Le immagini dei quotidiani, mondi apparentemente uguali ma al tempo stesso profondamente diversi, creatori di narrazioni parallele, ancorché costruite sulla stessa terra, destinate a persone diverse. Alla scoperta delle tendenze emergenti di alcune raffigurazioni che andranno poi a popolare gli immaginari collettivi dei lettori.
Dopo aver parlato di una possibile tassonomia delle immagini sui giornali e di come queste possano tradursi in uno strumento di interpretazione dei processi identitari e culturali di un paese (n.d.r. Kosovo), in questa sede voglio affrontarne un altro aspetto che pur originato in un ambito culturale diverso, dimostra la forte e raffinata capacità che le immagini possono avere nell’influenzare le visioni del mondo dei loro lettori.
L’analisi è tratta da ricerche, esperienze e osservazioni a più riprese effettuate sul Libano, un paese al cui interno vivono in equilibrio precario diverse identità risultanti dall’intreccio tra più confessioni religiose e numerose correnti politiche, in un mosaico assai complesso da decifrare.
Non parlerò, se non minimamente, di schieramenti e legami politici che avrebbero rischiato di essere fuorvianti nell’ interpretazione semiotica dei significati percepibili dall’osservazione delle immagini.
Non esistono, come in nessuna realtà giornalistica, limitazioni esplicite a qualsivoglia tipologia di immagini, ma è sulla loro “sintassi” e sulla presenza di certe ridondanze che questa analisi si indirizza, sintetizzando le tendenze emergenti di alcune raffigurazioni che presumibilmente andranno a popolare gli immaginari collettivi dei lettori.
Al Akhbar
Al Akhbar – 18 agosto
Al Akhbar è uno tra i cinque giornali più popolari a Beirut e nel sud del Libano, fondato nel 2006 e dichiarandosi indipendente e progressista, impegnato nel sostegno a valori come indipendenza, libertà e giustizia sociale, è ritenuto abbastanza vicino alle posizioni di Hizbollah ed ha una impostazione grafica che ne denota una sua ben precisa identità editoriale; la prima pagina normalmente riporta immagini a “tutta pagina”, foto di grande impatto visivo che spesso non si limitano a documentare un evento quanto piuttosto mirano a far leva sulle emozioni del lettore;
si rileva l’iconografia del principio di autorità tradizionale attraverso immagini che mostrano leaders religiosi, mostrandone perlopiù i volti; una raffigurazione di autorità che richiama archetipi ancestrali che non possono essere messi in discussione e che pertanto implicano una sorta di lealtà cieca;
le immagini di uomini che impugnano armi, che non appartengono a forze regolari e che indossano i copricapo tipici delle fazioni di appartenenza, sono l’emblema della militanza armata, la riproposizione di una realtà del recente passato radicata nel paese che viene quasi legittimata attraverso la sua collocazione nella quotidianità;
Al Akhbar – 31 luglio e 1 agosto
viene raffigurata la sofferenza, specialmente in prima pagina, non limitandosi a documentare gli eventi tragici che spesso popolano la quotidianità di questo paese, ma ne viene ritratto con dovizia il dolore, la disperazione, il pianto che attanaglia i volti della gente comune e delle donne e che esercita una forte carica patemica nel lettore, suscitandone sentimenti di pietà e solidarietà misti a rabbia come si può immaginare;
Al Akhbar – 1° pag. 31 luglio
sono spesso mostrati bambini, vittime delle sofferenze, che si aggirano nei luoghi delle rovine, scenario della loro quotidianità, e che talvolta appena adolescenti già imbracciano le armi, quasi una profezia del loro futuro;
edifici distrutti o semidistrutti, rappresentazione di una tragica ciclicità degli eventi che mostra come gli effetti delle guerre e delle lotte intestine costituiscano la realtà di buona parte di questa gente;
le manifestazioni di protesta in strada, folle di gente che esprime la sua anima, altra pratica abbastanza radicata nella quotidianità della popolazione.
Annahar
Questo giornale, fondato nel 1933, è il più anziano tra i giornali considerati, assai diffuso in Libano con una circolazione stimata di 45.000 copie, è una testata che si accredita a principi liberali, pluralisti ed in parte di centro-sinistra;
la prima pagina normalmente propone due immagini che documentano gli eventi principali della giornata con uno spazio normalmente inferiore a metà pagina, e che denotano in linea di massima valore testimoniale ai fatti raccontati;
Annahar – 9 maggio
l’autorità rappresentata attraverso le immagini è un’autorità laica di tipo legittimo che si manifesta nei luoghi “di produzione” come gli incontri di vertice, anche se viene comunque espressa senza disdegnare i tratti del carisma e del rango di appartenenza;
le armi sono rappresentate ma detenute dalle forze regolari, dall’esercito ovvero dall’istituzione legittimata ad utilizzarle nel bisogno;
Annahar – 1 agosto
gli spazi di aggregazione sociale, locali, edifici e spazi urbani trovano una presenza adeguata nel mostrare l’aspetto della normalità quotidiana e del vivere sociale;
Annahar – 26 aprile
distruzioni e rovine sono mostrate così come la gente coinvolta in questi drammi, ma la sintassi di queste raffigurazioni assume valore testimoniale, se ne percepisce la gravità senza che se ne enfatizzi il dolore e la disperazione.
Annahar – 1° pag. 31 luglio
The Daily Star
Il Daily Star è stato fondato nel 1952 e nacque all’origine con lo scopo di informare il cospicuo numero di espatriati a causa della nascente industria petrolifera nei paesi del golfo, divenendo in breve tempo il primo giornale in lingua inglese del Medio oriente. Accreditato di circa 30.000 copie, dalla sua stilistica complessiva si percepisce ben presto come questa testata miri ad altro tipo di audience in termini di cultura e di status sociale;
Annahar – 26 aprile e 10 maggio
nella prima pagina di norma appare una foto che occupa il 25-30 % della pagina ed esercita un certo impatto nell’attribuire risonanza al fatto del giorno e che in linea di massima tende ad assumere valore documentale;
The Daily star – 1° pagina 28 luglio
immagini di catene di produzione, di impianti industriali, di aziende, di banche, la presenza di infografica relativa ai mercati finanziari, costituiscono la rappresentazione del mondo degli affari, mostrano pezzi di realtà locale e popolano l’immaginario collettivo di una fascia di popolazione che vive un altro tipo di quotidianità;
The Daily Star – 22 marzo e 7 aprile
la ricorrenza in varie modalità dell’iconografia femminile, uno spazio per la moda, ma anche immagini che mostrano soldi, descrivono un mondo dei consumi e raccontano l’esistenza di uno spazio esistenziale di ben altro genere rispetto a quello spesso mostrato da Al Akhbar;
le proteste di piazza compaiono con una certa frequenza, segno inequivocabile dell’appartenenza alle pratiche quotidiane di questo paese;
le immagini che mostrano edifici, a volte anche dal basso verso l’alto, che rappresentano un significante semiotico di un certo modo di pensare il futuro;
armi e rovine non possono mancare, ma compaiono in misura inferiore, denotano una valorizzazione testimoniale e non emotiva, sono elementi di un fatto non la normalità quotidiana.
