarsi infondate si scontra con le necessità informative di una realtà che è fortemente condizionata dall’onda emotiva. Quindi come si può affrontare il problema? Certamente un’ analisi critica degli eventi passati, di come si è operato, ed al tempo stesso un piano di comunicazione che consenta risposte tempestive alle situazioni di crisi più prevedibili nonché la preparazione del management sul cosa fare, possono costituire un valido aiuto.
D’altronde le incertezze che inizialmente esistono sulle cause e sulle conseguenze di un evento, l’accertamento di responsabilità e la disponibilità di informazioni attendibili, richiedono oggettivamente tempi incompatibili con le reazioni emotive del pubblico.
Tra i molteplici aspetti che rendono difficile la gestione della comunicazione nelle crisi vanno considerati senz’altro:
– la criticità o la drammaticità di fatti che per i loro effetti provocano stati emotivi e tensivi molto forti in un numero più o meno ampio di persone; – la difficoltà a fornire i media di informazioni verificate, la cui disponibilità si rivela costantemente in ritardo con le esigenze e il fabbisogno informativo imposti dalla crisi; – l’impossibilità di avere un qualunque controllo sulle necessità informative dettate dalle conseguenze dell’evento che sono scarsamente o per nulla controllabili, ed il rischio che ogni tentativo di controllo venga scambiato per ambiguità o peggio per menzogna; – il rischio che notizie date tempestivamente risultino poi infondate inficiando la credibilità di chi informa; – l’influenzamento reciproco tra i soggetti coinvolti in qualche modo negli effetti di un evento critico che producono trascinamenti emotivi tipici della folla; – le informazioni che arrivano per forza di cose dopo un evento, a tentare di spiegare i fatti, e che trovano abbastanza spesso un pubblico prevenuto e diffidente; – la presenza nella mente della gente di esperienze precedenti che orientino una lettura precostituita di cause e responsabilità in mancanza di informazioni complete e tempestive; – il ruolo giocato dai media che, nella loro funzione di informatori, debbono guadagnarsi un loro spazio di visibilità, ma che così facendo a volte amplificano la risonanza di un evento.
Ognuno degli aspetti sopra detti meriterebbe un approfondimento fatto sulla scorta di eventi passati, ma in questa sede vorrei soffermarmi sulla possibile lettura precostituita da parte del pubblico di cause o conseguenze all’origine di una crisi, anche prescindendo dal flusso di comunicazioni ufficiali.
Prendiamo spunto da un fatto, un infuocato derby calcistico tra Roma e Lazio che doveva giocarsi il 21 marzo 2004 e che fu sospeso all’inizio del secondo tempo a causa delle pressioni esercitate dai tifosi. Prima della partita c’erano state le consuete intemperanze ma tutto sembrava sotto il controllo della robusta cornice di forze dell’ordine, quando a partita iniziata cominciò a diffondersi la notizia che un mezzo della polizia avesse investito e ucciso un bambino. Tale indiscrezione, non contrastata, iniziò ad incendiare gli animi della tifoseria al punto che questi arrivarono a minacciare i giocatori di gravi conseguenze se non avessero interrotto subito la partita. A nulla valsero le smentite ufficiali dell’allora capo della Polizia.
Un esempio eclatante quindi di come esperienze passate e un rapporto conflittuale tra tifosi e Polizia di vecchia data, con il semplice verificarsi di episodi di scarsa gravità, avessero generato in quel tipo di platea la convinzione che si fosse verificato un fatto tragico sulla scorta di semplici indiscrezioni, a cui nulla valsero le dichiarazioni ufficiali, forse tardive, di chi rappresentava l’istituzione.
Che domande porsi?
Ricordando questa storia, o magari frugando nella nostra testa alla ricerca di ricordi di qualche altra crisi, bisogna comprendere che tipo di interrogativi si pone il pubblico, per cui è fondamentale per chi debba gestire la comunicazione in situazioni critiche porsi certe domande:
– cosa si sta chiedendo il pubblico? Conosce sufficientemente e nel modo voluto come si sono svolti i fatti e le conseguenze? – trova risposte nella attribuzione di responsabilità? Può pensare che si stia coprendo un colpevole? – le informazioni disponibili possono generare nell’immaginario collettivo l’idea che ci sia la presenza di un giusto (la vittima) e di un ingiusto (il colpevole)? – può farsi strada l’idea che il fatto era evitabile? Che si sarebbe dovuto fare di più prima del fatto o durante i soccorsi alle vittime? – hanno già un idea delle colpevolezze? Di chi “espierà” la colpa? – quali “alleanze” o solidarietà possono nascere tra pubblici direttamente o indirettamente coinvolti nei fatti?
Per di più bisogna tenere nella debita considerazione alcuni fattori che in certi casi possono giocare un ruolo persino più importante degli stessi soggetti coinvolti che in sintesi sono identificabili in:
– i media, narratori per antonomasia che, mossi dai loro obiettivi, danno ampia risonanza ai fatti;
– i ben informati, i depositari delle verità scomode che gli organi ufficiali spesso omettono, e che esercitano la loro influenza sulla scorta dei pregiudizi fondati sulle esperienze passate;
– le vittime dell’ingiustizia, un abbinamento che quando si concretizza nell’immaginario collettivo è in grado di produrre effetti dirompenti;
– le “solidarietà identitarie”, alleanze atipiche che possono generarsi quando ci si riconosce in un ruolo contro un comune nemico (il caso Sandri per esempio fu un altro caso emblematico di alleanze tra tifoserie opposte contro la polizia).