L’Orient Le Jour
L’Orient le Jour è stato fondato nel 1970 dall’unione di due quotidiani libanesi in lingua francese e denota alcune caratterizzazioni tipiche dei giornali occidentali; è una testata attenta a finanza, economia e allo scenario internazionale, ospita spazi glamour e di cultura, ed appare indirizzarsi ad un certo tipo di elite sociale, a tratti persino snob, rappresentata dai suoi lettori modello, appartenenti in prevalenza alla parte cristiana che si richiama alle impronte della cultura francese;
la prima pagina riporta più immagini di dimensioni contenute che accompagnano i titoli principali; non c’è quindi l’enfasi sul solo titolo di testa, ma la descrizione di una scena poliedrica, quasi a dare la sensazione di saper guardare il mondo nella sua interezza e non solo circoscritto al territorio libanese, un richiamo esplicito a chi ha questa cultura;
il giornale fa maggior uso del colore rispetto ad altre testate, sia nelle immagini, sia utilizzando fondini colorati all’interno delle sue pagine, stilistica che ricalca l’impronta di modernità dei giornali più “giovani” rispetto a quelli di più lunga tradizione;
le immagini che riportano personalità di spicco, come nella tradizione libanese, sono abbastanza frequenti, ma anche in questo caso il potere è rappresentato “in giacca e cravatta”, è un potere che si concretizza in incontri più esclusivi, più ristretti rispetto a quanto di norma rappresentato sul Daily;
L’Orient le jour – 16 maggio e 28 aprile
le rovine non sono ignorate, ma sono documentate, non “gridate”, così come le proteste di piazza o le armi, meno frequenti, meno pervasive nel rappresentare una realtà libanese che vuole mostrare anche altre facce;
L’Orient le jour – 1° pagina 31 luglio
il vivere sociale nei luoghi della cultura o del tempo libero trova un suo spazio, così come la cronaca di fatti di costume, un mondo che appartiene presumibilmente ai suoi lettori;
l’uso di caricature denota la capacità di saper fare ironia sui fatti e sui personaggi, forse un modo meno isterico ma comunque efficace di veicolare il proprio punto di vista sulla scena, il punto di vista espresso da una elite culturale che non si affida alla violenza;
la pubblicità prevalente mostra prodotti e beni di status symbol come orologi esclusivi, accessori e alta moda griffata, auto di alta gamma.
L’Orient le jour – 28 luglio e 16 maggio
Considerazioni
Ad una osservazione sbrigativa, tutti gli elementi peculiari della quotidianità libanese sono rappresentati nelle immagini: le rovine delle guerre, le sofferenze della popolazione, la circolazione delle armi, i decisori politici in azione, per cui sembrerebbe che tutti i giornali svolgano la loro azione informativa salvo poi declinare attraverso le parole il loro orientamento ideologico, ma questo fatto è noto, risaputo e sostanzialmente decodificato dalla maggior parte dei lettori.
È nel potere di veridicità attribuito alle immagini, alla loro forza testimoniale che si deve la produzione di immaginari collettivi da cui percepiamo valori e dai quali creiamo narrazioni, anche se a volte il nostro osservare quasi distrattamente la scena non ci dà questa consapevolezza.
Focalizzando l’attenzione sulle differenze invece, emergono aspetti che a mio giudizio hanno più importanza di quanta non gliene venga attribuita.
Se consideriamo le tendenze emerse in Al Akhbar, le tipologie di immagini che ho evidenziato possono assimilarsi alle tessere di un puzzle che ripropone lo schema narrativo canonico di Greimas: la rottura dell’equilibrio (gli eventi di distruzione), le sofferenze e le umiliazioni del debole (le rovine, la disperazione), il destinante che da la sua investitura (l’iconografia della leadership), l’acquisizione della competenza (adolescenti con le armi), la lotta (militanti in armi), la folla in strada (in attesa di celebrare il ritorno dell’eroe?), costituiscono una sequenza a cui forse in termini di immagini manca solo il “ritorno dell’eroe dopo aver sconfitto il drago”, una sanzione finale che può essere immaginata e incasellata nelle narrazioni collettive anche senza mostrarne l’evidenza.
Se consideriamo le immagini con le armi, per esempio, mentre in Al Akhbar il detentore era la figura del miliziano o dei gruppi armati, in Annahar queste sono nella disponibilità di reparti regolari in armi, dell’istituzione a ciò deputata, e questo nonostante entrambe le testate si dichiarino ispirate a valori liberali e progressisti.
Le immagini delle rovine sono presenti in tutte le testate considerate, ma mentre in Al Akhbar a volte sono un aspetto totalizzante occupando magari un’intera prima pagina, in The Daily Star o in L’Orient le Jour sono una parte del mondo, perché immagini e notizia compaiono a fianco di altri temi, e già variando lo spazio delle immagini, se ne modifica la risonanza e il peso percepito.
La rappresentazione stessa dell’autorità nelle immagini di persone importanti, assume le sembianze degli affari (Daily Star), del potere (L’Orient le Jour), delle istituzioni (Annahar), del carisma (Al Akhbar), espressioni diverse dello stesso concetto che è uno dei pilastri fondamentali del modo di interpretare la propria realtà sociale.
Persino la pubblicità, rappresentazione dei desideri o proiezione del proprio modo di vedersi nel mondo, assume forme distinte, diverse da quel mondo francese di charme mostrato da L’Orient le Jour.
Tanti mondi apparentemente uguali, ma al tempo stesso profondamente diversi, creatori di narrazioni parallele, ancorché costruite sulla stessa terra, destinate a persone diverse.
Descrivendo la realtà dei quotidiani libanesi, ho preso spunto da questo stato così ricco di aspetti e di contraddizioni, per far emergere il valore peculiare di certe sottili differenze che si celano nella sintassi delle immagini, capaci di influenzare le nostre visioni del mondo.
È in base a ciò che vediamo e che ricordiamo nella nostra testa che edifichiamo le nostre rappresentazioni del mondo, i nostri script sulla scorta dei quali procediamo a decodificare poi le nuove informazioni in ingresso ed andiamo ad aggiornare le nostre personali narrazioni quotidiane.
Ma siamo certi che gli artefici della costruzione siamo noi?
Dopo 25 anni la caduta del muro costituisce ancora un evento simbolo, fondamento di una rappresentazione sociale che genera l’antecedente attraverso il quale molti fatti successivi sono stati interpretati, dando vita a tante storie, diverse visioni del mondo in grado di orientare gli atteggiamenti della gente comune.
Oltre 1300 condivisioni in un giorno dimostrano la “viralità” dell’argomento ricordato da Repubblica.it attraverso un post sulla propria pagina Facebook, ma è sui commenti, quasi 300, che ne fanno uno di quei temi che non si possono tralasciare perché probabili rivelatori di interessanti risvolti del pensiero sociale della gente.
In sintesi la caduta del muro di per sé non è solo un evento storico, ma rappresenta un oggetto sociale al quale l’opinione pubblica ha collegato la caduta del comunismo come nucleo centrale di una rappresentazione sociale1. A questo tema la gente ha collegato fatti ed esperienze diverse creando l’ancoraggio per la costruzione di una serie di stereotipi e di atteggiamenti che hanno costituito una base per catalogare e mettere in relazione avvenimenti successivi.
Pertanto, a distanza di 25 anni la capacità di questo evento di influenzare la decodifica dei fatti più recenti è indubbia, per cui è stimolante saperne di più circa la sua forte carica simbolica e quali siano oggi gli stati d’animo tra chi c’era e chi ne ha soltanto sentito parlare.
Anche questa volta ho letto con pazienza e curiosità tutti i commenti e le opinioni espresse tra coloro che si sono coinvolti in questo dibattito virtuale, e il risultato è la scoperta di uno spaccato che svela vecchi stereotipi e idee comuni, storie passate e nuove credenze.
Tra i vari commenti e le risposte sono emersi diversi modi di vedere il mondo e di leggere ed interpretare i fatti della quotidianità, e pur considerando le diverse forme di espressione individuale, ne sono scaturite dieci categorie aventi ognuna un proprio nucleo di senso strutturale.
Vediamo in sintesi chi sono e cosa sentono i vari gruppi individuati.
I disillusi sono il gruppo più numeroso (28%), buona parte dei quali avevano riposto probabilmente tante speranze sul futuro dopo la caduta del muro, speranze che la storia degli anni successivi ha frustrato, sono rimasti delusi, annichiliti dalle promesse a loro dire non mantenute dal capitalismo, ed i loro sentimenti si potrebbero sintetizzare in due frasi emblema: “il sogno di un mondo giusto che sembrava a portata di mano è stato infranto dal cinismo del capitalismo”-“ la caduta del muro ha segnato il sopravvento della finanza internazionale che ci sta riducendo in miseria”; tra le varie tematizzazioni espresse a giustificare la delusione sono da citare il venir meno del ruolo di “contrappeso” che il comunismo aveva nei confronti del capitalismo, l’invasione di immigrati, l’aumento della corruzione, un certo timore verso la rinascita di una Germania egemonica, globalizzazione e falsa democrazia, un ruolo non proprio trasparente giocato dal papa dell’epoca.
Gli idealisti sono il secondo gruppo (24%), coloro che intravedevano e continuano a vedere le grandi opportunità che quell’evento ha rappresentato soprattutto in termini simbolici, la caduta di un ostacolo alla libertà e all’unità dei popoli; sono gli ottimisti, coloro che non creano alcuna relazione con la crisi odierna, sono quelli che pensano “via tutti i muri e le divisioni che ostacolano la libertà dei popoli”,” un evento che rimane vivo nella memoria e che ha cambiato la storia dell’Europa”.
In parte ostentano ancora la nostalgia di quelle emozioni, rilanciano le stesse speranze di superare le divisioni, di abbattere i muri ancora in piedi, di costruire ponti, non legano i problemi attuali a quel fatto storico e pensano che sia comunque meglio ora di prima.
Gli anti-Germania, una corrente nutrita (8%) che ricorda l’esistenza del muro come inevitabile punizione agli errori tedeschi del passato;“ben gli stava ai tedeschi per il male che hanno fatto agli altri popoli”, chi dalla sua caduta paventa il revanscismo della Germania e dei suoi istinti egemonici, “vi è già un altro muro molto più lungo, quello costruito dalla Merkel…”, chi si lancia in analisi economico monetarie a dir poco originali e che dimostra, aggiungo, come alcuni titoli di giornale di “epoca recente” siano stati interiorizzati dai lettori.
I mea culpa sono un buon gruppo di persone (6%) che osservando i fatti del mondo, riescono sempre a risemantizzarli come occasioni mancate per l’Italia o come effetti della decadenza politica e morale che pervade la classe dirigente del nostro paese e che trova spesso sponda nella complicità dell’italiano medio; un pensare che in sintesi si traduce “non è colpa dell’Euro o Europa che anzi ci protegge dai furbastri italici con le sue norme ma dei nostri politici”, oppure “se l’ Italia é messa così deve solo ringraziare il popolo italiano che ha permesso ai politici di fare i comodi loro”.
Gli anti-USA, poco rappresentati in questo dibattito (1%) ma che non potevano assolutamente mancare perché sappiamo far parte degli schemi di pensiero nazionali. Dal “..dilagare dell’imperialismo americano, origine di ogni nostro male…” al “la stessa storia dell’ 11 settembre…” lo spazio è breve anche in un limitato numero di commenti, ricostruzioni più o meno azzardate che vengono comunque ricondotte alla cinica influenza esercitata dagli Stati Uniti.
Gli affascinati dalla Germania sono un gruppo poco numeroso (2%) che esprime apprezzamento per quello che “la Germania ha saputo fare anche dopo fino ad oggi”, che constata con ammirazione come la Germania sia riuscita a gestire il processo di riunificazione successiva, giudizi sui quali, ancorché non espressi, non è azzardato pensare che trovino riferimento negativo la nostrana e irrisolta questione meridionale.
Gli io c’ero, un consistente gruppetto (5%) che nel ricordare il fatto enfatizza l’esserne stato testimone diretto, ed è l’aspetto della memoria quello che sembra prevalere sui significati che il fatto ha prodotto, l’emozione rinnovata del dire “io c’ero … me lo ricordo!”;. Un ricordo di questo evento che sembra riportare indietro il profumo di una età verde per coloro che, ormai cinquantenni, si esprimono in tal modo.
I pessimisti, un gruppo consistente (8%) che dalla celebrazione della caduta non trova motivo di gioia continuando a constatare i mali del mondo, le divisioni attuali, i nuovi muri, le nazioni egemoniche, e via dicendo. Abbastanza “gettonati” il muro israelo-palestinese e l’occasione mancata dall’umanità.
Abbastanza numerosi sono gli opinionisti (8%) a cui piace argomentare, quelli pronti a sfruttare qualsiasi spunto per esporre le loro analisi operando collegamenti con altri fatti legati da un qualche nesso consequenziale o di similarità; la caduta del muro nella sua ricchezza di significati da lo spunto per argomentare ovviamente sulla questione israelo-palestinese, sulle oppressioni create dal neo liberismo, sulle miserie del genere umano. Sono abbastanza vicini al gruppo dei pessimisti dal quale però si differenziano per la verve con la quale si esprimono.
I chiassosi sono un’insieme abbastanza consistente di persone (9%) che entra nelle conversazioni social a costo di essere fuori tema, vogliono esserci, esprimersi e soprattutto dissentire, divagano, entrano in contrasto e spesso cedono all’irrefrenabile impulso di insultarsi con qualcuno che la pensa diversamente da loro; sono coloro che si esprimono con giudizi sferzanti ed a volte offensivi come “i Rom c’erano anche prima, torna a guardare la tv che fai solo ridere”, “Commento da ignorante leggi la storia !!!”, Ma che ca..o ne sai te idiota ? Ma sai di che cosa parli ?”; come toni non c’è male direi.
[tagline]Conclusioni[/tagline]
Sembrerà ripetitivo questo mio riproporre analisi delle conversazioni di Facebook, ma reputo di importanza notevole l’opportunità di scoprire attraverso i commenti, elementi fondamentali che descrivono le rappresentazioni sociali della gente, ovvero i fondamenti delle strutture cognitive attraverso il quale la successione dei fatti in divenire viene poi semantizzata e strutturata in narrazioni.
Ritengo inoltre che sarebbe superficiale etichettare queste forme di espressione per la loro presumibile appartenenza politica essendo apparse sulla pagina di Repubblica.it, mentre è viceversa molto più pagante comprendere che cosa questi commenti raccontano in termini di discorsi sociali.
Anche le percentuali di per sè hanno mero valore orientativo perché possono variare in base al contesto, mentre viceversa il confronto tra schemi di pensiero così diversi ci indica come differenti esperienze di vita abbiano comportato così difformi processi di costruzione della realtà.
In sostanza il creare delle categorie tra i vari commenti espressi da varie persone consiste in realtà in una possibile ricostruzione di altrettante strutture narrative profonde che originano dalla stessa rappresentazione sociale, sulle quali ogni individuo ha poi applicato il proprio processo di figurativizzazione2, descritto più o meno chiaramente dalle loro convinzioni, dalle loro parole ed anche dal modo di entrare in conflitto con altri individui.
Le immagini sono state tratte nell’ordine da:
http://cdn1.stbm.it/studenti/gallery/foto/superiori/le-50-date-piu-importanti-della-storia/crollo-muro-di-berlino.jpeg?-3600
http://cultura.biografieonline.it/wp-content/uploads/2012/05/muro-di-berlino-caduta-picconate.jpg
http://blog.zingarate.com/berlino/wp-content/uploads/2012/11/the-Berlin-Wall-761447.jpg
http://www.viaggiovero.com/img/muro_berlino_trabant.jpg
1 Per il concetto di rappresentazioni sociali vedi S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali, il Mulino 2005 e Psicologia sociale – A. Polmonari, N. Cavazza, M. Rubini, il Mulino 2002.