Tutti questi aspetti danno sostanza ai presupposti di apertura di questo scritto per il quale la comunicazione di crisi è in fondo il racconto di un evento, e come tale è una narrazione che soggiace alle sue proprietà costitutive che ne determinano il funzionamento nella mente della gente.
In tal senso mi sembra assai pertinente riportare sinteticamente quanto uno degli autori, che ha trattato approfonditamente la nozione di storie come Andrea Smorti (Narrazioni 2007), ci dice in merito alla struttura delle narrazioni, una struttura che si articola nella nostra mente in: a) uno stato iniziale ove una situazione in equilibrio sia in qualche modo contestualizzata; (il fatto non si è ancora verificato e il pubblico possiede già esperienze antecedenti) b) l’avvento di un problema, ovvero il verificarsi di qualche fatto che rompa l’equilibrio iniziale; (l’evento si verifica e il pubblico ne viene a conoscenza in qualche modo) c) i tentativi di soluzione, uno o più fatti/azioni concretizzati da qualche soggetto che tenti in qualche modo e/o con l’ausilio di altri mezzi o aiutanti di risolvere il problema e ristabilire l’equilibrio iniziale; (il dopo, dichiarazioni, smentite, illazioni, conseguenze, responsabili, riparazione del danno) d) stato iniziale ricostruito o un nuovo stato, sono le situazioni al quale ci si aspetta si pervenga dopo i tentativi messi in atto da un soggetto di fronte ad un problema; (le soluzioni, attori positivi o negativi, la verità dei fatti) e) stato sanzionatorio (finale) equivale all’aspetto sanzionatorio, alla morale, al riconoscimento del ruolo del soggetto, all’attribuzione del premio (o della punizione). (giustizia è fatta! Colpevoli ed eroi sono identificati, premi e sanzioni sono assicurati)
In parentesi i brevi commenti con l’obiettivo di avvicinare lo schema ad una sua contestualizzazione. Mi piace inoltre continuare nell’omaggio ai contributi teorici esistenti in materia, riportando due citazioni importanti nel delineare una filosofia di approccio al problema:
“.. tutti i sistemi di classificazione, tutte le immagini e tutte le descrizioni che circolano nell’ambito di una società, persino quelle scientifiche implicano un legame con sistemi e immagini precedenti”. (S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)
“Ogni particolare narrazione di una violazione dalla norma, fonda una tradizione e diventa il nucleo di un genere narrativo sul come il mondo è.” (A. Amsterdam & J. Bruner 2000 – Smorti – Psicologia culturale 2004).
Conclusioni
In conclusione sembra proprio che le esperienze precedenti costituiscano lo script1 attraverso il quale in presenza di dubbi, la mente comincia ad elaborare risposte attingendo agli antecedenti, alle situazioni del passato, operando delle deduzioni che saranno tanto più corpose quanto più la carenza di informazioni soddisfacenti sarà accentuata.
La riflessione finale è proprio in questo punto, che laddove ci fosse un difetto di notizie appare ineluttabile che la gente provveda in proprio a darsi delle risposte, e pertanto coloro che a vario titolo dovessero trovarsi nella scomoda posizione di dover comunicare in situazioni di crisi devono sapere che tutto ciò che non verrà detto o non sarà chiarito sufficientemente, sarà generato e aggiunto dagli altri, senza alcun controllo, quindi…
1 A. Smorti – Psicologia culturale – ed. Carocci 2003
Una riflessione sulle narrazioni contemporanee oggi non può prescindere dal porsi alcuni interrogativi su quello che è il ruolo dei social media (SM), per cui è lecito chiedersi: nei SM si costruiscono delle narrazioni, e di che tipo?
In questa ricerca la mia attenzione si è focalizzata su Twitter, con lo scopo di verificare empiricamente se su questa piattaforma si generino dei frammenti narrativi1 più o meno strutturati, pur in una esplorazione di portata limitata.
Tra le varie modalità possibili ho ristretto il campo di ricerca all’analisi dei tweet pubblicati da tre testate giornalistiche di diffusione nazionale mediante il monitoraggio dei messaggi “twittati” nell’arco di una settimana, precisamente dal 20 al 26 settembre. Gli account monitorati sono stati il Corriere della Sera (C ), il Giornale (G) e la Repubblica (R) e l’analisi dei loro tweet è stata eseguita con l’ausilio di un software per la “content analysis”.
Tra le numerose variabili che potevano essere considerate, ho indirizzato la mia attenzione su quelle che ho ritenuto potessero dare delle risposte più immediate al quesito di partenza. Le tabelle che compaiono riportano il riepilogo delle variabili considerate e dei dati emersi dai quali sono scaturite le riflessioni che seguiranno.
Il panorama circostanziale
Prima di tutto i fatti più dibattuti della settimana in questione, la quale è stata largamente dominata dal tema legato alla decadenza di Berlusconi e quindi la probabile crisi di governo conseguente, poi a seguire la possibile acquisizione della Telecom da parte della spagnola Telefonica, l’aumento dell’IVA e i suoi effetti, l’attacco terroristico al centro commerciale di Nairobi, le elezioni in Germania, e in più riprese gli interventi volti a richiamare calma e senso di responsabilità nella politica fatti dal Capo dello stato Giorgio Napolitano.
Il numero di tweet postati nel periodo è stato sostenuto per il Corriere della Sera (709) e la Repubblica (694), abbastanza limitato per il Giornale (123), fatto questo che comporta una certa problematicità di carattere statistico nell’operare un confronto con le prime due testate. Giova tuttavia considerare che non si va a caccia di indici statistici, bensì di far emergere degli indirizzi di fondo, per cui i dati numerici in sé non rappresentano delle discriminanti di carattere assoluto. È comunque da ricordare che G ha creato altri account (es. il Giornale editoriali) che non sono stati presi in considerazione in questa sede.