2 Per il concetto di figurativizzazione vedi U. Volli – Manuale di semiotica, Laterza 2006.
La narrazione di una crisi è di per sé la storia di un problema: dramma, fatalità, ambiguità, cinismo; cosa emergerà?
………il pensiero sociale fa un uso estensivo di sospetti che ci mettono sulle tracce della causalità. (S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)
Nel mio precedente post avevo già introdotto il tema di come la narrazione d una crisi incorpori normalmente le caratteristiche di una storia, ovvero una struttura che ne facilita la comprensione e il ricordo nella mente della gente. Riflettendo sulla citazione di Moscovici (in corsivo), l’aspetto più delicato si rivela essere la presenza di processi mentali che implicano il formarsi di dubbi e sospetti in risposta a qualsiasi ambiguità e una fervida attività di deduzione logica mirata ad individuare le responsabilità personali.
A conferma di questo, nel video sottostante che racconta i recenti e tragici fatti dell’alluvione in Sardegna, si nota come al termine del resoconto giornalistico si manifesti subito la volontà di individuare responsabilità.
Una spiegazione in merito ai motivi di questi atteggiamenti va cercata riflettendo sugli studi di psicologia sociale di A. Smorti (Psicologia culturale – 2003), il quale propone una categorizzazione delle storie che presenta molti riferimenti applicabili alla comunicazione di crisi.
In questa classificazione troviamo:
a) storie senza problemi: sono storie auto evidenti e auto esplicative come una testimonianza o ricordi autobiografici, perché hanno un significato non ambiguo e culturalmente determinato, discorsive, coerenti e spesso scarsamente interessanti;
b) storie con un problema che presenta soluzione: sono storie ove tipicamente la figura dell’eroe affronta un ostacolo, una difficoltà che comunque è resa evidente, e qualunque sia poi il risultato finale, il problema viene comunque esplicitato nella sua causa senza ambiguità;
c) storie con problema che non ha soluzione: sono le storie problematiche che non presentano soluzione, ed a questo genere si possono associare per esempio tutti quei casi giudiziari che rimangono irrisolti, ma anche casi della vita o fatti che rimangono inspiegabili; sono queste le storie che generano la tipologia seguente;
d) storie che tentano di interpretare le storie senza soluzione (storie ipotesi): in questa tipologia di storie si fa largo ricorso alle ipotesi che fanno riferimento all’ esperienza, al cosiddetto mondo possibile, agli antecedenti per trovare spiegazioni altrimenti non esplicitate (es. Tizio ha una violenta lite con Caio; Caio viene ritrovato morto dopo poco tempo, Tizio è sospettato di essere l’assassino).
Considerata la particolare natura con cui si presentano a noi, le situazioni di crisi in linea di massima si collocano nella tipologia di storie senza risposta, almeno nella loro fase iniziale. Da questa caratteristica scaturiscono spesso sequenze di storie ipotesi, ove si tenta di ricostruire un nesso causale ai fatti avvenuti e alle conseguenze che ne derivano con una retorica discorsiva improntata al “pathos”.
Attingendo alla nostra memoria infatti troveremo senz’altro la storia di un fatto che, pur permanendo sullo sfondo, ha dato origine ad una sorta di racconto ulteriore interamente focalizzato sulla ricostruzione delle cause, sull’ identificazione delle responsabilità, sulla personificazione di ruoli tematici stereotipati da cui ci si aspetta che qualcuno indossi i panni dell’eroe, e di qualcuno che invece dovrà calzare quelli dell’antieroe calamitando i disvalori emersi nel racconto.
Categorizzare gli eventi
Pertanto il saper prevenire sin dall’inizio le reazioni emotive del pubblico, quali saranno le implicazioni provocate da eventuali reticenze, omissioni e ambiguità, è un essenziale punto di partenza se non per disinnescare, quantomeno per limitare danni ed effetti di una crisi.
Non devono esserci dubbi sul fatto che ogni carenza informativa, ogni dubbio, l’opinione pubblica provvederà a colmarlo attingendo alle proprie esperienze, agli antecedenti in materia, alle idee comuni e alle pratiche contemporanee.
Se ad una attenta analisi, le reazioni dell’opinione pubblica di fronte a certi fatti e situazioni possono essere in qualche modo prevedibili, il miglior modo di organizzarsi è individuare gli scenari di rischio potenzialmente possibili e sulla scorta di questi calibrare una strategia di risposte pianificate e soprattutto mirate a rispondere al bisogno di tempestività, a prevenire eventuali carenze, a ridurre gli effetti provocati dalle criticità della situazione.
Un criterio guida che può facilitare questo lavoro presuppone di operare una categorizzazione dei fatti critici più frequenti al fine di delinearne gli elementi comuni:
Eventi critici provocati da situazioni ambientali che coinvolgono una collettività di persone tra i quali ad esempio il terremoto che ha colpito l’Aquila o quello che in Giappone ha provocato il disastro nucleare di Fukushima, l’alluvione che ha colpito Genova un paio d’anni fa o i recenti e tragici fatti dell’alluvione in Sardegna di pochi giorni fa. Questa tipologia di eventi è contraddistinta dall’imponderabilità dei fatti e dall’incontrollabile forza della natura nei confronti dell’uomo: ma l’ineluttabilità degli avvenimenti lascia rapidamente il posto alla ricerca di responsabilità, per non aver saputo prevedere, per non aver limitato i danni, per la lentezza o l’inadeguatezza dei soccorsi tanto per citare alcune delle derive più frequenti. La causalità della tragedia passa assai presto dal fatalismo alla ricerca dei responsabili delle conseguenze. Pur essendo eventi che rientrano nella categoria di storie senza soluzione, la mente umana nel tentativo costante di attribuire significati plausibili ai fatti, si servirà di storie ipotesi che hanno la funzione di ridurre l’incertezza e rendere il mondo meno inconoscibile e più prevedibile; da qui l’esigenza di individuare responsabilità che in qualche modo consentano di ridurre la paura dell’ignoto e dell’incontrollabile.
Eventi critici tra istituzioni e collettività, dove atti e azioni delle istituzioni, o meglio di uomini delle istituzioni, provocano dei danni o delle conseguenze a singoli individui o gruppi di individui. Tanto per fare qualche esempio va ricordato il grave incidente in cui rimase ucciso Gabriele Sandri, oppure i gravissimi disordini nella manifestazione degli indignati di qualche tempo fa, o magari anche situazioni meno traumatiche ma comunque importanti tipo le cartelle esattoriali pazze di cui di tanto in tanto si sente parlare o situazioni di riconoscimento di diritti che arrivano dopo anni o ancora inadempienze nei pubblici doveri e così via. Sono fatti comunque importanti che coinvolgono pesantemente la credibilità e l’immagine delle istituzioni, e il loro sviluppo è in grado di influenzare sensibilmente la lettura di avvenimenti che dovessero ripresentarsi in forma simile nel tempo a venire. In questa tipologia di crisi, qualsiasi forma di titubanza o di reticenza ha l’effetto di stimolare nei media la tendenza a completare, magari a livello ipotetico, tutto ciò che manca come informazione, e questo aspetto non fa che acuire gli effetti destabilizzanti, incidendo pesantemente sulla credibilità delle istituzioni coinvolte. Questi eventi si incanalano nelle storie ipotesi perché comunque si tratta di azioni da codificare, perché spesso il sospetto guida la formazione delle convinzioni, perché si pensa sulla scorta delle esperienze precedenti, ed in tal senso le idee comuni presenti in una società in un determinato momento rappresentano una chiave di lettura che a volte costituisce un ostacolo insormontabile da sfatare.