L’analisi dei dati
Stante il vincolo dei 140 caratteri e la conseguente brevità dei testi, non ho dato rilevanza al totale delle parole utilizzate mentre invece ho scelto di valutare la varietà di termini utilizzati per osservare se emergevano delle differenze significative. In tal senso, pur considerando possibili imprecisioni nei valori assoluti che il trattamento automatico dei testi comporta (a meno di compiere verifiche manuali di dettaglio assai onerose in termini di tempo), i numeri ottenuti con buona approssimazione ci danno un idea dell’andamento.
Risulta che R ha utilizzato 3539 lemmi diversi, contro i 2990 utilizzati da C e i 1047 di G pur con un numero di tweet che è notevolmente inferiore; rapportando i lemmi con il numero di tweet emessi otteniamo nell’ordine 5,1 – 4,2 – 8,5. Questi indici sembrerebbero suggerire che G utilizzi una varietà di termini maggiore rispetto agli altri, ma la notevole differenza nel numero di messaggi pubblicati suggerisce di rivedere questo confronto, mentre tra le altre due testate sembra esistere una sia pur lieve propensione alla variabilità di lessico da parte di R.
L’uso degli hashtags (importante proprietà di Twitter che consente ad un utente di selezionare tutti i tweet che parlano di uno specifico argomento anteponendo alla parola il simbolo #) é una modalità che un account può sfruttare per operare un “engagement” più efficace su un “lettore modello” orientato alla ricerca di ben determinati argomenti, che gli hashtags rendono più semplice aggregare. In questo si osservano differenze di un certo rilievo; emerge una marcata tendenza di G ad utilizzare questa tecnica (98 volte) quindi R (39), mentre è abbastanza sporadico l’utilizzo che ne fa C (6). Non è possibile sapere se questo corrisponda a specifiche scelte da parte degli editori.
La selezione delle parole utilizzate con maggiore frequenza implicava la possibilità di inquadrare speditivamente le tematizzazioni affrontate, ed al tempo stesso poteva fornire un informazione qualitativa in merito alle ridondanze rintracciate. Come si osserva nelle tabelle, dalle parole più utilizzate da R si può dedurre che siano prevalsi temi relativi al territorio ed ai fatti di carattere nazionale, mentre invece in C notiamo parole che implicano una maggiore insistenza su temi di carattere internazionale, in primo piano i fatti di Nairobi e il tema del terrorismo, così come le citazioni relative alla Merkel confermano un’attenzione sulla Germania non trascurabile. G invece, pur considerando il minor numero globale di parole e quindi il minor numero di frequenze da vagliare, sembra orientato verso una maggiore attenzione ai temi di carattere politico strettamente legati alle perturbazioni degli ultimi giorni.
Da ritenere degno di nota anche l’uso di lemmi di tipo avversativo e/o dubitativo; in questo caso si possono notare similitudini nel comportamento dei tre soggetti che raccontano inevitabilmente della presenza di situazioni di tensione che provengono dallo scontro politico in atto e dalla delicata situazione, aspetto che si palesa con la frequenza comune a tutte e tre le testate nell’uso del termine “contro” e con l’incertezza rivelata da un frequente uso del “se”. In considerazione della situazione conflittuale della politica in questo particolare frangente, era inevitabile non soffermarsi sull’atteggiamento tenuto dalle tre testate e quindi tentare di fare un confronto tra di esse.
Il teatrino della politica
Nelle tabelle dove sono riportate le parole usate con più frequenza, è possibile vedere come ci siano alcune analogie nei soggetti menzionati e forse non poteva essere altrimenti visto il momento, per cui le varie redazioni non potevano differenziarsi troppo da un’agenda pressoché obbligata. Quindi la presenza dei protagonisti citati potrebbe sembrare scontata in virtù delle posizioni editoriali delle testate di cui abbiamo tutti una esperienza abbastanza consolidata.
Tuttavia poiché lo scopo del lavoro era quello di far emergere tracce narrative e non l’eventuale posizione di favore verso un qualunque personaggio, i relativi termini sono stati osservati all’interno dei frammenti di testo in cui comparivano (di frequente corrispondevano più o meno all’intero tweet). Ovviamente la possibilità data dal software di aggregare e mettere in ordine sequenziale tutti i frammenti connessi a un termine, facilita l’osservazione della costruzione discorsiva fatta intorno ad esso e di percepirne la valorizzazione complessiva nella sua interezza. Ed i risultati hanno mostrato qualche aspetto interessante.
I frammenti narrativi che emergono su R in sintesi ci raccontano di un personaggio Berlusconi oggetto della discordia e causa dei problemi, oltre ad apparire attore incline alla violazione delle regole e perciò svalorizzato nel suo complesso, mentre la figura di Napolitano si staglia come entità conciliatrice, ancora depositario di una autorità morale nel richiamare le parti alla saggezza e al senso di responsabilità. Il PD invece viene raccontato come agente in crisi di identità, prigioniero delle sue diatribe interne ed in costante malessere con gli alleati anche nella esposizione della situazione in Sicilia. Il Presidente del Consiglio Letta si delinea come soggetto attivo, combattivo anche se la situazione lo costringe sulla difensiva, accerchiato da situazioni che promette di combattere e da cui vuole uscire.
Infine il PDL, attore che viene palesato come fautore della linea dura, arroccato sulla incondizionata difesa del suo leader e disposto a buttare all’aria il tavolo della trattativa, una valorizzazione che potrebbe essere letta in modi diametralmente opposti a seconda le inclinazioni e le insoddisfazioni del pubblico.
Su C si racconta un Letta soggetto attivo, che mostra fermezza nel fronteggiare questa situazione di crisi nonostante le difficoltà, mentre Berlusconi da un lato è l’oggetto che provoca lacerazioni per il problema legato alla sua decadenza, evento in grado di sfociare nelle dimissioni dei suoi fedelissimi, dall’altro lato si riappropria di una sfera soggettiva che lo vede impegnato nel tessere la tela e tramare alla ricerca di vie di uscita ai suoi guai.
Ancora un PD diviso e logorato dalle sue contraddizioni interne e dalla mancanza di univocità di fronte ai fatti politici, ancora quindi i contorni di una identità in crisi a cui fa da contraltare un PDL che marcia senza indugi e senza tentennamenti verso i suoi obiettivi, fautore dello scontro con Napolitano e deciso a portare avanti la linea dura. Ancora il personaggio Renzi che si manifesta come soggetto dinamico, critico della scena e degli attori in gioco, mentre la politica come ruolo tematico appare protagonista negativa in perenne conflitto con la giustizia, causa prima delle incertezze e dei problemi della situazione.
Infine il frame dipinto da G dove emerge un Letta dubbioso nelle scelte ed inadempiente nelle azioni, complessivamente svalorizzato, un Berlusconi nel ruolo di vittima degli attacchi dei suoi nemici ma che risorgerà (alle elezioni!), un PDL soggetto dinamico impegnato all’offensiva su tutti i fronti e leale fino in fondo al suo leader. A seguire altri tre personaggi connotati in modo non certo positivo, una Boldrini femminista e attentatrice dei valori familiari, un Renzi regista delle trame contro il governo, istigatore delle divisioni interne al PD, quindi complessivamente svalorizzato ed infine Saccomanni, isolato nel governo, screditato nelle azioni, in un certo modo emblema in declino della categoria dei tecnici che agiscono in politica. Da queste poche righe si potrebbero trarre alcune considerazioni che tuttavia evito di fare per rimanere quanto più possibile vicino all’oggettività dei dati; all’eventuale lettore trarre delle conclusioni.
Verbi come azioni
I verbi descrivono le azioni e perciò sono un elemento fondante dei dispositivi enunciativi che definiscono i comportamenti dei soggetti e la loro natura. I predicati più utilizzati (essere, avere) non sorprendono in raffronto al linguaggio comune, tuttavia si potrebbe azzardare una differenza tra R e C; nel primo sembrano più frequenti le modalità del fare, dell’azione, mentre nel secondo oltre ai verbi collegabili ai fatti terroristici, sembrano più frequenti predicati di tipo cognitivo (guardare, pensare, chiedere). È un dato questo sul quale bisognerebbe tornare per cercare conferme, perché una modalità di questo tipo, se confermata, implica un diverso modo di raccontare la quotidianità.
Si registra inoltre come l’uso dell’indicativo presente, specialmente se declinato nella terza persona, rappresenti la modalità di gran lunga più utilizzata da tutte e tre le testate. In linea di massima questa è una costruzione linguistica che descrive i fatti senza prese di posizione in prima persona, senza il ricorso a frasi riportate (cosiddetta “enunciazione enunciata”); con beneficio di inventario si potrebbe asserire che questa sia prevalentemente la modalità del fare cronaca, del raccontare il fatto piuttosto che la prassi di costruzione del testo narrativo.
Infatti è da ricordare che nei quotidiani (cartacei) lo stile asetticamente discorsivo del riportare la notizia sta lasciando il posto sempre più a modalità testuali e interpretative che si configurano come narrazioni e che, in quanto tali, sono proiettate in un orizzonte diacronico, implicando in tal modo il ricorso a predicati verbali che articolino sia il passato che il futuro oltre al presente; su Twitter invece sembra emergere che tali modalità non sono ancora utilizzate in modo significativo.
Considerazioni conclusive
A questo punto si possono tracciare alcune considerazioni che emergono dall’analisi fatta fino ad ora, aspetti magari da sottoporre a verifica in presenza di un panorama circostanziale differente.
Non si deve dimenticare comunque che Twitter è una piattaforma abbastanza “giovane” e la sua espansione specialmente in Italia è un fatto recente, per cui non si può escludere che a breve scadenza tecniche e modi del suo utilizzo possano evolvere verso forme di maturità scaturite dalla consapevolezza delle sue potenzialità.
In linea di massima sembrerebbe che la particolare natura di questa piattaforma non renda facilmente intelligibili le strutture narrative, e questo è in buona parte dovuto alla brevità del messaggio, fatto che rende senz’altro complicato costituire all’interno di questo le strutture in grado di formare una narrazione. Inoltre bisogna riflettere sulle modalità pratiche di fruizione di Twitter: la diffusione e l’utilità di questa piattaforma come mezzo di informazione viene esaltata dalla proliferazione degli smartphone, strumento per l’informazione “mordi e fuggi” in ogni luogo e momento. Invece è da notare che, specie i media ufficiali, nella maggioranza dei casi inseriscono nel tweet un link che rinvia all’articolo pubblicato nel portale on-line.
Ora se è probabile che l’articolo completo possa contenere gli aspetti narrativi di cui si parla, è da ritenere poco frequente che gli utilizzatori così come sono stati descritti, ricorrano alla lettura dell’articolo completo collegato al tweet, se non in poche occasioni.