Eventi critici che coinvolgono aziende, organizzazioni private o gruppi di persone, la cui rilevanza è direttamente proporzionale al numero di soggetti coinvolti, e dove è in gioco l’immagine e la credibilità del soggetto potenzialmente responsabile dei fatti; possiamo annoverare in questa categoria attività illegali compiute da un’azienda a danno dei consumatori, ovvero violazioni delle norme che procurano danni alla gente, episodi di coercizione di vario tipo, ma anche fatti che vedono scontri tra gruppi di persone, tipici i disordini tra tifoserie. Sono episodi riconducibili a quella che può definirsi come causalità degradata1, l’espressione deteriore della realtà, dove prevale la mancanza di valori morali del soggetto ritenuto responsabile, dove la gente mostra una certa sfiducia figlia delle esperienze passate; i soggetti coinvolti in tali situazioni quindi dovranno comunicare in modo trasparente, senza indugio e senza resistenze, per allontanare nei limiti del possibile sospetti che si traducono in una condanna morale da parte del pubblico. In queste situazioni spesso lo spettatore tende a schierarsi da una parte o dall’altra, e lo fa sulla scorta delle proprie convinzioni personali o delle proprie esperienze passate che costituiscono gli antecedenti a cui fa riferimento. Questi eventi possono più facilmente essere ricondotti a storie del secondo tipo, e quindi depotenziate, qualora si concretizzi in qualche modo una certa linearità nella ricostruzione dei fatti. L’aspetto a cui bisogna dare importanza ricade sempre sull’attribuzione di responsabilità. Occorre pertanto evitare gap informativi, dove lo spazio delle ipotesi venga riempito da convinzioni basate sui precedenti, ed al tempo stesso avviare l’intervento riparatore su binari certi e prevedibili, influenzando in qualche modo la lettura delle responsabilità.
Ecco quindi lo scopo del modello riportato nel mio precedente post che illustrava gli elementi strutturali di una storia; è certo che la mente sociale percorrerà quella strada, per cui è necessario sviluppare un flusso di informazioni che dia risposte credibili e non ambigue e che riempia tutti gli elementi necessari alla costruzione narrativa del fatto nella mente della gente. Quando questo non accade, non ci si deve stupire se, come successo in numerosi casi, l’informazione ufficiale non sia stata ritenuta credibile e viceversa siano invece prevalse le indiscrezioni come nel caso descritto nel mio post precedente.
I protagonisti della storia
Per completare questo argomento sulle strutture narrative delle crisi, pur tralasciando per sintesi un discorso sulle strutture profonde della semiotica generativa, sia pure in modo sintetico è necessario spendere qualche parola sul concetto di tema e sui ruoli tematici che ne derivano. I primi costituiscono le grandi “configurazioni discorsive” di una narrazione (giustizia e ingiustizia, il gesto eroico, il cinismo, la sopraffazione …..), ed hanno forma astratta fino a che non si materializzano nelle forme di volta in volta utilizzate dal racconto.
I ruoli tematici invece sono definibili come funzioni altamente stereotipate, concetti generali tipici che si definiscono mediante le iconografie diffuse nelle singole culture (l’eroe, il malvagio, la vittima, il potentato, etc.), hanno forma astratta fino a che non saranno soggetti ad un processo di personificazione nei protagonisti di un racconto.
Infatti nel ricordo di un fatto, come di una storia, noi abbiamo bisogno di raffigurare alcuni ruoli chiave come quello dell’eroe giusto le cui gesta saranno qualificate da una figura avversa, un oppositore che incorporerà i disvalori, avremo spesso bisogno di qualcuno che ricopra il ruolo della vittima, di un debole che subisce le conseguenze dei fatti e così via.
Dovrà poi essere in qualche modo categorizzato l’agire umano, e da qui inizierà il processo di riconoscimento di colui a cui attribuire il grande gesto da raccontare, l’esecuzione della prova qualificante, al quale si opporranno l’indifferenza, la fuga o la menzogna, ci sarà il danneggiamento di qualcuno o qualcosa.
Poi saranno in qualche modo figurativizzati, ovvero assumendo sostanza osservabile nei comportamenti, valori tra i quali il coraggio, l’onestà, l’impegno o la giustizia, al quale verranno contrapposti dei disvalori tipo la codardia, il cinismo, la negligenza, la malvagità. Avremo infine bisogno di definire la fine della storia, la sanzione finale che pacifica la nostra coscienza e che vede giustizia fatta, le responsabilità riconosciute e punite, i gesti ed i valori positivi dell’eroe ricompensati.
E’ questo il modo in cui la nostra mente opera tra gli eventi, li cataloga e li mette in ordine nella nostra memoria, e non possiamo certo sottrarci a questa modalità del pensiero umano.
Avendo per certi aspetti definito almeno i principali elementi che agiscono nel categorizzare i fatti che in qualche modo entreranno a far parte della memoria biografica della gente, ne consegue di fatto la possibilità di definire anche una struttura di base a cui la comunicazione delle situazioni di crisi dovrebbe idealmente ed in modo più o meno esplicito far riferimento, ovvero una traccia da seguire per fare in modo che tutti gli interrogativi potenziali siano soddisfatti, e che pertanto l’opinione pubblica non vada alla ricerca di ulteriori informazioni che sfuggirebbero a qualsiasi tipo di controllo.
“il pensiero umano è mosso dall’esigenza di fondo di interpretare il mondo e di attribuire significati plausibili che lo aiutino a fare delle previsioni e che per far questo ricorra alle storie” (A. Smorti – Narrazioni – 2007)
La comunicazione di crisi è il racconto di un evento, è una narrazione, e come tale è soggetta a certe caratteristiche che ne regolano il funzionamento nella mente della gente.
Gestire la comunicazione in presenza di situazioni di crisi è senza dubbio una delle attività più complesse a causa della presenza di condizioni di incertezza e di dinamiche non controllabili, ma anche perché a volte si scelgono strategie difensive nelle quali si finisce per avvitarsi in una spirale di errori sempre più gravi e con una risonanza pubblica crescente.
Esiste un’ampia tipologia di crisi possibili, per la diversità di eventi, per la variabilità di attori causali, per quantità e qualità dei soggetti coinvolti, per la gravità di effetti o conseguenze provocate, per cui non si può far riferimento ad un metodo univoco di risposta, anzi in certi casi ricette preconfezionate sul cosa fare in queste situazioni potrebbero persino provocare danni maggiori.
Tuttavia in rete si possono rintracciare documenti, pubblicazioni e “check list” sul Crisis Communication Management, in buona parte provenienti da oltreoceano, che possono costituire un buon riferimento per evitare di trovarsi completamente impreparati di fronte a fatti di questo genere.
Il punto critico è sempre la scelta del momento in cui cominciare a comunicare con il modo esterno, che cosa dire (o non dire!), perché il principio di non fare dichiarazioni che possano poi rivelarsi infondate si scontra con le necessità informative di una realtà che è fortemente condizionata dall’onda emotiva. Quindi come si può affrontare il problema? Certamente un’ analisi critica degli eventi passati, di come si è operato, ed al tempo stesso un piano di comunicazione che consenta risposte tempestive alle situazioni di crisi più prevedibili nonché la preparazione del management sul cosa fare, possono costituire un valido aiuto.
D’altronde le incertezze che inizialmente esistono sulle cause e sulle conseguenze di un evento, l’accertamento di responsabilità e la disponibilità di informazioni attendibili, richiedono oggettivamente tempi incompatibili con le reazioni emotive del pubblico.
Tra i molteplici aspetti che rendono difficile la gestione della comunicazione nelle crisi vanno considerati senz’altro:
– la criticità o la drammaticità di fatti che per i loro effetti provocano stati emotivi e tensivi molto forti in un numero più o meno ampio di persone; – la difficoltà a fornire i media di informazioni verificate, la cui disponibilità si rivela costantemente in ritardo con le esigenze e il fabbisogno informativo imposti dalla crisi; – l’impossibilità di avere un qualunque controllo sulle necessità informative dettate dalle conseguenze dell’evento che sono scarsamente o per nulla controllabili, ed il rischio che ogni tentativo di controllo venga scambiato per ambiguità o peggio per menzogna; – il rischio che notizie date tempestivamente risultino poi infondate inficiando la credibilità di chi informa; – l’influenzamento reciproco tra i soggetti coinvolti in qualche modo negli effetti di un evento critico che producono trascinamenti emotivi tipici della folla; – le informazioni che arrivano per forza di cose dopo un evento, a tentare di spiegare i fatti, e che trovano abbastanza spesso un pubblico prevenuto e diffidente; – la presenza nella mente della gente di esperienze precedenti che orientino una lettura precostituita di cause e responsabilità in mancanza di informazioni complete e tempestive; – il ruolo giocato dai media che, nella loro funzione di informatori, debbono guadagnarsi un loro spazio di visibilità, ma che così facendo a volte amplificano la risonanza di un evento.
Ognuno degli aspetti sopra detti meriterebbe un approfondimento fatto sulla scorta di eventi passati, ma in questa sede vorrei soffermarmi sulla possibile lettura precostituita da parte del pubblico di cause o conseguenze all’origine di una crisi, anche prescindendo dal flusso di comunicazioni ufficiali.
Prendiamo spunto da un fatto, un infuocato derby calcistico tra Roma e Lazio che doveva giocarsi il 21 marzo 2004 e che fu sospeso all’inizio del secondo tempo a causa delle pressioni esercitate dai tifosi. Prima della partita c’erano state le consuete intemperanze ma tutto sembrava sotto il controllo della robusta cornice di forze dell’ordine, quando a partita iniziata cominciò a diffondersi la notizia che un mezzo della polizia avesse investito e ucciso un bambino. Tale indiscrezione, non contrastata, iniziò ad incendiare gli animi della tifoseria al punto che questi arrivarono a minacciare i giocatori di gravi conseguenze se non avessero interrotto subito la partita. A nulla valsero le smentite ufficiali dell’allora capo della Polizia.
Un esempio eclatante quindi di come esperienze passate e un rapporto conflittuale tra tifosi e Polizia di vecchia data, con il semplice verificarsi di episodi di scarsa gravità, avessero generato in quel tipo di platea la convinzione che si fosse verificato un fatto tragico sulla scorta di semplici indiscrezioni, a cui nulla valsero le dichiarazioni ufficiali, forse tardive, di chi rappresentava l’istituzione.
Che domande porsi?
Ricordando questa storia, o magari frugando nella nostra testa alla ricerca di ricordi di qualche altra crisi, bisogna comprendere che tipo di interrogativi si pone il pubblico, per cui è fondamentale per chi debba gestire la comunicazione in situazioni critiche porsi certe domande:
– cosa si sta chiedendo il pubblico? Conosce sufficientemente e nel modo voluto come si sono svolti i fatti e le conseguenze? – trova risposte nella attribuzione di responsabilità? Può pensare che si stia coprendo un colpevole? – le informazioni disponibili possono generare nell’immaginario collettivo l’idea che ci sia la presenza di un giusto (la vittima) e di un ingiusto (il colpevole)? – può farsi strada l’idea che il fatto era evitabile? Che si sarebbe dovuto fare di più prima del fatto o durante i soccorsi alle vittime? – hanno già un idea delle colpevolezze? Di chi “espierà” la colpa? – quali “alleanze” o solidarietà possono nascere tra pubblici direttamente o indirettamente coinvolti nei fatti?
Per di più bisogna tenere nella debita considerazione alcuni fattori che in certi casi possono giocare un ruolo persino più importante degli stessi soggetti coinvolti che in sintesi sono identificabili in:
– i media, narratori per antonomasia che, mossi dai loro obiettivi, danno ampia risonanza ai fatti;
– i ben informati, i depositari delle verità scomode che gli organi ufficiali spesso omettono, e che esercitano la loro influenza sulla scorta dei pregiudizi fondati sulle esperienze passate;
– le vittime dell’ingiustizia, un abbinamento che quando si concretizza nell’immaginario collettivo è in grado di produrre effetti dirompenti;
– le “solidarietà identitarie”, alleanze atipiche che possono generarsi quando ci si riconosce in un ruolo contro un comune nemico (il caso Sandri per esempio fu un altro caso emblematico di alleanze tra tifoserie opposte contro la polizia).
Tutti questi aspetti danno sostanza ai presupposti di apertura di questo scritto per il quale la comunicazione di crisi è in fondo il racconto di un evento, e come tale è una narrazione che soggiace alle sue proprietà costitutive che ne determinano il funzionamento nella mente della gente.
In tal senso mi sembra assai pertinente riportare sinteticamente quanto uno degli autori, che ha trattato approfonditamente la nozione di storie come Andrea Smorti (Narrazioni 2007), ci dice in merito alla struttura delle narrazioni, una struttura che si articola nella nostra mente in: a) uno stato iniziale ove una situazione in equilibrio sia in qualche modo contestualizzata; (il fatto non si è ancora verificato e il pubblico possiede già esperienze antecedenti) b) l’avvento di un problema, ovvero il verificarsi di qualche fatto che rompa l’equilibrio iniziale; (l’evento si verifica e il pubblico ne viene a conoscenza in qualche modo) c) i tentativi di soluzione, uno o più fatti/azioni concretizzati da qualche soggetto che tenti in qualche modo e/o con l’ausilio di altri mezzi o aiutanti di risolvere il problema e ristabilire l’equilibrio iniziale; (il dopo, dichiarazioni, smentite, illazioni, conseguenze, responsabili, riparazione del danno) d) stato iniziale ricostruito o un nuovo stato, sono le situazioni al quale ci si aspetta si pervenga dopo i tentativi messi in atto da un soggetto di fronte ad un problema; (le soluzioni, attori positivi o negativi, la verità dei fatti) e) stato sanzionatorio (finale) equivale all’aspetto sanzionatorio, alla morale, al riconoscimento del ruolo del soggetto, all’attribuzione del premio (o della punizione). (giustizia è fatta! Colpevoli ed eroi sono identificati, premi e sanzioni sono assicurati)
In parentesi i brevi commenti con l’obiettivo di avvicinare lo schema ad una sua contestualizzazione. Mi piace inoltre continuare nell’omaggio ai contributi teorici esistenti in materia, riportando due citazioni importanti nel delineare una filosofia di approccio al problema:
“.. tutti i sistemi di classificazione, tutte le immagini e tutte le descrizioni che circolano nell’ambito di una società, persino quelle scientifiche implicano un legame con sistemi e immagini precedenti”. (S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali – 2005)
“Ogni particolare narrazione di una violazione dalla norma, fonda una tradizione e diventa il nucleo di un genere narrativo sul come il mondo è.” (A. Amsterdam & J. Bruner 2000 – Smorti – Psicologia culturale 2004).