Pertanto due considerazioni possono essere fatte: la prima è che comunque, sia pure in modo frammentario, sia possibile la costituzione di frammenti narrativi, come in precedenza osservato nei commenti relativi alla scena politica. Si tratta di frammenti che probabilmente non possono avere vita autonoma ma che comunque possono saldarsi in un ambiente di trans-medialità.
La seconda invece ci porta a pensare che la “gioventù” di questo SM non abbia ancora generato quella scaltrezza comunicativa che si ritrova invece nelle modalità di costruzione dei titoli di prima pagina che, pur essendo più brevi di un tweet, mediante il sapiente uso di artifizi retorici, sono capaci di veicolare frammenti narrativi estremamente densi e ricchi di senso.
Per queste ragioni, almeno fino ad ulteriori conferme, non ho ritenuto opportuno parlare di elementi narrativi come le strutture attanziali2, consapevole di proporre un tema di dibattito con ancora molte ipotesi da verificare.
1 Con il termine “frammento narrativo” per convenzione si deve intendere una parte testuale che per complementarietà sarà suscettibile di unirsi ad altri frammenti presenti nel panorama trans-mediale in modo da comporre una narrazione strutturata. 2 Per questo concetto si vedano gli studi di A. Greimas e della semiotica generativa.
Questa analisi mira a far emergere le narrazioni che si celano all’ interno delle immagini contenute nei quotidiani di un paese che sta vivendo un particolare momento di crescita. Un modo alternativo di analizzare i media applicato anche in una prospettiva interculturale, per captare aspirazioni e passioni del pubblico attraverso la ricerca di significati reconditi contenuti nelle immagini.
Quando le immagini ci parlano di altro
Nella varietà di tematizzazioni1 pubblicate dai media è possibile rintracciare nelle immagini una “messa in discorso” di significanti che, in alcuni casi, si dimostrano essere come cartine al tornasole delle passioni e delle emozioni del pubblico a cui parlano.
Le immagini posseggono grande efficacia comunicativa perché dispongono di un potere di veridizione superiore rispetto alle parole che per loro natura la “verità” possono invece soltanto “suggerirla”.A tal proposito è opportuno citare R. Barthes quanto asseriva che l’effetto di senso della fotografia è spesso il frutto di precise strategie semiotiche, e la sua messa in forma dà un’illusione di realtà che sarà più o meno intensa a seconda il tipo di fotografia, la didascalia che l’accompagna o il testo verbale a cui si riferisce.
In ogni caso attraverso le immagini è possibile ricostruire una rappresentazione delle istanze e degli umori del momento di una collettività, attraverso la lettura degli effetti di senso “sovra segmentali” che mostrano aspetti e temi del discorso sociale in atto, e come tali rappresentano la figurativizzazione operata dai media, il codice di accesso alle narrazioni sociali del momento.
Le immagini infatti derivano la loro forza dal fatto di essere situate, ovvero calate nella realtà, costituite da figure del mondo riconosciute, rappresentazione della quotidianità, simboli di passioni e tensioni collettive.
La verifica empirica di quanto sopra detto, è stata operata attraverso l’analisi dei quotidiani del Kosovo, quindi in presenza di un panorama circostanziale differente, costituito da storie, rapporti sociali, sviluppo economico e pratiche sociali diverse, prescindendo in linea di massima dai testi cui erano associate.
Restringendo quindi l’analisi solo sulle immagini ha permesso di disvelarne una più intensa capacità di significazione, verificando tutto ciò che emergeva attraverso la ricerca di un numero di ripetizioni in grado di confermare l’esistenza di tendenze abbastanza evidenti, quindi non frutto di casualità.
Lo sfondo circostanziale
La ricerca è stata condotta su un ampio numero di quotidiani pubblicati in Kosovo nel periodo riferito alla primavera-estate del 2009.
Rammentando in estrema sintesi i fatti, anche drammatici, che hanno avuto luogo di recente in quel territorio, va ricordato che il Kosovo era una regione amministrata dalla Serbia in prevalenza popolata da etnia albanese; verso la fine degli anni ’80 iniziò un periodo travagliato segnato da rivendicazioni etniche e istanze secessionistiche le cui cause furono originate da problemi economici e discriminazioni che si scontravano con la struttura demografica del territorio.
Gli episodi di violenza che ne seguirono condussero ad una situazione di guerra civile che richiese l’intervento della NATO nel 1999 per fermarne le atrocità e i crimini umanitari che coinvolgevano le due etnie.
Dopo tale intervento si è verificato il progressivo costituirsi di una identità nazionale da parte dell’etnia albanese, che pur attraverso il riconoscimento di una semplice autonomia amministrativa, ha iniziato a manifestare le espressioni di una cultura condivisa che sente un suo preciso percorso storico e politico.
È curioso notare come, sin dall’inizio delle istanze secessionistiche, cominciarono a nascere le infrastrutture di produzione dell’informazione come giornali, emittenti televisive e radiofoniche.
Infatti nel breve volgere di dieci anni, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, in un territorio grande come le Marche e con una popolazione di poco più di due milioni di abitanti, sono nate ben otto testate giornalistiche in lingua albanese, segno evidente di come sia esistito un legame tra un’ identità nascente, le istanze di una società civile e un sistema dei media su cui questa aveva bisogno di raccontarsi. Si è di fronte ad una conferma empirica di come un’identità culturale abbia bisogno del “proprio” sistema di media per potersi manifestare ed auto descrivere.
Quanto emergeva dai giornali è stato confrontato con quanto scaturiva dall’osservazione dell’ambiente circostante e delle pratiche quotidiane, il confronto delle semiotiche emergenti in diversi sistemi, i dialoghi avuti con persone del luogo, il confronto e l’analisi dei dati rilevati dalle ricerche sociali effettuate sia dalla Index kosova (società di ricerche di mercato affiliata alla Gallupp), sia da UNDP (agenzia che cura le ricerche per conto delle Nazioni Unite).
Da questa analisi possiamo derivare una categorizzazione di alcune tendenze emerse che è possibile definire come: le aspettative dalla politica, la mitografia del denaro, i simbolismi della modernità, l’attrazione per il gossip, la pubblicità come termometro dei desideri.
Soltanto alcune tra le immagini selezionate, quelle ritenute più significative a mostrare gli aspetti fin qui descritti sono postate, ed in questo si chiede un atto di fede al lettore perché non era ovviamente possibile riprodurre per intero tutto il materiale esaminato in questa sede.
Le aspettative dalla politica
Anche se la prassi di pubblicare immagini che riproducono politici e personaggi di spicco della scena pubblica è assai frequente un po’ ovunque, questa tendenza appariva marcatamente nelle pagine dei quotidiani kosovari, ma era soprattutto la “sintassi” delle immagini che destava interesse per via della differenza che si poteva notare per esempio nel confronto con i giornali italiani.
Questa categoria di immagini infatti si indirizza spesso a riprodurre il solo volto, una sorta di mitizzazione del personaggio o del ruolo, mentre invece nei quotidiani kosovari i protagonisti della scena pubblica venivano mostrati “all’opera”, esattamente nei luoghi e nei contesti dove si vuole e si suppone che debbano poter dare una risposta ai bisogni della gente.
Numerose infatti le immagini che mostravano i personaggi ripresi nei loro contesti di “produzione”, impegnati in una riunione di vertice, mentre tengono comizi, durante incontri e trattative, in sedi istituzionali, dove quindi possano concretizzare la sostanza del loro compito.
Inoltre c’era una marcata tendenza a riprodurre la gestualità delle mani, una sorta di messaggio non verbale sintatticamente aggiunto ai soggetti delle immagini. E sono mani che spesso evidenziano le movenze del “dare forma” a qualcosa, a plasmare i fatti, come se la loro rappresentazione certifichi la modalità del “fare” come configurazione narrativa di base.
Anche volendo ricorrere ad un certo scetticismo nella lettura di questi significati, ipotizzando rappresentazioni3 viziate in un rapporto di complicità tra l’ establishment di potere e i produttori di informazione, poiché ogni testata cerca nei suoi contenuti di soddisfare il proprio lettore modello, ne avremmo pertanto la medesima lettura di possibili significati.
Nondimeno la potenziale scarsità di materiali fotografici a volte confessata, non dovrebbe indurre a peccare di supponenza nel credere che non ci sia da parte degli operatori locali una sufficiente capacità che consentirebbe loro di acquisire una serie di scatti, nonché di disporre di un minimo di immagini di repertorio che permetterebbero di fare scelte adeguate allo scopo.
Se quindi l’editore utilizza con frequenza immagini contenenti certi codici visivi, questo significa che le ritiene efficaci, ma lo saranno soltanto a condizione di essere situate, di rappresentare la discorsività sociale, i significati a cui il pubblico si dimostra sensibile. Nel caso appena illustrato lo sfondo circostanziale da cui parte l’informazione è proprio quello di una collettività animata da una tensione forte che mira a riempire il ritardo nello sviluppo rispetto ad un mondo occidentale da tempo osservato attraverso le immagini provenienti dalla televisione, un mondo che le si è proposto attraverso linguaggi visivi che questa gente cerca spesso di riprodurre pur mediandoli con i propri sistemi di significazione.
La politica si pone in tal modo come il principale attore in grado di completare un processo storico che assecondi le istanze identitarie, che favorisca le condizioni per avviare un processo di sviluppo economico, che avvicini questo popolo a quei paradisi di benessere a lungo osservati, ma è una politica che deve “fare” attraverso le proprie mani, che deve lavorare, che non può sedersi sul trono della propria autoreferenzialità; il politico è importante se fa, non solo per il ruolo che ricopre.
La mitografia del denaro
Le immagini di banconote erano un altro soggetto assai frequente in quel periodo di tempo, pur con una sintassi di composizione dell’immagine aperta a varie sfumature. Potevano essere osservate immagini dei soli soldi, banconote appese a dei fili come se fossero fresche di stampa (opera di falsari!), banconote ripiegate che passano da una mano all’altra con un fare vagamente furtivo, mani che contano un mazzetto di banconote utilizzando l’impugnatura tipica dell’impiegato di banca.
Rappresentazioni diverse quindi che costituiscono una sorta di mitizzazione del denaro, e frequentemente lo uniscono con la parte del corpo che forse più delle altre rappresenta il pragmatismo del fare, ovvero le mani.
Un abbinamento che esprime significati forti in merito alle motivazioni collettive del momento, il desiderio di questo popolo di crescere, di accumulare quel denaro che, solo, garantisce benessere e gli agognati stili di vita occidentali.
Gli articoli con raffigurazioni del denaro trattavano di temi relativi alla corruzione, al lavoro, all’economia e alle misure politiche, e tutto questo conferma quanto questa iconografia sia presente nei pensieri della gente e animi le ansie e il desiderio di arrivare.
Nei casi (poco frequenti) in cui era possibile fare una comparazione con i quotidiani nazionali, era possibile anche osservare il diverso modo di rappresentare le banconote rispetto ad un quotidiano kosovaro; nei primi il denaro veniva rappresentato senza altri elementi (era il 2009; la recente crisi ha cambiato le cose anche nei nostri giornali!), icona autoreferenziale ove il denaro è fine esistenziale del potere e di referenti immateriali.