Conclusioni
In conclusione sembra proprio che le esperienze precedenti costituiscano lo script1 attraverso il quale in presenza di dubbi, la mente comincia ad elaborare risposte attingendo agli antecedenti, alle situazioni del passato, operando delle deduzioni che saranno tanto più corpose quanto più la carenza di informazioni soddisfacenti sarà accentuata.
La riflessione finale è proprio in questo punto, che laddove ci fosse un difetto di notizie appare ineluttabile che la gente provveda in proprio a darsi delle risposte, e pertanto coloro che a vario titolo dovessero trovarsi nella scomoda posizione di dover comunicare in situazioni di crisi devono sapere che tutto ciò che non verrà detto o non sarà chiarito sufficientemente, sarà generato e aggiunto dagli altri, senza alcun controllo, quindi…
1 A. Smorti – Psicologia culturale – ed. Carocci 2003
Una riflessione sulle narrazioni contemporanee oggi non può prescindere dal porsi alcuni interrogativi su quello che è il ruolo dei social media (SM), per cui è lecito chiedersi: nei SM si costruiscono delle narrazioni, e di che tipo?
In questa ricerca la mia attenzione si è focalizzata su Twitter, con lo scopo di verificare empiricamente se su questa piattaforma si generino dei frammenti narrativi1 più o meno strutturati, pur in una esplorazione di portata limitata.
Tra le varie modalità possibili ho ristretto il campo di ricerca all’analisi dei tweet pubblicati da tre testate giornalistiche di diffusione nazionale mediante il monitoraggio dei messaggi “twittati” nell’arco di una settimana, precisamente dal 20 al 26 settembre. Gli account monitorati sono stati il Corriere della Sera (C ), il Giornale (G) e la Repubblica (R) e l’analisi dei loro tweet è stata eseguita con l’ausilio di un software per la “content analysis”.
Tra le numerose variabili che potevano essere considerate, ho indirizzato la mia attenzione su quelle che ho ritenuto potessero dare delle risposte più immediate al quesito di partenza. Le tabelle che compaiono riportano il riepilogo delle variabili considerate e dei dati emersi dai quali sono scaturite le riflessioni che seguiranno.
Il panorama circostanziale
Prima di tutto i fatti più dibattuti della settimana in questione, la quale è stata largamente dominata dal tema legato alla decadenza di Berlusconi e quindi la probabile crisi di governo conseguente, poi a seguire la possibile acquisizione della Telecom da parte della spagnola Telefonica, l’aumento dell’IVA e i suoi effetti, l’attacco terroristico al centro commerciale di Nairobi, le elezioni in Germania, e in più riprese gli interventi volti a richiamare calma e senso di responsabilità nella politica fatti dal Capo dello stato Giorgio Napolitano.
Il numero di tweet postati nel periodo è stato sostenuto per il Corriere della Sera (709) e la Repubblica (694), abbastanza limitato per il Giornale (123), fatto questo che comporta una certa problematicità di carattere statistico nell’operare un confronto con le prime due testate. Giova tuttavia considerare che non si va a caccia di indici statistici, bensì di far emergere degli indirizzi di fondo, per cui i dati numerici in sé non rappresentano delle discriminanti di carattere assoluto. È comunque da ricordare che G ha creato altri account (es. il Giornale editoriali) che non sono stati presi in considerazione in questa sede.
L’analisi dei dati
Stante il vincolo dei 140 caratteri e la conseguente brevità dei testi, non ho dato rilevanza al totale delle parole utilizzate mentre invece ho scelto di valutare la varietà di termini utilizzati per osservare se emergevano delle differenze significative. In tal senso, pur considerando possibili imprecisioni nei valori assoluti che il trattamento automatico dei testi comporta (a meno di compiere verifiche manuali di dettaglio assai onerose in termini di tempo), i numeri ottenuti con buona approssimazione ci danno un idea dell’andamento.
Risulta che R ha utilizzato 3539 lemmi diversi, contro i 2990 utilizzati da C e i 1047 di G pur con un numero di tweet che è notevolmente inferiore; rapportando i lemmi con il numero di tweet emessi otteniamo nell’ordine 5,1 – 4,2 – 8,5. Questi indici sembrerebbero suggerire che G utilizzi una varietà di termini maggiore rispetto agli altri, ma la notevole differenza nel numero di messaggi pubblicati suggerisce di rivedere questo confronto, mentre tra le altre due testate sembra esistere una sia pur lieve propensione alla variabilità di lessico da parte di R.
L’uso degli hashtags (importante proprietà di Twitter che consente ad un utente di selezionare tutti i tweet che parlano di uno specifico argomento anteponendo alla parola il simbolo #) é una modalità che un account può sfruttare per operare un “engagement” più efficace su un “lettore modello” orientato alla ricerca di ben determinati argomenti, che gli hashtags rendono più semplice aggregare. In questo si osservano differenze di un certo rilievo; emerge una marcata tendenza di G ad utilizzare questa tecnica (98 volte) quindi R (39), mentre è abbastanza sporadico l’utilizzo che ne fa C (6). Non è possibile sapere se questo corrisponda a specifiche scelte da parte degli editori.
La selezione delle parole utilizzate con maggiore frequenza implicava la possibilità di inquadrare speditivamente le tematizzazioni affrontate, ed al tempo stesso poteva fornire un informazione qualitativa in merito alle ridondanze rintracciate. Come si osserva nelle tabelle, dalle parole più utilizzate da R si può dedurre che siano prevalsi temi relativi al territorio ed ai fatti di carattere nazionale, mentre invece in C notiamo parole che implicano una maggiore insistenza su temi di carattere internazionale, in primo piano i fatti di Nairobi e il tema del terrorismo, così come le citazioni relative alla Merkel confermano un’attenzione sulla Germania non trascurabile. G invece, pur considerando il minor numero globale di parole e quindi il minor numero di frequenze da vagliare, sembra orientato verso una maggiore attenzione ai temi di carattere politico strettamente legati alle perturbazioni degli ultimi giorni.
Da ritenere degno di nota anche l’uso di lemmi di tipo avversativo e/o dubitativo; in questo caso si possono notare similitudini nel comportamento dei tre soggetti che raccontano inevitabilmente della presenza di situazioni di tensione che provengono dallo scontro politico in atto e dalla delicata situazione, aspetto che si palesa con la frequenza comune a tutte e tre le testate nell’uso del termine “contro” e con l’incertezza rivelata da un frequente uso del “se”. In considerazione della situazione conflittuale della politica in questo particolare frangente, era inevitabile non soffermarsi sull’atteggiamento tenuto dalle tre testate e quindi tentare di fare un confronto tra di esse.
Il teatrino della politica
Nelle tabelle dove sono riportate le parole usate con più frequenza, è possibile vedere come ci siano alcune analogie nei soggetti menzionati e forse non poteva essere altrimenti visto il momento, per cui le varie redazioni non potevano differenziarsi troppo da un’agenda pressoché obbligata. Quindi la presenza dei protagonisti citati potrebbe sembrare scontata in virtù delle posizioni editoriali delle testate di cui abbiamo tutti una esperienza abbastanza consolidata.
Tuttavia poiché lo scopo del lavoro era quello di far emergere tracce narrative e non l’eventuale posizione di favore verso un qualunque personaggio, i relativi termini sono stati osservati all’interno dei frammenti di testo in cui comparivano (di frequente corrispondevano più o meno all’intero tweet). Ovviamente la possibilità data dal software di aggregare e mettere in ordine sequenziale tutti i frammenti connessi a un termine, facilita l’osservazione della costruzione discorsiva fatta intorno ad esso e di percepirne la valorizzazione complessiva nella sua interezza. Ed i risultati hanno mostrato qualche aspetto interessante.