Nei secondi, in una collettività fortemente orientata allo sviluppo, la mitizzazione viene raffigurata dalla manipolazione del denaro, dalla relazione con le mani che simboleggiano la capacità di magnificarne la potenza, la sua proprietà di essere strumento per arrivare ad altri mezzi materiali.
Il simbolismo della modernità
Altra categoria di immagini che compare frequentemente nelle pagine dei giornali kosovari sono le raffigurazioni di edifici moderni, i grattacieli con ampie superfici vetrate, quelli che tanto ricordano le city americane stile Manhattan.
La prerogativa di questo stile, osservabile peraltro in numerosissime realtà di nazioni e culture diverse, è l’essere diventato simbolo della modernità, dello sviluppo economico, in un riproporre indefinitamente icone dell’immaginario collettivo, referenti globalizzate del progresso, della tecnologia e dello sviluppo economico.
Queste immagini poi sono di frequente caratterizzate da inquadrature che vanno dal basso verso l’alto, oppure con campi panoramici e prospettici di profondità, una semiotica che sembra rappresentare le aspirazioni per il futuro, il voler volgere lo sguardo all’orizzonte, il voler crescere, un ulteriore segnale di uno stato d’animo collettivo che mostra attraverso le immagini di “guardare lontano”.
Anche nella realtà si poteva notare una vivace attività edilizia per abitazioni civili, immobili commerciali, ma anche infrastrutture viarie, e questo pur in presenza di livelli di ricchezza non elevati. Anche in questo caso si potevano osservare negli stili architettonici adottati delle semiotiche visive portatrici di messaggi coerenti rispetto alla significazione sociale complessiva in linea con quanto appena detto, tassello di un mosaico che descrive i processi sociali e culturali in atto nel paese.
Quindi la modernità delle costruzioni si propone come valore testimoniale dello sviluppo, riflette le aspirazioni di emulare, di raggiungere quel mondo occidentale agognato di cui si tenta di riprodurre un po’ tutto, anche certi modelli architettonici ormai superati dal post-modernismo.
L’attrazione per il Gossip
Una categoria di immagini che per certi aspetti ha destato sorpresa e che costituiva un palese elemento di differenza tra i quotidiani nazionali e quelli kosovari, era la presenza in ogni testata, di un corposo inserto che trattava notizie di gossip e informazioni sul mondo dei “vip”, usando abbondantemente immagini in cui il corpo femminile delle protagoniste viene mostrato in tutta la sua avvenenza.
Nel nostro paese il gossip non è certo trascurato, anzi esistono diverse riviste che trattano solo di questo, viceversa non molto compare sui quotidiani di informazione, e su questi le immagini sono di norma assai “misurate”. Certamente quattro o più pagine di notizie legate al gossip e allo spettacolo, e l’ostentazione di gambe tornite e decolté prorompenti, a stento contenuti in gonne cortissime e scollature audaci oltre a pose da copertina patinata, sono elementi di tangibile differenziazione.
Il fatto che si indugi nella rappresentazione di un mondo che in fondo non appartiene a questa gente, che non vive il loro territorio, che probabilmente avranno osservato soltanto attraverso gli schermi televisivi può portare ad una duplice lettura perché su questo aspetto non si disponeva ancora di dati certi.
La prima lettura possibile era che la conoscenza degli argomenti di gossip implicasse un po’ il sentirsi parte di questo mondo, di essere dentro un tempo e un ambiente dal quale non si vuole assolutamente rimanere fuori, per certi aspetti diventava espressione di modernità; la seconda lettura possibile poteva significare che il giornale era uno strumento ancora fortemente “maschile”, per cui la sua “costruzione” particolare rifletteva semplicemente il desiderio di compiacere il lettore.
Parlando con la gente del posto per capire le loro aspettative, sembrerebbe che dai giornali essi volessero qualcosa di diverso rispetto al panorama informativo offerto dalle televisioni. Mentre infatti su quest’ultime, i telegiornali sembravano essere caratterizzati da un agenda abbastanza essenziale e ridotta, concentrata sui maggiori problemi sociali, sull’essenza delle cose che contano veramente, quindi la politica in primis, lo sviluppo economico e la crescita, con poche concessioni ai fatti di cronaca, nei giornali sembrava che il panorama discorsivo fosse assai più vasto.
Questi infatti, pur considerando i limitati mezzi disponibili, oltre ai consueti spazi dedicati agli argomenti principali, ospitavano temi inerenti la cultura, la storia, il già citato gossip, lo sport, e qualche volta trovavano posto persino i giochi enigmistici, offrendo in tal modo anche uno spazio ludico.
Una ulteriore differenza che si poteva rilevare era come la diversa “anzianità” dei quotidiani locali rispetto a quelli di casa nostra, implicasse delle differenze osservabili nei format editoriali.
In Italia infatti i quotidiani hanno spesso una lunga storia, a volte superano il secolo di vita, per cui nel loro DNA è contenuto il rispetto di un certo rigore giornalistico, una certa austerità formale che deve essere conservata, pena il rischio di perdere la propria identità.
In quel mondo invece, i giornali hanno pochi anni di vita e sono nati nella cosiddetta “società dell’immagine”, per cui sono facilmente inclini ad usare di più le illustrazioni come strumento comunicativo, non devono aderire a nessuna vetusta tradizione, per cui sono in un certo modo più liberi di spaziare al di fuori degli schemi.
La pubblicità come termometro dei desideri
In sintesi la pubblicità, come discorso sociale, ha una vocazione spiccatamente pragmatica che è quella di promuovere la vendita di un prodotto, pertanto dovrà necessariamente cercare di capire, interpretare e farsi capire dal suo pubblico, sicché i linguaggi e i codici utilizzati devono essere tarati proprio sulle “enciclopedie” di conoscenze di quest’ultimo se si vogliono avere possibilità di successo.
Detto ciò, tra gli inserti pubblicitari più frequenti c’erano gli annunci relativi alla vendita di computer e di prodotti di informatica e con una certa frequenza anche la vendita di televisori ed altri elettrodomestici, prodotti invece scarsamente presenti nei giornali italiani.
Si trattava di pubblicità essenziali costituite dalle immagini dei prodotti offerti, in alcuni casi completate dalle caratteristiche tecniche con ben evidente il prezzo di promozione.
Altra pubblicità abbastanza frequente riguardava la vendita di immobili e gli spazi normalmente contenevano immagini relative ai fabbricati visti dall’esterno, mentre raramente si mostravano le rappresentazioni degli interni.
Anche in questo caso messaggi senza particolare enfasi che informano sulla possibilità di acquistare nuovi appartamenti in fabbricati dalle forme architettoniche di una modernità ormai superata nel nostro paese, e che confermano, qualora ce ne fosse ancora bisogno, i canoni di significazione che il concetto di nuove costruzioni ha in questo territorio.
Ancora molto frequenti gli inserti pubblicitari per la telefonia, in prevalenza quella mobile rispetto a quella fissa.
Nella telefonia tuttavia la pubblicità metteva in atto delle strategie discorsive diverse, non si limitava più a descrivere la sostanza, la prestazione del prodotto o servizio, ma attraverso l’uso della bellezza di volti femminili, di fatto proponeva una dimensione esistenziale della comunicazione che in sostanza descriveva “non il prodotto ma il suo alone”.
In questo caso una differenza netta, una tipologia comunicativa utilizzata non molto di frequente in un paese che, dovendo sintetizzarne una tendenza, tendeva a proporre valorizzazioni di tipo sostanziale o critico.
È da sottolineare pertanto come le tecnologie che sviluppino la possibilità di comunicare godessero di particolare enfasi e quanto, più di altre cose, potevano incidere profondamente sulla semantica collettiva del paese.
Presente come poteva essere prevedibile la pubblicità di automobili, che costituivano in questo frangente figura immancabile, ancora fortemente simbolo di status, in un paese che stava avviandosi verso una fase di modernizzazione del parco auto circolante. Infine pur con una frequenza minore, pubblicità che riguardavano
le Università e fatto sorprendente la pubblicità per trapianti di capelli.
Che valore dare alla presenza di inserti di questi due ultimi settori? Intanto sono indicatori di una certa importanza di come il paese stesse iniziando a muovere i suoi primi passi nel consolidare il proprio processo di crescita, testimoniati dall’apparire del presupposto di una formazione alta come strumento per lo sviluppo dei giovani, e conseguentemente come prospettiva per il futuro.
Per i trapianti invece, bruciando forse i tempi e pur con molta strada ancora da fare, iniziano già a farsi strada nei processi sociali quelle istanze che indirizzate a fattori estetici, testimoniano come questo aspetto inizi a conquistare i suoi spazi di rilevanza, come l’estetica inizi ad entrare nelle pratiche sociali, come l’emancipazione guidi al progressivo aumento, nella pubblicità come nella quotidianità, della scoperta di valorizzazioni ludiche ed esistenziali.
Una comparazione con i giornali nazionali? Orologi preziosi, alta moda, prodotti editoriali, turismo ed eventi, arredamento e design, università, medicinali e integratori ed infine immancabili le auto.
In conclusione, in questa breve analisi delle pubblicità, emergevano maggiormente messaggi improntati alla dimensione informativa, a testimoniare il valore attribuito alla sostanza delle cose, come il prezzo o le caratteristiche tecniche, indizio di una maturazione ancora in divenire, anche se i segnali della rapidità con cui certe realtà bruciano le tappe dello sviluppo emergevano già con le avanguardie di aspetti ludici ed esistenziali degli oggetti pubblicizzati come nel caso della telefonia o dei trapianti, segnalando la comparsa precoce di un edonismo collettivo.
Conclusioni
Pur nella brevità e sinteticità di questa analisi, una verifica empirica ci conferma il ruolo dei media come descrittori delle istanze sociali e come protagonisti della narrazione collettiva, della sempre maggiore rilevanza della società dell’immagine in tutte le sue manifestazioni. Infine ultimo ma non meno importante la validità del modello delle valorizzazioni discorsive e sociali a suo tempo proposto da J.M. Floch ed efficacemente ripreso ed ampliato da G. Marrone nel testo citato Corpi sociali.
1 Questo lavoro usa terminologie tipiche della semiotica; nel testo che segue tali termini verranno contraddistinti con il corsivo. Per un eccellente compendio bibliografico di tali termini, si veda Manuale di semiotica, U. Volli – Ed. Laterza 2004. 2 Marrone Gianfranco, Corpi Sociali – Ed. Einaudi, 2001 3 Il termine rappresentazioni è di sovente utilizzato facendo riferimento alla efficace descrizione del concetto contenuta nel libro “Le rappresentazioni sociali” di Serge Moscovici – ed. il Mulino 2005 4 Marrone Gianfranco, Corpi Sociali – Ed. Einaudi, 2001 5 Marrone Gianfranco, Corpi Sociali – Ed. Einaudi, 2001