I frammenti narrativi che emergono su R in sintesi ci raccontano di un personaggio Berlusconi oggetto della discordia e causa dei problemi, oltre ad apparire attore incline alla violazione delle regole e perciò svalorizzato nel suo complesso, mentre la figura di Napolitano si staglia come entità conciliatrice, ancora depositario di una autorità morale nel richiamare le parti alla saggezza e al senso di responsabilità. Il PD invece viene raccontato come agente in crisi di identità, prigioniero delle sue diatribe interne ed in costante malessere con gli alleati anche nella esposizione della situazione in Sicilia. Il Presidente del Consiglio Letta si delinea come soggetto attivo, combattivo anche se la situazione lo costringe sulla difensiva, accerchiato da situazioni che promette di combattere e da cui vuole uscire.
Infine il PDL, attore che viene palesato come fautore della linea dura, arroccato sulla incondizionata difesa del suo leader e disposto a buttare all’aria il tavolo della trattativa, una valorizzazione che potrebbe essere letta in modi diametralmente opposti a seconda le inclinazioni e le insoddisfazioni del pubblico.
Su C si racconta un Letta soggetto attivo, che mostra fermezza nel fronteggiare questa situazione di crisi nonostante le difficoltà, mentre Berlusconi da un lato è l’oggetto che provoca lacerazioni per il problema legato alla sua decadenza, evento in grado di sfociare nelle dimissioni dei suoi fedelissimi, dall’altro lato si riappropria di una sfera soggettiva che lo vede impegnato nel tessere la tela e tramare alla ricerca di vie di uscita ai suoi guai.
Ancora un PD diviso e logorato dalle sue contraddizioni interne e dalla mancanza di univocità di fronte ai fatti politici, ancora quindi i contorni di una identità in crisi a cui fa da contraltare un PDL che marcia senza indugi e senza tentennamenti verso i suoi obiettivi, fautore dello scontro con Napolitano e deciso a portare avanti la linea dura. Ancora il personaggio Renzi che si manifesta come soggetto dinamico, critico della scena e degli attori in gioco, mentre la politica come ruolo tematico appare protagonista negativa in perenne conflitto con la giustizia, causa prima delle incertezze e dei problemi della situazione.
Infine il frame dipinto da G dove emerge un Letta dubbioso nelle scelte ed inadempiente nelle azioni, complessivamente svalorizzato, un Berlusconi nel ruolo di vittima degli attacchi dei suoi nemici ma che risorgerà (alle elezioni!), un PDL soggetto dinamico impegnato all’offensiva su tutti i fronti e leale fino in fondo al suo leader. A seguire altri tre personaggi connotati in modo non certo positivo, una Boldrini femminista e attentatrice dei valori familiari, un Renzi regista delle trame contro il governo, istigatore delle divisioni interne al PD, quindi complessivamente svalorizzato ed infine Saccomanni, isolato nel governo, screditato nelle azioni, in un certo modo emblema in declino della categoria dei tecnici che agiscono in politica. Da queste poche righe si potrebbero trarre alcune considerazioni che tuttavia evito di fare per rimanere quanto più possibile vicino all’oggettività dei dati; all’eventuale lettore trarre delle conclusioni.
Verbi come azioni
I verbi descrivono le azioni e perciò sono un elemento fondante dei dispositivi enunciativi che definiscono i comportamenti dei soggetti e la loro natura. I predicati più utilizzati (essere, avere) non sorprendono in raffronto al linguaggio comune, tuttavia si potrebbe azzardare una differenza tra R e C; nel primo sembrano più frequenti le modalità del fare, dell’azione, mentre nel secondo oltre ai verbi collegabili ai fatti terroristici, sembrano più frequenti predicati di tipo cognitivo (guardare, pensare, chiedere). È un dato questo sul quale bisognerebbe tornare per cercare conferme, perché una modalità di questo tipo, se confermata, implica un diverso modo di raccontare la quotidianità.
Si registra inoltre come l’uso dell’indicativo presente, specialmente se declinato nella terza persona, rappresenti la modalità di gran lunga più utilizzata da tutte e tre le testate. In linea di massima questa è una costruzione linguistica che descrive i fatti senza prese di posizione in prima persona, senza il ricorso a frasi riportate (cosiddetta “enunciazione enunciata”); con beneficio di inventario si potrebbe asserire che questa sia prevalentemente la modalità del fare cronaca, del raccontare il fatto piuttosto che la prassi di costruzione del testo narrativo.
Infatti è da ricordare che nei quotidiani (cartacei) lo stile asetticamente discorsivo del riportare la notizia sta lasciando il posto sempre più a modalità testuali e interpretative che si configurano come narrazioni e che, in quanto tali, sono proiettate in un orizzonte diacronico, implicando in tal modo il ricorso a predicati verbali che articolino sia il passato che il futuro oltre al presente; su Twitter invece sembra emergere che tali modalità non sono ancora utilizzate in modo significativo.
Considerazioni conclusive
A questo punto si possono tracciare alcune considerazioni che emergono dall’analisi fatta fino ad ora, aspetti magari da sottoporre a verifica in presenza di un panorama circostanziale differente.
Non si deve dimenticare comunque che Twitter è una piattaforma abbastanza “giovane” e la sua espansione specialmente in Italia è un fatto recente, per cui non si può escludere che a breve scadenza tecniche e modi del suo utilizzo possano evolvere verso forme di maturità scaturite dalla consapevolezza delle sue potenzialità.
In linea di massima sembrerebbe che la particolare natura di questa piattaforma non renda facilmente intelligibili le strutture narrative, e questo è in buona parte dovuto alla brevità del messaggio, fatto che rende senz’altro complicato costituire all’interno di questo le strutture in grado di formare una narrazione. Inoltre bisogna riflettere sulle modalità pratiche di fruizione di Twitter: la diffusione e l’utilità di questa piattaforma come mezzo di informazione viene esaltata dalla proliferazione degli smartphone, strumento per l’informazione “mordi e fuggi” in ogni luogo e momento. Invece è da notare che, specie i media ufficiali, nella maggioranza dei casi inseriscono nel tweet un link che rinvia all’articolo pubblicato nel portale on-line.
Ora se è probabile che l’articolo completo possa contenere gli aspetti narrativi di cui si parla, è da ritenere poco frequente che gli utilizzatori così come sono stati descritti, ricorrano alla lettura dell’articolo completo collegato al tweet, se non in poche occasioni.
Pertanto due considerazioni possono essere fatte: la prima è che comunque, sia pure in modo frammentario, sia possibile la costituzione di frammenti narrativi, come in precedenza osservato nei commenti relativi alla scena politica. Si tratta di frammenti che probabilmente non possono avere vita autonoma ma che comunque possono saldarsi in un ambiente di trans-medialità.
La seconda invece ci porta a pensare che la “gioventù” di questo SM non abbia ancora generato quella scaltrezza comunicativa che si ritrova invece nelle modalità di costruzione dei titoli di prima pagina che, pur essendo più brevi di un tweet, mediante il sapiente uso di artifizi retorici, sono capaci di veicolare frammenti narrativi estremamente densi e ricchi di senso.
Per queste ragioni, almeno fino ad ulteriori conferme, non ho ritenuto opportuno parlare di elementi narrativi come le strutture attanziali2, consapevole di proporre un tema di dibattito con ancora molte ipotesi da verificare.
1 Con il termine “frammento narrativo” per convenzione si deve intendere una parte testuale che per complementarietà sarà suscettibile di unirsi ad altri frammenti presenti nel panorama trans-mediale in modo da comporre una narrazione strutturata. 2 Per questo concetto si vedano gli studi di A. Greimas e della semiotica generativa.